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Una riforestazione che desta molti dubbi

Il governatore della Regione Emilia-Romagna Bonaccini ha fatto un annuncio clamoroso: farà piantare 1 milione 300 mila alberi. In una pianura da secoli pelata, sfruttata al metro quadrato. Ma quali alberi farà piantare? Non si sa. Si sa che a suo tempo la sua Regione ha soppresso i vivai forestali regionali. Nei giorni scorsi inoltre non ha risposto alla Associazione Nazionale Patriarchi che gli proponeva di utilizzare quelle talee centenarie o millenarie dal genoma potentissimo tipici della regione. Non solo ma ha affidato a Slow Food un censimento dei Patriarchi che in verità è stato già realizzato anni fa e presentato alla Stampa Estera di Roma: 1.350, se non erro, soprattutto alberi da frutto, cioè olivi, meli, peri, vitigni, melograni, castagni, albicocchi, susini, ecc. E che viene costantemente aggiornato. La Regione se ne è dimenticata e Slow Food con lei? La pianura emiliano-romagnola, sfruttata al centimetro, è come calva, desolatamente pelata. Si può restaurare quel paesaggio originariamente foresta nordica sino a Ravenna? Qui più tardi i romani imposero le pinete per avere il legno per i loro cantieri navali militari di classe. La riforestazione si impone in una Valpadana che da anni è una delle aree più inquinate d’Europa, terra, acque e cieli.

Vittorio Emiliani

 

Un regalo che darebbe tranquillità a tutti

Caro Babbo Natale, saranno feste molto tristi quelle che ci aspettano, i morti per Covid sono quasi 70.000 e la povertà è aumentata a dismisura. Non potremo ricongiungerci con i nostri familiari per scambiarci un po’ di calore, niente regali, nulla di nulla. Ma un regalo te lo chiedo, non di venire a portarci doni, ma a prenderti qualcosa, anzi qualcuno. Per favore vieni, prendi Matteo Renzi, togligli il cellulare e tienilo isolato almeno fino al 7 gennaio. Ci rassegniamo a feste tristi, ma almeno che siano tranquille e non funestate da strilli, ricatti e ripicche di chi fa le bizze con il destino già gramo di un Paese intero.

Cinzia Niccolai

 

Ripopoliamo la fauna dei mari nostrani

Visto che la ripopolazione ittica viene praticata in alcuni fiumi in Italia, si dovrebbe provare a ripopolare anche i nostri mari, onde evitare che i nostri pescatori siano “obbligati” ad andare a pescare in acque “contestate”, dove rischiano la vita.

Claudio Trevisan

 

L’Innominabile mi rende molto difficile la lettura

Da anni sono un amico di famiglia de il Fatto e mi permetto da congiunto di passare le festività con voi leggendovi come sempre. Ultimamente, faccio fatica a continuare la lettura, poiché sono disturbato dalle foto dell’Innominabile a grandezza sproporzionata rispetto al merito suo e dei suoi devoti seguaci. Cazzaro compreso. È troppo chiedere di ridurre al minimo le dimensioni? Purtroppo la mia patologia è in fase peggiorativa: non sono asintomatico e gli attacchi riprendono anche alla vista dei suddetti nei tg e talk show: subire quotidianamente come terapia la visione di questi figuri è la vera dittatura sanitaria.

Antonio Ravasio

 

La spassosa ospitata di Senaldi a “DiMartedì”

Ma l’avete ascoltato l’illustre “costituzionalista” Senaldi il 15.12 a DiMartedì? È una perla! Il dottor Davigo gli stava spiegando l’obbligatorietà dell’azione penale che, secondo la Costituzione, vincola il pm, quando il grande giurista de’ noantri ha replicato, per ben due volte, “ma questo è incostituzionale”. Tanto cervello è ospite fisso. Forse per l’angolo del buon umore.

Ennio Lombardi

 

Renzi dovrà pur pascere le sue amate pecorelle

Nelle venti richieste presentate dall’Irricevibile al nostro presidente del Consiglio italiano, siamo sicuri non ce ne sia una, nella quale richiede tre ettari di campo incolto (zona Ciociaria) per poter pascolare da buon pastore una ventina di pecore Dolly? Buon vaccino a tutti.

Andrea Masina

 

Centrodestra al potere e la vecchia teoria di B.

Rosato di “Italia più morta che Viva” annuncia: “il governo non ha più la fiducia”. Il che significa che Renzi si appresta a salire sul carro del cucuzzaro destrorso. Se poi alle prossime Politiche verrà legittimato un governo Renzi, Salvini, Berlusconi, Meloni, vorrà dire che ci troveremo di fronte a un esperimento risolutivo che avrà corroborato una vecchia teoria di Berlusconi: “il pubblico medio ha l’intelligenza di uno che ha fatto la seconda media, e nemmeno tra i primi banchi”. Così Berlusconi si potrà candidare al premio Nobel per le scienze sociali.

