Autostrade, l’inchiesta punta ai piani alti

In meno di due anni l’inchiesta nata dal crollo del Ponte Morandi ha ricostruito quello che per gli inquirenti era un vero e proprio sistema di gestione di tutta la rete infrastrutturale. Lo schema è sempre lo stesso, che si parli di viadotti, gallerie o barriere antirumore: rapporti sulla sicurezza falsificati, manutenzione rinviata, con l’obiettivo di risparmiare e far guadagnare il più possibile gli azionisti. A descrivere la china presa dal gruppo è Gianni Mion, uomo di fiducia dei Benetton, e a lungo amministratore di Edizione, holding con cui la famiglia controllava Atlantia (e a cascata Aspi): “Il vero grande problema è che le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno fàcevamo. Così distribuivamo più utili. E Gilberto e tutta la famiglia erano contenti…”. Non è un caso che a seguito delle nuove rivelazioni, a metà novembre, i Benetton abbiano sostituito Mion con Enrico Laghi, uomo con passato da commissario governativo in molte aziende e rapporti ministeriali di alto livello, ritenuto più adatto a gestire questa fase della trattativa sulla vendita di Autostrade. Un ulteriore cambiamento dopo l’avvicendamento dell’ex amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, finito agli arresti domiciliari, con Roberto Tomasi.

Adesso, dopo che gli investigatori sono arrivati fino a Castellucci, le inchieste sul gruppo potrebbero fare un ulteriore salto di qualità. Nelle intercettazioni raccolte dalla Guardia di Finanza sono presenti altissimi dirigenti, alcuni dei quali in posizione chiave anche in Atlantia, la holding che controlla Aspi. E a cui spetta, ogni anno, la redazione del documento di rischio societario: un rapporto che quantifica i vari problemi (legali, economici, di immagine) che potrebbe dover affrontare il gruppo. Un rapporto singolare, secondo chi indaga, perché di migliaia di viadotti gestiti, ne citava uno solo: il Morandi. E per un’ipotesi non rassicurante: il “rischio crollo”, eventualità gravissima, valutata però a “livello basso” in termini di probabilità. C’è però un secondo passaggio significativo nell’evoluzione di quel documento. Nei due anni precedenti la tragedia di Genova, il rischio “crollo” viene derubricato a “perdita di stabilità strutturale”. Questione di sfumature? Chi cambiò quella classificazione e Perchè? Si chiedono oggi gli inquirenti. Non sono gli unici interrogativi senza risposta. Quel documento, si scopre oggi, si basava su ispezioni straordinarie sulle pile che negli anni si erano diradate, fino quasi a scomparire. E anche questo potrebbe avere un ruolo nella vicenda, soprattutto dopo l’esito della perizia sulle cause del crollo.

Per fare un po’ d’ordine, e capire come nascono le indagini aperte su Aspi, bisogna ritornare al 14 agosto del 2018. Il Ponte Morandi crolla su se stesso e si porta con sé 43 vite. I magistrati di Genova, coordinati dal procuratore capo Franco Cozzi, aprono un’inchiesta per disastro, che affidano ai finanzieri del Primo gruppo, diretti dal colonnello Ivan Bixio, e del Nucleo metropolitano, diretti dal tenente colonnello Giampaolo Lo Turco. In meno di un mese vengono indagati per disastro e omicidio colposo plurimo una ventina di dirigenti e tecnici di Aspi e Spea – la controllata che aveva il compito di effettuare i monitoraggi sulle infrastrutture – tra cui Castellucci, nel frattempo “promosso” alla guida di Atlantia. I pm concentrano subito l’attenzione sulla scarsa manutenzione: secondo un’indagine del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, durante la gestione pubblica il Ponte Morandi è costato 1,2 milioni di euro l’anno in manutenzione; durante quella privata, in media 24 mila euro. I primi avvisi di garanzia raggiungono anche i dirigenti del Mit che hanno avuto tra le mani il progetto di “retrofitting” del viadotto, una ristrutturazione che doveva partire nel settembre del 2018.

In poco tempo, però, le indagini prendono un’altra piega. Durante una perquisizione i finanzieri trovano un vero e proprio archivio audio, registrato da un dirigente di Spea, Marco Vezil. Registra ogni incontro con Aspi, soprattutto alla presenza dell’ex capo delle manutenzioni, Michele Donferri Mitelli. Donferri impone l’abbassamento “della valutazione dei viadotti”, ovvero veniva aggiustata in modo che la situazione sembrasse meno grave. “Devo spendere il meno possibile – dice Donferri – sono entrati i tedeschi. A te non te ne frega un cazzo sono entrati cinesi. Devo ridurre al massimo i costi”. Proprio in quel periodo Aspi stava aprendo la porta ai soci stranieri e quegli audio, precedenti al disastro dell’estate del 2018, per i pm mettono in relazione la scarsa manutenzione e gli obiettivi di risparmio.

Un fascicolo bis viene aperto sulla falsificazione dei report sui viadotti di mezza Italia. A settembre del 2019 arrivano i primi avvisi di garanzia per i falsi dossier, e soprattutto le prime contestazioni dolose. L’ufficio legale di Spea viene anche scoperto mentre “bonifica” gli uffici alla ricerca di cimici della Finanza. Castellucci, indagato, viene costretto alle dimissioni. Donferri viene cacciato. E con lui Paolo Berti, suo superiore, che due giorni dopo il crollo del Morandi cancellò una chat con Donferri. “I cavi sono corrosi”, scrive quest’ultimo. “Sticazzi, io me ne vado”; replica Berti. La perizia del tribunale sulle cause del crollo, depositata due giorni fa durante l’incidente probatorio, fornisce ora basi scientifiche a quello scambio: il viadotto ha ceduto per la corrosione dei cavi in metallo; “non ci sono altre cause del crollo che non siano imputabili a scarsa manutenzione o controlli”.

