“Chi non si vaccina può essere licenziato. Lo prevede la legge”

“Tutelare la salute significa vaccinare il maggior numero possibile di persone”: Raffaele Guariniello, che alla tutela della salute ha dedicato la sua carriera in magistratura, lo dice senza mezzi termini: “Ma attenzione – precisa – non è un’indicazione ‘morale’, è ciò che prevede la legge”.

Dottor Guariniello, andiamo con ordine: si può ipotizzare l’obbligo vaccinale contro il Covid?

Il principio per cui nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge è previsto dalla Costituzione.

E questa norma c’è?

Il discorso è un po’ articolato, ne ho scritto sul prossimo numero di Diritto & Pratica del Lavoro e riguarda il Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro. L’art. 279 impone al datore di lavoro di mettere a disposizione “vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico, da somministrare a cura del medico competente”. Il Covid-19 rientra tra gli agenti biologici, peralro compreso nel gruppo dei più insidiosi, come stabilito da due decreti legge che hanno recepito una direttiva europea. Quindi, a norma di legge, essendo – come speriamo tutti – ora a disposizione un vaccino per il Covid (l’agente biologico), il datore di lavoro è tenuto a mettere “a disposizione” vaccini efficaci. Stiamo parlando di milioni e milioni di persone, dipendenti (e non) privati e pubblici.

La legge però dice “mettere a disposizione”, non obbliga nessuno a vaccinarsi…

Vero, ma la stessa norma impone al datore di lavoro “l’allontanamento temporaneo del lavoratore” in caso di inidoneità alla mansione “su indicazione del medico competente”. E come può il medico non esprimere un giudizio di inidoneità se il datore di lavoro, proprio su parere del medico competente, ha messo a disposizione il vaccino, poi rifiutato dal lavoratore?

In questo modo la sorveglianza sanitaria non rischia di danneggiare i lavoratori?

No, anzi, al contrario. La sorveglianza sanitaria non serve solo a tutelare il singolo lavoratore, ma anche tutti gli altri. La Corte Costituzionale lo ha ribadito più volte: la tutela della salute è un diritto dell’individuo e un interesse della collettività.

Rimane il fatto che nessuno ha ancora obbligato il lavoratore “ribelle” a vaccinarsi…

No, ma qui arriviamo a un punto insidioso.

Quale?

La legge prevede l’obbligo di allontanare il lavoratore e di adibirlo ad altra mansione, ma solo “ove possibile”. La Cassazione ritiene che tale obbligo di repechage (ripescaggio) non può ritenersi violato quando la ricollocazione del lavoratore in azienda non è compatibile con l’assetto organizzativo stabilito dall’azienda stessa. Insomma, il datore di lavoro è obbligato a predisporre misure organizzative per tutelare il lavoro, ma se questo non è possibile si rischia la rescissione del rapporto di lavoro.

Una giusta causa di licenziamento?

Lo stato di emergenza non consente i licenziamenti, il lavoratore fragile ha diritto allo smart working. Ma in futuro il problema potrebbe presentarsi.

Qualcuno potrebbe lamentare la violazione della libertà personale di non sottoporsi al vaccino.

Potrebbe sì, ma per avere ragione dovrebbe prima cambiare la legge. Altrimenti la normativa è chiara nel prevedere la messa a disposizione del vaccino, l’allontanamento e la destinazione ad altra mansione “ove possibile” del lavoratore che si rifiuti inidoneo.

Tutto lo Pfizer in 35 mosse: ecco il “bugiardino” dell’Aifa

L’Agenzia italiana per il Farmaco ha diffuso il vademecum del vaccino anti-Covid Pfizer in 35 punti. Ecco i principali in sintesi:

1) È destinato a chi ha più di 16 anni, non contiene il virus e non può provocare la malattia. E sarà gratuito.

2) Sarà disponibile solo nei presidi definiti dal Piano vaccini, non in farmacia.

3) La sua somministrazione avverrà con due iniezioni, distanziate di 21 giorni l’una dall’altra, sotto stretta supervisione medica e sarà usata una speciale siringa sterile, monouso, dotata di sistema di bloccaggio dell’ago per evitare distacchi accidentali.

4) Il vaccino introduce solo l’informazione genetica che serve alla cellula per costruire copie della proteina Spike che permette l’accesso del virus. La molecola mRNA non resterà nell’organismo, ma si degraderà poco dopo la vaccinazione.

5) Il dubbio se la vaccinazione impedisca la sola manifestazione della malattia o la sola trasmissione dell’infezione è ancora aperto. Ma per chi è ancora scettico, considerando la brevità della sperimentazione, l’Aifa sottolinea “la partecipazione di un numero assai elevato di persone” e che “non è stata saltata nessuna delle regolari fasi di verifica dell’efficacia e della sicurezza del vaccino”.

