A Torre Annunziata, prima hanno arrestato per tangenti sugli appalti il capo dell’ufficio tecnico comunale, Nunzio Ariano. Ma si provò a liquidare l’episodio come sporadico, la mela marcia turbata da gravi problemi familiari. Poi hanno arrestato per le stesse tangenti l’ex vicesindaco, Luigi Ammendola. Trascorreva ore e ore con l’architetto Ariano nell’ufficio tecnico, ne divideva le pratiche e le abitudini. Ma la città, narcotizzata alla malapolitica, ha avuto un sussulto di dignità solo ad aprile quando è scesa in piazza dopo l’omicidio assurdo di un signore mite, Maurizio Cerrato, ucciso per aver difeso la figlia da quattro delinquenti inferociti per un posto auto, per una sedia spostata dalla strada. Infine pochi giorni fa è arrivata un’altra procura, l’antimafia di Napoli, a perquisire a tappeto il municipio e le case del sindaco Pd Vincenzo Ascione e di alcuni consiglieri e assessori. Scrivendo che il clan Gionta detta ordini alla politica, attraverso un proprio uomo, Salvatore Onda. Il nipote di un killer della cosca, cognato di una consigliera comunale, dipendente di una partecipata interessata ad appalti locali, nonché regista di trame politiche e di nomine in giunta. Onda è il referente di Ascione per i fondi del Pnnr ed è stato vicino a un ex capogruppo di una lista del governatore Vincenzo De Luca, secondo le intercettazioni divulgate sul decreto.
“Tante avversità…”consiglio dimezzato
Qui, nell’anno 2022. Come se l’orologio di Torre Annunziata fosse tornato indietro al 1985. All’anno di Giancarlo Siani ucciso sotto casa a Napoli per aver scritto sul Mattino di “Fortapàsc”, di una camorra che qui sparava ad alzo zero nei bar lasciando i cadaveri sui marciapiedi, tesseva e disfaceva alleanze interne, si arricchiva con il racket e lo spaccio. Alla quale i politici locali obbedivano senza fiatare.
Il sindaco Pd Vincenzo Ascione, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione, ieri si è dimesso. Era politicamente assediato, scaricato dai dem, preoccupato per la relazione della commissione prefettizia consegnata al Viminale.
Ascione ha provato a rimanere aggrappato a una nave piena d’acqua, convocando una conferenza stampa per dire che “non si possono incolpare le persone solo per il cognome e le parentele”. Il giorno dopo ha gettato la spugna: “So che avevo dichiarato di voler proseguire il mio mandato, ma prendo atto delle dimissioni di alcuni consiglieri e in particolare del presidente del consiglio Giuseppe Raiola, che mi ha seguito in questa avventura resistendo alle tante avversità”. Si tratta dei politici coindagati sul decreto di perquisizione. Ma non solo. Tra chi si era già dimesso o era pronto a farlo, il numero era salito a 16. La nave stava affondando.
Gli affari Gare illegittime e imprese infiltrate
Il primo a capire che sarebbe colata a picco era stato Lorenzo Diana. L’ex senatore anticamorra, una reputazione costruita negli anni 90 trascorsi a combattere il clan dei Casalesi, era stato chiamato a fare il vicesindaco per ripulire l’immagine della città e le incrostazioni dagli uffici. Ci ha provato, non ci è riuscito. E da salvatore della patria ne è diventato un feroce accusatore. Si è dimesso a giugno, poche ore dopo l’arresto del suo predecessore. “Ho subito resistenze a ogni proposta di cambiamento e ho trovato almeno otto gare illegittime”. I pm lo hanno sentito durante le indagini. Infatti alcune di quelle gare sono ricordate nelle perquisizioni come tra quelle “sospese per gravi anomalie”.
Ora Diana dice: “Non siamo agli anni 80, lo Stato ha inferto duri colpi alla camorra. Ma resta il problema irrisolto di un sistema criminale affaristico del quale non sono state recise le radici, e che punta alla spesa pubblica per gestire la ricchezza accumulata”. Come? “Infiltrandosi negli appalti più lucrosi che avevo indicato ai pm: le strisce blu, la videosorveglianza, l’immondizia, il noleggio degli automezzi”. Alcuni affidati a imprese con interdittive. Però si spara di meno. “Ma la violenza non è stata abbandonata, i negozi sono stati intimiditi a suon di bombe per il pizzo”, ricorda Diana. L’ultima indagine è nata da un attentato a uno studio di commercialisti. Tutto torna.
Spari e social Le chat delle “donne d’onore”
Carmela Sermino presiede l’associazione di legalità ‘Giuseppe Veropalumbo’. Ha sede in un appartamento confiscato ai Gionta. È intitolata al marito ucciso il 31 dicembre 2007 da un proiettile vagante. Un gruppo di ragazzini malavitosi scaricò in alto le loro pistole, all’inizio si pensò ai festeggiamenti criminali di Capodanno. “Ora i clan sparano meno, ma quando sparano riflettono ancora meno, si ammazza per poco. Mentre dietro l’omicidio di Siani c’era un mandante, una strategia. Oggi quella capacità strategica si è trasferita sull’economia. E leggere che la camorra era in grado di intervenire sul sindaco per i fondi del Pnrr mi ha inquietato”. È vero che il clan Gionta si sente meno tollerato dopo la morte di Cerrato, che sta contando chi è con loro e chi contro? “Forse sì, sono insofferenti al fatto che dopo diverso tempo qualcuno era tornato a scendere in piazza”. Sta di fatto che sui social la furia delle donne della cosca è incontenibile. Seminano insulti e minacce nei commenti ai post degli articoli che raccontano gli arresti di camorra. “Tu sei un grande cornuto… Pezzi di merda non vi permettete di parlare di persone che non conoscete! Stanno persone innocenti, vigliacco. Gionta con le sigarette vi ha tolto la fame in faccia”. Il tutto rigorosamente in un italiano più sgrammaticato della nostra sintesi. In maiuscolo, che sul web equivale a urlare.
Torre Annunziata in effetti non è stata un’avanguardia di ribellione civile. Lo conferma Pasquale Del Prete, della Fai antiracket, il cosiddetto ‘modello Ercolano’, la vicina cittadina dove le estorsioni sono scese quasi a zero “perché tutti abbiamo fatto squadra denunciando, mentre a Torre Annunziata c’è una economia molto infiltrata”. E dunque “questo spiegherebbe – secondo Del Prete – quel che stiamo leggendo, e perché il nostro progetto ‘Mai Più’, presentato qui nel 2019 in Comune, abbia raccolto solo poche denunce di usura e nessuna di pizzo”.
Il fratello di Giancarlo Siani, il pediatra Paolo Siani, è un deputato dem. “Sa cosa mi fa più impressione? Giancarlo scriveva queste cose negli anni ’80 ma da allora non è cambiato nulla, il clan è sempre lo stesso e i nomi sono sempre gli stessi. I capi vanno in carcere ma c’è sempre qualcuno pronto a prenderne il posto. Non siamo riusciti ad offrire a questi ragazzi altra opportunità che fare il camorrista. Un destino segnato peggio di una malattia autosomica dominante”. Che significa? “Che si trasmette per forza di padre in figlio”.