Ci sono infine due fascicoli. Uno ipotizza lo stesso sistema di falsificazioni applicato alle gallerie e nasce dopo il cedimento della galleria Berté, sulla A26, il 31 dicembre del 2019. L’altro è quello che porta all’arresto di Castellucci e riguarda le barriere antirumore difettose, il cui vizio viene dolosamente nascosto al ministero. Nelle parole del gip Angela Nutini, “dalle indagini è emerso un quadro desolante, in cui è emersa l’insicurezza della rete

autostradale, di viadotti, gallerie e barriere”. Una gestione che per anni ha reso molto bene: “Emerge l’elevata redditività di Aspi e la conseguente distribuzione di ingenti dividendi tra gli azionisti, derivata in parte da tale spregiudicata linea imprenditoriale improntata alla sistematica riduzione delle manutenzioni”.

La guerra dentro Transparency: soldi e incarichi, si dimettono vertici

Se chi vive in una casa di vetro non dovrebbe tirare pietre contro quelle altrui, immaginiamoci a casa propria. La sassaiola scoppiata in Transparency International Italia (Ti-It) ha danneggiato la filiale nazionale di una tra le maggiori Ong mondiali che si occupano di anticorruzione e trasparenza in politica, nelle istituzioni e nelle imprese. Ma tra i soci di Ti-Italia infuria uno scontro violentissimo per il rinnovo delle cariche e per i (pochi) soldi che ha portato a una spaccatura profonda.

Ti-Italia ha contatti con il governo, i ministeri, l’Autorità nazionale anticorruzione, enti pubblici e istituzioni e decine tra le maggiori aziende italiane, con partnership per il whistleblowing, del quale ha promosso la legge italiana e della direttiva Ue, l’anticorruzione e la formazione. L’associazione offre il servizio di allerta anticorruzione Alac e Whistleblowing Pa. Inoltre gestisce il servizio Foia for Journalists che supporta i giornalisti nella ricerca di informazioni che non riuscivano a ottenere dalle istituzioni. Il tutto con ricavi di 700mila euro l’anno, dei quali appena 250mila per pagare sei dipendenti a tempo indeterminato e tre part time.

Le poltrone sono state la miccia che ha infuocato le assemblee del 15 luglio, 15 ottobre e 18 dicembre. Il presidente uscente, l’imprenditore Virginio Carnevali, a luglio aveva chiesto ai probiviri di interpretare lo statuto per verificare la possibilità di candidarsi per un terzo mandato triennale. A ottobre i probiviri hanno rimesso la decisione all’assemblea ma i soci non hanno deciso. Dopo un acceso dibattito, il 15 ottobre il 41enne direttore Davide Del Monte, che ha guidato l’associazione per 12 anni, si è dimesso. Del Monte dal prossimo anno si occuperà di Infonodes, un’associazione di supporto al giornalismo d’inchiesta. Alla fine le assise sono state aggiornate al 18 dicembre. Ma il 17 dicembre il presidente Carnevali si è dimesso con una lettera durissima ai soci. Carnevali ha scritto: “In questi ultimi sei mesi sono stato attaccato con una violenza e un livore mai visti in 25 anni. Mi sono pervenute voci di varie irregolarità per influenzare il corretto svolgimento” dell’assemblea. “Ho solo due alternative: fare finta di non sapere o dimettermi. La scelta non può che essere quest’ultima. Sulla mia decisione ha influito la delibera presa ieri (16 dicembre, ndr) dal Comitato esecutivo che ha ritenuto, dopo rifiuti e ricorsi, di riconoscere soci ordinari alcuni che a mio giudizio non ne avevano i requisiti”.

Il 16 dicembre 5 soci sono stati promossi da sostenitori a ordinari con diritto di voto. “Per pacificare gli animi, fedele all’impegno preso, io solo non mi sono ricandidato ma non è bastato”, ha concluso Carnevali. Il 18 dicembre l’assemblea, partecipata da 54 soci, ha eletto la nuova presidenza. L’avvocato Iole Anna Savini, esperta di diritto penale societario, membro dell’Associazione degli organismi di vigilanza 231 con incarichi negli Odv di Banco Bpm, Maire Tecnimont, Brioschi Sviluppo Immobiliare e Anas International Enterprise (gruppo Fs), ha prevalso per tre voti su Nicoletta Parisi, docente universitaria di diritto a Catania e Milano ed ex consigliere dell’Anac.

Nei mesi scorsi lo scontro aveva riguardato anche i (pochi) soldi a disposizione. All’assemblea di ottobre sono stati resi noti i compensi percepiti da tre soci che, per attività legate ai progetti gestiti dall’associazione con istituzioni e imprese come Siemens, dal 2014 al 2019 hanno incassato uno 87mila, un altro 82mila e un terzo 9mila euro. Parisi aveva chiesto “trasparenza e assenza di conflitti d’interesse” e “l’elenco completo delle persone che hanno percepito compensi”. La richiesta non ha giovato alla sua candidatura.

Ma in ballo c’è molto di più: dal primo dicembre è iniziato l’anno di presidenza italiana del G20 che culminerà nel vertice dei Capi di Stato e di governo del 30 e 31 ottobre 2021. Al summit faranno da cornice incontri come quello di “Civil Society 20”, l’organizzazione delle associazioni della società civile. La presidenza di Transparency International offrirà un’eccezionale visibilità e l’opportunità di stringere contatti a livello globale.

“Centemero, i commercialisti e la Lega: unico pool di affari”

Un nuovo studio di commercialisti a Milano, vicino al palazzo della Regione, dove trattare affari importanti. È l’ottobre del 2016 quando Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i due professionisti della Lega indagati nell’inchiesta sui presunti fondi neri del partito, ne parlano con il tesoriere del Carroccio, Giulio Centemero. Sì, perché il progetto doveva coinvolgere pure lui. Questo è uno dei passaggi dell’ultimo interrogatorio del commercialista Michele Scillieri, anche lui indagato dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Stefano Civardi. Scillieri doveva far parte del nuovo progetto che non andò in porto a causa del suo rifiuto e perché in quel periodo aveva aperto un altro ufficio dove poi la Lega eleggerà il suo primo domicilio. Il nuovo studio, spiega Scillieri, doveva trattare affari di grande rilievo lontano dalla sede della Lega in via Bellerio. Affari che avrebbero portato un avvocato vicino a Manzoni.

