Chissà se Aristóteles Sandoval Díaz colpito venerdì sera da vari proiettili alla schiena dentro la toilette del ristorante Distrito 5, a Puerto Vallarta, Jalisco, Messico, durante la pausa di una cena con due uomini e una donna, ha ripensato a quella risposta data tempo prima a una giornalista che gli chiedeva se fosse in pace con se stesso. “Dormo tranquillo perché per tutta la mia carriera ho fatto ciò che era nelle mie capacità, in maniera chiara. Ora poter uscire, mangiare dei tacos, andare al mercato, sedermi al ristorante con la gente che mi saluta, mi guarda con gratitudine è motivo per me di soddisfazione”. Sandoval, ex governatore un po’ naif dello Stato di Jalisco, 46 anni, 4 figli, quasi nonno, da due senza incarichi, da luglio fuori anche dal dipartimento di Innovazione e partecipazione digitale della direzione nazionale del Partito rivoluzionario istituzionale perché critico con i compagni “sempre uguali a se stessi” è morto sul colpo. Nessuna gratitudine gli è stata riservata in un’imboscata andata a segno nonostante i 15 uomini di scorta fornitigli per via delle minacce del cartello della droga Jalisco Nueva Generacion, sostituto di quello di Sinaloa sopraffatto dall’arresto di Joaquin “El Chapo” Guzman. Sandoval era sostenitore della campagna per la legalizzazione della droga: “Con la legalizzazione risparmieremo milioni in pistole e in forze dell’ordine per poter investire in salute, prevenzione e assistenza. Gli unici che ci guadagnano sono i narcotrafficanti, neanche più i produttori”. Così come del matrimonio tra persone dello stesso sesso, Sandoval non si era fatto amici neanche all’interno del Pri. Ad agosto era ricomparso in pubblico con un nuovo look: barba hipster, capelli lunghi, nuovo volto sui social network, giurando di non essere interessato a una candidatura, anzi, “il Pri per il 2021 punta su giovani e donne”. Ma poi il Pri lo aveva deluso. Così dal palco di un tendone, davanti a 300 cittadini di Jalisco, il 3 dicembre aveva lanciato la corrente “Identità pensiamo al futuro”. “Il Pri non è un partito corrotto, ma è stato danneggiato dai militanti che hanno commesso abusi. È arrivato il momento di recuperare la fiducia degli elettori con un Pri aperto, democratico, inclusivo. L’alternativa è che non esisterà più. Chi non è d’accordo – aveva concluso – se ne vada o mi cacci”. Un discorso non meno duro di quello che – da governatore di uno degli Stati che con 1.455 omicidi solo nel 2019 è tra i più violenti del Messico – aveva rivolto ai narcos: “A quelli che hanno pensato che il crimine organizzato è la porta più facile per affermarsi, dico che finiranno molto male”. Eppure, durante il suo governo, la violenza si è estesa in tutto lo Stato e il cartello Jng, ora sospetto mandante del suo omicidio, si è consolidato. “Una reazione alla mia politica“, diceva Sandoval, così come lo era stato, secondo la sua lettura, l’omicidio del segretario del lavoro, Luis Carlos Nájera. Ora è arrivata la vendetta, da quale parte ancora non è chiaro.
Dem, il fattore asiatico per vincere in Georgia
Confidando nell’“arma segreta” del voto asiatico, il presidente eletto Joe Biden e il Partito Democratico puntano a conquistare la maggioranza in Senato vincendo i ballottaggi del 5 gennaio in Georgia. Nello Stato costantemente repubblicano dal 1996, si sono contati il 3 novembre, nell’Election Day, circa 70 mila votanti asiatici in più che nel 2016 (e 30 mila di essi hanno votato per la prima volta). Poiché gli asiatici hanno preferito Biden a Donald Trump con un rapporto di 2 a 1, il loro contributo è stato decisivo, nonostante in Georgia gli asiatici siano relativamente pochi, rispetto a quanti vivono in California o a New York: a spoglio finito, c’erano 11 mila suffragi di differenza tra Biden e Trump, che senza il voto asiatico avrebbe vinto. Gli asiatici potrebbero dunque risultare determinanti pure per Jon Ossoff e Raphael Warnock, i due candidati democratici al Senato, che sfidano i senatori uscenti David Perdue e Kelly Loeffler. Perdue è a fine mandato; la Loeffler fu designata a giugno dal discusso governatore repubblicano Brian Kemp per rimpiazzare temporaneamente il senatore Jonny Isakson, dimissionario per ragioni di salute. La popolarità di Kemp è nel frattempo precipitata, anche per le polemiche dalla foto d’un ragazzino bardato da membro del KuKluxKlan (e che è poi risultato non essere il governatore)
Le operazioni di voto in Georgia – per posta e con l’early voting ai seggi – sono già in corso. Difficile condurre una campagna mirata sull’elettorato asiatico, che è molto frammentato in gruppi non sempre ben assortiti fra di loro. Ma i democratici possono contare sulle capacità organizzative di Stacey Abrams, un’attivista nera nel solco di Martin Luther King, che era di Atlanta. In settimana, dopo il voto del collegio elettorale che lo ha ufficializzato presidente eletto, Biden è volato ad Atlanta, in Georgia, per appoggiare Ossoff e Warnock, un reverendo battista in vantaggio sulla Loeffler al primo turno. I ballottaggi in Georgia, la cui legge elettorale prevede che si sia eletti senatori al primo turno soltanto superando la soglia del 50%, sono determinanti anche per il futuro dell’Amministrazione: se il Senato continuerà a essere controllato dai Repubblicani, il presidente avrà più difficoltà a realizzare la propria agenda e a fare confermare i suoi ministri; se i democratici invece controlleranno il Senato, Biden potrà procedere più speditamente.
