Allergie e anziani, prime crepe nei vaccini

Doveva essere il più bel regalo di un Natale all’insegna della pandemia, ma la strada per una vaccinazione risolutiva di massa – e difficilmente poteva essere altrimenti– è ancora piena di ostacoli. E non risparmia Pfizer/Biontech e Astrazeneca, i due vaccini su cui, al momento, si concentrano le maggiori speranze.

In Gran Bretagna, nel primo giorno di somministrazione di Pfizer-Biontech, che certa trionfalistica stampa ha prontamente ribattezzato V-Day – dove V sta per Vaccine ma anche per Victory – si sono registrati due casi di “reazione allergica significativa”. Si tratta di due operatori sanitari 40enni immediatamente segnalati all’Mhra, l’ente regolatore britannico del farmaco che il 2 dicembre ha rilasciato un’autorizzazione temporanea al vaccino prima dell’approvazione al commercio, basato sull’esame incompleto dei dati della sperimentazione. Secondo la direttrice di Mhra June Raine entrambi avevano “una lunga storia di reazioni allergiche e si sono ripresi dopo un appropriato trattamento. Chiunque abbia una storia di significative reazioni allergiche al vaccino – è la raccomandazione dell’ente – non deve ricevere il vaccino Pfizer”. Secondo il direttore medico di NHS England, il professor Stephen Powis, si tratta di “episodi comuni con i nuovi vaccini”, ma rimane il fatto che si rischia di tagliare fuori un’ampia fetta della popolazione britannica, circa il 20%, ossia i 21 milioni che soffrono di allergie varie.

E anche dal fronte Astrazenca-Università di Oxford, che – a differenza di Pfizer e Moderna – hanno rilasciato una larga parte dei risultati sulla sperimentazione clinica del loro vaccino (pubblicati sulla rivista The Lancet) le ultime notizie invitano ancora a una certa cautela: “Al momento i dati non mostrano che il vaccino sia efficace negli anziani oltre i 55 anni o in quelli con comorbidità multiple – spiega il professor Julian W Tang, professore onorario di Virologia Clinica e Pneumologia dell’Università Leicester (Gran Bretagna) – Ma non perché non lo sia, ma perché i dati ancora non sono disponibili. Quei partecipanti sono stati reclutati abbastanza tardi, quindi i dati saranno noti più avanti”.

Sempre secondo quanto riportato da Lancet, nella fase 3 di sperimentazione Astrazeneca e Università di Oxford hanno operato una deviazione dal protocollo iniziale: a un gruppo di volontari è stata somministrata solo mezza dose invece che una intera. “Non credo che questo intacchi la sperimentazione – sostiene Guido Rasi, ex Direttore esecutivo dell’Agenzia europea per il farmaco – L’errore c’è stato solo su un migliaio di volontari. Tutto il resto, per ora, resta valido”. La sperimentazione Astrazeneca è stata condotta principalmente su una popolazione di circa 20 mila volontari quasi tutti sotto i 55 anni, ma il 10% dei dati riguarda persone sopra i 55 anni. “Sono tutti dati da vedere in profondità – ancora Rasi –. Il vaccino Astrazeneca per ora ha un efficacia superiore al 50% sulle fasce di età under 55, può dunque ritenersi sicuro”.

Ma il problema vero, sempre secondo l’ex direttore esecutivo Ema, è a monte: “Non ha senso fare la vaccinazione di massa – sostiene – Bisogna fare la cosiddetta vaccinazione ad anello: monitorare i focolai e vaccinare tutto intorno per stroncare i ponti di trasmissione del virus il più velocemente possibile, per evitare che il virus abbia il tempo di mutare per adattarsi alla pressione evolutiva che crea la vaccinazione. Il rischio è che muti prima di aver terminato la vaccinazione di massa, per adattarsi a sopravvivere trovando una via alternativa, e cioè quella di non rispondere più al vaccino”.

Tornando al caso Pfizer, anche secondo l’Oms le reazioni allergiche severe sono eventi rari (un caso su un milione per l’anafilassi). Il fatto che se ne siano verificati due al primo giorno di vaccinazione – spiega al Fatto una fonte interna a Ema – per una sostanza che deve stimolare il sistema immunitario su persone su cui non si hanno dati dallo studio clinico e che per giunta hanno già un’iperstimolazione come un’allergia, è un dato significativo e un rischio aggiuntivo”. Non si hanno dati perché la sperimentazione clinica della Pfizer-Biontech sul vaccino anti-Covid basato sulla tecnologia dell’Rna messaggero – mai approvata prima per il commercio – ha inserito tra i criteri per escludere eventuali volontari che avessero chiesto di partecipare alla sperimentazione, proprio una “storia di grave reazione avversa associata a un vaccino e/o a una grave reazione allergica (ad esempio, anafilassi)”.