La notizia prima di essere confermata da Scillieri emerge dagli atti che la Procura di Milano ha ricevuto dai colleghi di Genova alla caccia dei 49 milioni spariti dalle casse del partito. In quei documenti vi è l’indizio del legame d’affari tra Centemero e i commercialisti. Oltre a questo, vi sono conversazioni legate al rischio di sequestro e di come schermare il denaro della Lega. Conversazioni simili a quelle trascritte in una indagine del 2013. Il legame d’affari tra Centemero e i commercialisti era già emerso in una segnalazione di Banca d’Italia sulla società Mdr (2018) tra i cui soci, oltre a Di Rubba e Manzoni, compaiono il tesoriere della Lega e il senatore Stefano Borghesi. Le quote di Centemero saranno pagate da Manzoni. Il progetto dello studio milanese si colloca in un periodo già molto caldo. Il 4 dicembre 2016 inizierà l’operazione per la vendita di un capannone alla Lombardia Film Commission (Lfc). Il “bottino” della vendita, pianificato dal 2016, scrive la Procura, sarà spartito “come usualmente avviene in ogni banda”. Il passaggio sta nei motivi del Riesame che ha respinto la richiesta di scarcerazione dell’imprenditore Francesco Barachetti. Dalle 40 pagine del documento emerge una novità: nel 2018 Di Rubba, Barachetti e Scillieri si incontrano alla Cpz di Marzio Carrara per decidere come saldare “le pretese” di Barachetti (oltre a quelle per Lfc). Negli uffici di Carrara, scrive il giudice, si pianifica di dare a Barachetti alcuni terreni destinati a Scillieri. Di Rubba gli “prospetta altre commesse da Carrara e dalla Lega”. Denaro che Barachetti, secondo i pm, retrocede ai commercialisti. Un sistema svelato dal Fatto l’8 dicembre e puntellato ora da cifre precise: nel 2016-2018 Barachetti paga 289mila euro di “consulenze” al duo Di Rubba-Manzoni, 10 volte di più di quello che paga nello stesso periodo al suo commercialista “ordinario”. Carrara, non indagato, è oggetto di attenzione per l’acquisto di quote societarie per 5 milioni rivendute pochi mesi dopo a 29. Operazione che porta a Di Rubba oltre un milione.

Magrini (dg Aifa): “Mai proposti gratis”. Le email lo smentiscono

“L’Aifa ha interesse a sperimentare i monoclonali”. Giorgio Palù ha impresso la svolta all’agenzia che presiede dal 4 dicembre: “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti. Stiamo valutando una sperimentazione”. Lo sostiene da sempre, ma per riaprire il discorso tocca cancellare la macchia: l’occasione mancata di sperimentare già a novembre 10 mila dosi del farmaco sviluppato da Eli Lilly, a beneficio di altrettanti pazienti e a costo zero. Nicola Magrini, dg dell’Aifa, si intesta la smentita di una trattativa che il Fatto ha ricostruito e di cui proprio nulla, prima, si sapeva. Magrini parla di “una generica disponibilità a collaborare”. Sostiene che l’agenzia non ha ricevuto proposte di sperimentazione ma di acquisto. E che in ogni caso, “non è vero che abbiamo rifiutato l’accesso in Italia”.

La documentazione in nostro possesso racconta altro. Tutti i decisori pubblici coinvolti, a partire dallo stesso Magrini, fin dal 7 ottobre erano chiamati a valutare la proposta di un trial clinico-pragmatico gratuito che avrebbe garantito una delle poche cure disponibili al mondo. Stesso oggetto ha la riunione del 29 ottobre tra i vertici mondiali della Lilly (il vicepresidente Ajay Nirula), il gruppo regolatorio dell’Aifa, Gianni Rezza per il ministero, Giuseppe Ippolito (Cts e Spallanzani) e il professor Guido Silvestri, virologo della Emory University di Atlanta che ha dato impulso all’iniziativa. Lo conferma lo stesso Ippolito, in una lettera al Fatto in cui parla di “sperimentazione”, non vendita. Il comunicato gioca con le parole. Aifa non ha ricevuto la proposta, ma perché dopo la riunione l’ha lasciata cadere per dichiarato disinteresse. Sottolinea però d’aver ricevuto quella d’acquisto. Certo, ma è stata chiesta dall’Italia il 16 novembre perché il 9 l’Fda Usa autorizza il farmaco per l’emergenza e Lilly non può più regalarlo. Tanto che l’Italia torna al tavolo con Arcuri per trattare il prezzo. Si sostiene poi che l’intoppo è l’Ema, ma l’Ungheria ha autorizzato e si sta muovendo la Germania. Potevamo essere primi, rischiamo d’esser gli ultimi. Questa è la storia.

Tasso di positività all’8%. Ma ancora 628 vittime

L’Agenzia europea del farmaco (Ema), e l’Aifa, l’Agenzia italiana, hanno dato il via libera al vaccino Pfizer-Biontech: “Si tratta di un prodotto con un margine di sicurezza elevatissimo, intorno al 95% – ha detto il presidente Giorgio Palù –. Una percentuale che si trova solo nei vaccini del morbillo e della rosolia. Non esistono controindicazioni assolute, ma solo cautele”. Palù, intervenuto in conferenza stampa insieme al direttore generale Aifa, Nicola Magrini, ha poi assicurato che il vaccino potrà essere somministrato anche a donne in gravidanza e in fase di allattamento, per quanto il “bugiardino” distribuito agli operatori sanitari su quest’ultimo punto (e sulle interazioni con la fertilità) sia piuttosto vago. Nessun allarme, sempre secondo Aifa, per la “variante inglese”: “La piattaforma Rna – ha detto Palù – è facilmente modulabile”.