Maurizio Burattini

 

La grave mancanza di vaccini antinfluenzali

Quest’anno in Italia il vaccino antinfluenzale è stato somministrato soltanto agli anziani e ai vecchi; per le altre fasce d’età non è disponibile. L’autorevolissima rivista The medical letter da almeno quattro anni dichiara che tale vaccino andrebbe somministrato a tutta la popolazione (a parte controindicazioni specifiche) di età uguale o superiore a sei mesi. La carenza del vaccino comporterà sicuramente molti malati, molti morti e grandi spese. Vorrei sapere di chi è la colpa di tale carenza e vorrei che i colpevoli fossero puniti con estrema severità.

Pietro Pacchiarti

 

Caro Piero, l’acquisto dei vaccini antinfluenzali spettava, come ogni anno, alle nostre fantastiche Regioni. E ho detto tutto.

M. Trav.

Notizie dal futuro: Nord, ecco i campi di detenzione dedicati ai meridionali

I posti sui treni ad alta velocità di Trenitalia sono quasi esauriti lungo la direttrice nord-sud, soprattutto da Milano a Napoli (Fq, 19 dicembre 2020).

La Lombardia, è un dato di fatto, è il motore di tutto il Paese. Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia (Angelo Ciocca, eurodeputato della Lega, Fq, 17 dicembre 2020).

Quanto alle intenzioni di voto, la Lega si conferma al primo posto con il 25,5% e risulta in aumento di 1% (Nando Pagnoncelli, Corriere della Sera, 28 novembre 2020).

Notizie dal futuro. Milano, la capitale della Padania, userà il riconoscimento facciale per identificare i meridionali. Un software testato da Huawei è in grado di individuarli benissimo e di mandare un avviso alla polizia, con grosse implicazioni etiche e giuridiche di cui la maggioranza dei padani, stando a un sondaggio Ipsos, si impipa. Il caso ha riacceso il dibattito sull’uso controverso dei sistemi di videosorveglianza, che in Padania sono sempre più diffusi. Funzionari padani sostengono che i sofisticati sistemi di riconoscimento facciale agevolino il lavoro della polizia nel garantire il livello celtico delle città. Per gli osservatori internazionali, invece, sono strumenti di controllo dei cittadini, tecnologie spaventose che vengono impiegate per discriminare. Secondo Amnesty, negli ultimi anni almeno mezzo milione di meridionali lombardi, fra cui i noti dj Linus e Nicola Savino, sono stati perseguitati e detenuti in diversi “campi di rieducazione”, ma il presidente della Regione Lombardia, il leghista Chicco Rota, nega che la minoranza meridionale sia stata repressa o trattata diversamente, definendo le testimonianze sulle loro condizioni di vita fake news. L’esistenza di campi di detenzione per i meridionali è stata però certificata da un rapporto dell’Onu: sono sparsi in tutto l’hinterland, e i meridionali vi vengono rinchiusi senza processo. Gli internati sono sottoposti a indottrinamento dialettale, a lavori forzati (Chicco Rota: “Figuriamoci! È che per i meridionali ogni lavoro è forzato!”) e in alcuni casi anche a torture (Chicco Rota: “Figuriamoci! È che per i meridionali ogni lavoro è una tortura!”). Le società padane di software stanno investendo parecchio sul riconoscimento facciale dei meridionali perché è un’attività molto redditizia, nonostante il 15% da retrocedere alla Lega, ma l’anno scorso sono state sanzionate dall’Onu: “violavano i diritti umani”, in quanto i loro software permettevano “l’implementazione di campagne di repressione e detenzione arbitraria” dei meridionali. L’anno scorso, il software sperimentale per il riconoscimento facciale impiegato dalla polizia di Como ha individuato i volti dei meridionali 50mila volte in un solo mese (20mila volte la stessa persona, però: un impiegato calabrese, A.T., goloso delle pizzette con la ’nduja di una panetteria che ha l’ingresso di fronte a una telecamerina di sorveglianza. L’hanno internato nel campo di Dongo). Secondo gli osservatori della ong Human Rights Watch, in Padania questi software sono sempre più diffusi anche per controllare gli antagonisti della Lega e reprimerne le proteste: il vero obiettivo sarebbe quello di criminalizzare i dissidenti, per esempio chi si oppone ai software di videosorveglianza (Chicco Rota: “Ah, non vogliono essere sorvegliati? Cos’hanno da nascondere?”). Oltre alle implicazioni etiche, la videosorveglianza pone anche un altro tipo di problema: i software a volte forniscono risultati inaccurati, poiché il funzionamento dei programmi dipende da fattori come l’intensità della luce o la qualità delle immagini scansionate. Questo spiegherebbe l’arresto e l’internamento di Gerry Scotti e Memo Remigi.