Quanto avvenuto ieri nel Regno Unito potrebbe forse condizionare i processi di approvazione del vaccino da parte di enti regolatori europei e Usa. “Sarebbe raccomandabile anche per Fda ed Ema – spiega Julian W Tang – informare persone con allergie severe di evitare questo vaccino, come precauzione”, ha spiegato al Fatto Julian W Tang.

Peter Openshaw, docente di Medicina sperimentale all’Imperial College di Londra, ha ricordato come nella fase tre si fosse effettivamente riscontrata una differenza tra la percentuale di reazioni allergiche riscontrate nei volontari che hanno ricevuto il vaccino (lo 0,63%), rispetto al gruppo che ha ricevuto solo un placebo (lo 0,51%). In più, su volontari selezionati a priori senza storia di allergia. Il dato è pubblico solo da solo ieri, quando Fda, l’agenzia del farmaco americana, ha rilasciato il dato in un documento pubblico dove ha espresso un primo parere positivo sul vaccino Pfizer, ma non lo ha ancora approvato.

Il documento riporta anche il caso di due decessi avvenuti nel gruppo degli oltre 20mila volontari che hanno ricevuto il vaccino, entrambi sopra i 55 anni: il primo ha avuto un arresto cardiaco 62 giorni dopo la seconda dose di vaccino ed è morto tre giorni dopo; l’altro è deceduto per arteriosclerosi tre giorni dopo aver ricevuto la prima dose. Ma Fda non si è espressa su un eventuale rapporto causa effetto tra il vaccino e i due decessi.

Polonia e Ungheria (forse) ritirano il veto

Il prossimo Bilancio settennale dell’Ue, a cui è legato anche il cosiddetto Recovery Fund, dovrebbe sbloccarsi nel Consiglio europeo di oggi e domani: ieri gli ambasciatori degli Stati europei si sono riuniti per discutere e mettere a punto l’intesa trovata tra la Germania, che è presidente di turno dell’Unione, Polonia e Ungheria. In sostanza, la formulazione proposta rende un po’ più farraginoso il processo per punire finanziariamente chi viola “lo stato di diritto” e in ogni caso rinvia il tutto di almeno un paio d’anni: Viktor Orbán e il suo omologo di Varsavia Andrzej Duda possono se non altro cantare vittoria col loro elettorato.

Per capire la natura del compromesso, serve un breve riassunto. Su pressione dei Paesi del Nord Europa e dell’Europarlamento, il nuovo Bilancio Ue – e dunque anche i fondi per la ripresa – saranno vincolati anche al rispetto dello stato di diritto. Finora non era così: i Paesi “condannati” per violazioni dello stato di diritto – cioè finora Ungheria e Polonia – rischiavano come sanzione massima la sospensione dal Consiglio europeo, ma la minoranza di blocco dei Paesi di Visegrad avrebbe impedito comunque anche quella penalizzazione visto che andrebbe decisa a maggioranza qualificata.

Per questo stavolta i nordici e l’Europarlamento hanno puntato sul portafogli. La reazione di Orbán e Duda è stata porre il veto dove potevano: la richiesta della Commissione di aumentare il tetto delle “risorse proprie” necessario a portare a casa il Bilancio Ue come contrattato tra Stati, Commissione e Europarlamento. Quel veto di un mese fa ha bloccato tutto il processo, compresa l’approvazione a livello comunitario di Next Generation Eu, cioè il Recovery Fund. Ieri mattina, però, il governo polacco ha sostenuto che era stata trovata una buona soluzione con la Germania: quella soluzione, però, va accettata anche dagli altri 24 Stati membri. Per questo gli ambasciatori presso l’Ue si sono riuniti ieri pomeriggio a Bruxelles.

Cosa contiene questo compromesso? Gli interessati non si sono sbilanciati. Ieri pomeriggio in Senato Giuseppe Conte ha spiegato che niente può essere dato per concluso: “Aspettiamo di leggere la proposta di una dichiarazione interpretativa, condivisa dai due Paesi, per quanto riguarda la condizionalità dello stato di diritto”.

Si tratta dunque, come ipotizzato anche dal Financial Times, di una norma interpretativa. In sostanza, prima che la Commissione posso azionare le penalizzazioni dovute allo stato di diritto, dovrà chiedere il “permesso” della Corte di Giustizia europea, che giudicherà della legalità del meccanismo. Nella proposta tedesca sarebbe anche prevista una “lista chiusa” di potenziali violazioni dello stato di diritto, in modo da limitare la discrezionalità della Commissione in materia (e magari costruita per renderla il meno applicabile possibile).

Se questo è il meccanismo, notano gli esperti di cose bruxellesi, anche se andasse molto male nessuna sanzione potrà essere erogata prima di un paio d’anni, consentendo a Orbán di presentarsi alle elezioni del 2022 senza danni. Polonia e Ungheria al momento, anche se hanno dovuto accettare l’introduzione di un meccanismo che non volevano, cantano vittoria. Per capire perché bisognerà aspettare i dettagli.