Il contagio Covid in Italia. Intanto, continua a non dare segni evidenti di flessione. I nuovi casi di contagio registrati ieri sono stati 13.318 (tra pochi giorni il numero delle persone che hanno ufficialmente contratto il virus da inizio pandemia supererà quota 2 milioni) a fronte di 166.205 tamponi, il che fissa il tasso di positività all’8%. Si tratta del dato più basso del mese di dicembre e per vedere una percentuale paragonabile bisogna tornare indietro al 21 ottobre. Un calo sensibile rispetto al 12,4% delle 24 ore precedenti. Potrebbe essere una buona notizia, ma anche il primo effetto dell’accoglimento della richiesta della Regione Piemonte di aggiungere ai dati giornalieri anche i risultati dei test rapidi antigenici accanto a quelli molecolari. Non sappiamo se l’inclusione sia già cominciata, di certo lo sarà nei prossimi giorni e questo farà abbassare il tasso di positività.

Buone notizie anche dal fronte ospedaliero. I ricoverati nei reparti Covid ordinari sono attualmente 24.948, 197 in meno rispetto al dato di domenica. I malati più gravi in terapia intensiva, invece, sono 2.687, 44 in meno rispetto alle 24 ore precedenti (a fronte di 201 nuovi ingressi).

Sempre molto alto il dato dei decessi: ieri altri 628 vittime. Oggi potrebbe essere superata quota 70 mila morti da inizio pandemia.

Verbali di gennaio: “Terapie intensive, ci vuole tempo…”

Il primo a parlare del piano pandemico, il 29 gennaio 2020, fu il professor Giuseppe Ippolito dello Spallanzani: “Consiglia di riferirsi alle metodologie del Piano pandemico di cui è dotata l’Italia e di adeguarle alle linee guida appena rese pubbliche dall’Oms”, l’Organizzazione mondiale della Sanità. Così si legge nell’appunto conservato al ministero della Salute di quella riunione della task force, istituita da Roberto Speranza il 22 gennaio, prima del blocco dei voli dalla Cina (30 gennaio), della dichiarazione dello stato di emergenza (31) e dell’istituzione del Comitato tecnico scientifico a supporto della Protezione civile (3 febbraio).

Il Fatto ha consultato quegli appunti, fin qui negati anche al deputato Galeazzo Bignami (Fd’I) che ha chiesto l’accesso agli atti. Non sono veri e propri verbali ma brevi note non firmate, registrate e protocollate. Il 29 gennaio, secondo la nota, nessuno rispose a Ippolito sul piano pandemico. La riunione proseguì sugli italiani rimasti in Cina.

Il 5 gennaio era arrivata la prima allerta Oms sulle polmoniti d’origine sconosciuta a Wuhan. Secondo l’ipotesi della Procura di Bergamo avrebbe richiesto l’avvio della fase 3.1 del Piano italiano (“presenza di intensi collegamenti o scambi commerciali con Paesi affetti”), quello del 2006 del quale il sito del ministero attesta un “ultimo aggiornamento il 15 dicembre 2016”, mai avvenuto. Alcune cose previste dal piano le fanno subito, come la definizione di caso sospetto, l’indicazione di percorsi separati negli ospedali per gli infetti, i controlli sui voli; per le verifiche su laboratori e ospedali, invece, ci vorrà tempo, come per gli acquisti di mascherine e ventilatori. Fin dal 9 gennaio l’allora capo della Prevenzione del ministero, Claudio D’Amario, trasmetteva alle Regioni le linee guida Oms del 2014 per le pandemie influenzali e le Ili, influenza like illness, sindromi respiratorie come la Sars del 2002 e la Mers del 2012. Oggi più fonti dicono che il piano era “solo cartaceo, vecchio, inservibile”. Ma anche le Regioni potevano muoversi.

Le riunioni si aprivano con gli aggiornamenti sulla Cina, si parlava dei voli, delle navi da crociera trasformate in lazzaretti nei mari di mezzo mondo, il 23 gennaio anche di giochi e abbigliamento made in China. Il 2 febbraio si parla di mascherine: “Sul mercato – spiegano i protagonisti – non c’erano più”. Il 6 il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, “suggerisce un piano per implementare i posti di terapia intensiva nell’eventualità” di “un’epidemia nel nostro Paese”, ma il rappresentante della Programmazione del ministero rileva che “occorrono risorse e tempo”. Si farà solo dopo, con gli ospedali già pieni.

L’11 febbraio c’è anche il viceministro Pierpaolo Sileri: “Tenuto conto dell’eventuale verificarsi del peggior scenario” chiede “una ricognizione sui reparti di malattie infettive, sul numero dei posti letto, sul numero dei respiratori e di personale”. Il responsabile della Programmazione risponde che “si sta già provvedendo” e annuncia “un primo studio statistico con scenari di bassa, media e alta gravità”. Per il segretario generale Giuseppe Ruocco è “sufficiente una mappatura rispetto a uno scenario con bassa gravità”. La completerà il Cts. Nei giorni seguenti arriverà lo studio dell’epidemiologo Stefano Merler: prevede, per l’ipotesi intermedia, fino a 10 mila persone in terapia intensiva. Il 15 si riparla del piano pandemico: Francesco Paolo Maraglino, responsabile dell’ufficio 5 (malattie infettive) della Prevenzione, “evidenzia la necessità di un aggiornamento del Piano, risalente al 2009”, dice, ma in realtà è del 2006. Speranza aveva già chiesto di aggiornarlo nell’ottobre 2019, ormai però è tardi. Solo il 4 marzo Cts adotterà un Piano Covid, ma intanto l’epidemia era emersa il 20 febbraio a Codogno (Lodi) e galoppava in Lombardia. Il 5 marzo il ministero dirà alla Protezione civile di comprare i ventilatori, poi toccherà a Domenico Arcuri.