 

Nessuno dà più retta al bluff dell’italovivo

“C’è chi dice che io non sia abile nella strategia: può darsi, ma questa volta dal punto di vista tattico ho fatto un capolavoro perché li ho messi tutti con le spalle al muro” (Matteo Renzi a La Stampa). Bisogna dargliene atto, lui non si nasconde, parla come un azzardato giocatore di poker che mette sul tavolo l’intera posta (che non ha) sperando che gli avversari non vadano a vedergli il bluff. Non sono un esperto del ramo, ma chi lo è spiega che un bluff ha molte più probabilità di riuscire se effettuato contro un solo avversario. Mentre più giocatori nel piatto significa più persone da dover convincere a ritirarsi millantando una mano vincente.

Purtroppo per il rottamatore di se stesso, a leggere i giornali, non gli dà retta più nessuno. Nel Pd, il ministro Dario Franceschini dichiara al Corriere della Sera che se cade il governo Conte si va al voto: concetto già espresso dal vicesegretario Andrea Orlando con il beneplacito di Nicola Zingaretti. Nel M5S, nessuno è così pazzo da rischiare il probabile dimezzamento dei parlamentari in caso di elezioni. Non parliamo dell’opposizione dove Matteo Salvini e Giorgia Meloni liquidano il senatore di Rignano come un inaffidabile traffichino della politica. Compreso Silvio Berlusconi, che proprio ieri ha dichiarato al Messaggero: “Bene il dialogo con Conte, dico no al governo di tutti”.

Ma il pokerista senza punti in mano dovrebbe temere soprattutto quanto nei giorni scorsi è filtrato dalle stanze del Quirinale. Ovvero, in caso di caduta dell’esecutivo giallorosso, Sergio Mattarella non perderebbe tempo alla ricerca di pastrocchi più o meno tecnici e procederebbe all’immediato scioglimento delle Camere. E allora sì: Italia Viva, bye bye

. Poiché il partitino artificiale creato con un’operazione di palazzo ai danni del Pd, attualmente viene valutato tra il 2 e il 3% dei voti. Perfino meno di Azione, il garage dove Carlo Calenda gioca a freccette. Ora, è pur vero che i due Matteo si somigliano in quanto a iattanza, ma sicuramente il Salvini che pretendeva i pieni poteri poteva contare su parecchi milioni di voti.

Ora, tutto è possibile, ma c’è qualcuno sano di mente che affiderebbe le sorti, e il futuro, di un Paese sconvolto dalla pandemia, a un signore che forse neppure può contare sul consenso dei congiunti più stretti? Vedremo se alla fine Giuseppe Conte sfanculerà, come tanti italiani sognano, il bullo in Parlamento. Il quale, a proposito di capolavori tattici, ci ricorda la barzelletta del pugile suonato che si consola: quante me ne ha date… ma quante gliene ho dette.

L’epopea esodati, nona salvaguardia. E non è affatto detto che sarà l’ultima

Oggi è il 22 dicembre 2020 e ieri la commissione Bilancio della Camera ha dovuto approvare un emendamento contenente la nona salvaguardia per gli esodati creati dalla riforma Fornero varata a fine 2011 dal governo Monti. Soffermarsi sulle date non è casuale: sono passati ben nove anni e ancora oggi sono necessari interventi per tutelare quelle persone che avevano perso o lasciato il lavoro confidando nelle vecchie norme previdenziali, ma poi – visto l’improvviso innalzamento dell’età imposto per far quadrare i conti pubblici – sono rimaste senza stipendio e senza pensione. Una bomba sociale di cui l’allora ministra del Lavoro si è più volte scusata pubblicamente e che ancora oggi non è del tutto risolta.

Quest’ultimo intervento, che sarà contenuto nella legge di Bilancio 2021, dovrebbe coprire circa 2.400 ex lavoratori: sono quelli che, sempre secondo la disciplina valida prima della Fornero, avrebbero maturato il diritto alla pensione entro il 6 gennaio 2022. Quella inserita nella manovra è da molti individuata come l’ultima salvaguardia, ma in realtà non lo si può affermare con certezza. “Ci avviciniamo all’obiettivo finale – spiega Roberto Ghiselli, segretario Cgil che si occupa di previdenza – ma secondo noi la platea è sottostimata, anche se resta il fatto che siamo ormai nell’ordine di grandezza di qualche migliaio di persone. Tuttavia è positivo che i costi siano un po’ sovrastimati rispetto ai numeri indicati”. La stessa norma prevede infatti che, qualora dovessero avanzare risorse, queste potranno essere impiegate per nuovi interventi. Insomma, lo stesso emendamento non esclude che possa arrivare in futuro la decima salvaguardia.

Il guaio combinato nel 2011 fu clamoroso e le sue conseguenze ancora ci accompagnano. A novembre di quell’anno, con lo spread alle stelle, il governo Berlusconi dovette cedere Palazzo Chigi in favore di Mario Monti con la sua squadra di professori. La raffica di riforme “lacrime e sangue” partì proprio dal tema delle pensioni. La ministra Elsa Fornero pianse durante la conferenza stampa notturna in cui presentò i suoi provvedimenti: l’innalzamento repentino dell’età pensionabile, il blocco temporaneo della rivalutazione anche per le pensioni basse.

