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Complimenti a Palombi per l’intuito e le risate

Ho letto “Grazia, Graziella e Mario Draghi” di Marco Palombi: volevo ringraziarlo per tre motivi. Primo, i suoi commenti sono sempre di grande intelligenza. Secondo, scrive in modo chiarissimo. Terzo, mi fa spanciare dalle risate. Grazie, Marco.

Franco Montanari

 

Pronto ad appoggiare Tomaso Montanari

Ho letto della citazione per danni da parte di alcuni figuri fiorentini a scapito di Tomaso Montanari, che apprezzo per la sua preparazione e capacità divulgativa. Sono d’accordo con l’amico lettore Marco Bernardini, che si dice pronto a partecipare ad un eventuale sostegno economico, quando e se ce ne fosse bisogno.

Salvatoreantonio Aulizio

 

Un supporto al “Fatto” in vista della causa Eni

Metto a vostra disposizione la tredicesima della mia pensione in caso di sentenza avversa al Fatto nel contenzioso Eni-Descalzi.

Tommaso Basile

 

Grazie di cuore, caro Tommaso, ma speriamo tutti che non ce ne sia bisogno.

M. Trav.

 

Serve più rispetto per l’agricoltura

Mentre leggevo un articolo sulle epiche lotte contadine che stanno percorrendo l’India in queste settimane, mi è stato segnalato il suo articolo “La vispa Teresa”. Diciamo che sono tornata in Italia. Mi soffermo sull’intenzione di scherno contenuta in poche sue parole: “braccia rubate all’agricoltura”, riferite alla ministra delle Politiche agricole e forestali Teresa Bellanova. Facendo ricorso con intento offensivo a quell’idiotissima e banalissima espressione, dimostra di non sapere nulla di questa attività – che dovrebbe rispettare in ogni caso visto che le dà da mangiare, letteralmente, come a tutti noi. Ma sappia anche che è uno dei lavori più faticosi e difficili. L’agri–cultura richiede intelligenza, forza, spirito di sacrificio. Il tutto in cambio di un reddito spesso risicato, anche quando non si è braccianti. Lo so per certo: sono nata e cresciuta sulle colline del Monferrato, ho sempre abitato in aree rurali, ho frequentato contadini del Sud del mondo. Ah ma aspetti… forse mi sono confusa? Probabilmente Lei è convinto che non occorrano affatto teste e corpi umani per produrre cibo. In effetti, certa tecnocrazia immagina una produzione alimentare affidata solo a grandi macchinari e ogm. Se questa è la sua visione, in effetti le “braccia in agricoltura” sono un accessorio inutile e risibile. Insomma, si devono attaccare le idee e le azioni e le intenzioni, non l’origine, il mestiere o l’aspetto delle persone.

Marinella Correggia

 

Cara Marinella, temo di non essermi spiegato. Ho tale rispetto per l’agricoltura da sognare che se ne occupi un ministro migliore e che la signora in questione le venga al più presto restituita, visto che eccelle molto più in quell’attività che nel ruolo di ministro.

M. Trav.

 

Ci scrivono le “Iene” sul caso Rossi-Mps

Gentile Direttore, a più di sette anni dal misterioso volo da una finestra della banca Mps del manager David Rossi, la famiglia chiede ancora sia fatta Verità e Giustizia e vorrei sottoporre al quotidiano, che più di tutti ha seguito il caso, un curioso paradosso che si ripete nel tempo: chiunque provi a denunciare le anomalie intorno a questa morte passa dei guai. Così Davide Vecchi, che su queste pagine ha provato a far luce sulle tante ombre di questa storia, ha subìto un processo insieme alla vedova di David che, secondo il Giudice che li ha assolti, non si sarebbe nemmeno dovuto celebrare.

Gli unici indagati al momento, in questa storia, sono Le Iene e un ex Sindaco di Siena, dopo la querela di otto magistrati che si sono sentiti diffamati dall’ipotesi, formulata da Pierluigi Piccini in un’intervista rubata, in cui si interrogava sulle ragioni di così tante lacune nelle due inchieste sulla morte di David Rossi.

Dopo più di tre anni non si sono ancora concluse le indagini. Invece è già stata chiesta l’archiviazione di quelle per l’abuso d’ufficio rimasto a carico di ignoti. Eppure dagli atti emerge con forza che lo scenario di “festini” esiste e avrebbe coinvolto, per citare l’ex comandante di una stazione dei Carabinieri del senese, che ha rivelato alla famiglia di David Rossi le difficoltà vissute nel tentativo di indagare questo mondo fino al suo trasferimento per “incompatibilità ambientale”.

Infine il testimone che, con grande coraggio, ha raccontato a Le Iene la sua esperienza di gigolò a quelle feste, ricordando i volti di alcuni dei suoi partecipanti, ha trovato riscontri anche fuori dall’inchiesta giornalistica. Più testimoni, sconosciuti tra loro, hanno messo nelle mani dei magistrati racconti sovrapponibili.

