Fisco: “Io, ufficiale di riscossione, propongo una riforma semplice”

Caro “Fatto”, è sempre più urgente una riforma fiscale solida, duratura, di facile comprensione e in grado dove possibile di ridurre le diseguaglianze tra contribuenti. Da addetto ai lavori ho messo giù qualche punto.

1. La politica smetta di chiamare riforme quegli accorgimenti dettati per tamponare l’emergenza. È necessario tornare allo spirito nazionale del 1910 e del 1973, anni in cui furono scritte grandi riforme tributarie.

2. Basta con l’involgarimento dei termini fiscali. “Rottamazione”, “Saldo&Stralcio”, “Pace fiscale”. Il fisco dovrebbe essere (è) una cosa seria.

3. Nel 2017 ero in una riunione importante in un Comune intorno a Milano. Tema dell’incontro la riscossione coattiva delle cartelle esattoriali di verbali Cds (infrazione al codice della strada). Sul finire domando al comandante della Polizia locale: “Come ci comportiamo con i casi sociali (nullatenenti)?”. Risposta illuminante: “Le multe vanno pagate da tutti, ricchi e poveri. Non è come la Tassa rifiuti, il canone di locazione o la Refezione scolastica. Se uno è nullatenente, a maggior ragione quando guida deve rispettare le leggi”.

5. L’Ader (Agenzia entrate e riscossione) approfitti di questa pausa per studiare tutte le cartelle di pagamento. Qualora corrispondano a contribuenti-morosi, che percepiscono il Reddito di cittadinanza o comunque redditi ridotti come le pensioni minime, considerare la possibilità di stralciare ed eliminare del tutto tali crediti di spettanza dell’Erario. Attenzione, però. Solo se si tratta di tasse e imposte relative a immobili non di proprietà o a società/esercizi veramente in difficoltà. Naturalmente, con indagini parallele della Guardia di Finanza.

6. Obbligare tutti gli amministratori condominiali a tenere un registro aggiornato non solo dei proprietari di immobili, ma anche degli inquilini. Questo accorgimento ridurrebbe di molto i costi per le uscite a vuoto da parte di messi e ufficiali giudiziari.

7. Chiedo al governo di pensare anche a noi, Ufficiali giudiziari di riscossione in forza all’Ader o ai concessionari privati, inserendo nei prossimi decreti una norma che preveda nelle uscite la scorta di carabinieri o polizia locale, e un protocollo di sicurezza.

8. L’abrogazione immediata del famigerato articolo 1, comma 793, della Legge 160/2019 (bilancio 2020), che ha abolito il concorso pubblico per l’abilitazione alle funzioni dell’Ufficiale di riscossione.

Stefano Masino Ufficiale di Riscossione

Quel “vizio assurdo” di Renzi e soci per la visibilità in tv

Vanitas vanitatum et omnia vanitas. Tutto è vanità (mediatica) in questa crisi di governo, dove si è capito che in gioco non c’è un Renzit o un Remain, ma la riproposizione di un copione già visto. A febbraio, quando il balloon d’essai, piuttosto che una task force, era la prescrizione.

Per comprendere le mosse di Renzi non bastano allora la politologia o la psicologia, bisogna invece ricordare il rapporto patologico, il vizio assurdo, che lega l’ex boyscout ai media e in particolare alla tv. Sin dai suoi esordi: quando da presidente della Provincia dette vita a una tv a sua immagine e somiglianza. Sulla tv, dentro la tv, per mezzo della tv egli ha costruito prima la sua fulminante e irresistibile leadership, poi il suo altrettanto rapido declino. Un ghiotto caso di scuola per gli studiosi. Orbene il giovanotto di Rignano era da febbraio che non godeva di tanto spazio nei media e in video. Basta contare gli interventi, da una decina di giorni in qua, suoi e dei suoi compagni di ventura nei talk (a cominciare dalla Boschi), sui giornali o guardare al tempo di parola che godono nei notiziari. Una visibilità riconquistata che tra qualche settimana l’Agcom ci quantificherà, ma che già a occhio appare rilevante. Anche se non proporzionale ai sondaggi.