6) L’efficacia del vaccino, a detta di Aifa, è molto alta, “oltre il 90%”, e si è potuta testare grazie alle ricerche svolte in USA, Germania, Brasile, Argentina. Sudafrica e Turchia, partecipate da oltre 44 mila persone: una metà lo ha ricevuto, l’altra ha ottenuto un placebo, identico al vaccino ma non attivo.

7) Da uno studio con 36 mila partecipanti è scaturito che i casi sintomatici di Covid-19 si è ridotto del 95% in chi ha ottenuto il vaccino (8 casi su 18.198 avevano sintomi di Covid-19) rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo (165 su 18.325). Sono proprio le due dosi somministrate a distanza debita ad aver dato prova dell’impedimento al 95% dei partecipanti dello sviluppo della malattia.

8) L’efficacia si attiva una settimana dopo la seconda dose, mentre la durata della protezione è ancora ignota, sebbene le conoscenze sugli altri tipi di coronavirus indichino che “dovrebbe essere di almeno 9-12 mesi”.

9) Ignota è anche l’ipotesi di trasmissibilità dell’infezione da parte dei vaccinati; per questo gli viene richiesto di “continuare ad adottare le misure di protezione anti Covid-19”.

10) Pfizer sarà uno dei tanti vaccini anti-Covid di cui usufruirà l’Italia: il consiglio, ovviamente, è quello di continuare a somministrare lo stesso vaccino nella seconda dose.

11) Tra le reazioni avverse che si sono rivelate tutte dopo la seconda dose, quelle di entità lieve o moderata – risolte entro pochi giorni dalla vaccinazione – le più frequenti sono dolore e gonfiore nel sito dell’iniezione, stanchezza, mal di testa, dolore ai muscoli, brividi e febbre. E l’unica reazione severa riscontrata è stata l’ingrossamento delle ghiandole linfatiche. Comunque, una patologia benigna che si guarisce da sola.

12) Ogni reazione, secondo Aifa, andrà comunicata al medico di famiglia o all’Asl di appartenenza.

13) Le varianti del virus rilevate finora non avrebbero alterato l’assetto dello stesso virus. Quindi, “appare improbabile un effetto negativo sulla vaccinazione”, con un occhio alla variante inglese.

14) Per chi è già stato positivo, non è necessario un vaccino nella prima fase di campagna vaccinale, in cui verrà riservata la priorità al personale sanitario e a chi lavora e dimora nelle Rsa.

15) Le persone con una storia di gravi reazioni anafilattiche o di grave allergia dovranno, invece, consultarsi con il loro medico prima di sottoporsi alla vaccinazione.

16) La vaccinazione è aperta non solo alle donne in gravidanza o in fase di allattamento, ma anche ad altre persone ad alto rischio, come malati con documentate immunodeficienze o autoimmuni.

17) Chi è affetto da malattie croniche, diabete, tumori e malattie cardiovascolari avrà la priorità. Diverso sarà per chi è in trattamento con anticoagulanti, a cui toccherà una valutazione del proprio medico a seconda del caso.

18) Per chi ha già fatto l’antinfluenzale non dovrebbero esserci interferenze di rilievo con altri vaccini.

Contagi in calo e Rt in salita Virus “inglese” nelle Marche

I dati dell’epidemia italiana continuano il loro lieve calo ma per la seconda settimana il tasso di riproduzione del virus Rt risale, sia pure di poco. Il monitoragggio della cabina di Regia ministero della Salute/Istituto superiore di sanità lo colloca ora a 0,90, contro lo 0,86 di venerdì scorso e lo 0,82 di due settimane fa. Come sempre è calcolato solo sui sintomatici. Se continua così le riaperture del 7 gennaio salteranno. Cinque Regioni a rischio alto: preoccupa soprattutto il Veneto, dove i contagi aumentano da settimane e Rt è a 1,11; seguono Liguria, Marche, Puglia e Umbria mentre nel Lazio, a rischio alto una settimana fa, la situazione migliora. Anche in Molise Rt è sopra 1.

Tredici Regioni rimangono sopra la soglia di occupazione dei letti negli ospedali, per quanto i ricoveri s scendano: da 27.342 a 25.145 persone nelle aree mediche e da 3.003 a 2.731 nelle terapie intensive tra il 15 e il 21 dicembre. I morti hanno superato i 70 mila, cioè il doppio della prima ondata quando gli ospedali erano in condizioni peggiori. Ieri sono stati 553, negli ultimi 7 giorni la media è 551 contro i 685 dei sette giorni precedenti (-19,6%) mentre i contagi diminuiscono meno (5,9%).