Purtroppo, come evidenziato dai legali della famiglia l’altroieri davanti al Gip Franca Borzone, che si è riservato di decidere, siamo di fronte all’ultimo paradosso: i pm non sanno se credere a un testimone, che da quando ha parlato non ha ricevuto alcuna querela, ma ha subìto numerose minacce con il fine di farlo ritrattare. È solo uno dei numerosi tentativi di inquinare le prove di un caso che rimane aperto.

Antonino Monteleone Inviato “Le Iene”

La rivoluzione d’Amadeus: più indie-trap, meno Ancien régime

Ho ceduto alla liturgia sanremese, ma solo per testare la mia conoscenza attuale. Risultato: dei big promossi al Festival non conosco quasi nessuno e a leggere i nomi mi sembra un mix da “Cencelli”.

Vanni Righi

 

“Cencelli”? Mai come stavolta un direttore sanremese ha osato tanto nel gestire il casellario dei big. La declinazione rivierasca del Manuale, che nell’accezione baudesca somigliava a una strategia spartitoria democristiana, con i cantanti scelti non solo per qualità ma anche per l’appartenenza ai potentati discografici, nell’Amadeus II si spinge ai confini di un monocolore indie-trap, con rari contentini per i nostalgici dell’ancien régime (Orietta Berti), una quota temperata per la lobby dei veterani (i middle-aged Renga e Gazzè, le signore del pop sotto gli anta come Malika Ayane, Noemi, Arisa e Annalisa) e un’operazione ribalda, quella degli Extraliscio (dove il cantante di “Romagna mia” Mauro Ferrara si mischierà con l’alternativo Davide Toffoli dei Tre Ragazzi Morti). La maggioranza assoluta, nello schieramento dell’Ariston, la conquista il pattuglione dei beniamini degli adolescenti compulsatori dei social e di Spotify, con buona pace del telespettatori pantofolai di Rai1. La rottamazione dei cast cencelliani, in cui trovavano uno strapuntino interpreti che non vendevano più dischi da decenni è arrivata ai suoi esiti. Queste sono le canzoni che programmano le radio con target da generazione Zeta. Già nella scorsa edizione, con la vittoria di Diodato e il podio per i Pinguini Tattici Nucleari, Ama aveva sancito il passaggio di un’era, ispirato dalle iniziative contiane del 2019 (primo Mahmood, secondo Ultimo) e del 2018 (il trionfo di Fabrizio Moro-Ermal Meta). A marzo il grande pubblico conoscerà nuovi artisti di spessore (Madame, Willie Peyote, Colapesce & Dimartino, Fulminacci, Coma Cose, La Rappresentante di Lista), accanto a idoli teen con il viatico dei talent (Gaia, Maneskin, Irama o lo stesso Random). Astuta, sul piano narrativo, la riabilitazione di Bugo nella sera dell’anatema a Morgan. Precoce, invece, l’incoronazione per i papabili vincitori Fedez & Francesca Michielin. Si vedrà: intanto il vero problema sarà sanificare l’Ariston e andare in onda, nelle date previste.

Stefano Mannucci

Da Giacobbo alla santa messa: cosa non perdere assolutamente in tv

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Italia 1, 21.20: Freedom – Oltre il confine, documentario. Roberto Giacobbo indaga sul principe delle tenebre (no, non Alfonso Signorini: Satana), svelando come il diavolo, che simboleggia stenograficamente tutto il male del mondo, presieda alle scocciature dell’umanità più irritanti (motoscooter rumorosi e puzzolenti, fila alle poste, marketing telefonico) e provochi quegli avvenimenti strani che sbigottiscono pure gli scettici. Giacobbo, per farselo amico (cosa indispensabile, se ambisci a share maggiori), ricorda tre tiri birboni dove il diavolo fu la vedette indiscutibile. 1) Mussolini, sconfitto alle elezioni politiche del 1919, chiese a Nitti, presidente del Consiglio, 200 mila lire per andarsene in America, dove voleva rifarsi una vita. 200 mila lire, e il mondo si sarebbe risparmiato una catastrofe immane (Hitler si ispirerà a Mussolini); MA NITTI RIFIUTÒ. 2) Per una rappresentazione della “Tosca”, nell’immediato dopoguerra, usarono, nascosti dietro la scenografia, dei materassi con molle nuove, particolarmente elastiche. Al terzo atto, il clou del dramma, Tosca si buttò da Castel S. Angelo, rimbalzò sui materassi sottostanti, e per un attimo ricomparve a mezz’aria sullo sfondo, nello stupore dei presenti. 3) La Netrebko interpretava alla Scala Le mammelle di Tiresia, musica di Poulenc su un poema di Apollinaire. A un certo punto, come da didascalia, le due protagoniste (due grandi palloni rosa pieni d’elio) le si staccavano dal petto e prendevano il volo. Gli attrezzisti, però, dimenticarono di recuperarle a fine spettacolo e, giorni dopo, i melomani della Milano elegante, mentre ascoltavano in raccoglimento mistico la Seconda Sinfonia di Mahler diretta da qualcuno, videro due enormi mammelle semisgonfie scendere dal lucernario e compiere evoluzioni lascive rimbalzando sulla testa dei vari professori. Il direttore d’orchestra, cercando di dissimulare, provò più volte a bucarle con la bacchetta, invano: la sinfonia terminò fra le risate.