La Bce rafforza il bazooka: altri 80 mld di titoli italiani

Oggi pomeriggio il governatore della Bce, Christine Lagarde, scoprirà le sue carte. Dopo mesi passati ad annunciare che con l’aggiornamento delle previsioni macroeconomiche di dicembre verrà ricalibrato l’intervento di supporto all’economia da parte della Banca centrale, adesso siamo al dunque. Il mercato si aspetta l’estensione temporale dell’ombrello introdotto per fronteggiare la crisi pandemica con acquisti massicci di titoli di Stato dei Paesi per evitare l’esplosione dei costi.

Se, come probabile, il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) venisse esteso per un anno, al ritmo attuale di acquisti mensili, vorrebbe dire altri 450-500 miliardi di euro immessi nel sistema economico, da aggiungere ai 650 che ancora rimangono da eseguire e ai 20 miliardi mensili del cosiddetto Quantitive Easing, il programma di acquisti avviato ai tempi di Mario Draghi e ormai a tempo indefinito fino a quando la Banca Centrale non avrà raggiunto l’obiettivo di inflazione al 2%. Oltre a questo ampliamento dovrebbe arrivare anche l’estensione dei cosiddetti prestiti mirati alle banche, altra liquidità al sistema bancario a tassi negativi, inferiori a quelli ufficiali, che di fatto ne sussidiano il margine d’interesse. Non ci saranno riduzioni di tassi e le aspettative che la Bce possa sorprendere il mercato in senso espansivo sono risicate.

L’arrivo ormai certo del vaccino per il virus pandemico ha di fatto escluso il manifestarsi dello scenario severo delle previsioni macroeconomiche e il Consiglio Bce, che si esprime da tempo con voci discordanti, annuncerà con buona probabilità quello che il mercato si aspetta, niente di più. Giusto la scorsa settimana Isabelle Schnabel, membro del Comitato esecutivo, ha avvertito il mercato di non aspettarsi uno stimolo eccessivo.

L’impatto per l’Italia non sarà però marginale. Dato che la quota di partecipazione al capitale della Bce della Banca d’Italia è circa il 17%, l’estensione del PEPP nel modo che si aspetta il mercato vorrebbe dire circa altri 80 miliardi – metà nel 2021 e l’altra metà nel 2022 – di acquisti aggiuntivi di titoli (prevalentemente di debito pubblico). Questi oltre ai 110 miliardi ancora da acquistare e ai 3,5 che ogni mese la Bce regolarmente acquista dal settembre 2019. Sommando tutti gli interventi descritti, il prossimo anno la Banca centrale arriverà ad acquistare poco meno di 200 miliardi di debito pubblico italiano. Se questo dato lo confrontiamo con il fabbisogno di circa 100 miliardi stimato dal governo nei documenti di bilancio di ottobre, tenendo conto del fatto che nel 2021 dovrebbero arrivare circa 25 miliardi dall’Europa nell’ambito del Recovery Plan, significa che al termine del prossimo anno i titoli italiani di debito pubblico in circolazione sul mercato saranno 125 miliardi in meno di quelli in essere, a fronte di 200 miliardi di liquidità immessa dalla Banca centrale.

Il trend divergente tra la sempre più ampia liquidità immessa e i sempre meno titoli in circolazione sta da alcuni mesi guidando l’andamento dei tassi d’interesse di tutti i Paesi dell’eurozona, soprattutto dei periferici. I titoli di Stato di Spagna e Portogallo hanno ormai raggiunto rendimenti negativi fino alla scadenza dei 10 anni. Il rendimento del Btp italiani a 10 anni, ieri a 0,54%, ritocca ogni giorno nuovi minimi. Di questo passo potrebbe toccare lo zero nel prossimo trimestre. A riprova delle condizioni particolarmente favorevoli di accesso al mercato, il Tesoro italiano ha rinunciato alle emissioni di titoli a media/lunga scadenza per il mese di dicembre. L’asta di oggi e del 30 dicembre dei titoli a 10 anni sono state infatti cancellate “in considerazione dell’ampia disponibilità di cassa e delle ridotte esigenze di finanziamento”.

In questo contesto le discussioni sul finanziamento di alcuni capitoli di spesa dello Stato, come ad esempio il piano sanità da 68 miliardi finanziato però con solo 9 miliardi dal Recovery Plan, paiono ormai del tutto surreali. Lo Stato dispone di ampia liquidità, ha pieno accesso ai mercati, tanto che le aste sono spesso coperte molto più dei titoli offerti, e i tassi scenderanno anche nei prossimi mesi. Il compito che resta da fare, e sul quale si devono concentrare i maggiori sforzi, è come non sprecare questa congiuntura, spendere bene i soldi che ci sono in abbondanza, in modo che producano una crescita duratura.