Il “vizio assurdo” che lega Renzi ai media. Dunque già febbraio il nostro aveva fatto fibrillare Conte con una altrettanto surreale polemica frontale sulla prescrizione. Poi arrivò la pandemia e rientrò nei ranghi. Comunque era riuscito in quelle due-tre settimane a scalare le classifiche dei politici più visti e sentiti: nei telegiornali con ben 48 minuti di parlato, dietro al premier, a Salvini e a Mattarella; nei talk con 5 ore straripanti, invitato da destra e da manca, più dello stesso Salvini e dietro solo a Conte (che avrebbe polverizzato se dalla metà del mese non si fosse messo di mezzo il virus). Da allora Renzi non ha quasi più toccato palla, mediaticamente parlando. Pur presente nei programmi, ma mai quanto a febbraio, sono stati piuttosto i telegiornali, un dì tanto cari, a silenziarlo. Da marzo fino allo scorso novembre il ciarliero senatore di Italia Viva nei notiziari delle sette principali tv generaliste ha racimolato una cinquantina di minuti di parlato, poco più che nel solo mese di febbraio. Una miseria. E probabilmente sta proprio in ciò la ragione di fondo dell’incredibile attacco al governo. La sua storia politica ce lo suggerisce, l’azzardo di Renzi forse sta tutto qui (oltre alla volontà di riposizionarsi meglio con ministri e sottosegretari), cioè in quella che egli giudica una necessità vitale: riprendersi la scena e la tv (strumento su cui ha costruito il suo successo travolgente, ma che da un certo momento in poi gli ha giocato contro, cosa che lui non ha mai capito).

Quando la comunicazione soffoca la politica.

Perché per Renzi la comunicazione è tutto, lo si è visto: non a caso impose alla politica della sinistra una torsione fortissima verso quella, certo storicamente necessaria. Ma esagerando nelle dosi ed esasperando i toni ne ha fatto, più che il fattore essenziale delle sue strategie, una vera ossessione. Ma se la politica senza comunicazione è zoppa, viceversa la comunicazione senza politica è cieca. Così l’ipercomunicazione, l’eccesso di movimento (altro mantra del suo pensiero) e un incontrollato narcisismo lo hanno condotto al disastro, soffocando infine proprio la politica, quella vera, quella simboleggiata dalla tartaruga con la vela sul pavimento di Palazzo Vecchio: raffigurazione voluta da Cosimo de’ Medici proprio per ricordare ai potenti di Firenze di essere sì veloci, come una barca a vela, ma saggi e prudenti, come la tartaruga. Che tra l’altro è un animale simpatico.

 

Per il “suocero” del premier nessuna norma ad personam

Come è noto, a Cesare Paladino – proprietario dell’hotel Plaza di Roma, “suocero” del premier Conte per essere il padre della sua compagna – venne, a seguito di patteggiamento, applicata, per il delitto di peculato (art. 314 c.p.), la pena di un anno, mesi due e giorni 17 di reclusione per l’omesso versamento al Comune della tassa di soggiorno negli anni 2014 – 2018 per un totale di € 2.047.677. Recentemente, il Gip del Tribunale di Roma, su istanza del Paladino, ha “revocato” la sentenza di patteggiamento ritenendo applicabile lo ius superveniens – rappresentato dall’art. 180 del D.L. 19 maggio 2020 n° 34 conv. In L. n° 77/2020 – anche alle sentenze emanate anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa. La nuova disciplina stabilisce che “il gestore della struttura ricettiva è responsabile nel pagamento dell’imposta di soggiorno con diritto di rivalsa sui soggetti passivi ….. per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno si applica una sanzione amministrativa”.