Sky Cinema Uno, 21.15: Queen Kong, film-avventura. 1930. Ann e Jack arrivano con una troupe cinematografica su un’isola deserta per girare un film. Lì si imbattono in una gorilla gigantesca che si innamora di Jack. Oscar per gli effetti speciali alla scena in cui la gorilla gigantesca fa naufragare l’intera flotta statunitense del Pacifico in assetto di guerra con le sue mestruazioni.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, soap. Provato dalla crocifissione e dalla spugna imbevuta di aceto, Gesù vive un momento di profonda rottura di coglioni.

Giallo, 21.10: I misteri di Murdoch, telefilm. Un odioso scienziato vince una famosa gara fra geni inventando i pistacchi che si aprono. Quando lo trovano affogato in una vasca piena di burro d’arachidi, Murdoch viene chiamato a risolvere il caso, che diventa personale quando il killer rapisce i suoi vasetti di mostarda di frutta.

Canale 5, 14.50: Il segreto, telenovela. Fra Donna Francisca e Raimundo nasce l’amore. E qualche fungo.

Rete 4, 19.35: Tempesta d’amore, soap. Ariane capisce che Robert ha volutamente rovinato la torta di fidanzamento richiesta da Christof glassandovi sopra la scritta errata “Tu sei lamore”, e litiga con Christof perché questi è più irritato dall’apostrofo mancato che dalla “glassa” fatta da Robert col proprio sperma.

 

La Procura solo ora si è convinta: sono passati quattro anni

Tiziano Renzi non sarà archiviato come volevano i pm di Roma nel 2018. Un Gup valuterà le accuse di traffico di influenze e turbativa per la gara Consip FM4 da 2,7 miliardi in concorso con il suo amico Carlo Russo, e con l’imprenditore Alfredo Romeo. Ci sono voluti quattro anni. Il Fatto aveva dato la notizia il 21 dicembre 2016: “L’amico di Tiziano, il Giglio magico e la gara da 2,7 miliardi”. Se siamo arrivati a un’udienza, nel 2021, è anche ‘merito’ nostro.

Riavvolgiamo il nastro. Il Fatto dal dicembre 2016 per mesi scrive articoli per raccontare i retroscena della gara più grande d’Europa. Secondo i carabinieri, Romeo mentre parlava con Russo da solo (per Tiziano Renzi a sua insaputa) scrive il 14 settembre 2016 (premier era Matteo Renzi) su un foglietto un’offerta: “30.000 euro al mese per T.” Dove T., per gli investigatori, sta per Tiziano. La notizia era enorme, ma per mesi i grandi giornali la ignorano.

Poi i pm di Roma – che ereditano l’inchiesta dai pm napoletani Woodcock e Carrano – fanno tre cose: 1) chiedono l’arresto di Romeo, che avviene il 1º marzo 2017, per la corruzione di un funzionario Consip, Marco Gasparri, il quale confessa una mazzetta da 100mila euro e patteggia; 2) indagano con poca convinzione e poi chiedono l’archiviazione per il traffico di influenze di Romeo, Russo e Tiziano (‘30.000 per T.’); 3) avviano un’inchiesta ben più penetrante sugli investigatori. Accusano Woodcock di aver passato la notizia al Fatto (falso) e sequestrano il cellulare alla sua amica Federica Sciarelli, che nulla c’entra. Infatti poi archiviano. Indagano anche Scafarto accusandolo di falso, depistaggio e rivelazione di segreto. A Tiziano non sequestrano il cellulare. A Scafarto ne sequestrano due. Intanto la Procura di Napoli perquisisce Il Fatto e sequestra il cellulare pure all’autore degli articoli e del libro Di padre in figlio . La colpa? Aver pubblicato carte segrete e la conversazione del marzo 2017 in cui Matteo Renzi incalzava il padre chiedendogli se avesse incontrato Romeo. Tiziano negava incontri al ristorante, ma era incerto sui bar. Il Fatto e il programma Sekret, trasmesso su www.iloft.it, incurante delle perquisizioni, pubblicano un’altra conversazione, ignorata dagli investigatori, nella quale Russo e Romeo parlano di un ‘barettino’ dove si sono visti con modalità carbonare. L’ipotesi che quel barettino fosse proprio il bar dell’incontro dimenticato da Tiziano, avanzata da noi, viene verificata dai carabinieri. Si trova così l’incrocio delle celle agganciate dai tre telefonini il 16 luglio 2015. Per i pm Tiziano, Russo e Romeo si son visti a Firenze. Tiziano nega. I pm non gli credono, ma comunque chiedono l’archiviazione. Il Gip Gaspare Sturzo però pensa che quell’incontro al bar sia importante se letto insieme ad altri dati ignorati dall’accusa. A luglio 2019 rigetta l’archiviazione e obbliga i pm a nuove indagini. Così nasce la richiesta di rinvio a giudizio. Ciò non vuol dire che Tiziano Renzi abbia commesso un reato. Vuol dire però che Il Fatto aveva ragione a chiedere che i pm indagassero a fondo. Ci sono arrivati con quattro anni di ritardo. I grandi giornali seguiranno. Forse.

