Senza le misure del governo per fronteggiare la recessione causata dalla pandemia, spiega una ricerca pubblicata il 16 novembre da Banca d’Italia, quest’anno nel nostro Paese si sarebbero contati 600mila licenziamenti in più. Una dimostrazione arriva dalle grandi ristrutturazioni aziendali registrate dal database Eurofound dell’Unione europea: nell’anno che sta per finire il saldo tra i posti di lavoro persi e quelli creati in Italia è stato negativo per appena 1.779 unità, a fronte di una media di -15mila l’anno dal 2002 al 2019. Un risultato simile si spiega solo con il blocco dei licenziamenti deciso da Palazzo Chigi, oltre alla quarantina di miliardi stanziati per misure occupazionali e sociali a favore di lavoratori dipendenti e autonomi tra indennità, cassa integrazione Covid, congedi parentali e per l’assistenza ai disabili, estensione dei sussidi di disoccupazione Naspi e Discoll. Interventi che hanno tamponato l’emergenza, ma che lasciano aperte le domande per l’anno prossimo.
Secondo Eurofound, le grandi ristrutturazioni aziendali quest’anno sono costate all’Italia 17.459 posti di lavoro, mentre nel frattempo ne hanno creati 15.680, con un saldo negativo di 1.779 occupati. L’Italia è così 17esima su 28 tra i Paesi dell’Unione europea più colpiti dalla pandemia sul lato occupazionale. È andata molto peggio nel Regno Unito (-150.899 occupati da inizio anno nelle grandi crisi), in Germania (-79.099) e Francia (-45.625), ma anche in Stati ben più piccoli della Penisola come Svezia (-19.479) e Olanda (-14.548). In tutta la Ue nel 2020 il saldo occupazionale delle ristrutturazioni segna una perdita di oltre 360mila posti. Dal 2002, quando sono iniziate le registrazioni del database europeo, il saldo delle ristrutturazioni aziendali segna una perdita di 3,2 milioni di posti, tra 7,5 milioni di licenziamenti e 4,3 milioni di nuove assunzioni. Nella classifica di lungo periodo l’Italia è quinta, con 274mila occupati in meno (390mila licenziati e 115mila assunti), alle spalle del Regno Unito (-850mila occupati), Germania (-823mila), Francia (-437mila) e Olanda (-317mila). In 19 anni le 774 grandi ristrutturazioni aziendali in Italia hanno colpito di più l’industria (-118mila occupati il saldo), il settore bancario e finanziario (-116mila), i trasporti (-34mila) e le tlc (-33mila). Nel 2020 invece il più colpito è stato il settore bancario (-10.130 occupati), mentre l’industria ha segnato “solo” 2.106 posti in meno e le tlc -1.550. Ma i dati Ue sono parziali: Eurofound registra solo le ristrutturazioni che comportano la perdita di almeno 100 posti di lavoro o riducono di almeno il 10% gli occupati delle aziende con oltre 250 addetti.
Secondo gli ultimi dati dell’Istat sul mercato del lavoro aggiornati all’11 dicembre, nel terzo trimestre nonostante il forte recupero dell’economia durante l’estate gli occupati sono calati comunque su base annua di 622mila unità (-2,6%), soprattutto tra i dipendenti a termine (-449mila, -14,1%) e gli autonomi (-218mila, -4,1%). Dopo 13 trimestri consecutivi in calo sono tornati a crescere coloro che cercano occupazione (+202mila, +8,6%) e gli inattivi (+265mila, +2,0%), come il tasso di disoccupazione al 9,8% (+1,4% sul secondo trimestre).
Le cifre italiane collimano con quelle rese note da Eurostat il 10 dicembre: nella Ue il tasso di disoccupazione medio a ottobre era al 7,6% (6,6% un anno prima), con 16,24 milioni di disoccupati. La perdita stimata per il reddito da lavoro mediano nella Ue è del 5,2% su base annua. A livello globale, secondo l’Organizzazione mondiale del lavoro (Ilo), il Covid nel secondo trimestre ha portato al calo su base annua del 17,3% delle ore lavorate, pari a 495 milioni di posti a tempo pieno, con un taglio del 10,7% del reddito da lavoro pari a una perdita di 3.500 miliardi di dollari, il 5,5% del Pil globale.
Ecco gli aiuti pubblici resteranno fondamentali. Nella legge di bilancio, sul fronte del lavoro il Governo ha stanziato fra 5 e 6 miliardi su giovani, donne e Sud, oltre a 5,3 miliardi per il rifinanziamento della cassa integrazione, con ulteriori settimane di Cig Covid e la proroga di Ape Social e Opzione Donna. C’è poi un piano di assunzioni nel settore pubblico e nella scuola che però i sindacati ritengono ancora insufficiente. Anche la Ue ha messo sul tavolo 90,3 miliardi a sostegno dell’occupazione con il Supporto temporaneo per mitigare i rischi di disoccupazione in emergenza (Sure). Ma solo la fine della pandemia potrà scongiurare il rischio che l’inasprirsi della recessione renda insufficienti questi sforzi. E a fine marzo, poi, scadrà il blocco dei licenziamenti.