“Così coi vaccini in nove mesi avremo l’immunità di gregge”

Domenico Arcuri – commissario straordinario all’emergenza Covid-19 – dove sarà il 27 dicembre?

Allo Spallanzani di Roma, ma già dalla mattina del 26, perché la Pfizer ha assicurato che le prime diecimila dosi arriveranno un giorno prima del Vaccine Day europeo. Il carico sarà diviso per 21 e da Roma ripartiranno le dosi per venti presìdi regionali. I viaggi dalla capitale saranno gestiti dalle forze armate. Nei successivi, a partire dal secondo del 30 gennaio, la Pfizer porterà le dosi nei trecento centri regionali.

Con le Regioni risolto?

Abbiamo condiviso la scelta dei luoghi e delle dosi per regione.

E i frigoriferi?

Il 98% dei siti individuati dispone già di cella frigorifera o ne disporrà nei primi giorni del 2021. Al restante 2% le stiamo comprando noi.

Il crono-programma?

In totale toccheranno all’Italia 202 milioni di dosi, il 13,4% dell’Ue. Subito da Pfizer ne avremo 27 milioni: 8,8 nel primo trimestre 2021, 8,1 nel secondo trimestre, 10,1 nel terzo. E l’Ue sta negoziando con l’azienda per farcene arrivare altri 13,5 milioni. Se il 6 gennaio Ema approverà anche Moderna noi siamo pronti per riceverne 10,8 milioni: 1,4 nel primo trimestre, 4,7 nel secondo e altrettante nel terzo. E l’Ue sta negoziando perché ce ne arrivino altri 10,8 milioni. Quindi abbiamo già la discreta certezza di 38 milioni per i primi tre trimestri: prima dose e richiamo per 20 milioni di italiani in nove mesi.

Il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli fissa in 42 milioni di italiani l’obiettivo di fine estate…

Dice bene, ai 38 milioni di vaccini certi di Pfizer e Moderna bisogna aggiungere quelli che l’Ue sta negoziando con le stesse due case farmaceutiche, appunto, e poi gli altri che arriveranno in approvazione.

Un errore puntare troppo su Astrazeneca?

Non ci abbiamo puntato troppo noi, ma la centrale unica d’acquisto europea. Penso che sia una bella dimostrazione del modo di essere Europa: l’Ue negozia per tutti i Paesi e divide i vaccini sulla base di criteri certi e condivisi. Confido che, in tempi speriamo non troppo più lunghi, arrivino anche le 40 milioni di dosi di Astrazeneca.

Per lo Spiegel l’Ue ha ordinato una quantità minore da Pfizer e Moderna per non penalizzare la francese Sanofi, che è in ritardo.

L’Ue ha negoziato per acquisire i sei vaccini, europei e nordamericani, nella fase più avanzata di sperimentazione. Se qualcuno a settembre avesse sostenuto che avremmo iniziato in tutta Europa a fine dicembre sarebbe stato preso per pazzo.

Teme di ritrovarsi in un altro caos tipo mascherine?

Il “sistema Italia” di contrasto all’emergenza ha dieci mesi di esperienza e lavoro comune. I vaccini non sono un bene scarso come mascherine e ventilatori a marzo. Abbiamo un piano strategico approvato dal Parlamento: tre settimane fa ci accusavano di non averlo… E abbiamo implementato il sistema informatico per seguire in tempo reale le vaccinazioni.

Per l’Interpol c’è il rischio di furti dei vaccini.

Il trasporto su gomma sarà scortato e i siti regionali avranno la vigilanza anche notturna. Disporremo ogni misura preventiva per evitare sorprese.

Dopo la prima fase delle fasce deboli come faremo noi tutti per vaccinarci?

Senza ansia: non ci saranno corsie preferenziali, né un mercato dei vaccini. Saranno gratuiti per tutti ed obbligatori per nessuno. Quando avremo dosi sufficienti, speriamo tra il secondo e il terzo trimestre, tutti potranno facilmente vaccinarsi. Coinvolgeremo anche i medici di base e i pediatri. La promessa solenne è: non lasceremo una sola dose di vaccino nei nostri depositi.

Le “misure di Natale” basteranno secondo lei?

Quelle del 3 novembre sono servite. Rt è a 0,8 e si abbasserà ancora. Prima delle zone a colori era il doppio. La situazione sarà più sotto controllo. È un ulteriore sacrificio, ma s’intravede la luce.

Il 7 gennaio si va a scuola?

Spero di sì. I prefetti stanno facendo un lavoro straordinario per connettere trasporti e scuola e consentire la riapertura.

Grandi eventi, concerti, partite allo stadio?

Il faro sono quei 42 milioni di italiani: il 70%, l’immunità di gregge. Domenica pomeriggio auspicavo anche io di poter tornare il prima possibile allo stadio, poi la sera la Roma ha preso quattro gol a Bergamo e ho perso l’entusiasmo…

Quando si vaccinerà?

Mi vaccinerò quando, secondo il piano approvato dal Parlamento, toccherà alle persone della mia età. Nessun privilegio. Ci mancherebbe altro.

Artiglio Fontana

Miseramente fallito come presidente di Regione, Artiglio Fontana diventa editorialista del Corriere, diretto dal suo omonimo Luciano Fontana, che anziché correre all’anagrafe per cambiare cognome gli pubblica una lettera in cima alla pagina dei commenti. Spazio ben meritato, viste l’autorevolezza del mittente e l’acutezza dell’analisi. L’incipit è folgorante: “Caro direttore, il Covid ha cambiato il mondo”. Perbacco. “Ha stravolto il nostro modo di vivere”, tipo quando rischiò di strozzarsi con una mascherina. “Bisogna immaginare la Lombardia e l’Italia del domani”, dal che si deduce che la Lombardia non è in Italia (infatti lui i soldi li aveva alle Bahamas e i conti in Svizzera). “Sarà dura per tutti quando finiranno le misure che vietano i licenziamenti”: tipo il suo e quello di Gallera, peraltro già consentiti. “Occorre mettere mano alla legislazione dei contratti e degli appalti”, perché ora “servono tre anni solo per aggiudicare un’opera” (ma per suo cognato bastano un paio di giorni). Sennò addio “opere per le Olimpiadi Invernali del 2026”: e questo, visto che mancano 6 anni, più che mettere mano alle leggi, è mettere le mani avanti.