Si è subito levato un coro di accuse di “norma ad personam”, “norma ad familiam” e un deputato di Italia Viva ha presentato un’interrogazione chiedendo “quale sia stato l’ufficio legislativo che ha proposto di inserire la norma per depenalizzare l’omesso pagamento della tassa di soggiorno… Grazie a questa depenalizzazione, il padre della compagna del premier si è visto cancellare, un valore retroattivo, una condanna passata in giudicato con il patteggiamento”. Ora – a parte la circostanza che il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini ha dichiarato di essere stato lui a proporre la modifica della disciplina sulla tassa di soggiorno e il premier Conte non ne era a conoscenza prima che essa fosse portata in Cdm – va osservato che con la norma in questione non si è affatto posto il problema della sua retroattività, non essendo stata prevista alcuna disciplina transitoria e, comunque, non si è verificato, nella specie, alcun fenomeno di abolitio criminis. Ne consegue che la decisione del Gip appare errata anche alla luce della sentenza della Corte di Cassazione nel frattempo intervenuta su un caso analogo (sent. n° 30227/2020, dep. 30/10/2020). Ha ritenuto la Corte che la nuova norma non si applica alle pregresse fattispecie precisando, in proposito, che la precedente normativa determinava l’attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio al soggetto privato cui era demandata la materiale riscossione dell’imposta con conseguente applicazione dell’art. 314 c.p. nella ipotesi in cui il gestore della struttura ricettiva si fosse appropriato delle somme non versandole. Con la nuova normativa, il gestore è diventato, invece, soggetto passivo dell’obbligazione tributaria e deve versare il tributo a prescindere dal pagamento da parte degli ospiti della struttura recettiva sui quali può esercitare il diritto di rivalsa in quanto “responsabile di imposta”, sicché, tale gestore non può più considerarsi quale “agente contabile” con obbligo di rendiconto delle somme riscosse per conto dell’ente, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 314 c.p..

In conclusione, la novella introdotta con il D.L. n° 34/2000, non ha comportato una abolitio criminis, ma solo un fenomeno di successione di norme extra penali incidenti su elementi normativi della fattispecie relativi alla qualifica soggettiva del gestore; con la conseguenza che deve ribadirsi la rilevanza penale a titolo di peculato delle condotte commesse in epoca anteriore alla novatio legis di cui all’art. 180 D.L. n° 34/2020 e succ. conv..

Nessuna norma ad personam o ad familiam, quindi, a differenza di quanto spesso accaduto sotto precedenti governi.

 

Pecorella & C: la corsa a infangare Mani pulite

Guarda chi si rivede. L’Avv., Prof., Granduff, Gaetano Pecorella riemerso l’altro giorno sulle colonne del Giornale. Per far che? Per attaccare la magistratura, prendendo spunto da un libro di Stefano Zurlo (anche lui del Giornale) intitolato Il libro nero della magistratura.

Come avvocato, ma anche come qualsiasi cittadino, ne ha tutti i diritti. Però l’intervento di Pecorella si inserisce nell’attuale, e più generale, attacco alla magistratura che non si ravvede mai e si ostina a inquisire anche gli uomini politici (vedi inchiesta Farmabusiness). Si comincia con Matteo Renzi, candido giglio, è il caso di dirlo, che ha aperto un suo sito anti pm GuerraaRenzi.it e si prosegue con Pigi Battista che sul Corriere parla di “Flop di una stagione politico-giudiziaria”. Intendiamoci, la magistratura, nel tempo corrottasi a sua volta, sembra voler far di tutto per prestare il fianco a questi attacchi. Ce lo dice il “caso Palamara” dove in uno scambio di favori tipicamente mafioso sono coinvolti numerosi magistrati della Capitale e non. Ma fa piacere constatare che non c’è alcun magistrato milanese e tantomeno qualcuno che fece parte del pool Mani Pulite (Francesco Saverio Borrelli, Antonio Di Pietro, Ilda Boccassini, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Armando Spataro, Francesco Greco).

Il punto è poi sempre lo stesso, mettere in discussione, sia pure a vent’anni di distanza, la stagione di Mani Pulite e di Tangentopoli, quando ai magistrati milanesi cui in seguito a una serie di avvenimenti storici e meno storici, il collasso dell’Urss, la fine del consorziativismo per il quale il Pci da forza di opposizione era entrato a pieno titolo nella gestione del potere, l’avvento della Lega di Bossi, erano state tolte le manette dei partiti e osavano richiamare la classe dirigente, politica e imprenditoriale al rispetto di quelle leggi che tutti noi cittadini siamo chiamati a osservare. Quelle inchieste, basate su carte, documenti bancari, confessioni, non furono affatto un “flop”. Di fatto venimmo a scoprire, come mi aveva detto una volta, ma molti anni prima di Mani Pulite, Massimo De Carolis, leader della “maggioranza silenziosa”, che non c’era appalto senza tangente politica. Prima queste inchieste non erano possibili.