L’allarme per la variante inglese sembra superato, diversi studi attestano la sua presenza in Italia da settembre ed è stata rintracciata in una famiglia di Loreto (Ancona): prima il marito, ieri la moglie e la figlia. Hanno sintomi non gravi, sono isolati a casa, ma soprattutto, a differenza della coppia su cui il nuovo ceppo Vui 202012/01 è stato isolato per la prima volta all’ospedale militare del Celio a Roma che proveniva dalla Gran Bretagna, non dichiarano alcun contatto con persone rientrate da lì. Questo fa dire al professor Giorgio Palù, virologo di fama e da poco presidente dell’Agenzia del farmaco (Aifa), che “bastava sequenziare di più per trovare per trovare il virus in questa variante”. È quello fanno all’ospedale Torrette di Ancona: “Effettuiamo le sequenze su tutti i test positivi processati” spiega il dottor Stefano Menzo, responsabile della Virologia. Altrove si fa solo a campione, anche allo Spallanzani di Roma e al Sacco di Milano. Così, come documentato dal Fatto, abbiamo solo 920 sequenze contro le 140 mila della Gran Bretagna. Dipende dagli scarsi finanziamenti alla ricerca.

Ma soprattutto, spiega Palù, la variante “non è più grave del virus originario”. Conferma il professor Andrea Crisanti, direttore della Microbiologia di Padova, nel Veneto dove i contagi aumentano e si ipotizza abbia a che fare con la variante inglese. Per ora non l’hanno trovata ma “se è vero che ha un R0 superiore di 0,6 a quello del ceppo più comune e che circola anche qui già da meso, probabilmente gli effetti in Italia si sarebbero già visti. Una variante che si riproduce più rapidamente è destinata a soppiantare l’altra”. E non è successo.

Si è detto che ha un tasso di riproduzione superiore del 70%: “L’aumento in Gran Bretagna c’è stato ma non sono sicura che la variante ne sia responsabile unica. Comunque è un virus a Rna, muta in continuazione”, osserva la professoressa Maria Rita Gismondo del Sacco. Anche il professor Giuseppe Ippolito dello Spallanzani ridimensiona l’allarme: “Non sono particolarmente preoccupato per la variante inglese”. Preoccupano invece i contagi che aumentano in gran parte dell’Europa. Giovanni Sebastiani, matematico del Cnr, analizzando i numeri vede un’ondata partita proprio dalla Germania.

Palle di Natale

La notizia che i primi vaccini Pfizer sono partiti dalla Germania per l’Italia in tempo per il Vaccine Day europeo del 27 ha colto di sorpresa soltanto chi aveva creduto ai catastrofisti tremendisti apocalittici che sbeffeggiavano Conte, Speranza e Di Maio, “rei” di annunciare i primi vaccini entro fine anno. Più o meno gli stessi che davano per scontato il fallimento dei Dpcm contro la seconda ondata e per certi gli aumenti esponenziali dei contagi, l’overbooking degli ospedali, la strage nelle carceri e naturalmente un bel lockdown bis di qui all’eternità.

Campa cavallo. “Coronavirus, Galli smentisce il ministro Speranza e frena sui tempi del vaccino: ‘Non prima della fine del 2021’” (Open, 6.8).

Ne aveva azzeccata una. “Trump: ‘Vaccino prima di fine 2020’. Ma Twitter gli blocca l’account per fake news” (Stampa, 6.8).

Senza Speranza. “Coronavirus, i virologi frenano Speranza: ‘Nessun vaccino entro fine anno’” (Stampa, 6.9).

Sempre incinta. “Vaccino entro l’anno: la madre di tutte le fake news” (Blitzquotidiano, 30.9).

Testa d’inkiesta. “Di Maio annuncia le vaccinazioni già nel 2021, ma è lo stesso che ha annunciato la fine della povertà” (Linkiesta, 12.10).

Lo scienziato. “Annunciare vaccino per fine anno… dichiarazioni paternalistiche, non previsioni scientifiche” (Nino Cartabellotta, Fondazione Gimbe, 21.10).

L’imbroglione. “L’annuncio di Conte sulle prime dosi di vaccino per dicembre è peggio che una bugia: è una pessima idea. Molti hanno percepito le parole del premier come un mezzo imbroglio. L’Italia ha bisogno di tutto fuorché d’un balletto di date e di una delusione finale” (Goffredo Buccini, Corriere della sera, 26.10).

In buone mani. “Conte parla di vaccino ‘entro Natale’, ma è ‘improbabile’: parla il capo dell’agenzia del farmaco Ue” (Riformista, 28.10).

Il bugiardino. “Giuseppi smentito sul vaccino: ‘Impossibile che ci sia a Natale’. Il premier sbugiardato da Ema e Aifa: ‘Forse i primi arrivi nel 2021’. E von der Leyen: ‘In Ue ad aprile’” (Giornale, 29.10).

Il bimbominkia. “Burioni contro Conte sui vaccini: ‘Gli italiani non sono bimbi di cinque anni che credono a Babbo Natale’. Le prime dosi di vaccino entro dicembre? Per Conte è quasi una certezza, ma Burioni frena gli entusiasmi e attacca il premier” (Giornale, 31.10).