Nonostante la commozione, però, la ministra sottovalutò e poi non corresse neanche durante il passaggio parlamentare il problema degli “esodati”. In particolar modo quelli coinvolti in licenziamenti collettivi o che avevano lasciato il proprio lavoro sulla base di accordi individuali o collettivi di incentivi all’esodo. Eravamo in un periodo di profonda crisi, con tante ristrutturazioni aziendali in corso e le file della disoccupazione che si allungavano. Le salvaguardie sono iniziate già nel 2012 con lo stesso governo Monti: la prima ne ha tutelati 65 mila, la seconda ne ha aggiunti 17.500. Nel 2013, altre due sono toccate al governo guidato da Enrico Letta, per un totale di circa 10 mila paracadutati. Arrivato Matteo Renzi al governo, altre due ciambelle di salvataggio per 32 mila persone. A chiudere il cerchio, il governo Gentiloni con l’ottava che ha trovato spazio nella legge di Bilancio del 2017 e ha visto poco più di 14 mila domande accolte. In totale, finora sono stati accompagnati alla pensione con le regole precedenti alla Fornero in 142.359. In 2.400 aspettano di salire su questa nuova scialuppa; sarà l’ultima?

Presepi, suini e consorzi: mancette bipartisan à gogo

Da anni la legge di Bilancio, la più importante dell’anno, è ridotta a una maratona contro il tempo, ma stavolta si è esagerato. “Abbiamo scritto una bella pagina di politica”, ha spiegato Fabio Melilli, presidente della Commissione Bilancio della Camera – l’unico ramo del Parlamento che discuterà davvero il testo – alla fine di 48 ore in cui si è votato di tutto. Per evitare l’ostruzionismo, agli onorevoli è stata concessa una valanga di norme microsettoriali, locali, ordinamentali o vere e proprie marchette, che in manovra sarebbero vietate. Dei quasi 5 miliardi di modifiche, quasi 1 miliardo è stato destinato a oliare il lavoro parlamentare bipartisan. Dai giallorosa a Forza Italia e Lega. Ecco una breve sintesi.

Giustizia. Tutti perseguitati. Se lo Stato perde paga. L’emendamento è dell’avvocato (e deputato) , Enrico Costa (Azione): gli imputati assolti con sentenza irrevocabile potranno essere rimborsati fino a 10.500 euro per le spese legali. Costo: 8 milioni.

Terra e mare. Il pescatore professionista, comandante del motopeschereccio Savonarola, Lorenzo Viviani (Lega) è riuscito anche quest’anno a ottenere risorse: 31,1 milioni di euro per il 2021 per i pescatori che hanno subito danni economici a causa del Covid. La Lega è molto attenta anche agli allevatori di bovini e suini. Massimo Garavaglia ha chiesto la proroga al 2021 delle percentuali di compensazione dell’Iva fino all’8% per i primi; stanziati 10 milioni per la suinicoltura grazie a Guglielmo Golinelli, che alleva maiali nel Modenese ed è “inviato permanente” di Confagricoltura Modena.

Sanità. L’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin (ex Pdl, ex Ncd, ora Pd), che da inizio pandemia si è sperticata per richiedere l’apertura degli stabilimenti termali, ottiene 100mila euro per l’attivazione di master di secondo livello in medicina clinica termale. Paolo Russo (FI), oculista, ha ottenuto un bonus di 50 euro per l’acquisto di occhiali per chi ha Isee sotto i 10mila euro.

Industria. Nel fondone “mancette” (con 800 milioni a disposizione) sono finiti anche 5 emendamenti per il sostegno del settore tessile all’Unione industriale di Biella. A presentare l’emendamento è Roberto Pella di Forza Italia, che oltre a fare il sindaco di Valdengo (Biella) ha ereditato dal padre proprio l’impresa tessile di famiglia. C’è poi uno dei tanti emendamenti bipartisan: la renziana Raffaella Paita e la forzista Deborah Bergamini fanno felici i centri di revisione auto privati: tariffe in aumento per gli automobilisti di 9,95 euro.

Cultura. Con la stessa formulazione con cui era stato ritenuto inammissibile nel dl Rilancio, ora il forzista Mauro D’Attis ottiene un incremento di 5 milioni per il Consorzio universitario per la ricerca socioeconomica e per l’ambiente (Cursa). Mentre alle università non statali legalmente riconosciute del Sud, grazie al renziano Gabriele Toccafondi, vanno 5 milioni per il 2021. A spartirseli sono una manciata di strutture. Stanziati anche 3,9 milioni per la celebrazioni dell’ottavo centenario del presepe che si terrà nel 2023. Il primo è stato realizzato da San Francesco nel comune di Greccio, a pochi chilometri da Rieti, città natale di Alessandro Fusacchia (ex ghostwriter di Emma Bonino, regista della Buona scuola di Renzi e ora nel Gruppo Misto), promotore dell’emendamento. Non potevano mancare altri 2,5 milioni per la partecipazione italiana all’Expo di Dubai (ottobre 2021-31 marzo 2022). La deputata M5S Iolanda Di Stasio ne ha poi aggiunti altri 6,2 milioni.