“Doveva essere un burattino, invece Conte si è dimostrato leader”

Il sito Politico.eu è uno dei giornali più qualificati sulla politica europea. In vista del 2021, ha diviso i leader Ue in tre categorie: i doers (“la cui influenza guiderà il corso dell’Ue”), i dreamers (“che personificano un’idea e lo portano nel dibattito”) e i disrupters (“chi rompe i nostri preconcetti e ignora le strutture di potere ufficiali”). Al primo posto tra i doers c’è Giuseppe Conte. “È evidente la trasformazione che ha avuto – è la versione di Sarah Wheaton, senior policy reporter a Politico e coordinatrice del lavoro sulle classifiche – mostrandosi più capace di gestire il potere di quanto chiunque si potesse immaginare”.

Sarah Wheaton, come valuta il percorso di Conte?

Il fatto che sia rimasto primo ministro col cambio di governo dimostra la sua abilità. Doveva essere un burattino e invece sta diventando un vero leader. Vedremo se riuscirà a esserlo nel lungo termine: la sua gestione del Recovery Fund avrà conseguenze per l’intera Europa.

Quali sono i rischi?

Avrà il problema di soddisfare la sua coalizione, senza dimenticare le pressioni dell’opposizione a cui probabilmente dovrà lanciare qualche osso. Ma poi avrà addosso gli occhi delle capitali Ue: l’Italia non ha una gran reputazione quando si tratta di gestire gli aiuti. Gli altri Paesi hanno fatto un enorme sforzo di fiducia, se vedessero che i soldi non sono spesi in modo adeguato potrebbero nascere dubbi sulla stessa Unione.

La trattativa sul Recovery ha influito sulla classifica?

Certo. Il ranking è basato sul fatto che riuscirà a portare a casa i soldi, nonostante Ungheria e Polonia. Chiarisco che non si tratta di un premio o una lista di buoni, ma di chi pensiamo possa avere un ruolo significativo nel 2021.

Come giudica il contrasto alla pandemia in Italia?

Il fatto è che l’Italia è stato il primo Paese Ue colpito dal virus. Tutti gli altri hanno imparato dalla dolorosa esperienza italiana. Ora, con la seconda ondata, tutti i Paesi stanno facendo fatica. Nessuno ha davvero capito quale sia il giusto bilanciamento tra aprire le attività e prevenire il contagio.

Conte può diventare leader di una coalizione di centrosinistra?

Molti esperti dicono che c’è questa possibilità. E anche per questo lo abbiamo inserito nella lista: non perché siamo sicuri che abbia successo, ma perché quello che farà, in ogni caso, avrà effetti rilevanti.

Tutto a Palazzo Chigi: quando Renzi “esautorava” i ministeri

Ieri erano i 100 commissari “per salvare il Paese”, oggi una task force “di consulenti romani che moltiplica le poltrone”. Ieri erano strutture di missione che hanno “segnato una svolta nella storia d’Italia”, oggi addirittura “strutture parallele che esautorano i ministri e i Servizi segreti”.
In politica, si sa, cambiare idea è diventata una questione di prammatica. Talvolta è considerato un pregio. E poi, considerato il personaggio in questione, ovvero Matteo Renzi, le giravolte politiche ormai non sorprendono più nessuno.

Ma prima di minacciare la caduta di un governo contro la governance prevista da Palazzo Chigi per gestire i 209 miliardi del Recovery Plan, forse il leader di Italia Viva si dovrebbe ricordare di quando a lui i commissari e le “Unità di missione” sotto la diretta gestione di Palazzo Chigi piacevano tanto. La premessa è d’obbligo: lunedì il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha portato in Consiglio dei ministri la bozza della norma sulla governance per il Recovery Plan che, come richiesto dall’Ue, istituisce nell’ambito del Ciae (Comitato interministeriale per gli Affari europei sotto Palazzo Chigi) il comitato esecutivo formato dallo stesso Conte e dai ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli che nomina altri sei supermanager, uno per ogni “missione”. Questi a loro volta possono incaricare altri tecnici per ogni capitolo e, in diversi casi, operare in deroga alla legge (tranne a quelle antimafia e penale). Insomma, una struttura che assomiglia al cosiddetto “modello Genova” con cui è stato ricostruito in soli due anni il ponte Morandi grazie al commissario Marco Bucci. Ma la struttura di Chigi non avrà i compiti di diretta progettazione delle opere, non sarà nemmeno il soggetto attuatore (in mano a ministri, Regioni e Comuni), ma di controllo, e come extrema ratio di sostituzione, nei confronti delle amministrazioni in ritardo sull’attuazione dei progetti che potrebbe mettere a rischio i finanziamenti.