Il peracottaro. “Che figura da peracottaro per Conte: il direttore dell’Agenzia europea del farmaco smentisce che il vaccino arrivi a Natale” (Dagospia, 28.10).

Imperdonabile. “In attesa di un vaccino che non arriverà a dicembre (imperdonabile l’errore di Conte di continuare a promettere l’impossibile)…” (Carlo Verdelli, Corriere della sera, 30.10)

Occhio di Lincei. “È tardi per evitare il lockdown. Lo dicono i dati e gli scienziati. Gli accademici dei Lincei contro il governo” (Domani, 24.10).

Tutti morti. “Il rischio tra 20 giorni: curva esponenziale, 990 mila positivi, ricoveri oltre 60mila, terapie intensive a 5700” (Sole 24 ore, 27.10).

Mettiamoci CdB. “Questo governo non può continuare a gestire il virus. Situazione fuori controllo” (Domani, 27.10).

Er pejo. “La curva dei contagi in Italia è la peggiore d’Europa” (Domani, 28.10).

La data. “Lockdown, spunta la data: chiusure dal 9 novembre” (Giornale, 30.10).

Non dire quattro. “Verso lo scenario quattro, lockdown più vicino” (Sole 24 ore, 30.10).

Mo’ me lo segno. “Verso il lockdown” (Giornale, 31.10).

Buttano la chiave. “Le previsioni del governo: ‘Non ci riapriranno più’” (Libero, 8.11).

Nostradamus. “Il lockdown totale è il nostro destino. E allora prima lo facciamo meglio è” (Massimo Giannini, Stampa, 1.11).

È fatta. “’Il lockdown è già previsto’. Così Franceschini e Speranza hanno imposto la linea dura” (Repubblica, 1.11).

Anonima Ministri. “Vogliono rinchiudere vecchi nell’armadio. Vietato uscire se hai 70 anni” (Libero). “Anziani sequestrati” (Giornale, 2.11).

Total black. “Lockdown totale, Walter Ricciardi accusa: ‘Non ci hanno ascoltato, ora dobbiamo chiudere tutto’” (Tempo, 9.11). “Chiuderanno tutto anche se la curva cala: vogliono imporre il lockdown totale” (Verità, 11.11).

Lo sa lei. “Nessuno osa dirlo, ma ormai si va verso la zona rossa per tutta l’Italia” (Daniela Preziosi, Domani, 11.11).

Chiudete! Aprite! “Le chiusure sono ancora una volta tardive e insufficienti” (Luca Ricolfi, Messaggero, 27.10). “Un governo di struzzi e incapaci ci terrorizza per farsi obbedire. L’unica cosa in cui sono maestri è rinchiuderci” (Ricolfi, Verità, 11.11).

Vogliamo gli inesperti. “Gli esperti lanciano l’allarme: ‘Subito lockdown totale’” (Giornale, 13.11).

Ci salva lui. “Come salvare l’economia con un blocco totale per 45 giorni” (Paolo Cirino Pomicino, Foglio, 13.11).

Tic tac. “L’allarme dell’Ordine dei medici: ‘Ospedali, 15 giorni al collasso’” (Messaggero, 17.11).

Uber alles. “Bisognava evitare la seconda ondata. In Ue si salva solo la Germania” (Alessandro Vespignani, Stampa, 5.12). Le ultime parole famose prima del lockdown. Tedesco.

“Sono arrivato in A, ma senza spettatori si gode la metà”

Matteo Ricci ha 26 anni. Non ha le spalle strette, non indossa la maglia numero sette (De Gregori dixit), ma la 8. Però è un centrocampista dello Spezia, formazione neo promossa in Serie A, e anche Matteo, in qualche modo, è un neopromosso: dopo le giovanili nella Roma, ecco la Serie C, la B, fino al sogno di scendere in campo tra i big, e a San Siro. Peccato che non c’era nessuno sugli spalti…

Bella fregatura.

(Ride, a lungo) È la verità, ed è il mio primo anno, come per lo Spezia; (ci pensa) uno dentro di sé si incita, “dai, dai, è arrivato il momento, ci godiamo tutte le sensazioni”, e invece il godimento è a metà.

San Siro vuoto…

Eh già, ci abbiamo giocato due volte, speriamo di tornarci in futuro. Che peccato.

San Siro ha l’eco.

Da una parte mi consolo: “Dai, il primo anno così, è più facile come assestamento”.

Però.

Dall’altra parte mi scappano le parolacce; (cambia tono) gli stessi nostri tifosi avevano la curiosità di seguirci in Serie A, e pure io ero curioso di vivere quel clima.

E invece.

Stadi vuoti, sentiamo tanto gli allenatori.

Anche troppo.