Ho esagerato? poi la valanga sul mio display

Devo confessare che dopo avere inviato al Fatto la rubrica con il mio sogno-desiderio su Conte che sfancula Renzi, ho passato una notte agitata. Temevo di avere esagerato, di avere urtato la sensibilità dei nostri lettori. Rigirandomi nel letto pensavo che forse avrei dovuto moderare il linguaggio usando qualche opportuna perifrasi, temperate circonlocuzioni, uno stile più allusivo, insinuante, dico e non dico. Per esempio: ho sognato Conte che rampogna Renzi, oppure che lo rimbrotta, che lo ammonisce sarebbe stato perfetto. Stavo per chiamare il giornale per spargere un po’ di vasellina sul mio inopportuno turpiloquio quando ho guardato la sveglia. Erano le tre, maledizione, troppo tardi, il nostro amato quotidiano impacchettato a dovere già correva spedito verso le edicole, e nulla al mondo poteva fermarlo. Sfanculare: ma cosa diavolo mi era saltato in mente? Infine mi sono rassegnato: che il destino si compisse, avrei sopportato virilmente la meritata sanzione. Poi, ieri mattina, sgualcito e malmostoso, ho aperto la posta dell’iPhone, spizzandola cautamente come fosse il responso dell’urologo. C’era un messaggio solitario come una pansé a gennaio, digitato quando ancora albeggiava, questo: “Sarebbe stupendo Giuseppi che sfancula Renzi!!! Un sogno comune a tanti, forse a tutti gli uomini di buona volontà”. Seguiva una firma, assai autorevole che non rivelerò neppure sotto tortura. Quindi, di seguito, a raffica, ecco che si affollano sul display una moltitudine di uomini e di donne, tutti galvanizzati all’idea di un redde rationem in Parlamento. Come potete leggere qui accanto, è un assembramento di ogni credo e di ogni colore (rosso o arancione), concordi e coesi nel chiedere al presidente del Consiglio di dire, e dare, a Matteo Renzi ciò che si merita. Di farlo presto. Di riportarci all’agosto del 2019, con l’altro Matteo barcollante, intontito dai meritati ceffoni. Oh giornate del nostro riscatto! Per dirla più seriamente, caro premier, questo sogno collettivo affonda in un diffuso sentimento di crescente insofferenza per i gradassi che giocano a carte sulla nostra pelle. I ricatti fanno parte della politica, ma la politica del ricatto è inaccettabile. Anche se sappiamo che un Paese non si governa con l’azzardo e i colpi di teatro, lei saprà certamente cosa è meglio fare.

Sconto a Philip Morris? Ridotto dal 75 al 70%

Un aumentone del 5% sulle sigarette elettroniche tipo le Iqos della Philip Morris. Questo è il risultato delle “mediazioni” tra i partiti di maggioranza e il Tesoro contenuto in un testo messo a punto ieri pomeriggio. Non pare esserci stata grande reazione alla notizia, se non da parte di chi – come Rossella Muroni di LeU – aveva presentato una proposta assai più penalizzante di quella che s’avvia a essere inserita nella manovra.

Forse è utile un breve riassunto. Quando anche il resto della stampa italiana, poche settimane fa, scoprì il contratto di consulenza tra Philip Morris e Casaleggio Associati rivelato dal Fatto a ottobre del 2019, ci fu un’ondata di indignazione, spesso interessata, tra editorialisti e politici, persino quelli di maggioranza. Il renziano Michele Anzaldi accusò la Rai di censurare la notizia per fare un favore ai grillini. L’ipotesi, diciamo, è che ci fosse la mano del presidente di Rousseau dietro l’enorme sconto fiscale di cui godono in Italia le e-cig: la faccenda era un po’ più complicata, come forse hanno scoperto anche i renziani, visto che il primo favorone risaliva proprio al governo di Matteo Renzi, peraltro inauguratore dello stabilimento di Philip Morris vicino Bologna.