Ma Renzi proprio non ci sta: da 48 ore ha alzato il muro contro Conte (“Voteremo contro”) e i suoi ministri lasciano le riunioni del Cdm minacciando sfaceli (“Sono pronta a dimettermi” ha detto ieri Elena Bonetti). L’accusa dei renziani è quella di voler “esautorare” i ministeri con “consulenti e tecnici” dando “pieni poteri” al premier. Peccato che sotto il suo governo, l’allora premier elogiava i commissari straordinari da lui nominati per aver “salvato il Paese” e le strutture di missione fioccavano: almeno quattro con decine di tecnici che costituivano “ministeri ombra” sotto il controllo Palazzo Chigi. La prima, nel maggio 2014, fu quella chiamata “Italia Sicura” contro “il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche” presieduta da Erasmo D’Angelis – con due manager, una decina di dipendenti e un numero variabile di consulenti – che si occupava di coordinare (Renzi direbbe “esautorare”) i ministeri delle Infrastrutture, Ambiente, Agricoltura, Economia e Beni culturali (oltre a 3.600 enti locali) per contrastare il dissesto idrogeologico. Nel 2018 il governo Conte-1 ha chiuso la struttura riportandola sotto le competenze del ministero dell’Ambiente. Nell’ambito di “Italia Sicura” il governo aveva istituito anche la struttura “Scuole Belle-Sicure” per la “riqualificazione dell’edilizia scolastica” coordinata dall’architetto Laura Galimberti e diretta dal renziano Filippo Bonaccorsi, ex presidente della società dei trasporti di Firenze Ataf. Poi, nel giugno 2014, arrivò la “Struttura di missione per il coordinamento dei processi di ricostruzione e sviluppo dei territori colpiti dal sisma del 6 aprile 2009” diretta dall’ingegner Fabrizio Curcio e, a fine 2015, la struttura diretta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini ispirata alla Strategy Unit di Downing Street sotto il governo di Tony Blair che – insieme a una decina di tecnici della Banca d’Italia, della Ragioneria e altri economisti – facesse da trait d’union tra Palazzo Chigi e il Tesoro. Senza considerare tutti i commissari straordinari nominati dallo stesso Renzi o da lui riconfermati: da Salvo Nastasi per la riqualificazione di Bagnoli a Beppe Sala per l’Expo di Milano.

E si arriva a febbraio scorso quando Italia Viva ha presentato il cosiddetto “Piano choc” per sbloccare opere per 120 miliardi. In che modo? “Il governo individui interventi infrastrutturali prioritari per i quali disporre la nomina di Commissari straordinari (si legge all’articolo 2 del piano). I Commissari sono responsabili di tutto il processo che va dalla progettazione all’esecuzione sul modello del Commissario di Genova e dell’Expo”.

L’idea era di nominarne 100. Un progetto, quello di Renzi, ancora più accentratore di quello odierno. Ma se lo fa Conte sono “poltrone”, se lo fa lui diventano “cantieri”.

Open, verifiche sui dipendenti comunali

Nel 2012 esisteva, secondo la Guardia di Finanza, un “flusso comunicativo” dal quale “emerge che indicazioni e/o decisioni su aspetti strategici” e organizzativi, “nonché sull’impiego di risorse e/o di spese a carico della Fondazione, sono pervenuti dagli uffici di Palazzo Vecchio”, quando Matteo Renzi era sindaco di Firenze. Il riferimento è all’embrione che dall’associazione “Noi Link” porterà alla Fondazione Open, l’allora cassaforte del renzismo. A prova di quel “flusso comunicativo”, le Fiamme gialle elencano una serie di email inviate da chi in quel momento lavorava al Comune (compreso l’ex ministro Luca Lotti, all’epoca nella segreteria politica del sindaco). Ora la Corte dei conti della Toscana – come anticipato da Repubblica Firenze – ha aperto un fascicolo e acquisirà le annotazioni della Fiamme gialle: l’indagine è alle battute iniziali e non vi è alcuna contestazione di danno erariale. I magistrati contabili vogliono capire se personale del Comune di Firenze sia stato impiegato per le attività della Fondazione Open e dunque al di fuori dei fini istituzionali.

Il flusso comunicativo è stato ricostruito, con i documenti ritrovati a Bianchi, in un’informativa della Finanza agli atti dell’indagine della procura di Firenze sulla Fondazione Open (Matteo Renzi, Luca Lotti e Maria Elena Boschi e l’ex presidente della Open Alberto Bianchi sono indagati per concorso in finanziamento illecito). “Dall’analisi della documentazione in sequestro – scrivono i finanzieri – emerge la presenza di un’unica cabina di regia estesa, nel periodo 2012- 2013, all’Ufficio di Gabinetto e alla Segreteria del sindaco di Firenze Matteo Renzi”. Nessuno dei mittenti e dei destinatari di queste email sono finiti nell’indagine della Corte dei conti e, a parte Lotti e Bianchi, gli altri allora dipendenti di Palazzo Vecchio sono estranei anche all’inchiesta penale. Al Fatto risulta inoltre che quello legato alle associazioni che ruotavano intorno a Renzi fosse un lavoro volontario e non soggetto a retribuzione. Tra le email elencate dalla Gdf c’è quella del 2 aprile 2012. Laura Ognibene, “all’epoca appartenente all’ufficio di gabinetto del sindaco (…), comunica alla ‘segreteria dello studio legale Alberto Bianchi’ nominativi e recapiti telefonici dei componenti del consiglio direttivo – cda della Fondazione da convocare alla riunione del 4 aprile…”. È del 2 aprile anche un’email di Lotti che “risponde a Bianchi, mettendo in copia gli altri destinatari”: “E dopo ore 21 Teatro Pergola – scrive – presentazione libro Matteo… Luca’”. Da un indirizzo di posta elettronica del Comune il 6 giugno 2012 parte anche un’email di Eleonora Chierichetti “all’epoca – scrive la Gdf – nella segreteria del sindaco” inviata a Bianchi. Oggetto dell’email: “Estremi associazione”, con allegato il file “Link.pdf”. Negli atti si elenca anche lo scambio di email del 3 settembre 2012 tra Bianchi e Chiara Belli “dell’ufficio di gabinetto del sindaco” in cui si parla del contratto di comodato di due camper, che saranno usati da Renzi per le primarie del centrosinistra.