Il nostro mister ha molta grinta, urla sempre.

Voi più attenti a insultare l’arbitro. Vi becca.

(Ride) E quando ci sono i contatti?

Cioè?

L’“ohhhhh” di dolore dopo un fallo sembra qualcosa di enorme; comunque uno ascolta pure gli avversari.

Vi spiate.

Scappa di sentirli mentre si danno indicazioni sulle azioni.

E se bluffano?

Come capita che urlano “uomo”, come se ci fosse qualcuno in marcatura alle tue spalle, quando non c’è nessuno.

Lei ha esperienza, nonostante i soli 26 anni.

Ho giocato in ogni categoria.

Il tifoso cambia?

Più o meno è uguale, magari cambia l’approccio: in alcune piazze hanno più la puzza sotto il naso e pretendono di veder giocare bene la squadra, in altre preferiscono la battaglia.

Senza pubblico l’adrenalina cala.

Si sta più tranquilli, è bene per i giocatori con il carattere non formato, quelli che si spaventano dei fischi del pubblico.

Ronaldo da vicino.

È una statua di ghiaccio, una macchina, tocca la palla con una qualità incredibile: è entrato sull’1-1 e subito doppietta.

Lukaku.

Bello grosso, ma noi abbiamo Galabinov e siamo abituati; (sorride) il nostro allenatore, quando deve fare paragoni su un attaccante, ci parla sempre di Lukaku; eravamo preparati come se lo conoscessimo.

I suoi miti da ragazzino.

Sono cresciuto con la Roma, papà mi portava in curva con mio fratello, quindi Totti e De Rossi; (sorride) con loro mi sono allenato, e quando ho incontrato Francesco l’estate scorsa, mi ha pure salutato.

Torniamo al sogno.

Totti?

No, la Serie A.

Ho passato dei momenti della carriera avvolto da dubbi, mi domandavo se ci sarei riuscito; poi ecco l’anno giusto.

Con chi ne parlava o parla?

Con mio fratello (gemello, e calciatore del Sassuolo), ma soprattutto devi confrontarti con te stesso; in questi ultimi anni, qui a La Spezia, ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste, serie.

Spesso i calciatori rispondono alle domande in maniera standard.

È il gergo calcistico, poi quando uno non sa cosa dire, si rifugia in quelle tre, quattro frasi classiche; però capita anche agli allenatori e ai commentatori.

Una delle vostre standard: “Un giocatore deve sempre farsi trovare pronto”.

Un classico! (ci pensa) E perché uno non dovrebbe farsi trovare pronto?

Boskov sosteneva: rigore è quando arbitro fischia.

Aggiungiamo: sennò c’è il Var.

Maradona e Rossi.

Non li ho vissuti, ma quando sogni di diventare un calciatore ti informi, e sono cresciuto con le cassette di Van Basten, Pelé, lo stesso Maradona; quando è morto Maradona stavamo per entrare in campo e siamo rimasti di sasso.

Su Wikipedia è il secondo Matteo Ricci.

Lo so, prima c’è un gesuita che ha scoperto il Giappone.

Va superato.

Eh, ma scoprire il Giappone non è roba da poco.

Nonostante la pandemia, con le donne regge il fascino del calciatore?

(Sornione) Assolutamente.

Un augurio calcistico per il 2021.

Stadi pieni, lo Spezia salvo…

E un gol?

Questa sera nel derby contro il Genoa e uno alla Lazio.

Così semplice, così speciale la vita quotidiana per Miglio

Tra i cantautori che si sono fatti conoscere in questi ultimi mesi, nonostante la pandemia, sfruttando unicamente la vetrina chiamata social network, ce ne sono alcuni che hanno più d’una caratteristica in comune: non solo le influenze e ispirazioni variegate, ma sembrano anche parlare linguaggi simili, sia a livello di testi sia di sound. Tra questi c’è la bresciana Miglio, nome d’arte di Alessia Zappamiglio, cantautrice dalla voce legnosa, ora profonda e ruvida, ora dolce e melodiosa, che è capace di stupire con “difetti speciali” e di mettersi a nudo con schiettezza disarmante, raccontando con tenerezza, senza filtri, i disagi e le speranze del suo tempo. Le sue canzoni – per ora ascoltabili sulle varie piattaforme come Spotify –, hanno nel suono e nell’attitudine la naturalezza di un demo registrato tra le mura della propria cameretta (da ascoltare Bagno Paradiso, Uomini elettronici e Pianura Padana), ma che brillano di una bellezza spontanea, la cui intima complessità si dipana con la limpidezza delle cose semplici. E i brani di Miglio, così come quelli di Calcutta, a cui sembra ispirarsi, almeno nello stile e nel modo di presentarsi, sono semplici, istantanee, in una parola Pop, con quel suono elettronico, tutto tastierine e sintetizzatori, dalle atmosfere lo-fi.