Enti locali. Visto che in primavera ci sono le elezioni a Roma, i relatori di maggioranza hanno fatto approvare un emendamento che stanzia 1 milione di euro per “il coordinamento delle opere e degli interventi necessari” allo svolgimento del Giubileo del 2025. Poi, dopo il finanziamento di 180 milioni (previsto nel decreto Calabria) per coprire il debito sanitario regionale, il forzista Roberto Occhiuto ottiene per la sua Calabria e per tutte le Regioni che hanno un debito sanitario insostenibile, di poterlo diluire in 30 anni grazie all’anticipazione di liquidità della Cassa depositi e prestiti. Chissà se con questa mossa Fdi e Lega si convinceranno a dare l’ok al suo nome come candidato del centrodestra per il post Santelli. A Brescia, invece, l’ex consigliera comunale Simona Bordonali (Lega), insieme a un altro drappello di deputati concittadini, hanno ottenuto 10 milioni di euro per la linea M1 della metropolitana. Mentre l’ex sindaco di Leonessa (Rieti), il meloniano Paolo Trancassini, strappa 2 milioni per mettere in sicurezza la Via Salaria che da Roma porta a… Rieti. Casa sua.

Sport. Il Pd Ubaldo Pagano ha voluto stanziare 1,5 milioni di euro nei prossimi due anni da destinare al Comitato organizzatore dei XX Giochi del Mediterraneo di Taranto per “implementare la attività di pianificazione e organizzazione”. Ai leghisti non bastava il miliardo e rotto arrivato nelle casse di Lombardia e Veneto per le Olimpiadi di Cortina-Milano 2026: la deputata Silvana Andreina Comaroli ha ottenuto altri 145 milioni nei prossimi tre anni per gli impianti sportivi.

Il Carroccio tifa Lombardo: il patto di Salvini per la Sicilia

Fidanzamento doveva essere e fidanzamento è stato. A cambiare è però la dolce metà con cui la Lega ha deciso di federarsi in Sicilia in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. Tramontato dopo mesi di tira e molla il progetto con Diventerà Bellissima, movimento del presidente della Regione, Nello Musumeci, i luogotenenti di Matteo Salvini hanno optato per un ritorno di fiamma con gli autonomisti di Raffaele Lombardo. L’ex governatore, ancora sotto processo per concorso esterno alla mafia e voto di scambio (il processo si sta discutendo in Appello dopo che la Cassazione ha annullato con rinvio), da alcuni anni ha abbandonato i riflettori della politica. Non sembra un vero addio, almeno a guardare quanti tra i suoi fedelissimi occupano ancora poltrone, anche in giunta regionale.

L’ufficialità del fidanzamento Lega-Mpa è arrivato nei giorni scorsi attraverso l’immancabile foto pubblicata su Facebook. Da un lato Roberto Di Mauro, deputato regionale e vicepresidente Ars, e dall’altro Salvini, Stefano Candiani, commissario Lega nell’Isola prossimo alla sostituzione, e Nino Minardo, parlamentare appartenente a una famiglia di petrolieri della provincia di Ragusa. Lo stesso che si è occupato per il Carroccio, nei mesi scorsi, della creazione del gruppo di deputati all’Ars. Nelle prossime settimane, come ha annunciato lo stesso Salvini nella conferenza stampa al termine del processo Gregoretti, potrebbero esserci altri nuovi arrivi tra i leghisti di Sicilia. Tra Lega e i meridionalissimi autonomisti, tuttavia, l’amore era scoppiato già 14 anni fa, nel 2006, ma al posto di Salvini al tavolo di Lombardo si andarono a sedere Umberto Bossi e Roberto Calderoli. Il rapporto tra i due partiti all’interno della Casa delle Libertà però non fu solo politico, ma anche economico. Tra il 2006 e il 2010 nelle casse degli autonomisti arrivarono infatti 1,4 milioni di euro di finanziamenti dalla Lega.

“Appendino sapeva di violare le regole” Per il gip lo provano i suoi rivali di Pd e Lega