I “tabacchi da inalazione senza combustione” – come le Iqos della multinazionale americana, che ha il 90% del mercato – pagavano già un’aliquota dimezzata rispetto al normale (e inferiore a quella di altre sigarette elettroniche”), poi il governo Conte-1 aggiunse un altro 25% di sconto (i grillini dicono che fu colpa della Lega): in sostanza oggi prodotti come Iqos pagano solo un quarto delle normali tasse (l’aliquota è ridotta, detto in altro modo, del 75%). Per questo, sull’onda della recente ondata di indignazione, la deputata ex Legambiente Muroni (LeU) ha fatto sua la proposta lanciata da CittadinanzAttiva insieme ad altre 70 associazioni e organizzazioni: lo sconto sarebbe passato dal 75% attuale al 40% e i maggiori introiti avrebbero finanziato il rafforzamento dell’assistenza socio-sanitaria domiciliare ai più fragili.

Quella proposta era diventata un emendamento alla manovra firmato anche da altri deputati e poi inserito tra quelli “segnalati” dai gruppi, cioè tra quelli da discutere e votare come prioritari. Ebbene, dopo tante riunioni con la maggioranza, i giallorosa e il Tesoro hanno partorito la modifica: lo sconto fiscale per Iqos di Philip Morris nel 2021 passerà dal 75 al 70% per ridursi gradualmente al 60% nel 2023 (salvo rinvii). Muroni non l’ha presa bene: “Se resta questa riformulazione, è uno schiaffo al mondo delle associazioni e della cittadinanza attiva”.

Tra i firmatari c’è anche l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, economista eletto col M5S e oggi nel Misto: “Il privilegio fiscale garantito all’industria del tabacco riscaldato, dominato dalla multinazionale Philip Morris, non ha basi scientifiche, ma priva lo Stato di centinaia di milioni di euro l’anno, che potrebbero essere utilizzati per garantire assistenza sanitaria a tutti quei pazienti cronici dimenticati dal SSN in questa fase di pandemia: invece governo e maggioranza propongono un emendamento sostitutivo che si limita a rivedere lo sconto di un misero 5%, una misura irrisoria”. Mentre andiamo in stampa, sono gli unici due commenti sulla vicenda.

Banchieri, la stretta sui requisiti parte con una sanatoria

Nella vulgata cucita dalla Banca d’Italia per parare il colpo dei disastri bancari di questi anni, doveva essere il regolamento in grado di dare finalmente i “pieni poteri” a Ignazio Visco per cacciare i banchieri felloni. Non era vero, ma a ogni modo il decreto sui nuovi criteri di “onorabilità, correttezza e competenza” dei manager bancari parte con un bel colpo di spugna sul passato. Tutto è perdonato, almeno per quanto riguarda le sanzioni, da Bankitalia alla Consob, inferiori al “massimo edittale”. E questo, a non dire delle molte scappatoie presenti nel testo. Il regolamento è stato pubblicato mercoledì. La sua è una storia incredibile. È un decreto attuativo della direttiva Ue del 2013 (Crd IV) che inasprisce i requisiti. L’Italia l’ha recepita solo nel maggio 2015, ma da allora tutti i governi e i ministri dell’Economia si sono scordati di emanarlo. Oggi, a buoi scappati e dopo una dozzina di banche fallite, vede finalmente la luce.

Il decreto avrà un impatto notevole sui criteri di competenza, con requisiti più stringenti sull’esperienza dei banchieri (secondo lo Studio Ambrosetti i nuovi criteri europei avrebbero fatto saltare un consigliere su quattro nelle banche). Ma è sui requisiti di onorabilità che le cose sono più sfumate. Il decreto, infatti, prevede una sanatoria sul passato nelle norme transitorie. Non dovranno essere valutate ai fini dell’analisi sui requisiti di onorabilità dei banchieri le sanzioni comminate prima del maggio 2015 se non sono pari al “massimo edittale”. In caso di più violazioni, si prende a riferimento quella che ha la sanzione “con il massimale più elevato”. La sanatoria si estende anche a tutte le sanzioni amministrative, diverse da quelle previste dal testo unico bancario e da quello finanziario, ricevute nei dieci anni precedenti la nomina. Tradotto: se la multa non è massima non va considerata. Una norma pensata perché i manager bancari multati sono ormai centinaia, se non migliaia, e per evitare il caos si è deciso di chiudere col passato, almeno per quelle non gravissime. Ma non è che col presente la mano sia pesantissima.