Dei 98 senatori già sicuri del proprio seggio, 50 sono Repubblicani e 48 Democratici: i Democratici devono dunque vincere entrambi i ballottaggi per andare in parità, potendo poi contare sul suffragio del presidente del Senato, la vicepresidente Kamala Harris. Ma c’è pure chi pensa che Biden preferisca barcamenarsi con un Congresso mezzo democratico e mezzo repubblicano, che gli imporrebbe esercizi di compromesso e gli consentirebbe di rivitalizzare lo spirito bipartisan soffocato dal ‘trumpismo’. Se i democratici controllassero Camera e Senato, invece, la sinistra del partito gli chiederebbe scelte radicali in economia e nel sociale, che non sono nelle sue corde.
Biden, comunque, è andato a fare campagna per Ossoff e Warnock, come Trump aveva fatto comizi per Purdue e la Loeffler, non molto entusiasti del sostegno d’un perdente rancoroso. I dati che vengono dal voto anticipato paiono incoraggianti per i democratici, che qui non avevano vinto neppure con Barack Obama. Il ‘risveglio’ politico degli asiatico-americani potrebbe aver cambiato la collocazione della Georgia sulla carta politica degli Stati Uniti, anche se il loro potrebbe essere stato un voto ‘anti-Trump’ più che ‘pro Biden’. Al comizio di Biden ad Atlanta c’era pure Cedric Richmond, deputato e consigliere di Biden, e futuro direttore dell’Office of Public Engagement, che è poi risultato positivo al coronavirus. Richmond non sarebbe stato in contatto con Biden né con i due candidati.
La giravolta di Pompeo sui pirati del web targati Mosca
Da “pompiere” del Russiagate a incendiario degli attacchi informatici che nelle ultime settimane hanno colpito le agenzie del governo americano, compresa quella per l’energia nucleare e diverse imprese private. “È abbastanza chiaro che dietro ci sia la Russia”, ha dichiarato ieri il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, primo tra i funzionari americani a sbottonarsi sul caso. Proprio lui che per anni ha tenuto bordone al presidente uscente Donald Trump impegnato a dimostrare che le intromissioni russe nelle email della rivale Hillary Clinton durante la campagna per le Presidenziali Usa 2016 vinte da lui, fossero solo fake news. “C’è stato uno sforzo significativo per utilizzare un software di terze parti per entrare essenzialmente all’interno dei sistemi del governo degli Stati Uniti”, ha detto ieri Pompeo al The Mark Levin Show. “Si tratta di uno sforzo molto significativo e penso che si possa dire abbastanza chiaramente che siano stati i russi a impegnarsi in questa attività”, ha aggiunto Pompeo, che tra un mese lascerà il mandato ad Anthony Blinken, il ministro degli Esteri di Joe Biden. Pompeo, che all’epoca del Russiagate era a capo della Cia, avocò a sé i rapporti del Counter intelligence Mission Center dell’agenzia, un dipartimento che affiancava l’Fbi proprio nelle indagini riguardanti i possibili legami della campagna di Trump con Mosca, pur di tenere sotto controllo l’inchiesta. Ieri, invece, come se nulla fosse, nell’intervista a Levin, ha detto che la Russia era già nella lista di “coloro che vogliono minare il nostro modo di vivere, la nostra Repubblica, i nostri principi democratici di base… Vedete le notizie del giorno riguardo ai loro sforzi nel cyberspazio. Lo abbiamo visto per un tempo terribilmente lungo, utilizzando capacità asimmetriche per cercare di intromettersi in situazioni in cui possono fare danni agli Stati Uniti”. Ma pare che il suo dietrofront sia fuori tempo massimo persino per il “suo” presidente. “Il cyber-attacco è molto più grande sui Fake News Media che nella realtà”. ha minimizzato ieri Trump dopo un lungo silenzio sull’argomento: “Sono stato informato a pieno e tutto è sotto controllo”, ha assicurato il capo di Stato, che però poi è tornato ad attaccare i media e il loro “ritornello Russia, Russia, quando succede qualsiasi cosa perché, soprattutto per ragioni finanziarie, sono terrorizzati dal discutere la possibilità che sia la Cina”.