Ho raccontato più volte come Angelo Milana, pretore a Piacenza, fece qualche anno prima di Di Pietro and company le stesse inchieste mettendo al gabbio il sindaco comunista e quello socialista di Piacenza, l’importante imprenditore Vincenzo Romagnoli. Apriti cielo, si sollevò tutto l’“arco costituzionale” e non, e persino il santissimo arcivescovo di Piacenza. Manovrando il Csm, corrotto già allora, Milana fu proposto per un trasferimento a Trieste che non è proprio dietro l’angolo della città lombarda. Milana era un vecchio magistrato e disse: “Se le cose vi stan bene così, sapete qual è la novità, io me ne vado in pensione”.

Mani Pulite è stato un momento cruciale della storia, politica, sociale, giudiziaria, italiana. Sarebbe stata l’occasione perché la classe dirigente, riconoscendo i propri errori ma sarebbe meglio dire i propri reati, si emendasse. Invece nel giro di soli due anni, con tutti i testimoni del tempo ancora in vita, i magistrati divennero i colpevoli (fra le tante, non innocenti, sciocchezze, si disse che danneggiavano l’immagine internazionale dell’Italia) e i ladri le vittime e spesso giudici dei loro giudici.

Non ci si può quindi meravigliare se oggi, con un simile precedente alle spalle, quasi l’intera popolazione italiana è corrotta. Anche un cittadino comune, diciamo un cittadino perché non dovrebbero esserci distinzioni di sorta fra i Vip e gli altri, dice a se stesso “ma devo essere solo io il più fesso del bigoncio?”. È quindi con legittimo entusiasmo che salutiamo il risveglio, dopo anni di assopimento nel suo lucroso riposo, dell’Avv., Prof., Granduff, Gaetano Pecorella. Un “uomo fragile” come mi disse il suo e anche mio maestro Giandomenico Pisapia. Ma a furia di esser tutti “fragili”, avvocati, magistrati, imprenditori, politici, giornalisti, ecco in che condizioni ci siamo ridotti.

 

I tempi dell’allattamento, Giacomo fratello di Gesù e i malanni di stagione

E per la serie “La parte più bella del sesso è quando avete finito e guardate il tramonto dal parabrezza”, la posta della settimana.

Caro Daniele, abito a Milano e ogni anno, in questo periodo, spendevo un capitale in farmaci contro i malanni di stagione miei e della mia famiglia (tosse, raffreddore, influenza ecc.). Quest’anno che adoperiamo rigorosamente le mascherine e ci laviamo di continuo le mani e non andiamo né in ufficio né a scuola, zero. ZERO! Mi sembra incredibile! (Silvia Colombo, Milano). Da quando, a metà Ottocento, il medico ungherese Ignaz Semmelweis capì che in ospedale le donne morivano di febbre puerperale perché i ginecologi le aiutavano a partorire senza essersi lavati le mani dopo aver eseguito autopsie, è nota l’importanza profilattica dell’igiene personale. E gli uffici, come tutti i luoghi promiscui con aria viziata, tipo le scuole e i mezzi pubblici, sono ambienti notoriamente malsani, anche perché c’è chi va a lavorare nonostante la febbre, infettando tutti. La tua mail mi ha fatto venire un’idea, così ho telefonato a un’amica che lavora in una farmacia di Bologna per chiederle se certi farmaci stagionali si stanno vendendo di meno. Quello che mi ha detto avrebbe, su scala nazionale, un valore epidemiologico e sociologico talmente importante che invito senz’altro le associazioni di categoria a raccogliere i dati di tutte le farmacie d’Italia e divulgarli in forma ufficiale per avere il quadro completo, e confermare/smentire i dati parzialissimi di quella farmacia, dove la vendita di mucolitici è calata del 40%; idem quella dei farmaci contro la tosse; idem quella di antibiotici; inalterata quella degli antidepressivi; aumentata quella di integratori con vitamine C e D, lattoferrina, e farmaci legati alla Covid-19. Dato esilarante: le vendite di un noto antidiarroico sono calate della metà. Perché? Perché molta gente andava al cesso, defecava, si nettava il culo con la carta igienica e usciva dal bagno senza lavarsi le mani, le stesse mani con cui mangiava un panino successivo, si mangiava le unghie, stringeva altre mani che avrebbero toccato altro cibo, ecc. Il risultato era la dissenteria (i germi intestinali sono a trasmissione oro-fecale). Con l’igienizzazione diffusa delle mani, causa pandemia, niente sguaraus. Adesso sai perché i farmacisti, quando entravi a chiedere l’Imodium, ti rivolgevano quello sguardo.