Boschi-Gruber: cari renziani, far domande non è sessismo

Martedì sera, a Otto e mezzo, si è consumato un pestaggio. Ma che dico pestaggio, un omicidio. Ma che dico omicidio, una mattanza. E la vittima, un’inerme, fragile Maria Elena Boschi è ora giustamente celebrata da chi le voleva bene. Anche io desidero ricordarla come una brava ragazza, una che disse “Se vince il no al referendum lascio la politica” e poi ha trovato più incisivo lasciare la riga da una parte per la frangetta.

In particolare, è stata compianta con affetto dai soldatini di Italia Viva, quelli che pensano, nella comunicazione, di doversi muovere sempre compatti, in gruppo, come gli gnu nel Serengeti.

L’hanno difesa – in effetti – da un atto vile e feroce: un’intervista di Lilli Gruber (da cui per giunta pare si fosse offerta di andare lei stessa). Un’intervista in cui la conduttrice ha osato dare prova di vivacità, vis polemica e sì, anche una certa ostilità di fronte alla vaghezza dell’intervistata che continuava a rispondere con la consueta verve dell’operatore telefonico automatizzato a domanda “Volete far cadere il governo?”, “Mi auguro di no”. Per poi ripetere come un mantra che a lei interessa come vengono spesi i soldi del Recovery Fund e la Gruber che insisteva sul fatto che il quesito prioritario fosse un altro, e cioè l’eventualità di far cadere il governo in un momento così difficile per il Paese.

Un confronto acceso, insomma, tra una giornalista che ha il diritto (ma volendo pure il dovere) di essere incalzante e una politica che ha il diritto di rispondere a tono. Tanto più che erano loro due, ad armi pari. Non ho intravisto i fratelli Bianchi da Colleferro dietro la Gruber.

Ma l’affronto più duro per la Boschi non è stata neppure la faccenda del Recovery Fund, a sentire i suoi solidali compagni di partito. No, il colpo basso è stato quel perfido mostrarle alcune foto uscite su Chi in cui lei e il suo compagno scattavano dei selfie senza mascherina, all’aperto. Un carognata senza precedenti, uno scheletro dall’armadio di quelli che fanno male e imbarazzano, mi rendo conto. E lì la Boschi, barcollante per l’umiliazione, ha risposto legittimamente che quello è un “suo congiunto”, che si sono tolti un attimo la mascherina all’aperto e poi l’hanno rimessa. Davvero una mortificazione senza precedenti che ha scatenato orde di tweet o dichiarazioni solidali nei confronti della povera Maria Elena, difesa così, per esempio, dal ministro (di Italia Viva) Elena Bonetti: “Da donna mi permetto di dire che l’accanimento sulla vita privata delle persone è sempre fuori luogo”. Accanimento? Ma il meglio viene dal deputato Luciano Nobili, che in risposta a me che scrivo un tweet scherzoso (sul fatto che la Gruber gliele abbia date e la Boschi le abbia prese), scomoda l’hashtag #25novembre come richiamo alla giornata contro la violenza sulle donne.

Ora, capisco che per quelli di Italia Viva talvolta esprimere a comando (e ad minchiam) solidarietà a una donna del loro partito sia qualcosa di molto moderno e chic tipo “ho molti amici gay”, ma qui le donne, la violenza, gli attacchi personali, il sessismo non c’entrano nulla. Qualcuno dovrebbe spiegare ai renziani la differenza tra un attacco sessista e una discussione politica con una donna. E al posto della Boschi mi sentirei profondamente offesa all’idea di essere difesa in quanto donna e non in quanto interlocutore politico.

Se qui si intravede del sessismo, al limite, è quello dei suoi compagni di partito che evidentemente la ritengono parte di una categoria fragile – quella femminile – dunque incapace di sopravvivere a un’intervista cazzuta. E se la Boschi non ha brillato, non è certo colpa dell’ostilità della Gruber. Ricordo un vecchio scontro tv Costamagna-Carfagna in cui alle domande dure e puntute della conduttrice, la Carfagna seppe replicare con vigore e stile, risultando più efficace della stessa Costamagna. E a proposito di fidanzati e gossip, si ricorda che la Gruber a Otto e mezzo ha chiesto a Di Maio della sua fidanzata, a Salvini della Isoardi e di compagnie esuberanti al Papeete e così via, e parliamo di esponenti di partiti piuttosto diversi. Che hanno risposto senza aria, anzi, frangetta accigliata.