Russia, il racket del legno. Pudovkin, zar dei boschi
L’Estremo Oriente russo è molto vicino all’Europa. Anzi, è nel cuore profondo dell’Unione: è nelle sue librerie di betulla intarsiata, nelle dozzinali sedie di acero delle sue cucine, nel timo robusto dei tavoli dove le famiglie si riuniscono per la cena ogni sera. Oltre centomila tonnellate di legno illegalmente tagliato, prodotto e commercializzato, sono state importate in Europa dalla foresta boreale russa, che, dall’infinito spazio bianco della Siberia, si estende dall’Alaska alla Scandinavia. I carichi di tronchi incriminati sono finiti, indirettamente, anche sugli scaffali delle grandi catene dei giganti europei del settore: Leroy Merlin, Castorama e Mr. Bricolage.
“Nella regione di Khabarovsk i soldi crescono sugli alberi”. È il titolo del primo paragrafo del lungo dossier che l’ong Earthsight ha dedicato al “Re della taiga”, lo zar dei boschi siberiani, ex gestore e proprietario unico di 29mila chilometri quadrati di foresta, un’area vasta quanto il Belgio. La parabola di Aleksandr Pudovkin comincia da imprenditore, continua da magnate immortalato al Forum economico d’Oriente organizzato dal Cremlino e finisce da criminale nel 2019, quando l’Fsb, servizio di sicurezza russo, lo ammanetta dopo aver scoperto la rete corruttiva che ha gestito per più di un decennio. A suon di mazzette concesse in cambio di permessi e timbri falsi, il fondatore della società Asia Les – che vuol dire “bosco asiatico” –, ha tagliato 600mila metri cubi di legno di aree protette. Nel 2019 la prokuraturadi Khabarovsk lo ha messo in carcere per corruzione, ma non ha fermato il gigante del legno, il Bm Group, di cui Asia Les faceva parte e di cui la moglie di Pudovkin, Natalia, è stata uno dei direttori prima di essere eletta al Parlamento regionale.
Per gli investigatori russi però c’erano nomi più importanti dello zar dei tronchi nella lista dei rei: il vice governatore Vasily Shikhalev, responsabile della supervisione dell’industria del territorio, che ha chiuso prima un occhio, poi l’altro, per stringere tra le dita un miliardo di rubli in bustarelle; incagliato nelle maglie dello schema criminale è rimasto anche Serghey Furgal, ex governatore della regione di Khabarovsk, al confine con quella Cina, facilmente raggiungibile dai camion del tycoon delle betulle.
L’ambiente come questione di Stato nella Federazione, che rimane una delle più grandi produttrici di legno al mondo ed arriva troppo tardi per fermare la distruzione dell’ecosistema e del permafrost della taiga russa. Tagliare alcuni alberi rende anche gli altri già cenere: è ormai accreditata la teoria di alcuni studi che accertano che tra le cause degli incendi che devastano ogni estate la Siberia – gli ultimi fuochi del 2019 hanno spinto Putin a dichiarare lo stato d’emergenza nel Paese – ci sia il disboscamento illegale e selvaggio per ricavare tronchi da commerciare al mercato nero del legno. Nonostante gli inquirenti russi abbiano fermato lo zar del legno nel 2019, le compagnie europee, soprattutto quelle di Germania, Francia, Belgio ed Estonia, hanno continuato ad ammassare pezzi di timo nei loro depositi, senza interrompere il flusso di acquisti che, dal gennaio 2015 ad aprile 2020, ha raggiunto la cifra complessiva di 190 milioni di euro. Dopo lo scandalo anzi alcune aziende hanno aumentato il volume degli ordini, “favorendo l’abbattimento e distruzione della preziosa foresta”, ha accusato Sam Lawson, direttore di Earthsight. Il valore finale stimato del legno siberiano, dopo la lavorazione e raffinazione, è di quasi 900 milioni.