Tua madre quando ha smesso di allattarti? (Davide Mascia, Tortolì). Il giorno in cui le sganciai il reggiseno con una mano (l’anno scorso). (Un fatto notevole, visto che è morta da 35 anni).

Alcuni archeologi hanno scoperto un’urna coi resti di Giacomo, il fratello di Gesù. Sapevi che Gesù aveva un fratello? (Maria Vrenna, Crotone). L’ho letto anni fa sulla Settimana enigmistica

e non l’ho più dimenticato. Dev’essere stata dura, avere Gesù come fratello. Vinci una gara di nuoto, lui cammina sulle acque; sai fare un cocktail, lui trasforma l’acqua in vino; friggi patatine da McDonald’s, lui moltiplica i pani e i pesci; fai ripartire un’auto in panne, lui resuscita Lazzaro; ti viene l’herpes, lui muore crocifisso. Che due marroni!

Sei pro o contro la fecondazione in vitro? (Luigi Martinelli, Bormio). Pro, ma la mia compagna preferisce la fecondazione tradizionale: legata al letto, eccetera.

Cosa sarebbe cambiato se fossi nata un giorno prima? (Nuccia Delfino, Genova). Forse niente, a parte il fatto che ti saresti fatta questa domanda ieri.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi! (lettere@ilfattoquotidiano.it).

 

I have a dream: vaffa al bullo da “Giuseppi”

I have a dream, ho fatto un sogno: Giuseppe Conte che sfancula Matteo Renzi nell’aula del Senato, come fece con l’altro Matteo in quell’indimenticabile (per me, ma penso anche per voi) 20 agosto 2019. Direte: ma che volgarità, che mancanza di stile, di rispetto per i lettori e per le istituzioni, vergogna! Tutto vero, tutto giusto, mi vergogno, chiedo perdono, ma provateci voi a censurare i sogni, soprattutto i bei sogni, al culmine di un crescendo (stavo per scrivere orgasmo) narrativo. Quando dormi non è che puoi intervenire sui dialoghi, non è che stai girando un film, non è che puoi dire fermi tutti e sostituire la pessima espressione di cui sopra con un’altra più civile, come per esempio: mandare al diavolo, a quel paese, bacchettare, rimproverare (che, diciamolo, non possiedono la stessa efficacia).

No, non s’interrompe un’emozione e dunque ho sognato Conte che inizia il suo intervento (quasi) con le stesse parole dell’altra volta: caro Matteo, minacciando la crisi di governo ti sei assunto una grande responsabilità di fronte al Paese. A questo punto ho visto Renzi sbiancare (io sogno a colori) mentre ricordo che intorno a lui alcuni senatori italivivi si accasciavano disperati sui banchi. È straordinario, mi sembrava di essere lì mentre il caro premier rappresentava il pensiero di molti italiani che rammento parola per parola: caro Matteo, io non mi faccio ricattare da te e dal tuo partitino personale magari in cambio di qualche poltrona di potere, non ho alcuna voglia di galleggiare, o di tirare a campare per qualche settimana, o qualche mese in attesa del tuo ennesimo avviso di sfratto. Ritengo che la sofferenza degli Italiani, i lutti che ogni giorno si sommano ai lutti, meritino rispetto. Se vuoi giocare a poker sulla pelle del Paese sappi che io non ci sto, e uscito da quest’aula andrò al Quirinale per dimettermi. E se dopo il mio gesto si andrà a elezioni anticipate, e se a vincere saranno Salvini e Meloni, vorrà dire che questo ci meritiamo, anzi vi meritate. Anche perché tu e i tuoi amici di Italia Viva andrete a casa e dovrete trovarvi un lavoro (questo per la verità l’ho aggiunto io, dopo). Qualcuno dirà che ho descritto il sogno di un irresponsabile. Forse, ma i sogni sono desideri e speravo tanto di non svegliarmi.