La valutazione (tecnicamente Fit and proper) la fa il cda della banca, che poi manda tutto alla vigilanza (la Bce per gli istituti più grandi). I nuovi requisiti impongono la decadenza automatica solo in caso di condanna definitiva per reati gravi in materia societaria, fallimentare, bancaria etc. Prevede però che vadano prese in considerazione anche condanne non definitive, indagini o processi in corso; multe o radiazioni dagli albi professionali. A imporlo sono le linee guida Fit and proper della Bce, che addirittura prescrivono di valutare se far decadere un banchiere anche se assolto. Il decreto italiano non prevede per questi fatti la decadenza automatica del banchiere: la valutazione potrà infatti non considerarli se “è preservata la sana e prudente gestione” della banca. Peserà infatti la “gravità” dei fatto, se il soggetto ha collaborato con le autorità o si è ravveduto etc. Insomma, c’è un alto livello di discrezionalità lasciata ai cda e alla vigilanza. Per capirlo basta ricordare che nel 2017 Visco spiegò alla Camera che l’ad del Montepaschi, Marco Morelli, multato da Bankitalia per fatti “gravissimi” commessi come dirigente di Mps, aveva avuto l’ok anche alla luce delle nuove regole, nonostante non fossero ancora in vigore. Succede anche questo nel mondo dei vigilanti, in cui Visco ha dal 2015 il potere di rimuovere i banchieri (il removal) che danneggiano gli istituti e lo ha applicato solo al minuscolo Credito di Romagna.

 

Le ultime modifiche alla legge di Bilancio “extraparlamentare”

Sono le 17 di un venerdì 18 dicembre – cioè mancano 13 giorni all’esercizio provvisorio – quando arriva il penultimo, se andrà tutto bene, faldone di emendamenti alla manovra concordati all’interno della maggioranza: una bozza di 45 pagine con un po’ di tutto, dagli incentivi per le auto al rinvio della sugar tax, dal fondo per gli affitti allo stop dell’Imu per gli hotel, da una sorta di cassa integrazione per gli autonomi alla cancellazione dell’Iva sui vaccini Covid e i kit diagnostici fino all’incredibile intervento sulle aliquote delle e-cig che vi raccontiamo qui sotto.

Quelle modifiche verranno poi depositate – mentre andiamo in stampa non è ancora successo – in commissione Bilancio alla Camera, in attesa delle ultime, politicamente anche più sensibili, attese per oggi: la proroga del superbonus al 110% sulle ristrutturazioni edilizie (si dovrebbe arrivare al 2022) e lo sconto fiscale all’istituto, probabilmente Unicredit, che si caricherà il Monte dei Paschi (qui niente modifiche di sostanza, solo un contentino simbolico ai grillini, forse nella forma di un bizzarro passaggio in Cdm per l’approvazione).

Una massa di materiale che si aggiunge agli emendamenti “segnalati” dai vari gruppi e non ha alcuna speranza di essere esaminato nel dettaglio: questa legge di Bilancio così anomala, arrivata tardissimo in Parlamento, dovrebbe – sempre se tutto va bene – arrivare nell’aula di Montecitorio lunedì 20 dicembre e forse “senza mandato al relatore”, per dirla in termini tecnici. Significa, in sostanza, che la commissione non avrà avuto il tempo di votare tutti gli articoli e le proposte di modifica. E non lo avrà neanche l’aula se è per questo: si voterà con la fiducia un maxi-emendamento predisposto dal governo sulla base degli accordi con la maggioranza. Il Senato, che ancora non ha mai visto il testo, non potrà fare modifiche: non ci sarebbe tempo per riportarla alla Camera prima della fine dell’anno. Se va bene, insomma, sarà la prima manovra “monocamerale” della storia della Repubblica, se va male la prima “extraparlamentare”, per così dire.

Se non altro, pare essersi definitivamente sbloccato il piano per la ripresa europeo e con una buona notizia per l’Italia che, a spanne, vale circa 6 miliardi in più per il 2021. Nella notte tra giovedì e venerdì, infatti, Parlamento, Consiglio e Commissione europea hanno raggiunto l’intesa definitiva sul Recovery e Resilience Facility, cioè la parte più grossa (672 miliardi tra trasferimenti e prestiti) del piano per la ripresa post-pandemia detto Next Generation Eu.

In sostanza l’accordo aumenta dal 10 al 13% del totale la quota di pre-finanziamento che sarà concessa agli Stati al momento dell’approvazione dei vari Recovery Plan: la quota italiana sui circa 200 miliardi di fondi europei che il governo intende utilizzare significa che attorno a giugno del 2021 – se tutto va bene – il nostro Paese dovrebbe iniziare a incassare circa 26 miliardi invece dei 20 preventivati finora.

Una buona notizia visto che la lentezza nell’afflusso delle risorse è uno dei suoi punti deboli. Festeggia, infatti, il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri: “Ottimo l’accordo tra Parlamento e Consiglio su Rrf: sblocco definitivo di Ngeu, pre-finanziamento al 13% con 6 miliardi in più per l’Italia.