Cargo carichi di legno sono partiti per anni dal porto di San Pietroburgo per raggiungere quello di Kiel nel Baltico, soglia di diramazione per le destinazioni finali tra cui figura anche l’Italia. Oltre oceano invece c’erano Australia, Nuova Zelanda, Sud America. Non hanno fermato la fruttuosa rotta dei tronchi le aziende della Gran Bretagna, terzo consumatore di legno russo in Europa, ma soprattutto non lo hanno fatto quelle tedesche. In Germania hanno sede cinque delle nove aziende che hanno continuato a usare il legno illegale, come la Jacob Jurgensen, più grande importatrice di betulla siberiana nell’Unione, e la Ost West Holzhandels. In Estonia la Wellmax Baltic, in Francia la Isb, già nota per le denunce di Greenpeace per la violazione di aree protette, in Svezia la Fredricson Tra. L’unica ad aver ammesso l’errore è stata la tedesca Weissenbach.
“Sul Covid bene la scienza, meno i suoi divulgatori tv”
“Sogno di diventare inutile”. Antonella Viola, l’immunologa più corteggiata dai media durante la seconda ondata dell’epidemia, parla di scienza, di torte e proteine con la rara capacità di far appassionare l’interlocutore a qualsiasi cosa dica, perfino alla sua infallibile tecnica per prelevare il sangue ai pescigatto.
E perché sogni di diventare inutile lo spiegherà alla fine di una lunga intervista in cui i racconti sull’infanzia sono già un chiaro indizio.
Cosa si faceva regalare da bambina?
Microscopi e telescopi, mi affascinavano l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. Una volta mia mamma mi ha regalato una bambola che camminava, io dopo dieci minuti l’avevo già smontata perché dovevo capire come funzionava.
La famiglia l’aveva spinta nella direzione della scienza?
No, sono stata spinta a leggere e a chiedermi il perché delle cose. A coltivare altre passioni. Io suono la chitarra, amo la letteratura, scrivo poesie.
Che poesie?
Sappia che non le leggerà mai nessuno!
Dove è cresciuta?
A Taranto, poi dopo il diploma scientifico sono andata a Padova.
Per amore, confessi.
Va bene, se proprio dobbiamo raccontarla tutta, a 20 anni mi sono sposata.
Con chi?
Con il mio professore di Filosofia del liceo conosciuto quando avevo 18 anni, aveva undici anni più di me. Mi sono trasferita con lui a Padova perché aveva vinto un concorso lì.
E poi?
L’ho lasciato dopo due anni, per poi conoscere mio marito quando ormai avevo finito il dottorato.
Mi racconta della sua tesi?
Sì, era sugli effetti dei metalli pesanti sul sistema immunitario del pescegatto. Andavo a pescare i pesci nelle vasche con gli stivaloni e poi li addormentavo in istituto per prelevare il sangue.
Come si preleva il sangue a un pescegatto?
Mi ero fatta arrivare un libro dall’America che si chiamava Anatomia del pescegatto. Inserivo la siringa sotto la caudale, poi lo rimettevo in acqua.
Lei poi va a Basilea, al Basel Institute of Immunology.
Ero il membro più giovane, 25 anni. Ero ingenua, parlavo un inglese stentato, ma nel giro di pochi mesi ho pubblicato il mio primo lavoro su Science.
Guadagnava già bene?
Durante il dottorato 720 mila lire al mese, faticavo ad arrivare a fine mese. Quando mi è arrivato il contratto da Basilea erano 5.000 franchi svizzeri al mese, lì ho capito che la ricerca fuori dall’Italia era pagata molto bene.
Sarà stata corteggiatissima in Svizzera.
Sì, attaccavano bottone, mi dicevano “Maria Grazia Cucinotta”, era un ambiente molto maschilista. Ma ero andata con Marco, il mio attuale marito.
L’ha seguita?
Ci eravamo conosciuti a Padova pochi mesi prima della mia partenza. Lui mi ha detto “sei la mia priorità e io ti seguirò”. Poi ha trovato lavoro in Svizzera, sono stati anni bellissimi.
Un buon marito.
Be’, si sbaglia una volta nella vita, nella seconda è l’uomo che mi ha seguita! Per noi non esiste un ruolo, chi ha tempo fa. Con la pandemia io lavoro 20 ore al giorno, fa tutto lui, cucina, fa la lavatrice.
Lei ha raccontato di essere stata molestata da un superiore sul lavoro.
È stato un periodo terribile, tra rabbia e paura. Mi è capitato quando avevo già una posizione e ho reagito, ma ho visto molte carriere stroncate da queste molestie.
Il suo primo figlio nasce a Roma, dove si era trasferita.
Stavo mettendo su un laboratorio, mio marito aveva trovato lavoro a Genova, io mi sono ritrovata sola. Allattavo e davo da bere “adrenalina” a mio figlio, infatti non dormiva mai la notte! Ho pensato di smettere. Ero frustrata come madre e come scienziata.
Dopo meno di due anni però ha fatto un altro figlio.