Il Tesoro preme: Mps a Unicredit con l’ok “politico”

Il ministero dell’Economia sta provando in tutti i modi a risolvere la grana Montepaschi consegnando la traballante banca senese a Unicredit insieme a una cospicua dote pubblica. L’obiettivo sarebbe chiudere un accordo di massima entro la primavera, in modo da portare il progetto all’attenzione delle assemblee che dovranno approvare il bilancio 2020. Ieri il Tesoro, che ha il 64% di Mps, ha smentito debolmente voci di un’accelerazione riportate da Bloomberg, ma non è un mistero che la pressione sia forte. Resta da superare l’opposizione dei 5Stelle, e per questo si pensa di prevedere prima un via libera “politico”.

Breve riassunto. Come noto, gli uomini a diretto riporto del ministro Roberto Gualtieri hanno infilato in manovra una norma fiscale che permette (attraverso la conversione delle imposte differite attive, le cosiddetta “Dta”) di ricevere un beneficio fiscale in caso di fusioni aziendali. La norma è generale e sta innescando il risiko bancario (Credit Agricole Italia, per dire, ha già lanciato un’offerta pubblica di acquisto sul Creval), ma è costruita per rendere appetibile Mps, che fuori bilancio ha Dta per tre miliardi. Unicredit ha cooptato in cda l’ex ministro Pier Carlo Padoan, l’uomo che nel 2017 nazionalizzò Mps e oggi destinato alla presidenza, ma è alle prese con la ricerca del nuovo ad, visto che Jean Pierre Mustier lascerà ad aprile in rotta con il cda (e non molto convinto dell’affare Mps).

Tra bonus fiscale, aiuti per gestire gli esuberi e l’enorme mole di cause legali che gravano sul Monte (circa 10 miliardi), la dote pubblica garantita a Unicredit si aggira intorno ai 6 miliardi. In questa cifra sono compresi i quasi 1,5 miliardi che il Tesoro dovrà tirare fuori per ricapitalizzare la banca. Ieri il Cda del Montepaschi ha infatti ufficializzato una carenza di capitale tra i 2 e i 2,5 miliardi, che andrà rimpinguato a breve, e approvato il piano industriale 2021-2025 che prevede la riduzione di personale di 2670 unità (in caso di fusione con Unicredit salirebbero almeno a 6mila).

La linea che fa filtrare il Tesoro è che sia la vigilanza bancaria a premere affinché venga approvato l’aumento di capitale contestualmente a un progetto di fusione. Tradotto: Mps non può andare avanti da sola, con lo Stato dentro. vero o no che sia, la line anon piace ai 5Stelle, che hanno depositato in manovra due emendamenti alla manovra per bloccare il regalo fiscale a Unicredit. Il Tesoro ora deve “riformularli”. A quanto filtra, la linea dello staff di Gualtieri è quella di lasciare il regalo fiscale ma di prevedere, per quanto riguarda le operazioni di grande entità, un passaggio parlamentare (o in Consiglio dei ministri, ipotesi più complessa).

In caso di fusione, ai valori di Borsa attuali lo Stato si troverebbe azionista del nuovo gruppo tra il 5 e il 10% del capitale, in grado – facendo asse con la fondazione Cariverona – di avere un nocciolo di controllo italiano.

Problema: i grandi fondi azionisti di Unicredit dovrebbero diluire la loro partecipazione e non è detto che il cda attuale, in scadenza, si sentirà di dare l’ok finale. Uno degli emendamenti dei 5Stelle prevede invece di convertire le Dta del Monte prima della fusione. In quel caso, il Tesoro supererebbe il 15% del nuovo gruppo. Ma il ministero non ne vuol sapere.

