Da qualche giorno, facendo i conti su base settimanale, comincia a diminuire anche il dato più spaventoso dell’epidemia, quello dei decessi. In tutto il Paese, secondo i dati delle Regioni che non brillano per accuratezza e tempestività, sono morte 4.879 persone affette dal nuovo coronavirus (ieri 634, lunedì 528) per una media di 697 al giorno contro le 5.055 dei sette giorni precedenti (media giornaliera 722,1). La mortalità, ultimo dato a diminuire, resta comunque “molto elevata”, sottolinea il professor Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al ministero della Salute. Gli esperti non prevedono un calo rapido. In totale le vittime salgono a 61.240, solo la Gran Bretagna nell’Europa occidentale ne ha contati di più (61.434) ma ha un maggior numero di abitanti e, come rilevato dal professor Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia a Padova, con questi numeri “la prossima settimana saremo il Paese con più morti in Europa”. Negli ultimi 14 giorni infatti (fonte Ecdc, Centro europeo per la prevenzione delle malattie) l’Italia ha contato 16,8 decessi ogni 100 mila abitanti, seconda solo all’Austria (17,3) contro i 9,4 della Francia, i 7.5 della Spagna, i 9.3 Gran Bretagna e i 6 della Germania.
I contagi rilevati continuano ma più lentamente di prima, la media settimanale ieri era a 20.148,8 e cioè il 16,9% in meno rispetto ai sette giorni precedenti. A metà novembre eravamo a 35 mila. “C’è una tendenza a una lieve diminuzione ma non particolarmente veloce o accentuata – sintetizza il professor Rezza – Bisogna proseguire con misure di contenimento”. Ieri le Regioni hanno comunicato 14.842 nuovi casi con 149.232 tamponi, i positivi sono il 9,9% dei test effettuati ed è la prima volta da ottobre che si scende sotto il 10%. Ma è un dato da prendere con le molle innanzitutto perché il calcolo comprende i tamponi di controllo e poi perché, come sottolinea ancora Crisanti, si fanno meno tamponi di qualche settimana fa: “La stessa percentuale con più test darebbe un numero di casi più alto” osserva il professore di Padova, che dà per certa la “terza ondata” dopo le feste di Natale.
Peraltro, non tutte le Regioni vedono i contagi diminuire. Se nelle ex zone rosse il calo è di circa il 30% su base settimanale, in quelle arancioni la media si ferma al 9% e nelle gialle supera appena il 5%. “Migliora la Lombardia, meno il Veneto”, ha osservato Rezza. Da cinque giorni è la regione con il maggior numero di nuovi casi, oltre tremila in media al giorno, nell’ultima settimana sono aumentati del 12,6% rispetto alla precedente. Sono aumentati anche in Sardegna (+11,8%) e in Puglia (+3,6%). Occorre anche segnalare che l’Istituto superiore di sanità, nell’ultimo report pubblicato il 2 dicembre, ha messo in evidenza un ritardo delle Regioni nella comunicazione dei dati individuali dei pazienti. Negli ospedali la situazione migliora, ieri i ricoverati nei reparti ordinari erano 30.081 (meno 433 rispetto a lunedì) e nelle terapie intensive 3.345 (meno 37 in 24 ore, ieri l’altro meno 72). Ma ora che le Regioni forniscono anche gli ingressi nelle Rianimazioni sappiamo che entrano quotidianamente circa 150 persone (ieri 192, ieri l’altro 144) e molti, purtroppo, non ce la fanno. Le terapie intensive a questo punto sono occupate al 39% da pazienti Covid-19, i reparti di area medica al 46% (dati Agenas al 7 dicembre): siamo dunque tornati più vicini alle soglie d’allerta (rispettivamente 30 e 40%) ma sempre al di sopra. Tutte le regioni ne superano almeno una con punte del 57% nelle terapie intensive della Lombardia e del 73% nei reparti ordinari di Bolzano, mentre il Piemonte è al 55 e al 73%, Trento al 53 e al 70%.