Non era un errore, gli imputati, compresa la Appendino, sapevano “di violare le regole contabili”. E la prova della malafede della sindaca di Torino sta proprio nelle denunce che hanno dato il via all’indagine e che furono depositate dal capogruppo del Pd Stefano Lo Russo e poi dal leghista Alberto Morano. Di certo non soggetti disinteressati. Tuttavia ci sono anche le loro affermazioni tra gli elementi che hanno portato alla condanna per falso ideologico per la sindaca Chiara Appendino e per l’assessore al Bilancio Sergio Rolando (sei mesi di reclusione) e per l’ex capo di gabinetto Paolo Giordana (otto mesi). Due giorni fa sono state depositate le motivazioni della sentenza, dalle quali emergono però anche le colpe dell’amministrazione precedente. La vicenda è legata a un debito di 5 milioni di euro della città verso Ream, società di gestione del risparmio creata da alcune fondazioni bancarie piemontesi. Tra il 2011 e il 2012, il Comune, guidato prima da Sergio Chiamparino e poi da Piero Fassino, raccoglie manifestazioni di interesse per un’area chiamata ex Westinghouse. La Fondazione Crt vuole avviare dei progetti e designa Ream che a fine 2012 versa al Comune la caparra da 5 milioni, “assolutamente necessari” – scrive il giudice – alle casse cittadine, in grossa crisi. Secondo il gup, il pagamento della caparra era “un’anomalia”, l’operazione “mascherava un finanziamento al Comune di Torino”, un “finanziamento occulto” possibile perché Ream era “sufficientemente ‘sensibile’ alle urgenti necessità finanziarie dell’amministrazione”. Torino avrebbe dovuto restituire il debito nel 2014, ma non accantona niente e anzi il debito scompare dalla scritture contabili. Nell’estate 2016, Appendino viene eletta sindaca. A novembre la sua giunta aggiudica l’area a un’altra società e deve ridare la caparra, ma Giordana scrive alla dirigente Anna Tornoni che il pagamento non va registrato nel bilancio preventivo 2016 per le trattative in corso con Ream. Intanto arrivano le denunce dei rivali di Pd e Lega. La Appendino ha sempre sostenuto che l’operazione fosse lecita, come sancito anche dalla Corte dei conti. Tuttavia per il giudice, gli imputati “avevano conoscenze e competenze tecniche per comprendere perfettamente che non potevano rinviare l’iscrizione a bilancio di un debito ormai scaduto”, soprattutto Appendino (per il giudice la laurea in economia è sufficiente a provarlo). Certo, scrive, “l’inesperienza di Appendino, che era all’inizio del proprio mandato, aveva fatto sì che lei si appoggiasse incondizionatamente al capo di gabinetto” Giordana, “ispiratore e promotore” dell’operazione, uno che esercitava “funzioni e ruoli di gestione che non gli spettavano”. La sindaca ha presentato ricorso.

Senato, sulla manovra c’è il “partito” del premier

“Spero che nasca presto un gruppo di centro…”. In sostegno di Giuseppe Conte? “Per adesso dico solo di centro, ma vorrei vedere quelli che criticano il premier cosa avrebbero fatto al suo posto”. Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella che da agosto è passata da Forza Italia al Misto, ormai è considerata una senatrice della maggioranza a tutti gli effetti: nelle ultime votazioni – dai due scostamenti di Bilancio alla riforma del Mes – ha sempre votato con i giallorosa.

E adesso che la maggioranza è in preda alle fibrillazioni e il premier è assediato dai renziani, tra i corridoi del Senato si fanno più fitte le voci di un gruppo di “responsabili” pronti a sostenere il governo nel caso in cui la situazione dovesse precipitare. Se ne riparlerà ad anno nuovo, quando in Parlamento arriverà il dossier Recovery, il “Ristori 5” e poi la legge elettorale. Non è escluso che alla Camera (qui non c’è un numero minimo di deputati), con un gruppo guidato da Bruno Tabacci e dall’ex grillino Lorenzo Fioramonti, e al Senato con una pattuglia parlamentare autonoma possa nascere la “cosa” contiana. “Ne ho parlato con diversi colleghi e l’esigenza c’è – continua la senatrice Lonardo – ma non siamo ancora ai fatti”. Diverso il discorso se la crisi dovesse precipitare con il rischio di elezioni: molti senatori sanno che non sarebbero rieletti, alla luce del taglio dei parlamentari. “Che facciamo, andiamo al voto in questo momento? – conclude lady Mastella – sarebbe da irresponsabili”. In questo gruppo di nuovi “responsabili”, oltre a 3-4 senatori del Misto (centristi ed ex grillini) potrebbero confluire anche i 3 dell’Udc di Paola Binetti e non è esclusa qualche fuoriuscita da FI, tra i delusi dell’appiattimento sulla linea sovranista di Matteo Salvini.

Il primo voto dove potrebbe arrivare il sostegno ai giallorosa sarà la manovra in aula il 28 dicembre: “Non c’è un preconcetto da parte mia – dice l’ex grillino Gregorio De Falco – vediamo cosa esce dalla Camera”. Ed è proprio sulla finanziaria che il governo ha deciso di assecondare molte richieste di Forza Italia, che da metà novembre ha iniziato un flirt con la maggioranza a partire dalla norma “salva-Mediaset”. Dopo aver portato gli altri partiti del centrodestra sul “Sì” allo scostamento di Bilancio, in manovra sono stati approvati moltissimi emendamenti di FI, il partito che ha ottenuto più risultati dell’opposizione: dai lavoratori autonomi alle scuole paritarie passando per turismo, automotive fino alle molte “mancette” sui territori. “Quando il Recovery arriverà alle Camere, facciamo gli irresponsabili e non lo votiamo?” conferma un big azzurro. “Il governo non ci piace, ma siamo disponibili ad aiutarlo” ha detto ieri l’ex Cavaliere al Messaggero. Idem la capogruppo alla Camera, Mariastella Gelmini: “Siamo alternativi a Conte ma, invece di fare polemiche, andiamo avanti con un approccio collaborativo con la maggioranza”.