Cellulare e mail di David Rossi utilizzati ore dopo la sua morte

Qualcuno tentò di inviare due mail dal cellulare Blackberry di David Rossi, dopo la sua morte. E non è l’unica (ennesima) stranezza. Una nuova analisi informatica ha accertato che dai telefoni del manager del Monte dei Paschi di Siena “emergono numerose cancellazioni di messaggi e chiamate”, “oltre 300”. Da uno solo dei due cellulari sono stati eliminati “59 messaggi su 64”. Il paradosso è che a queste conclusioni si arriva con 7 anni di ritardo, troppo tardi per capire esattamente cosa è stato perduto e se in questo buco nero sono finite informazioni determinanti per arrivare alla soluzione del giallo. A scoprirlo è la Procura di Genova, cioè i pm incaricati in seconda battuta di indagare sui presunti insabbiamenti dei colleghi di Siena, che per primi si occuparono dell’inchiesta.

Una delle due mail sotto la lente degli inquirenti era già nota agli atti della prima indagine. Era uno degli indizi che portò la Procura di Siena a suffragare l’ipotesi che l’ex capo della comunicazione Mps si fosse tolto la vita: “Stasera mi suicido, sul serio. Aiutatemi”. Chi non ha mai creduto a queste versione, come la famiglia, ha sempre ritenuto quelle poche righe un falso. Quel messaggio riaffiora oggi nel rapporto di 65 pagine che la polizia postale ligure ha consegnato alla Procura: il 14 marzo 2013, cioè 7 giorni dopo la morte di Rossi, qualcuno provò a inviare quella comunicazione. “Va rilevata l’anomalia – scrivono gli investigatori – alla quale non è stato possibile trovare elementi di riscontro in questo hard disk a favore di un’eventuale ipotesi che ne spieghi la natura”.

La tesi portata avanti dai consulenti dei pm non è tanto che quel messaggio sia stato scritto da qualcuno dopo la morte di Rossi. Piuttosto, è un elemento che fa pensare a una manipolazione o a una “adulterazione” di telefoni e hard disk, che oggi non può che essere registrata come l’ultima di una lunga serie di anomalie. Appena pochi giorni fa la parte civile aveva denunciato lo smarrimento o la mancanza di alcuni atti dal fascicolo, solo in parte ritrovati dopo la segnalazione. Ma non è finita qui. Come spiegare, ad esempio, il fatto che il dirigente della banca precipita dalla finestra alle 19.43 del 6 marzo 2013 (muore dopo una ventina di minuti di agonia), mentre “le email dell’iPhone (nel suo ufficio) risultano lette fino alle 23.32”? E ancora: “Alle 21.54 risulta un tentativo di chiamata in entrata che è stato cancellato dal registro delle chiamate. Con gli strumenti a disposizione – scrivono ancora i poliziotti – non siamo stati in grado di risalire alla numerazione del chiamante e nemmeno a circostanziare il momento in cui è avvenuta la cancellazione”. Nella migliore delle ipotesi ci sono per i tecnici tracce di inquinamento della scena del crimine.

Ieri davanti al gip Franca Borzone, gli avvocati della famiglia Rossi, Carmelo Miceli e Paolo Pirani, hanno chiesto di non archiviare le indagini sui presunti festini sessuali che avrebbero coinvolto magistrati senesi. Il filone di indagine nasce dalle rivelazioni dell’ex sindaco di Siena Pierluigi Piccini alle Iene. Il ricatto dei festini, suggeriva in quell’intervista, potrebbe essere il movente per cui i magistrati avrebbero “abbuiato tutto”. Il procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta bis, aperta a carico di ignoti per i reati di abuso d’ufficio e prostituzione minorile. Quest’ultima ipotesi era scaturita dalle dichiarazioni di un detenuto, William Villanova Real, condannato per l’omicidio di una prostituta. L’uomo aveva raccontato di feste a Montecarlo, a cui avrebbe partecipato un dirigente Mps, e più di un magistrato. Ma le analisi sui suoi computer, dove il testimone aveva indicato di cercare video compromettenti, non hanno fornito alcun riscontro. Durante l’udienza è stato sollevato un ulteriore tema: uno dei testimoni principali dell’inchiesta giornalistica delle Iene ha subito minacce e avvertimenti che avevano come obiettivo la ritrattazione delle dichiarazioni. Si tratta di un ex escort. La sua identità è stata resa nota nei giorni scorsi, oggi è assistente di un europarlamentare della Lega. L’uomo ha riferito di aver partecipato a feste hard e ha riconosciuto due magistrati (di fronte agli inquirenti uno dei due riconoscimenti è risultato più vacillante). Sul caso è stato presentato un esposto. “L’esposizione di questo testimone – commentano i legali della famiglia Rossi – è un fatto gravissimo”.