E la sua Regione? Possono definirla “pasticciona” e parlare di “disastro Lombardia” sulla sanità solo “commentatori distratti o faziosi”, incapaci di accorgersi che “il sistema ha retto”. Infatti, anche grazie alle mancate zone rosse e all’ordinanza che mandava gl’infetti nelle Rsa, ha sterminato 25mila persone (un terzo dei morti di tutta Italia, che sarebbe sotto la media europea se i morti lombardi fossero nella media nazionale). Ma l’editorialista Fontana, anziché scusarsi, dimettersi e andare a nascondersi, avverte: “Non siamo disposti a mettere in discussione il principio di libera scelta dell’individuo di farsi curare dove vuole a carico del sistema sanitario”: lo Stato paga e i privati intascano. Segue minaccia terrificante sul Recovery: ”Le Regioni devono giocare un ruolo da protagonista (sic, ndr)”: così pure quello finisce come i vaccini e le Rsa. Bisogna “lasciarle più libere” (di fare altri danni). Così alla fine gli sgovernatori potranno “essere premiati o puniti dai cittadini” (un chiaro tentativo di suicidio). Il crescendo fontaniano tocca l’acme con una perla di cultura: “Siamo chiamati a scorgere l’alba dentro l’imbrunire”. Citazione a cazzo da Prospettiva Nevskij di Battiato, che non meritava lo sfregio. Noi avremmo optato per “Quante squallide figure che attraversano il Paese, com’è misera la vita negli abusi di potere”. O “Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore”. O meglio: “E perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?”.

Le Strenne per ripararsi dal lungo “inverno del nostro scontento”

Romanzi, saggi, piccoli racconti, autobiografie, storie, sorprese, riscoperte, forme di riflessione su chi siamo, chi eravamo, chi vorremmo diventare. O quantomeno tornare a essere. Un modo vario per “ascoltare le storie, anche quelle senza lieto fine, è una sorta di catarsi, un modo per elaborare qualunque situazione”, sostiene Antonio Manzini. O semplicemente per indagare sulla vita.

Anche – o soprattutto – quella attuale.

E se è vero, come ha sostenuto Pino Corrias sul nostro giornale, che “gli italiani hanno letto poco durante il lockdown di marzo perché stavano vivendo in prima persona un grande romanzo”, allora questi consigli potrebbero allontanare per qualche attimo la testa dalla quotidiana “lettura”.

Questi sono i consigli del Fatto Quotidiano, e a tutti auguriamo buone feste e buona lettura. Insieme a noi.

 

Marco Travaglio 

Piccolo poema di “lettere alticce e slave”

La mia strenna è, in realtà, la strenna che ha fatto lei a tutti noi che la ammiriamo per la sua scrittura e il suo coraggio. Si intitola Vodka siberiana e non è facile trovarla, perché nulla è facile con Veronica Tomassini. Il libro se l’è pubblicato da sola, dopo averlo distillato a puntate nel suo blog sul sito del Fatto, come un tempo i romanzi d’appendice e come oggi i gioielli incompresi dalle cosche letterarie, dai premi di scambio e dalle recensioni-marchetta. È un romanzo epistolare, un piccolo poema di “lettere alticce e slave”, perché Veronica vive a Siracusa, ma inspira i fumi della gente dell’Est e Nord Europa che vaga fino alle nostre coste, come Salgari raccontava l’Oriente senza essersi mai mosso da Torino e dintorni. Se vi ci volete tuffare anche voi, scrivetele su facebook.com/veronica.tomassini.39/ o al suo blog sul sito, e lei ve lo invierà. Ne vale la pena, è un privilegio per pochi.

Vodka siberiana – Veronica Tomassini, Pagine: 180, Prezzo: 15, Editore: Autopubblicato

 

Antonio Padellaro

RISI: il padre e il cinema, senza i tempi morti

Quando si ha come padre il regista che ha firmato Il Sorpasso, il film più italiano sugli italiani, seguirne le orme facendo lo stesso mestiere costituisce una sfida spericolata, che ti può devastare, o esaltare, o entrambe le cose. Se tuo padre ha la geniale perfidia di Dino Risi dovrai abituarti, fin da piccolo, a sentirti liquidare come uno che batte bene i falli laterali, e dunque lascia perdere il calcio e tutto ciò in cui non potrai primeggiare. È quel genitore che si emoziona alle prime dei tuoi film, dopo che avevi cercato di liberarti di lui ma da lui sei tornato. Nelle due vite raccontate da Marco Risi, la sua e quella di Dino, c’è la vita del cinema italiano, senza i tempi morti. Forte respiro rapido è un libro duro, tenero, divertente, che si vorrebbe non terminasse. Come lo sguardo di nostro padre.

Forte respiro rapido – Marco Risi, Pagine: 264, Prezzo: 18, Editore: Mondadori

 

Maddalena Oliva

Nella guerra del vivere, tutti soldati semplici

Voleva vivere come il suo modello Scott Fitzgerald. Sognava di tuffarsi nella fontana del Plaza vestito, con le tasche piene di soldi. Richard Yates è morto, nel 1992, senza soldi né fama, come molti dei suoi personaggi. Alla fine si disse: “Io non voglio soldi, voglio lettori”. Ma, in vita, non vendette più di 10mila copie a edizione. È a lui, “uno degli scrittori americani più puri”, uno dei grandi classici del realismo del secondo 900 – assieme a Cheever, Carver, Ford – che minimun fax dedica un cofanetto. Non solo Revolutionary Road. Yates scrisse della vita borghese americana, perché mai potè prenderne distanza. Specchio di un mondo perduto che diviene trappola, della coppia che diventa asfissia, dell’ambizione, cenere. Qui nessuno è eccezionale. Tutti imperfetti, nel nostro essere ordinari. Tutti soldati semplici, nella guerra quotidiana per sopravvivere.