Il Black Christmas della destra: disobbedienti a cena col virus

Credere, disobbedire, combattere. Sotto Natale il motto della destra assume una nuova sembianza: contro gli ingiusti decreti del governo, è dovere di ogni cittadino la lotta reazionaria, che per l’occasione si traduce in spostamenti tra Comuni per celebrare in pace pranzoni e cenoni.

Per chiamare gli italiani alla rivolta, il Partito del Natale ha sguinzagliato i migliori capi-popolo, già rodati da mesi di proteste contro la pseudo-dittatura sanitaria: Iva Zanicchi, Pietro Senaldi, Matteo Bassetti, Matteo Salvini. Tutti schierati a favor di disobbedienza.

Per farsi un’idea dell’aria che tira basta leggere il titolo di Libero di ieri: “Ha ragione il governatore della Lombardia: importante è disobbedire”. Due paradossi in nove parole, impresa resa possibile dalla joint venture tra il quotidiano del duo Vittorio FeltriPietro Senaldi e il leghista Attilio Fontana, che appena due giorni prima – sempre su Libero – aveva esortato i cittadini a non stare con le mani in mano: “Divieti di Natale assurdi, chi li viola ha ragione”. Con un incomprensibile scoppio ritardato di 48 ore, Libero ha deciso di dargli retta: “Ai diktat di Palazzo Chigi preferiamo il buon senso. Non siamo sudditi, solo responsabili”.

Anche Mario Giordano si è sentito in dovere di fare qualcosa. Martedì a Fuori dal coro, la sua trasmissione su Rete 4, ha deciso di dar voce ad Alessandro (“un ristoratore di Bologna che oggi aprirà il suo locale per noi, violando la legge”) e a Barbara (“barista ribelle chenon pagherà le tasse”). Il tutto sotto l’occhio vigile di Iva Zanicchi, ospite in studio e appena reduce da un periodo maledetto, tra il ricovero per Covid e la perdita del fratello. Ma tra il dramma personale e la fatwa politica il passo è brevissimo, soprattutto se a dirigere i ritmi è un fuoriclasse dell’invettiva come Giordano. E allora in un attimo si parla di come Conte abbia rovinato il Natale agli italiani: “Ma chi è che ha deciso queste cose? – si inalbera Iva – Dice cose mostruose. Si faccia un esame di coscienza, è Natale!”. E poi diciamolo: “Togliere il Natale è togliere la vita”.

Con testimonial del genere, il grande piano della disobbedienza è al sicuro, tanto che arrivano le prime adesioni. Ieri un deputato, il centrista ex FI Renzo Tondo, è arrivato persino ad autodenunciarsi in aula: “Io il giorno di Natale desidero andare a pranzo da mio figlio, che abita a 4 chilometri di distanza, ma in un altro Comune. E ci andrò”.

Qualcuno della Lega potrebbe seguirne l’esempio, stuzzicato pure dalla surreale diretta social dell’altro giorno con Matteo Salvini e l’infettivologo Matteo Bassetti. Di fronte a un Salvini in estasi, il medico scandiva sillabe ribelli: “Il problema non è muoversi tra Comuni. Manca buon senso”. Anche Bassetti, allora, farà a modo suo: “Festeggerò con la mia famiglia, che nessuno mi può togliere. Il Natale senza famiglia non è Natale”. D’altra parte, per dirla come il governatore ligure Giovanni Toti, le feste sono come “la finale di Champions dell’economia”, come se le metafore calcistiche non avessero fatto abbastanza danni alla comunicazione politica.

Tra tutti i disobbedienti, però, il più distrutto è il povero Nicola Porro. Ha ideato una rassegna stampa in cui ogni mattina si prende la briga di criticare il governo sul Covid. Forse a corto di idee, ha deciso di buttarla in caciara, prima cazziando gli ignavi spettatori (“Voi sempre zitti e muti! Siete dei pecoroni!”), poi annunciando i progetti per le vacanze: “Io voglio stappare una boccia di Ferrari, di Dom Pérignon, voglio fare quello che cavolo mi pare a Capodanno!”. Libero contagio in libero Natale.

Tanti gli assenti in Forza Italia. Brunetta si scaglia contro Salvini

Il centrodestra è (quasi) unito sul “No” alla riforma del Mes. E così nelle due Camere i leader si esaltano. Alla Camera Giorgia Meloni, molto agguerrita, con toni da periodo nero, accusa la maggioranza di essere “nemica” e “traditrice” dell’Italia provocando i deputati del M5S, contrari al Mes: “Il vostro no può essere il più grande Vaffaday di tutti i tempi – ha detto – Non scegliete la Mastercard”. In serata Matteo Salvini, dopo aver salutato calorosamente Renzi, paragona il Mes a un Robin Hood al contrario (“Levare ai poveri, per salvare le banche tedesche”) pur dicendosi pronto a “confrontarsi con il governo” (e infatti chiede a Conte un incontro urgente).