Mi sono trasferita a Padova, dove ho diretto un laboratorio di immunologia. Lì c’erano i miei suoceri, anche i miei sono venuti a vivere vicino a me, mi hanno aiutato con i figli.
Quello è un periodo in cui vince molti premi, poi va all’Humanitas a Milano.
Sì, per andare nella città in cui lavora mio marito, ma mi succede che un articolo per cui avevo lavorato tantissimo e che era arrivato alla seconda revisione su Nature venga rigettato. Lì mi sono detta “Sto sprecando la mia vita”.
E se ne è andata di nuovo.
A Fiume, dove avevano trasferito mio marito. Lì fino al 2010 ho fatto la mamma, sono stati i due anni più belli della mia vita, quelli in cui ho imparato a fare la pasticcera, in una casa vista mare.
Non le mancava la scienza?
Stavo bene, ma mi sono detta “faccio scegliere al destino” e ho scritto un progetto per l’Erc, il Consiglio Europeo della Ricerca.
Scritto tra una torta e l’altra.
Sì. Mi hanno dato 2 milioni e mezzo per la ricerca e sono tornata a Padova, ho capito che il mio destino non era fare solo la mamma.
Diventa, tra le altre cose, direttrice scientifica al’Istituto di Ricerca Pediatrica. Poi arriva la pandemia. Un evento inatteso.
Non per chi fa il mio lavoro. Nel 2050 si pensa che la prima causa di morte saranno le malattie infettive.
Andrea Crisanti non era convinto del fatto che potesse arrivare così presto un vaccino.
Ne ho discusso spesso con lui, non ero d’accordo.
Quindi vi siete confrontati.
Spesso. Siamo pure andati a cena insieme per parlare di quello che stavamo vivendo, anche mediaticamente.
Vi siete detti “Che casino!”?
Eccome. Abbiamo parlato di immunità, di test, ora ci confrontiamo meno.
Perché?
Alcune sue affermazioni non le ho condivise, uno scienziato non deve mettere in discussione la bontà del processo scientifico.
Si sente mai a disagio in tv?
Alle domande politiche preferirei non rispondere.
La Gruber non può non fargliele.
È stimolante perché lei mi chiama fuori dal mio ruolo, ma nel momento in cui esprimo opinioni personali, temo non si distingua più quando parlo di scienza e quando si sta parlando a titolo personale di cose tipo se Conte mi sia simpatico o no.
Cosa pensava quest’estate quando suoi colleghi parlavano di virus mutato?
Mi sono sempre chiesta se fossero convinti di quello che dicevano e quindi se dovessero tornare a studiare la virologia o se il tutto fosse strumentale a una narrazione. Forse è una via di mezzo. La scienza è uscita fortissima dall’epidemia, la comunicazione della scienza ne è uscita indebolita, alcuni colleghi fanno errori inaccettabili.
Cosa dicono marito e figli della sua notorietà?
Mio marito è un fan, mi segue, mi prepara la postazione per i collegamenti tv da casa. Ai figli non gliene può fregare di meno.
Cosa vogliono fare da grandi?
Uno studia Scienza dei materiali, l’altro vuole fare film d’animazione.
Uno razionale e uno sognatore.
Guardi che la scienza è anche sogno.
Lei cosa sogna?
Se uno lavora bene diventa inutile. Spero di diventare inutile come mamma e come scienziato, perché vuol dire che il mio istituto e i miei ragazzi saranno cresciuti.
Gag e scioglilingua: tra passato e presente il riso non cambia
Continuiamo la nostra passeggiata dilettevole in compagnia dei comici greci e latini.
LO STATUTO DEGLI ELEMENTI
Trasformare il disaccordo sui valori in disaccordo sui fatti. Nasica va a casa del poeta Ennio, ma la serva gli dice che il poeta non è in casa. Qualche giorno dopo, Ennio va a casa di Nasica, e questi gli urla di non essere in casa. Ennio esclama: “Come non sei in casa? Vuoi che non riconosca la tua voce?” E Nasica: “Sei uno sfacciato! Io credo alla tua serva, e tu non credi a me in persona?” (Quintiliano)
Preferire la presunzione ai fatti. ARTOTROGO: So cosa intendi. È andata proprio così. Mi ricordo bene. PIRGOPOLINICE: Cosa? ARTOTROGO: Qualunque cosa (Mil., 36).
METAPLASMI
SOSTITUZIONE Di più tratti distintivi. Per esempio, il pastiche di un dialetto, ovvero il grammelot, che dall’antichità arriva ai comici dell’arte, e da questi a Sid Caesar, Dario Fo e Gigi Proietti. Aristofane metteva in bocca a Pseudartabano, ministro persiano, un miscuglio di parole senza senso, ma dal suono persiano, per sfotterlo:
PSEUDARTABANO: I artàmane Xarxas apiàona satra! (Ak., 100)
Neologismo. La forza espressiva viene come amplificata dall’invenzione di parole nuove: basiator, masturbator e cacaturit sono perle di Marziale.
