Nell’annus horribilis della pandemia è spettato ai regnanti, nel discorso di fine anno, farsi carico del gravoso compito di alleviare lo stato d’animo dei cittadini piegati dal Covid-19. Con risultati non sempre edificanti, dal Regno Unito, al Belgio, passando per la Spagna.
Il Regno Unito non è mai stato più diviso, e come sempre in questi casi, da una settantina d’anni, ricorre al balsamo infallibile: Elisabetta. La Regina ha un’aura rassicurante che valica confini, generazioni, nazionalità, e se lo dice Lei, che tutto andrà bene, Lei con i capelli d’argento, la foto dell’inossidabile Filippo sulla scrivania, le lucine dell’albero di Natale sullo sfondo, il maglioncino per una volta di un ardito viola acceso, la parure di perle: se Lei, malgrado due guerre mondiali, incalcolabili ministri e parlamenti e una banda di eredi scemi, è ancora lì, a mandare messaggi natalizi di fiducia nel futuro, chi siamo noi per non sperare?
L’ultimo augurio di Natale è particolarmente ecumenico, perché sì, il Paese che governa sta per uscire dall’Europa, manda gli incrociatori a sparare ai barconi nella Manica e ha pure cancellato l’Erasmus, ma che vuoi farci, so’ ragazzi, io resto sovrana del Commonwealth e capo della Chiesa anglicana, e quindi insisto a predicare tolleranza religiosa, apprezzamento per le tante culture del mio ex impero, gratitudine per la solidarietà di questi tempi tristi, senza dimenticare il ruolo cruciale delle infermiere nella pandemia. Il tutto tenuto insieme dal tema della Luce, luce di Gesù, luce dei festival indiano Diwali, luce della speranza collettiva e della sua fiducia personale. “La Bibbia ci racconta di una stella apparsa in cielo, la cui luce ha guidato i pastori e i Re Magi fino alla nascita di Gesù. Che la luce del Natale, lo spirito di sacrificio, amore e soprattutto speranza, ci guidi nel futuro”. Ma soprattutto, Maestà, Lei si riguardi. In Spagna, un presepe scarno, Madonna, san Giuseppe e bambino Gesù è la scenografia ancora più spartana del solito dietro alle spalle del re Felipe VI durante il consueto discorso della Vigilia dal Palazzo della Zarzuela di Madrid. Ad attanagliare il sovrano è un altro guaio, oltre al Covid: gli affari offshore del padre Juan Carlos I in fuga negli Emirati Arabi e solvente con l’Agenzia delle entrate per circa un decimo del dovuto. Una bomba per la monarchia se si considerano “le centinaia di migliaia di posti di lavoro cancellati” dalla pandemia a cui Felipe VI fa riferimento nel suo saluto. Fa appello all’unità del Paese il monarca, allo “spirito forte di un popolo che ha saputo mettere da parte le divisioni e guardare unito al futuro” dopo un periodo ben peggiore di questo, cioè 40 anni di dittatura. “Non sarà facile”, confessa Felipe VI, ma “non è difficile che il 2021 sia meglio dell’anno appena trascorso”. Empatizza con chi ha perso i propri cari per il Covid, elogia lo sforzo dei sanitari e si dice fiducioso nella scienza. La verità è che Felipe non è Juan Carlos, vorrebbe poter dire fidatevi di me, andrà tutto bene. Ma, barba sale e pepe a parte, non ha dalla sua decenni di reggenza né quel carisma da salvatore della patria che ha fatto vivere di rendita per anni il suo predecessore. Eppure ci prova col volto pulito a dribblare il padre. “La Spagna si risolleverà, si rinnoverà e andrà avanti”, “il rinnovamento è lo spirito della mia reggenza”. E poi getta il cuore oltre l’ostacolo: “Siamo tutti obbligati a princìpi morali ed etici, senza eccezioni; princìpi che sono al di sopra di qualunque considerazione, di qualunque natura, sia essa personale o familiare”. Adiós 2020, adiós Covid, adiós Juan Carlos.
“Le sfide restano immense ma i prossimi mesi ci offrono una reale prospettiva di uscita dalla crisi”. La crisi sanitaria è stata al centro anche del discorso di Natale del re Filippo del Belgio: “Che abbiamo appreso da questa crisi? Innanzi tutto che siamo stati in grado di affrontarla. Il nostro sistema sanitario ha tenuto – ha detto il re – grazie allo sforzo ammirevole dei guardiani delle nostre vite. Ci sono stati anche tutti quelli che hanno contribuito a mantenere il Paese a galla assicurando la continuità delle loro attività e del servizio pubblico, o semplicemente fornendo aiuto quando necessario”. Seduto, in abito scuro, davanti al grande abete addobbato del palazzo reale, il re ha ringraziato i belgi per “l’impressionante slancio di generosità” di questi mesi e ha chiesto loro di continuare a rispettare le misure “necessarie” per lottare contro il virus e di “farle proprie” invece di “subirle”. Si è rivolto in particolare ai giovani: “Lo so che i tempi sono duri. Che la vostra giovinezza mi sembra in parte sacrificata. Ma presto potrete di nuovo spiegare le vostre ali e ispirarci per costruire un futuro migliore”. In genere gli auguri di Natale del re sono trasmessi in apertura del telegiornale della sera. Quest’anno hanno invece chiuso una trasmissione speciale in omaggio alle vittime del Covid-19, proprio nel giorno in cui il Belgio ha superato la soglia simbolica dei 19 mila morti.