Ma nonostante il dissenso del senatore Cangini, le defezioni maggiori nel centrodestra si registrano alla Camera: in dissenso dal suo gruppo c’è Renato Brunetta che fa un accorato intervento per motivare il suo “Sì” pur non partecipando al voto: “È nata una nuova idea di Europa – ha detto prima di attaccare Salvini – È prevalsa la propaganda, lo spirito di parte, piuttosto che di unità”. Mariastella Gelmini annuncia il “No” del partito che però “non si fa dettare la linea dagli alleati”. Esce dall’aula in dissenso anche Renata Polverini, ma spicca l’assenza di altri 14 deputati di FI tra cui alcuni favorevoli alla riforma. Da FI spiegano che sono assenze giustificate per “ragioni di salute o personali” ma in pochi ci credono. Tra queste c’è anche la fidanzata di Silvio Berlusconi Marta Fascina, che chiarisce: “Nessun dissenso politico, la mia assenza era comunicata in anticipo”. Fascina è a Nizza, nella villa di Marina, con Berlusconi.

Responsabili in ritirata: la stampella resta a casa

Anche nei momenti più solenni, i dibattiti parlamentari regalano soddisfazioni. L’ex finiano Adolfo Urso, oggi senatore della Meloni, confonde Pinocchio con Giuda: “Siete campioni di bugie, siete il governo di Pinocchio, il gatto e la volpe. La storia ci dirà dove sono finiti i 30 denari”. Nella favola di Collodi c’erano gli zecchini d’oro, mentre i 30 denari sono quelli che si fece pagare il più famoso traditore della storia per vendere Cristo con un bacio. Sfumature.

Il lungo confronto di Palazzo Madama sul Mes vive soprattutto di questi exploit retorici: la tensione politica è bassa. Il governo Conte non rischia. Non è ancora tempo di gesti di eroismo democratico per la sopravvivenza della legislatura. In altre parole: per adesso non c’è bisogno dei responsabili, la risorsa finale a cui attingono le maggioranze parlamentari vicine allo schianto.

Si capisce presto, al contrario, che i numeri dei giallorosa al Senato sono meno spaventosi di quanto si credeva qualche giorno fa. La fronda interna ai Cinque Stelle si è sgonfiata: alla fine tra i grillini votano No solo in due, Mattia Crucioli e Bianca Laura Granato. In 9 invece sono assenti, tra cui Nicola Morra, in bilico fino all’ultimo. Il clima resta teso: il reggente Vito Crimi in serata promette “graticole” e punizioni per chi ha disobbedito alla linea del Movimento. Si vedrà.

Quando è ormai chiaro che non ci sarà bisogno di loro, i gruppi in odore di responsabilità battono in ritirata. Gaetano Quagliariello e gli altri senatori “totiani” (Paolo Romani e Massimo Berruti) votano contro la risoluzione della maggioranza e ne presentano una propria apertamente pro-Mes. Lo stesso fanno i +europeisti di Emma Bonino e gli Udc Paola Binetti, Antonio De Poli e Antonio Saccone. La senatrice ex Pd è offesa per le voci degli ultimi giorni: “Qualcuno pensava che volessimo fare da stampella, ma si sapeva che il governo non ne avrebbe avuto bisogno”. Le stampelle restano in armadio.

A favore di Conte – ma questa non è più una notizia – c’è una pattuglia del gruppo Misto capitanata da Sandra Lonardo. Lady Mastella tiene in alta considerazione i valori continentali: “Votando sì, come farò anche io, recuperiamo per i capelli la nostra credibilità europea”.

Il resto è teatro d’avanguardia. Il professore Mario Monti spiega di esser riuscito – con lunghe ripetizioni – a far germogliare il seme dell’europeismo nei riottosi Cinque Stelle: avevano bisogno solo di un po’ di “pedagogia didattica”.

L’ex compagno Alberto Bagnai, ora vate economico di Salvini, sbraita in preda a un delirio dannunziano: “Oggi si divide questo Parlamento in due categorie: i patrioti e i traditori!!!”.

Spettacolare, a suo modo, anche il grillino Vincenzo Santangelo, che racconta l’intensa conversazione con un imprenditore ittico amico suo. Tutta in siciliano: “Chisti vonnu fari cadiri a Conte pi spienniri iddi i sordi. Dicci a Conte di iri avanti. Iddu un s’avi a girari narrè, picchì u populu unné fisso. (“Vogliono far cadere Conte per spendere loro i soldi, digli di andare avanti e non voltarsi indietro, perché il popolo non è fesso”).

Questo è quanto, per i discorsi seri ci sarà tempo.