MERCURIO: Se mi fai perdere la pazienza, oggi qui scoppia un lombifragio (Amph., 454).
PIRGOPOLINICE: Il capo supremo si chiamava Bumbomachides Clutomestoridysarchides (Mil., 14-15).
Nel Persiano, Sagaristione risponde a Dordalo di chiamarsi Vaniloquidorus Virginisvendonides Nugiepiloquides, Argentumextenebronides, Tedigniloquides, Nugides, Palponides, Quosemelarripides Numquameripides (Per., 702-705).
Calembour. Quando dico “ficus”, tu ridi, Ceciliano, come fosse un barbarismo, e vuoi che si dica “ficos”. Chiameremo “ficus” i frutti della pianta che conosciamo; e “ficos” quelle che hai tu, Ceciliano (Epigr., I, 65).
Marziale sta giocando con le declinazioni: nella IV, ficus indica il frutto; nella II, le emorroidi.
Omonimia. Cicerone, contro Verre, disse “ius verrinum” per intendere sia “il diritto di Verre” che “il brodo di maiale”.
TRANIONE: Cosa? Non hai ombra (umbra)? Hai almeno un’umbra, una di Sarsina? (Most., 770), scrive Plauto che era di Sarsina, all’epoca una cittadina dell’Umbria.
Arcaismo. Quando Lisidamo nella Casina dice optumum e aequissumum, l’effetto comico è quello ottenuto da Age e Scarpelli con la parlata di Brancaleone: “Sparambia lo fiato, fratello: nulla mi tange, omai”.
Prestito (parole straniere). “Ei misero mihi / aurum mi intus harpagatum est”, esclama Euclione (Aul., 200-201): qualcuno ha sgraffignato la sua pentola piena d’oro. Harpagatum è un calco del greco harpazo, arpionare. È un “noio volevàn savuar” plautino.
Segmentazione alternativa. PRIMO SERVO: Devi inventare una fuga dal padrone. SECONDO SERVO: E allora di’ con me, sillabando: a-mo. PRIMO SERVO: A-mo. SECONDO SERVO: Adesso aggiungi Te-li. PRIMO SERVO: Te-li. SECONDO SERVO: Ottimo. Adesso, ritmicamente, come se ti stessi facendo una sega, prima a-mo, poi te-li. PRIMO SERVO: A-mo-te-li-amo-teli-amo, teliamo! (Ipp., 20-26).
Unione. Se tu, Emiliano, chiami il tuo cuoco Mistillo, perché io non dovrei chiamare il mio Taratalla? (Epigr., I, 50).
Questo gioco di parole rimanda a un celebre verso ripetuto spesso da Omero (Iliade, I, 465), mistillòn t’ara talla (tagliarono a pezzi le altre carni): la delizia dello scherzo di Marziale è nella sua assurdità. In un altro epigramma, Marziale scrive: “Per me non siete naviganti, ma Argonauti” (Epigr., III, 67, 10) intendendo, con ironia, argòi nautai (naviganti pigri). Quando invece evoca il nocchiero di Enea, Palinuro (“Hai orinato una volta mentre la barca correva, Paolino. Vuoi orinare una seconda volta? Sarai un Palinuro”) (Epigr., III, 78) vuole sfottere con un falso etimo (pálin oûron = pisciare di nuovo).
MERCURIO: Qui parla non so chi. SOSIA: Sono salvo, non mi vede; dice che parla Nonsochì (Amph., 331-332).
PERMUTAZIONE
Scioglilingua. Plauto ne usa a bizzeffe, e pieni di allitterazioni:
DI. Ego pol istum portitorem privabo portorio (Asin., 159)
STA. Nam ecastor malum maerore metuo ne mixtum bibam. (Aul., 279)
ME. Non hercle egoquidem usquam quicquam nuto neque nicto tibi. (Bacc., 613)
SIMIA Memorem inmemorem facit qui monet quod memor meminit. (Pseu , 939a-940).
Lo scioglilingua plautino “Non potuit paucis plura plane proloquei” (Men., 252) anticipa di due millenni quello reso celebre da Danny Kaye, “The pellet with the poisons in the vessel with the pestle”; e la famosa allitterazione di Ennio “O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti” lo scioglilingua, ripreso da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, “Tito, te tu t’ha’ ritinto il tetto, ma tu ‘n t’intendi tanto di tetti ritinti”.