L’accordo raggiunto dalle istituzioni europee, ovviamente, non riguarda solo l’anticipo dei fondi, ma anche le aree in cui si dovrà intervenire: al minimo il 37% dei fondi andranno impiegati dagli Stati per progetti che riguardano la neutralità climatica al 2050, che è ormai un obiettivo ufficiale dell’Ue (entro il 2030 bisogna peraltro ridurre le emissioni “climalteranti” del 55% rispetto ai livelli del 1990, un’enormità). Ovviamente, il resto dei progetti finanziati dai Recovery Plan non potrà andare in direzione contraria a questo obiettivo in base al principio do no harm, cioè non fare ulteriori danni con la mano sinistra mentre la destra tenta di risolvere quelli passati. Altro capitolo di assoluto rilievo negli investimenti dei prossimi anni, secondo le indicazioni di Bruxelles, dovrà essere la transizione digitale: a essa va destinato almeno il 20% dei fondi. Ora, certo, la maggioranza che sostiene il governo dovrà mettersi d’accordo sul piano…

Il folle volo di Nikos. Kazantzakis riscrive Omero

“Siamo un’umile lettera, una sillaba, una parola della gigantesca Odissea… Qual è il nostro dovere? Sollevare gli occhi dal testo, un attimo, finché resistono i polmoni, e respirare il canto d’oltremare… E lentamente, pazientemente, liberare nel nostro animo Itaca”. Viaggiare, respirare, costruire un’Itaca: tutto quello che in questi tempi grami è diventato un’impresa, campeggia al cuore dell’Ascetica, breve e lapidario manifesto filosofico con cui il cretese Nikos Kazantzakis (1883-1957), nella Berlino del 1923, sognava di uscire dal marciume capitalista e dall’asfittico materialismo comunista.

Se la ricca opera in prosa di Kazantzakis, dal Poverello di Dio all’Ultima tentazione di Cristo al fortunatissimo Zorba il greco (a suo modo, un prototipo di “resilienza”), è da tempo accessibile al lettore italiano, arriva solo ora, dopo oltre ottant’anni, la traduzione del suo unico, monumentale poema (33.333 versi). Questa Odissea, che W.B. Stanford riteneva non meno importante dell’Ulisse di Joyce, si riallaccia alla conclusione del poema omerico, ma configura un eroe interamente nuovo. Come l’insaziabile cercatore di Dante e Tennyson, il Setteanime (l’Irascibile, il Tormentato, l’Arciere, il Giramondo…: oltre cento gli epiteti che ricorrono lungo il poema) è insoddisfatto della sua piccola patria, del “corpo snello e brumoso della sua povera isola” (dove peraltro Telemaco e Nausicaa gli daranno un nipote); ma se riparte, non lo fa sospinto dalla sete di conoscenza, bensì dalla brama di azione, di lotta, di vita.

Con atto coraggioso e inattuale, nel 1938 – l’anno della Nausea di Sartre – Kazantzakis riprende e precipita lo slancio vitale di Bergson, lo Zarathustra di Nietzsche e alcuni tratti dell’ascetismo orientale, e spedisce il suo Ulisse prima a Sparta (dove rapisce Elena e incontra i “barbari biondi”, i Dori destinati a rivitalizzare la stirpe greca) e poi in un lungo viaggio verso sud, verso i luoghi primigenî (Creta, l’Africa) in cui si possono mettere a nudo e superare le ideologie e le illusioni dell’uomo moderno. Così, dopo aver fondato un’effimera Città Ideale nel cuore del continente nero (né affetti né famiglia, tra Platone e Tommaso Moro, ma no country for old men: i vecchi vengono defenestrati da una rupe, e ciò che importa è solo il progresso di una generazione rispetto alla precedente), Ulisse si inoltrerà tra principi ed eremiti fino ai ghiacci del Polo Sud, dove incontrerà la Morte (Thànatos, maschile in greco: e avrà il suo stesso volto), il Sole nero dinanzi al quale disgregarsi nella terra; e lì recupererà tutto il suo passato in un caleidoscopio di sogni, visioni ed evocazioni.

A tratti gravata da una certa enfasi gnomica e profetica, l’Odissea non riesce mai bolsa o verbosa, anche per merito della resa densa e asciutta di Nicola Crocetti, l’editore e traduttore che negli ultimi quarant’anni ha fatto più di chiunque altro per la diffusione della letteratura neogreca in Italia. Qui Crocetti sa tenere sapientemente a distanza la laboriosa tessitura metrica dell’originale – un inedito verso di 17 sillabe, “il respiro delle onde del mare di Creta” –, e cede solo occasionalmente alla rarità lessicale (“bruzzolo”, “spetalarsi”, “sgocciare”, “chiavello”, “mézzo”) a fronte delle centinaia di glosse desuete o dialettali che Kazantzakis raccolse negli anni dalle vive labbra dei contadini tèssali o dei pescatori delle Cicladi, e incastonò nel testo.