Pd, la pandemia “uccide” la crisi: avanti i governisti

L’operazione a tenaglia del Pd di governo, da una parte su Giuseppe Conte, dall’altra su Matteo Renzi e su quei dem che vorrebbero un sostanzioso rimpasto, anzi un Conte ter, sembra, almeno per ora, risultare vincente. Complice la variante inglese del Covid-19 che evoca come in una sorta di flashback i giorni di marzo quando la crisi di governo sembrava dietro l’angolo e invece fu spazzata via dall’emergenza. Domenica lo hanno detto sia il ministro degli Affari europei, Enzo Amendola, sia quello dell’Economia, Roberto Gualtieri, sia pure con parole diverse: il vero pericolo è il ritardo per la presentazione del Recovery Plan, con tutte le conseguenze del caso sull’erogazione dei fondi europei. Tanto è vero che i due rispettivi ministeri hanno lavorato per un’elaborazione maggiore del piano (due settimane fa sono usciti sostanzialmente solo i capitoli di spesa) con i progetti. Parte della strategia per disinnescare Matteo Renzi, partendo dai contenuti. E non è un caso che Amendola e Gualtieri stiano ricevendo le delegazioni dei partiti, insieme a Conte. Con loro, Dario Franceschini presiede alla cabina di regia politica del Pd: minacciare il voto in caso di caduta del governo, promettere di estromettere Iv da qualsiasi alleanza elettorale futura. Tutti modi per cercare di mettere alle strette Renzi. E di chiarire, una volta per tutte, che a questo punto lui gioca su un unico tavolo.

Il resto del Pd più o meno si adegua. Anche se le parole consegnate dal capo delegazione al Corriere della Sera, a molti non sono piaciute. Nicola Zingaretti, ieri su Repubblica, è tornato a parlare in appoggio alla linea governista. Inizialmente, lui e Goffredo Bettini avevano mandato avanti Renzi. Che però a un certo punto è sfuggito di mano. Restano le variabili – anche quelle personali – e il modo in cui finirà questa partita. Conte ha indicato un passaggio parlamentare per affrontare un’eventuale crisi. Il segretario del Pd ieri non ha partecipato alla delegazione ricevuta a Palazzo Chigi, come gli altri leader politici. D’altronde a questo punto appare definitivamente tramontato un suo eventuale ingresso al governo.

Anche perché aumentano gli spifferi che lo vogliono candidato sindaco di Roma. Anche se contro Virginia Raggi, viste le alchimie politiche cui si lavora al Nazareno, non è una situazione facilissima. A Palazzo Chigi sono andati, invece, i due criticissimi capigruppo di Camera e Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, insieme al vicesegretario Andrea Orlando e alla portavoce delle donne dem, Cecilia D’Elia. “Velocizzare” il messaggio recapitato ancora una volta con forza al premier. Con un accento sul Mes, il dossier Autostrade e la delega ai servizi segreti. Ma l’incontro è stato piuttosto generico, come racconta chi c’era. Anche perché il documento con le modifiche delle cifre del Recovery Plan è arrivato ai componenti della delegazione solo alle 18.

I vari temi sul tavolo si incrociano con gli assetti di governo. Perché l’ipotesi di un esecutivo più politico resta. Nel Pd, il designato ad entrare per questo obiettivo, è proprio Orlando (vicino a Bettini quasi quanto il segretario). Anzi, c’è chi lo vede come il candidato ideale a quella delega sui servizi, che Conte non vuole cedere e il Nazareno non vuole lasciargli. D’altra parte, il vicesegretario arriva dal ministero della Giustizia e sono mesi che studia i dossier di politica estera. Competenze che aiutano per i rapporti con l’intelligence.

Il braccio di ferro, dunque, per quanto sotterraneo va avanti. Anche se i dem sono consapevoli che la palla sta soprattutto nelle mani di Conte e in quelle di Renzi. Sulla struttura di governance del Next generation Eu hanno approvato i rilievi fatti dall’ex premier e l’ala più governista è persino pronta a riconoscergli i meriti dei passi indietro fatti da Conte. Così come si cerca di dargli un ruolo nella task force che sarà e di trovargli un posto nel governo. Lui vorrebbe la Farnesina (ma Conte alla sola idea rabbrividisce), potrebbero cercare di indirizzarlo verso le Infrastrutture, con la promessa di una mano per il posto da segretario della Nato al quale aspira (e che si libera nel 2022). Tutto questo per evitare uno showdown che rischierebbe non tanto di portare il Paese al voto, ma di consegnarlo direttamente a un governo tecnico, nel quale i big del Pd smetterebbero di essere ministri.