METATASSI
AGGIUNZIONEPronome + superlativo. CARMIDE: Sono Carmide. SICOFANTE: Davvero sei lui? CARMIDE: Luissimo. (Tri., 988)
Plauto sta ricalcando Aristofane:
CREMILO: Tu, Pluto, ridotto così! Sei lui veramente? PLUTO: Sì. CREMILO: Lui in persona? PLUTO: Luissimo (Plou, 80-83).
SOSTITUZIONE
L’ambiguità rende equivoco il riferimento. A volte si usa l’omonimia, come fa Aristofane nelle Nuvole con daktylos, che è sia il dattilo della metrica sia il dito, in modo che Strepsiade possa mostrare il dito medio a Socrate. Spesso l’ambiguità è ottenuta attraverso un pronome, come nel dialogo fra Euclione e Liconide dove questi, usando illam, intende la figlia di Euclione che ha stuprato, mentre quello intende la pentola piena d’oro che gli è stata rubata.
Altre volte si sfrutta la divisione della frase: Un medico prescrive a un malato di mangiare dei bocconcini di pane con un passerotto. E quello: “Ma come faccio a entrare nella gabbia per mangiare i bocconcini col passerotto?” (Macone). Lo stesso farà Groucho Marx: One morning I shot an elephant in my pajamas. How he got in my pajamas I don’t know. (“Una volta ho sparato a un elefante in pigiama. Come ha fatto a infilarsi il mio pigiama non lo so”).
(35. Continua)
Juve, Suárez sentito dai pm: fece l’esame sapendo che non sarebbe stato ingaggiato
Ci sono due punti che la procura di Perugia vuole comprendere meglio: da un lato com’è iniziata l’avventura di Luis Suarez nell’università per stranieri di Perugia, e, dall’altro, come e perché sia tramontato il suo tesseramento con la Juve. Uno degli elementi chiave è stato confermato dallo stesso calciatore: fu informato, un paio di giorni prima del 17 settembre, giorno in cui sostenne l’esame d’italiano, che del suo contratto, per il quale era stato firmato un preliminare ad agosto, non se ne faceva più nulla. Perché? Eppure la tempistica della burocrazia avrebbe consentito di fargli ottenere la cittadinanza e il quindi il tesseramento come cittadino comunitario. L’uruguaiano attualmente in forza all’Atletico Madrid due giorni fa è stato ascoltato in videoconferenza come persona informata sui fatti, assistito da Ivan Zuara che oltre a essere avvocato è anche il suo manager ed era stato già ascoltato dalla Procura guidata da Raffaele Cantone. I pm non si sono soffermati più di tanto sulle modalità che hanno consentito a Suarez di sostenere l’esame, che è costato l’accusa di falso in atti pubblici alla ex rettrice Giuliana Grego Bolli, al dg Simone Olivieri e all’esaminatore Lorenzo Rocca. Per l’accusa la condotta dell’esame non necessita di ulteriori riscontri. Esame peraltro registrato con una microspia ambientale.
Rocca gli mostra delle immagini invitandolo a sceglierne due. E Suarez: “Questa! Ci sono due persone. In questa immagine ci sono 2 persone, una mamma e un bambino. Mamma aiuta aaa… poi aiuta…”. “A fare i compiti” interviene Rocca. “A fare i compiti!”, continua Suarez, “eee bambino, una pena sul quaderno a fare…”. Poi aggiunge: “La mamma indossa una maglietta rossa. Bambini indossano camicia celeste. La mamma porta gli occhiali”. Poi passano a un’altra immagine.”Ci sono 4 persone. Papà, mamà, bambino e bambine, a fare cibo”. E Rocca: “Benissimo!”. Suarez continua: “Il supermercato, la spesa… a mangiare. Il bambino porta cocumella”. Interviene un altro esaminatore: “Cocomeri, ahahaha”. “Sì, sì” continua Suarez, “peperoni eeee…”. “Frutta e verdura” aggiunge Rocca. “Frutta e verdura!” continua Suarez. Che grazie a questo esame ottiene il certificato B1. Il sospetto è negli atti: “Sussistono fondati dubbi che rappresentanti della Juventus abbiano potuto avere contezza dell’esistenza di questo procedimento e delle attività tecniche in corso”. La procura vuole verificare se il club abbia rinunciato a Suarez perché informata sull’indagine.