Report falsi e omessi lavori, nuova accusa ai vertici di Aspi sul Morandi: crollo doloso

La nuova accusa anticipa di pochi giorni la perizia sulle cause del crollo del ponte Morandi: per la Procura di Genova si è trattato di un “crollo doloso”. È questo il nuovo reato contestato ai vertici di Autostrade, amministratori, dirigenti e tecnici. E trova spiegazione in quanto accaduto a monte del disastro di Genova: manutenzione omessa, report falsificati, controlli rimandati o ignorati. Tutti comportamenti volontari e soprattutto “consapevoli”, secondo chi indaga, “orientati al raggiungimento del massimo profitto”. Un quadro che insomma esclude, secondo l’accusa, che si sia trattato di una fatalità imprevedibile. La contestazione del pm Massimo Terrile emerge dall’analisi delle carte depositate presso il Tribunale del Riesame, nel corso del procedimento parallelo legato alle barriere antirumore, montate sulla rete nonostante fossero fuori norma e a rischio cedimento. E trapela a pochi giorni da un appuntamento fondamentale: il deposito della perizia che deve accertare le cause del crollo del viadotto. Ieri i giudici, coordinati da Massimo Cusatti, hanno depositato le motivazioni con cui hanno confermato i domiciliari nei confronti dell’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli: “Era pienamente consapevole dell’inadeguatezza e della pericolosità delle barriere”. Donferri è anche una delle figure principali nell’indagine sul disastro del Morandi, costato la vita a 43 persone. Ed è proprio in questo contesto che emerge l’ordine dato alla segretaria di cancellare tutte le chat dopo il suo licenziamento, avvenuto dopo l’allontanamento dell’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci: “L’importante è che devi fare tutto da sola. Piano, piano, non devi fare entrare nessuno. I Whatsapp li levi, capito?”. E ancora: “Portati un trolley bello grosso devo comincià a prendere l’archivio sul Polcevera, quello è roba mia”. Nel 2019, Autostrade lo aveva mandato a lavorare per Abertis, altra società del gruppo Atlantia. Dopo le dimissioni di Castellucci, a settembre, viene licenziato. Ma trova rifugio presso la Polis Consulting, ditta di Pomezia, che per conto di Aspi esegue progettazione di gallerie e sarebbe stata in procinto di accaparrarsi “un appalto in Vaticano”. Donferri lavorava in nero e incassava l’indennità di disoccupazione. “Emerge la capacità dell’indagato di mistificazione dei fatti e di alterare le prove anche con pressioni minime”, concludono i giudici. “Una volta avevo la fila fuori dall’ufficio – dice Donferri – adesso voglio solo lavorare”.

Fd’I contro Report, Ranucci: “Porte sempre aperte”

Due ore e mezzo di fuoco di fila in Vigilanza, con i partiti di destra scatenati contro Report. È successo mercoledì sera, in un’audizione al direttore di Rai3 Franco Di Mare che, a sorpresa, si è presentato con Sigfrido Ranucci, vicedirettore e conduttore di Report. Questo è l’anno record del programma, con 700 mila telespettatori in più rispetto alla passata stagione (+35%). Ed è l’anno di inchieste che stanno pungendo nel vivo la politica, come si è visto con l’Oms. Ma è anche l’anno in cui Report è come non mai sotto il tiro dei partiti. Così, due sere fa, è andato in scena una sorta di processo. Con FdI che ha chiesto spiegazioni su un’intervista “tagliata” a Giorgia Meloni, FI che è tornata sul caso delle email “rubate” tra Giuli e Mascetti e la Lega a chiedere l’elenco delle cause intentate al programma. “Sono pronto a ospitare Meloni con un’intervista registrata, come avviene da noi”, ha ribadito ieri il conduttore. “Si cominci ad approvare la legge sulle liti temerarie a tutela del giornalismo libero e d’inchiesta”, ha aggiunto.