Capolavori – Richard Yates, Pagine: 1239, Prezzo: 30, Editore: minimum fax

 

Salvatore Cannavò

Quel Gruppo di Ribelli che scoprì l’umanità

Prima dei protagonisti di questo libro, il mondo era convinto che gli individui fossero rigidamente gerarchizzati e divisi per categorie fisse a base di razza, genere, nazione. Gli antropologi culturali che si riunirono attorno a Franz Boas sovvertirono quelle credenze e si batterono per dimostrare che, “nonostante le differenze di colore della pelle, di genere, di abilità e di tradizioni, l’umanità è una sola”. Furono il padre dell’antropologia culturale e quel piccolo gruppo di “bastian contrari” composto da Margareth Mead, assistente di Boas, il suo grande amore Ruth Benedict, Ella Cara Deloria e Zora Neale Hurston e altri accademici. Questo libro ne narra la storia in modo divertente e avvolgente. In tempi di oscurantismi rituffarsi in una storia che ancora costituisce lo spauracchio e l’incubo della destra mondiale riconcilia con l’umanità.

La riscoperta dell’umanità
Charles King
Pagine: 470
Prezzo: 34
Editore: Einaudi

 

Gad Lerner Vita da criminologo
“per dare un posto al disordine”

Un criminologo che non vedrete mai in tv a titillare la nostra morbosità ci cattura con un racconto appassionante sulla natura del male. Se Adolfo Ceretti riesce a scrivere pagine illuminanti sui detenuti che incontra (strepitoso il ritratto del bandito Renato Vallanzasca) è perché accetta di parlare anche di sé, di come pure a lui il diavolo abbia accarezzato i capelli. Spazia dai delitti più celebri della cronaca nera (Erika e Omar, Alberto Savi, le ragazze sataniste) fino alle favelas brasiliane, passando per il terrorismo politico. La sua è sempre una sfida personale, come quando si confronta con l’uomo che ha ucciso il giudice Galli, cioè il suo maestro. Pioniere della giustizia riparativa in cerca di autoconsapevolezza, Ceretti sa usare anche il cinema e la letteratura per avvicinarci al lato oscuro della vita. “Per dare un posto al disordine”.

Il diavolo mi accarezza… – Adolfo Ceretti, Pagine: 333, Prezzo: 25, Editore: Il Saggiatore

 

Andrea Scanzi

Maccio non è solo un “libro”, è comicità surrealista

Ho sempre pensato a Maccio Capatonda come a uno dei più grandi talenti della generazione nata nei 70. Non mi stupisce quindi aver scoperto che il suo geniaccio ben si sposa con la scrittura. Libro è opera mai banale e per nulla pleonastica. C’è, nelle sue pagine, quel tono surreal-delirante tipico del miglior Frassica. Per non dire, e lo scomodo volentieri, del miglior Villaggio. Paradossalmente il “problema” di Maccio, con gli anni, sarà dimostrare al suo ampio pubblico che lui non è “solo” il tipo dei (geniali) trailer. Nella scrittura di Marcello Macchia – il suo nome vero – c’è forma e sostanza. Ed è sintomatico che, nel suo debutto letterario, gli anni dell’apprendistato abbiano più spazio di quelli baciati dal successo. Quasi a voler rimpiangere l’età dell’innocenza spesa tra Vasto, Perugia e Middlesbrough. Davvero un bel libro. Anzi: Libro.

Libro – Maccio Capatonda, Pagine: 222, Prezzo: 16,90, Editore: Mondadori Electa

 

Alessandro Ferrucci

Non siamo più i “superman” di bill Bryson

A volte c’è bisogno di riallacciare un filo. Stupirsi di ciò che abbiamo sottovalutato, sottostimato, o comunque non compreso fino in fondo. A volte c’è bisogno di uno spaccato di lucidità per poter sorridere pure di noi stessi. Capita con Vestivamo da Superman, di Bill Bryson, scrittore esperto di guide turistiche, ma con un acume, uno humour, una capacità di analisi e narrazione assolutamente rari. Vestivamo da Superman è la storia della sua infanzia nella provincia statunitense, quando non c’era la cultura del cibo bio, non si capiva il danno procurato dalla plastica, si sottovalutavano gli effetti collaterali delle lastre radiografiche, e ancora e ancora. Ma si viveva con una leggerezza e una (presunta) superficialità da invidiare dalla prima fino all’ultima riga. Oltre a riderci sopra.

Vestivamo da Superman – Bill Bryson, Pagine: 320, Prezzo: 20, Editore: Guanda

 

Silvia Truzzi Le bettole di Roth, tra gioco e tragedia a Berlino

Lo sapete che “la sabbia è stata inventata dal buon Dio apposta per i bambini”? I piccoli “spalano la sabbia da un posto mettendola in un secchiello, la trascinano in un altro posto e la rovesciano. Poi arrivano altri bambini che riportano il cumulo di sabbia da dove veniva”. Questa è, semplicemente, la vita e si compie “nella saggia inconsapevolezza del gioco”. Lo annota Joseph Roth in un passo de Le bettole di Berlino, passeggiate letterarie che sono corrispondenze giornalistiche uscite tra gli Anni 20 e 30 del 900, firmate dal papà del Santo bevitore e pubblicate da Garzanti in una collana preziosa, i Piccoli grandi libri (in catalogo anche lo Statuto dei lavoratori, mai come oggi da mandare a memoria). Weimar è un’illusione, Berlino trattiene il fiato in bilico tra due catastrofi: “È una città giovane e sfortunata, ma probabilmente una città del futuro”.