Investì due 16enni, condanna a 8 anni per Genovese
Il gup di Roma ha condannato a otto anni Pietro Genovese per omicidio stradale plurimo. L’accusa risaliva a quanto successo nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2019: allora ventenne, il figlio del regista Paolo Genovese travolse con il suo suv Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli in Corso Francia a Roma. Le due sedicenni, che stavano attraversando la strada, morirono sul colpo. Dall’impatto furono accertati l’eccesso di velocità alla guida e un tasso alcolemico più alto del dovuto di Genovese, che dallo scorso 26 dicembre era ai domiciliari. Il pm di Roma, Roberto Felici, aveva chiesto per lui una condanna a cinque anni. Alla lettura della sentenza Genovese è scoppiato a piangere. “Giustizia è stata fatta – hanno esultato le mamme di Gaia e Camilla –. Abbiamo avuto la soddisfazione dell’assenza del concorso di colpa”, poiché “le ragazze hanno attraversato sulle strisce, con il verde pedonale”. “Probabilmente c’è stato un vero e proprio gioco di sorpassi” spiega l’avvocato dei Von Freymann, Giulia Bongiorno, da cui sono scaturite “accelerazioni improvvise”.
Morì all’Ilva, cinque condanne sette anni dopo
Cinque condanne e sei assoluzioni per l’incidente mortale che il 28 febbraio 2013 all’Ilva di Taranto costò la vita a Ciro Moccia, operaio addetto alla manutenzione meccanica, e nel quale rimase ferito – ma solo perché il suo corpo precipitò su quello del povero Moccia – Antonio Liddi, lavoratore della ditta esterna Emmerre, impegnata nei lavori di ambientalizzazione delle cokerie. Il giudice Fulvia Misserini ha ritenuto principale responsabile il personale della ditta appaltatrice: 3 anni di reclusione sono stati inflitti a Davide Mirra, Cosimo Lacarbonara e Francesco Valdevies e 2 anni e 3 mesi a Vincenzo Procino. Solo uno dei dirigenti dell’allora Ilva è stato ritenuto colpevole in I grado: si tratta del delegato dell’area cokerie Vito Vitale. Assolti invece tutti gli altri dirigenti e responsabili dell’ex Ilva coinvolti nell’inchiesta: scagionato per non aver commesso il fatto l’ex direttore dello stabilimento, Antonio Lupoli. Ciro Moccia perse la vita a fine turno, gli fu chiesto di eseguire un’ultima saldatura. Non tornò mai più a casa.
Abusi, chiesta l’archiviazione per don Bucci: “Ci sono le prove”. Ma il reato è prescritto
Su quei fatti del 1994 esistono “elementi di prova e riscontri”. Ma l’abuso, se c’è stato, è prescritto da anni. Per questo il pm di Savona, Giovanni Battista Ferro, ha chiesto l’archiviazione per Luca Maria Bucci, frate cappuccino, fratello del sindaco di Genova Marco. Da ottobre scorso, come rivelato dal Fatto, Bucci è indagato per violenza sessuale continuata su minore: fascicolo aperto grazie alla denuncia di A.C., 38 anni, assistito dalla onlus Rete l’Abuso dell’attivista Francesco Zanardi.
Ventisei anni fa la presunta vittima – allora dodicenne – frequentava la chiesa dei cappuccini a Loano, nel Savonese, prestando servizio come chierichetto. “Ricordo che un giorno del 1994, credo a febbraio/marzo, ero da solo in sala televisione, in attesa di partecipare alla messa delle 18”, ha raccontato agli investigatori. “Padre Luca era venuto, mi aveva salutato e mi aveva alzato dalla sedia, facendomi sedere sulle sue gambe”. Poi la denuncia entra nei particolari della violenza, conclusa con una masturbazione. “Per la vergogna ho cercato subito di dimenticare quanto accaduto”, dice A.. Che riferisce anche di un altro episodio, collocato nell’estate successiva: “Mi trovavo a Bardineto, al campo estivo organizzato dai cappuccini. Era buio, ero nel dormiveglia, mi sono sentito toccare il pene da dentro il pigiama e ho visto che era padre Luca che mi stava toccando. Quando mi sono destato si è come spaventato, togliendo subito la mano. Mi dette una carezza, dicendomi buonanotte, e si allontanò”. La testimonianza, a quanto si apprende, è stata coerente e dettagliata, tanto da far ritenere il fatto storico accertato. L’ex chierichetto, inoltre, ha indicato “con assoluta certezza” padre Luca come il suo abusatore in un riconoscimento fotografico formale. Per questo il pm Ferro ha voluto informare il vescovo di Chiavari, competente per territorio (Bucci risiede a Santa Margherita), della richiesta di archiviazione per prescrizione. Una scelta irrituale: l’obbligo, in base ai Patti Lateranensi, c’è solo in caso di richiesta di rinvio a giudizio. Ma il peso degli elementi raccolti – spiegano dalla Procura – ha spinto il magistrato a un’applicazione analogica della norma. Silenzio, invece, dai cappuccini: in una nota inviata al pm, la Squadra mobile di Savona riferisce che “non veniva data risposta” alla richiesta inoltrata ai frati “circa la presenza di eventuali segnalazioni e/o rimostranze nei confronti di Luca Maria Bucci”.