Conte aspetta Renzi e non teme le urne: il suo “nome” vale il 15%

Chi lo sente regolarmente giura che il presidente sotto assedio sia “tranquillo, anche perché lui un altro lavoro ce l’ha”. Ma l’avvocato che fa il premier a Palazzo Chigi vuole trattenersi. O almeno cadere in piedi, se vorranno tirarlo giù. Così Giuseppe Conte riunisce i partiti per fare il punto sul Recovery Fund, cominciando ieri con M5S e Pd per continuare stamattina con Italia Viva, la spina quotidiana che ha nel fianco. Ma in testa ha già la sfida, in Parlamento. Perché è da lì che dovrà passare il Recovery, “un progetto nazionale, quindi che va approvato dalle Camere” come scandisce in mattinata il premier. Ergo, è in Parlamento che Conte attende l’avversario, Matteo Renzi.

“Un uomo imprevedibile” come lo definiscono dalle parti di Palazzo Chigi. Di cui Conte è pronto a testare il coraggio, o a vedere il bluff. Perché quello sul Recovery sarà per forza di cose anche un voto sul governo e su Conte. Ma non solo. “Se Renzi vuole la crisi prima – è il ragionamento che fa il premier nei colloqui privati – allora dovrà sfiduciarmi in Parlamento, di fronte a tutti”. Senza continuare con giochi tattici: utili al capo di Iv, ma anche ai diversi giallorosa che l’hanno lasciato mordere, sollevati di avere qualcuno che facesse il lavoro sporco al posto loro. Ma Conte assicura di non aver paura del burrone. E di essere pronto anche al voto anticipato, proprio quello evocato ieri dai dem Nicola Zingaretti e Dario Franceschini, nel segno di un’alleanza tra Pd e M5S e con l’avvocato come figura chiave, di nuovo designato come premier.

A Chigi avrebbero sondaggi che sorridono a Conte. “In caso di voto, potrebbe spostare il 15 per cento, forse di più” sussurra un grillino. Magari con una sua lista collegata ai partiti, come auspica il Pd. O più probabilmente come figura apicale dei 5Stelle come forse preferirebbe lui stesso. Stime e strategie, tutte da verificare. Anche perché in tempi di pandemia alle urne anticipate non credono in tanti. Di sicuro non Renzi, che ieri mattina ha diffuso un video di un minuto per reclamare di nuovo il ricorso al Mes, “e se insiste su quello vuol dire che cerca davvero un motivo per la rottura” come riassume una fonte di governo. Il Movimento non potrà mai accettare il fondo salva Stati. E Lega e Fratelli d’Italia restano contrarissimi. Ergo, “i numeri per approvarlo in Parlamento non ci sono” come ha ripetuto in varie riflessioni private lo stesso Conte. Eppure Renzi batte e ribatte su quello. Anche se a Rai News 24 il presidente di Iv, Ettore Rosato, scala la marcia: “Domenica sera qualcosa è cambiato, Conte ha convocato una serie di riunioni che sono cominciate oggi. Mi sembra un fatto positivo, nuovo”. Parole che si diffondono sugli smartphone dei 5Stelle di governo durante la riunione con Conte, e che colpiscono i grillini.

Ma a Chigi restano freddi, mentre i grillini si irritano al tavolo con Conte. “Nelle carte c’erano cose aggiunte dai tecnici dei ministeri di cui non sapevamo nulla” spiega uno dei presenti. Ed è un segno dell’aria che tira, densa di sospetti verso la “macchina”. Ma c’è anche altro. Ossia una certa insoddisfazione per la ripartizione delle risorse. “Con questa divisione dei soldi i nostri ministri escono penalizzati” sibila un grillino di peso. Tanto che i 5Stelle al tavolo contestano le cifre, soprattutto sul green new deal, cioè di fatto sull’ambiente, e sul lavoro. “Così Conte rischia di schiacciarsi sul Pd” è il cattivo pensiero. Così i 5Stelle restano a ragionare di numeri con i ministri dem Gualtieri e Amendola, mentre Conte corre al Quirinale per il rituale scambio di auguri con le alte cariche dello Stato. Mentre il capodelegazione del M5S, Alfonso Bonafede, fa sapere: “Abbiamo chiesto che venga costituito un gruppo che lavori al Recovery plan in vista del Consiglio dei ministri”. Una squadra in cui per i 5Stelle potrebbero entrare la viceministra all’Economia Laura Castelli e la sottosegretaria agli Affari Ue, Laura Agea. Conte apre all’idea, e in serata promette: “Sulla task force ci sarà una riflessione ampia e condivisa”.

Soprattutto, incontrando il Pd precisa: “Dobbiamo approfittare di queste vacanze per cercare di fare tutte le interlocuzioni e arrivare in Cdm prima della fine dell’anno, tra il 26 e il 31 dicembre”. Perché ha fretta, di chiudere la partita Recovery. E di chiamare allo scoperto i nemici. In Parlamento.