I suoi testi, invece, raccontano della quotidianità, della libertà di vivere i propri sentimenti, dell’amore libero, fluido, ai tempi dei social network. Il suo ultimo brano è Erasmusplus, un inno generazionale, “una finestra su un nuovo modo di vivere i rapporti, nato davanti alle barriere virtuali ed emotive in cui ci ritroviamo”. Questo, come gli altri pezzi già pubblicati e quelli a cui Miglio attualmente sta lavorando, saranno raccolti in un album che vedrà la luce nel 2021.

Quell’Italia che resiste in versi. Nascono nuove case editrici

Come sempre, lì in Svezia c’hanno visto molto lungo. Più di qualcuno da noi quest’anno, all’annuncio del Premio Nobel per la letteratura, si è reincarnato in Don Abbondio e, al sentir pronunciare il nome di Louise Glük, si è chiesto: “Chi è questa carneade?”. E quando, googlandone il nome, si è scoperto essere una poetessa, l’interesse e la fascinazione verso la novità sono svaniti. Eh già: la vulgata è inamovibile: “La poesia in Italia non interessa e non vende!”. Ma sarà poi così vero? Non eravamo un popolo di santi, poeti e navigatori?

Un primo dubbio a scalfire tale apodittico lo suggerisce il buon senso. Se non vi fossero lettori interessati, perché gli editori continuerebbero a pubblicarla? Per il suo valore etico, certo, ma a fine anno esso non paga (gli editori sono anche imprenditori) gli stipendi a: redattori, editor, traduttori, magazzinieri, promotori. “Io pubblico poesia da cinquant’anni – ci racconta Nicola Crocetti, storico editore da cui sono passati i più importanti poeti italiani e internazionali (sia dall’ omonima casa editrice sia dalla rivista Poesia) – e che la poesia non venda è una menzogna. Direi semmai che è vero il contrario: la poesia ha un lettorato che è fedele e costante, sebbene ristretto. Tanto che negli ultimi anni stanno aumentando i piccoli editori che pubblicano poeti e lo fanno benissimo, anche perché i grandi editori, tranne qualcuno, hanno smesso”. Ma volendo tradurre il tutto in numeri? Mauro Bersani, direttore della storica collana “la Bianca” di Einaudi, conferma la fedeltà dei lettori: “I libri di poesia vendono nel tempo, poco alla volta ma costantemente. Cento poesie per Ladyhawke di Michele Mari, per esempio, che quest’anno ha venduto 4.000 copie, è un long-seller giunto a 43.000 esemplari totali. In più, da qualche anno, la poesia fa numeri importanti anche nel primo anno d’uscita”. Se prendiamo il 2020, le migliori uscite della Bianca sono Vita Meravigliosa di Patrizia Cavalli con 6.000 di venduto, La domanda della sete di Chandra Livia Candiani con ben 5.500 e Quando non morivo di Mariangela Gualtieri con 4.000. Anche in casa Ponte alle Grazie – che, tra gli altri, quest’anno ha pubblicato Breve scene di lupi, le poesie di Margaret Atwood – sono contenti che le uscite di poesia, seppur poche, sono andate quasi tutte in ristampa. Facile, si dirà, che un grande marchio abbia la forza di spingere la poesia. Tuttavia, anche gli editori indipendenti procedono. Al Saggiatore, in solo una settimana dall’uscita ai primi di dicembre, le due sillogi di Louise Glük (Averno e L’iris selvatico) hanno venduto 2.000 copie. Andrea Gentile, direttore editoriale, è soddisfatto: “Il progetto disegnato su questa autrice è di lunghissima durata; 15 titoli spalmati negli anni, un dialogo fitto con i lettori, che costituiscono una sacca di resistenza, non troppo ristretta come si potrebbe immaginare. Dopo la nascita di una collana di classici che esordirà nel 2021, proprio per questi lettori abbiamo immaginato, dal 2022, di aprirci alla poesia contemporanea”. Anche un editore più piccolo come Perrone – che punta su autori meno noti – riesce a imporre i suoi titoli. A soli due mesi dall’uscita, l’esordio di Viola Lo Moro, Cuore allegro, si attesta sulle 1.500 copie. Antonio Sunseri, responsabile commerciale, è certo: “La poesia ha grande vitalità. Lo dimostrano anche i numeri che fa un piccolo editore come noi”. Un ruolo importante in questa vitalità lo hanno certamente le librerie che “concedono” ai libri di poesia una vita più lunga a scaffale, senza la spada di Damocle dei resi di invenduto all’editore.