Le bettole di Berlino – Joseph Roth, Pagine: 96, Prezzo: 4,90 Editore: Garzanti

 

Fabrizio d’Esposito

Diego e Pablito la Vita è una metafora del Calcio

Questo orrifico duemilaventi è pure l’anno del transito alla gloria imperitura di Diego Armando Maradona e Paolo Rossi. L’elaborazione universale del lutto per la loro morte è la conferma, ancora una volta, che “il calcio è una metafora della vita” come sentenziò Jean-Paul Sartre, alla faccia di quegli imbecilli snob che riducono il gioco più bello del mondo a una faccenda tra ventidue ragazzi in mutande. In football. Trattato sulla libertà del calcio, Giancristiano Desiderio, filosofo e giornalista, riprende la traccia sartriana per ribaltarla e dimostrare piuttosto che il calcio è un modello cognitivo, che permette quindi di conoscere la vita. Così la vita è metafora del calcio come già annotò Sergio Givone, altro pensatore. E i cinque elementi che coniugano pensiero e azione sono: tiro, colpo di testa, dribbling, passaggio, arresto. Da conservare con cura.

Football – Giancristiano Desiderio, Pagine: 135, Prezzo: 15, Editore: liberilibri

 

Daniela Ranieri

A lezione da Gesù con Socrate, Buddha e Confucio

Il libro più sano e più ricco di questo 2020 fuori sesto è I quattro maestri di Vito Mancuso. Socrate l’educatore; Buddha il medico; Confucio il politico; Gesù il profeta: il teologo e filosofo interroga le quattro stelle che da 2.500 anni guidano i passi di chi si pone la domanda più difficile: come devo vivere? All’apice dell’Antropocene, l’era in cui imprimiamo con più violenza la nostra traccia sul pianeta, siamo al contempo i leader del mondo (nel Vangelo Gesù chiama Satana “principe di questo mondo”) e da esso sempre più slacciati, in lotta con esso. “La vita è un fatto di sangue”, scrive Mancuso; la cifra autentica dell’umano emerge dal caos interiore educato al bene. La cessazione della sofferenza si ottiene attraverso la cognizione del dolore: sulla via rischiarata dalla luce dei quattro maestri si incontra il maestro più fulgido: la propria coscienza morale.

I quattro maestri – Vito Mancuso, Pagine: 528, Prezzo: 19, Editore: Garzanti

 

Massimo Fini

L’uomo: un attore ambientale (che recita malissimo)

In Campati per aria Mauro Van Aken, docente di Antropologia Culturale alla Bicocca di Milano, affronta il tema dell’ecologia inteso in senso molto lato: “La nozione di natura è profondamente in crisi perché essa stessa ci disorienta, in quanto non ci permette di capire le dinamiche e le relazioni in cui siamo immersi con così numerosi attori ambientali”. Fra questi attori c’è, ovviamente, l’uomo. Van Aken quindi affronta il problema non in senso strettamente ecologico, ma vedendone le implicazioni culturali, economiche, politiche e, ciò che è a mio avviso più importante, anche esistenziali, cioè mette sotto la lente le fratture che la moderna economia e la moderna tecnologia provocano nei rapporti interpersonali e, alla fine, all’interno di ciascuno di noi.

Campati per aria – Mauro Van Aken, Pagine: 272, Prezzo: 18, Editore: Elèuthera

 

Camilla Tagliabue

Dostoevskij, quante memorie dal sottoscala

“Ho un progetto: diventare pazzo”. E lo diventerà, tra le altre cose: ridicolo, cattivo, idiota, giocatore, demonio. Nonché uno dei più grandi romanzieri di sempre: Fëdor Dostoevskij. Le sue Lettere, perlopiù inedite, sono appena uscite in un’opera monumentale curata da Alice Farina: il flusso d’incoscienza di un “teatrante” (© Nabokov), sospeso tra cielo e terra, spirito e carne, e con un coltello piantato nel cuore. Al di là della caratura letteraria, queste missive – a parenti, amici, moglie… – rivelano totem e tabù di un ossesso: i fantasmi di carta, la fame, Dio e le malattie; ce ne ha sempre una. Interessato ai soldi e alla censura, qui Dostoevskij si rivela nella sua fragilità d’uomo, rassicurandoci. Sono memorie dal sottoscala che hanno mole karamazoviana, ma meno trama: da piluccare qua e là, a piccole dosi; il genio è di per sé sostanzioso.

Lettere – Fëdor Dostoevskij, Pagine: 1.372, Prezzo: 75, Editore: Il Saggiatore

Lady Shopping, spese milionarie e intrighi azeri

Fino al 2016, Zamira Hajiyeva ha sborsato oltre un milione di sterline all’anno in shopping da Harrods, il grande magazzino di lusso londinese che, scrive il Guardian, usava come drogheria all’angolo. I dettagli: 24.000 sterline in the e caffè; 10.000 in frutta e verdura; 32.000 in cioccolatini Godiva, per tacere degli investimenti in gioielli e abiti: 16 milioni in 10 anni. Troppo anche per la moglie del presidente della Banca Internazionale dell’Azerbaijan, Jahangir Hajiyev. Quando lui è stato condannato a 15 anni per frode e appropriazione indebita, nel 2016, le autorità hanno indagato sulla fortuna di famiglia e, nel 2018, hanno emesso contro Zamira il primo unexplained wealth order, recente strumento investigativo che obbliga il sospettato a giustificare la provenienza dei suoi soldi. Lei ha fatto tutti i ricorsi possibili, perdendo anche l’ultimo, ieri, presso la Corte Suprema di Londra. Ora le tocca spiegare la fonte di tanto reddito, o dovrà rinunciare alla magione da 15 milioni di sterline a Knightsbridge e al campo da golf da 11 milioni nel Berkshire.