Ampio e molteplice di parole, il poema richiama Omero anzitutto nella schietta aderenza alla polpa viva della realtà, fatta di salsedine e di alberi, di vento, sabbia e pesci, di tanfo e lune, di vigne rigogliose e di giovani corpi nudi: anche quando si misura con idee e ideali (il marxismo degli operai egiziani ribelli al faraone, il buddismo del Principe della Terra, il carpe diem della prostituta Margarò, l’ingenuità di un novello don Chisciotte, il cristianesimo “originario” di un pescatore africano), la poesia di Kazantzakis è sempre grondante di fisicità e di immagini potenti, nel sentimento pànico di un Dio onnipresente e insaziabile in forma di évolution créatrice: “Ah, che gioia, sentire in petto nella solitudine/ che a goccia a goccia Dio diventa un fallo e si drizza!”. Un Dio “fatto di fuoco, acqua, anima e sudore”, un Dio lottatore in perenne pericolo, destinato a essere “salvato dall’uomo”: di qui l’importanza di chi dà all’umanità colpi di reni verso l’alto, seguendo il comandamento della “freccia dalla punta assetata che mira dritta verso il sole” – figure di eroi e di santi (Cristo, Buddha, Francesco, Cristoforo Colombo, Lenin…) che popolano tutta l’opera di Kazantzakis e che trovano proprio in Ulisse il loro compendio e il loro vertice.

È in questo Ulisse che s’incarna appieno lo “sguardo cretese” di chi intende la libertà come la Lotta per rompere il determinismo del mondo esteriore, come un “canto altero e solitario che nel vento muore”, per il quale bisogna rinunciare a ogni comodità, speranza, compiacimento, e restare in piedi sull’orlo dell’abisso. È la lezione del famoso motto inciso sulla tomba di Kazantzakis, cui tanti turisti rendono omaggio sul bastione Martinengo delle mura di Iraklion: “Non spero nulla. Non temo nulla. Sono libero”.

Quell’email col tariffario di Mr. Donatore

“Cari colleghi, vi invio le coordinate bancarie per il contributo volontario di euro 6mila, da versare entro il 31 dicembre del 2011. Per cortesia avvisate i vostri direttori amministrativi, sociali e sanitari che il loro è di 3mila euro”. Firmato: Mauro Borelli, allora direttore generale dell’Asl Mantovana, oggi direttore generale della Asst Franciacorta. Destinatari: i dirigenti degli ospedali di mezza Lombardia, dai milanesi San Paolo e Besta all’ospedale di Lecco, poi i direttori delle aziende ospedaliere di Garbagnate, Lodi, Chiari, Gallarate, quelli delle Asl di Monza, Milano, Bergamo, Cremona, Pavia, Varese, anche il direttore dell’Areu, l’azienda regionale lombarda che per le emergenze. Rivelata sui giornali nel 2014 e poi dimenticata, questa email torna adesso d’attualità. Perché proprio Mauro Borelli, 65 anni, è risultato il manager della sanità pubblica che ha donato più soldi alla Lega in tutti questi anni. Il più generoso e puntuale di tutti, come emerso nell’inchiesta sul Sistema del 15% che abbiamo pubblicato in questi giorni.

Borelli ha pagato sempre, senza soluzione di continuità: 6mila euro all’anno, ogni anno, dal 2008 al 2019, per un totale di 72mila euro. Alle nostre domande, inviategli per email prima della pubblicazione, Borelli non aveva risposto. Il giorno dopo l’articolo, a Il Giornale di Brescia che gli chiedeva conto di quei versamenti, il dirigente pubblico prima ha detto di non ricordarsi, poi che sono cose di tanti anni fa, infine ha garantito che comunque sia andata non c’era nessun obbligo e “uno con i soldi propri che guadagna onestamente fa un po’ quello che vuole”.

La vecchia email del 2011 mette in dubbio la tesi di Borelli, e cioè che quelli sono contributi volontari, spontanei. Non fosse altro che proprio lui, in quella email, invitava colleghi di grado pari o inferiore a versare soldi al partito indicando anche le cifre precise del contributo: 6mila per i direttori generali, 3mila per i direttori amministrativi, sociali e sanitari. Il tariffario esposto nella email combacia alla perfezione con i dati che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi sui versamenti dei dirigenti sanitari lombardi: 6mila per i direttori generali, 3mila per i direttori amministrativi, sociali e sanitari. Erano proprio queste le cifre dei bonifici.

Borelli, di sicuro, ha rispettato tutto al centesimo almeno fino all’anno scorso, come dimostrano gli ultimi bilanci disponibili della Lega. D’altra parte per uno che ha uno stipendio lordo di 182.500 euro all’anno, 6mila euro non sono molti, anche perché sono donazioni detraibili fiscalmente, e poi l’ingegnere civile bresciano lavora da quasi vent’anni ai vertici. È dal 2003 che riceve una paga da direttore generale di aziende sanitarie pubbliche in Lombardia. Prima all’Asl di Lecco, poi a quella di Mantova, adesso è tornato a casa: fino al 2023 guiderà l’Asst Franciacorta, grazie alla decisione presa l’anno scorso dalla giunta della Regione Lombardia guidata dal leghista Attilio Fontana. Ieri, alla nostra chiamata per un commento sull’email del 2011, Borelli ha risposto. Dopo aver sentito il nome del giornale ha buttato giù. Le nostre telefonate sono poi sempre state rifiutate.