Alessandro Alessandroni della libreria romana Altroquando ci spiega che: “Quest’anno la poesia ha venduto di più rispetto al passato. Una realtà indie come la nostra, e molte altre, che fa una selezione di catalogo ha un forte peso per la proposta che scegliamo di dare ai nostri lettori, che per natura sono affezionati”. E che i lettori facciano la differenza lo testimonia anche l’editore nottetempo, che ha reso cartacea la collana di poesia prima solo digitale su richiesta proprio dei lettori. Ma è un caso che si sia venduta più poesia in un anno così difficile? Per Alessandroni, è dipeso in parte dalla pandemia. “Come se si cercasse in essa una spinta di salvezza, una specie di cura nella sua freschezza”. Concorda anche Bersani di Einaudi: “Il lockdown ha rinforzato la tendenza degli ultimi anni verso la poesia, oltre che confermare un incremento della lettura dei classici. Di tutti quei libri di cui uno ha sempre detto ‘prima o poi li leggo’”. Dunque quest’anno – e in qualche modo lì in Svezia lo sapevano – avremmo avuto maggiore bisogno di poesia per curarci l’anima svigorita dalla paura? Crocetti, con esperienza, è netto: “Non quest’anno! Di poesia abbiamo bisogno sempre”.

Brexit, Macron fa pressione sul deal

Londra

Le ultime sul negoziato per l’accordo commerciale post Brexit fra Unione europea e Regno Unito: lunedì il primo ministro britannico Boris Johnson e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Layen si sono parlati due volte al telefono per tentare di sbloccare l’impasse sulle quote di pesca nella Manica, attualmente ripartite fra i pescherecci britannici e le flotte di Irlanda, Francia, Danimarca, Spagna, Germania, Paesi Bassi. Londra avrebbe proposto alla Ue di rinunciare al 35% delle sue quote in acque britanniche, comprese le specie di pesce più pregiate, o al 60% se queste sono incluse. Ieri pomeriggio però è arrivato il rifiuto: la Ue non vuole cedere più del 25%. Questa disputa, dal valore economico di pochi milioni di euro, rischia di far saltare un interscambio complessivo di quasi 700 miliardi. E, in caso di no deal, mentre i pescherecci europei sarebbero tagliati completamente fuori, quelli britannici dovrebbero comunque pagare tariffe alte o trovarsi altri mercati per vendere il pesce in più. Altro ostacolo collegato al primo: se una delle parti decidesse in seguito di ampliare la propria quota, come farebbe l’altra a rivalersi? I negoziatori sembrerebbero convergere sull’idea di un arbitro terzo per dirimere eventuali contenziosi, ma Bruxelles vuole potersi rifare su settori commerciali diversi dalla pesca, Londra lo trova inaccettabile. A complicare le trattative in una fase che il capo negoziatore europeo Barnier ha definito “cruciale” c’è l’inasprirsi dei rapporti fra Londra e Parigi dopo che la Francia ha chiuso le frontiere alla notizia della diffusione della mutazione inglese del Covid: centinaia i camionisti imbestialiti bloccati a Dover con carichi deperibili, mentre i supermercati britannici sono stati svuotati per il timore che manchino scorte sotto Natale. Un anticipo di quello che aspetta il Paese il 1° gennaio? Di certo la mossa francese ha colto di sorpresa Downing Street, e certa stampa inglese accusa il presidente Macron di aver approfittato del virus per fare pressione sul negoziato.

Putin accerchiato impone sanzioni e arresta tutti

Veleni e diagnosi, servizi segreti e nuove sanzioni russe, mutande e manette. Poi Freud: tutti questi elementi fanno parte dell’interminabile saga che riguarda l’oppositore russo Aleksey Navalny, ribattezzato ormai “il paziente berlinese” nelle conferenze stampa ufficiali del Cremlino. Il blogger “soffre di manie di grandezza e di persecuzione, si possono leggere chiaramente i sintomi di megalomania: si è paragonato a Gesù”.

A diagnosticare sindromi psichiatriche è stato ieri il portavoce del presidente Putin, Dimitry Peskov, dopo che l’ultimo video del dissidente è stato visualizzato da 13 milioni di persone in poco più di 24 ore e commentato da tutte le prime pagine della stampa internazionale. Per Mosca la nuova prova del suo avvelenamento è solo “una provocazione pianificata, un’operazione di intelligence straniera”. L’antefatto. Due giorni fa il blogger, fingendosi un fedele di Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza russo, ha raggiunto al telefono – dopo una lunga indagine compiuta dai reporter del sito Bellingcat –, il presunto specialista di armi chimiche dell’Fsb, servizi segreti russi, responsabile del suo tentato omicidio. L’agente Konstantin Kudryavtsev, caduto nel tranello telefonico mentre le telecamere riprendevano, ha inizialmente confuso Tomsk e Omsk, le due città siberiane teatro dell’attentato: nella prima a Navalny è stato somministrato il novichok lo scorso agosto, nella seconda l’aereo sul quale volava ha compiuto l’atterraggio d’emergenza per permettergli di raggiungere l’ospedale. Poi Kudryavtsev ha confermato: l’agente nervino di fabbricazione sovietica sarebbe stato infilato nella biancheria intima del blogger. Solo una settimana fa, alla maratona di fine anno in diretta, il presidente Putin ha dichiarato che “attraverso chiari obiettivi, e non trucchetti, si ottiene rispetto e riconoscimento dalla gente”, ribadendo che se fossero stati davvero gli uomini della sua intelligence ad avvelenare Navalny, “il lavoro sarebbe stato portato a termine”. Dopo aver parlato “della fissazione freudiana” di Navalny, Peskov si è rivolto all’Europa che ha appoggiato la sua versione dei fatti e lo ha sostenuto: misure restrittive e divieto d’ingresso sono stati emessi contro personalità Ue, diplomatici di Germania, Francia e Svezia, nazioni che hanno confermato la teoria dell’avvelenamento, “responsabili di promozioni e iniziative sanzionatorie anti-russe”. Rinnovate anche le sanzioni in arrivo dalla Casa Bianca per piegare le già fragili relazioni tra Mosca e Washington: è uno degli ultimi passi compiuti dall’Amministrazione Trump prima di chiudere definitivamente la porta dello Studio ovale, che presto sarà occupato da Biden, un nuovo “calcio che ci allontana di più dalla normalizzazione dei rapporti”, ha detto Peskov. Invece Ljubov Sobol, braccio destro del blogger e avvocato del Fbk (il Fondo per la lotta alla corruzione) è stata arrestata dalla polizia nei pressi dell’abitazione dell’agente Kudryavtsev, che ha avvisato le divise quando l’attivista ha bussato alla sua porta. Dopo una notte in prigione, Sobol è stata rilasciata, ma è stato poi ammanettato ieri un famoso regista, autore di un documentario sull’ascesa al potere di Putin. L’opposizione russa è diventata una questione intima. Vitaly Mansky è stato fermato nei pressi Ljubanka, sede dei servizi segreti, mentre sventolava sotto le grigie nuvole di Mosca il nuovo simbolo del dissenso russo: un paio di mutande blu.

Fondi pubblici e cene: tremano l’ex premier Abe e il delfino Suga

I guai di Shinzo Abe potrebbero offuscare la sua eredità e indebolire il governo del successore Yoshihide Suga. L’ex premier giapponese, ritiratosi ad agosto ufficialmente per problemi di salute, infatti è stato interrogato sulla presunta violazione della legge sui fondi pubblici, relativa al finanziamento di una serie di eventi organizzati per i suoi sostenitori quando era a capo del governo. Shinzo Abe si è presentato volontariamente davanti ai magistrati negando ogni responsabilità. Le indagini al contrario si concentrano sulle cene organizzate annualmente dal suo ufficio dal 2013 al 2019 in diversi alberghi di lusso della Capitale, in concomitanza con la festa della fioritura dei ciliegi. Nelle scorse settimane gli inquirenti hanno sentito anche diversi collaboratori di Abe per tentare di far luce sull’ammanco di circa 8 milioni di yen, pari a 63 milioni di euro, coperto con i soldi pubblici. A raccontare ai giudici che l’ammanco sarebbe stato subito colmato dal gruppo organizzatore della festa che si tiene a Tokyo ogni anno dal 1952, è stato il segretario di Abe. Così lo scandalo rischia di offuscare l’eredità del premier e potrebbe indebolire Suga, suo successore e portavoce di Abe per quasi otto anni, colui che l’ha difeso pubblicamente quando sono venute fuori le prime accuse lo scorso anno. La pressione su Abe sta aumentando, i parlamentari dell’opposizione gli hanno chiesto di spiegare da dove provenissero i soldi per le cene e perché avesse precedentemente negato che i pagamenti fossero stati effettuati per aiutare a coprire i costi delle feste. Abe, dal canto suo, si è detto disposto ad affrontare le accuse in Parlamento, richiesta questa proveniente dai sostenitori del suo stesso partito. Secondo un sondaggio dell’agenzia di stampa Kyodo, il 53% degli elettori del Partito liberal democratico è d’accordo con la testimonianza di Abe, contro il 43% che ha ritenuto che non fosse necessario che riferisse sui fondi pubblici. Fatto sta che l’indagine è arrivata in un momento già difficile per il premier Suga, che a settembre prossimo affronterà la corsa per la presidenza del Pld e a ottobre le elezioni della Camera bassa. Le quotazioni di Suga oltretutto sono già precipitate per la gestione della pandemia di Covid-19. Il sostegno al suo esecutivo è sceso al 39% dal 56% del mese precedente, secondo un sondaggio della scorsa settimana. Suga si è anche attirato le critiche degli elettori per aver partecipato ad alcune cene di recente, dopo aver invitato la popolazione a non riunirsi in più di quattro persone per evitare i contagi.