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Tanta solidarietà a voi per le cause in corso

Penso, come già sto leggendo, che siamo in tanti disposti a un sostegno, anche economico, contro le cause civili intentate al Fatto, per continuare a leggervi, a pensare oltre il “pensiero unico”!

Manuela Pierozzi

Mi unisco volentieri a quanti sono disposti a sostenere economicamente il Fatto Quotidiano.

Luciano Gualtieri

Mi unisco ai vari lettori che le hanno già espresso la volontà di un sostegno economico, per fronteggiare la necessità di concorrere alle spese necessarie per affrontare le cause a lei intentate. Qualora decidiate di aprire una sottoscrizione, vi parteciperò secondo le mie possibilità economiche. Abbiamo bisogno de il Fatto Quotidiano, unica voce libera in mezzo a tante mercenarie che blaterano a comando dei soliti prenditori. Mai mollare!

Massimo Fabbrini

Egregio direttore, sto per farle una proposta megagalattica. Qualcuno si è offerto di fare una colletta per sostenervi nelle cause intentate contro di voi. Perché invece di giocare in difesa, non passare all’attacco? Proponga una colletta per denunciare qualche amministratore della cosa pubblica, penso ne vedremo delle belle.

Vito

Caro Direttore, secondo me le varie cause per diffamazione contro il Fatto sono delle “querele intimidatorie”, con il chiaro obiettivo di intimidire il direttore e giornalisti e frenare la libera informazione. Negli Usa circa 30 Stati hanno leggi contro le querele Slapp (acronimo per “cause strategiche contro la partecipazione pubblica”), che cercano di zittire le critiche… specialmente della stampa. Propongo al Fatto di fare una petizione per chiedere al Parlamento di approvare al più presto il disegno di legge (del M5S) che, nel caso in cui il querelante perde la causa, dovrebbe prevedere un risarcimento a favore del querelato. Se, anche dopo l’eventuale approvazione della legge, le querele dovessero comunque continuare… il Fatto avrebbe una fonte di reddito assicurata!

Claudio Trevisan

 

È grottesco negare i danni della pandemia

Allorché m’imbatto in tesi complottistiche sull’attuale pandemia, mi vien fatto di dire con Catullo: “Res est ridicula et nimis iocosa”. Che vi sia chi ne trae o si adopera per trarne vantaggio è assolutamente normale, da sempre, in circostanze avverse per i più, vi sono i fortunati e i furbi. Spingersi oltre è, a mio parere, grottesco.

Giampiero Bonazzi

 

Un dipinto per augurarvi successo (qua sotto)

Egregio dottor Marco Travaglio, ho tratto da un mio dipinto l’unito cartoncino con il quale, in concomitanza con le imminenti feste di fine anno, desideriamo augurare a lei e alla redazione tutta del Fatto Quotidiano serenità, salute e il raggiungimento di traguardi sempre più prestigiosi, in difesa della verità e dell’onestà dell’informazione giornalistica. Penso che l’immagine sia evocativa del periodo che stiamo attraversando, con il buio a rappresentare le nostre paure e incertezze, squarciato però dalla speranza luminosa della nascita del Salvatore, per chi crede, ma anche dalla presenza dei Magi, simbolo di scienza e conoscenza. Ho un sogno: che questo cartoncino possa diventare un allegato del vostro giornale. Rinnovo gli auguri miei e del gruppo di via Pallanza in Udine.

Emanuele Sansolini

 

Juve-Napoli, una falla nella giustizia sportiva

Buonasera Direttore, era già assurdo che sul vostro giornale comparissero articoli che avevano l’unico scopo di scrivere falsità sulla sentenza del giudice sportivo per la partita Juventus-Napoli non disputata. Sparare contro la Juventus sembra essere uno sport che riempie di orgoglio. Ora vedo che anche lei si perde nelle stesse falsità. Il Napoli è l’unica società che non ha voluto partecipare a una partita di Serie A a causa di casi di Covid tra i propri giocatori. Dice infatti la sentenza: “non si è trovata nell’impossibilità oggettiva di disputare il predetto incontro avendo invece indirizzato in modo volontario e preordinato la propria condotta nei giorni antecedenti all’incontro nel senso di non disputare lo stesso con palese violazione dei fondamentali principi sui quali si basa l’ordinamento sportivo ovvero la lealtà la correttezza e la probità”. Nelle motivazioni della Corte d’Appello: “il fine ultimo dell’ordinamento sportivo è quello di valorizzare il merito sportivo, la lealtà, la probità e il sano agonismo”. Tale principio non risulta essere stato rispettato nel caso di specie. La mancata disputa dell’incontro Juventus-Napoli in calendario per il 4.10.2020 non è dipesa da una causa di forza maggiore o addirittura dal factum principis come invocato dalla società S.S.C. Napoli, bensì da una scelta volontaria, se non addirittura preordinata della società.

Gino Cabassi

 

Caro Gino, da juventino voglio vedere la mia squadra vincere sul campo, possibilmente alla presenza della squadra avversaria. Non a tavolino perché l’altra è bloccata dall’Asl causa Covid. E non con giocatori promossi a “italiani” con esami truccati.

M. Trav.

Da una nonna “Niente cenoni, nipoti e chiasso in casa: sarà un bel Natale!”

Caro “Fatto Quotidiano”, in tutto questo bailamme di figli e nipoti disperati a causa della proibizione di incontrare i nonni (Semel in anno!), ascolterei anche l’opinione dell’altra parte in questione.

La casa invasa da figli, generi, nuore, nipoti e affini, spesso completamente estranei al nucleo famigliare, quasi sempre annoiati e quasi sempre rumorosi e maleducati, a volte invidiosi e con vecchi rancori malamente compressi, l’obbligo di doverli rimpinzare con pietanze elaborate, la previsione di mangiare avanzi per i successivi giorni, il disordine e la confusione sconvolgenti abitudini e stili di vita acquisiti e consolidati, la stanchezza accumulata che sarà poi faticosamente smaltita… fanno sì che la certezza di dover affrontare in solitudine anche questo periodo di cosiddette festività sia accettato con sollievo e gratitudine almeno da una parte di noi nonni.

Ad meliora, e grazie a voi tutti.

Carla Casoni

I metodi “pesciaroli” di Donna Giorgia e i guai dei “migliori”

Giorgia Meloni vola nei sondaggi nonostante Giorgia Meloni. E già questo è straordinario. La leader di Fratelli d’Italia alza sempre più i toni. Di fronte alle richieste del capo dello Stato di dialogare con la maggioranza, Donna Giorgia suole rispondere con toni assai concilianti. Per esempio una settimana fa alla Camera: “Siete un governo di pazzi, di cinici, di irresponsabili! Vi giudicherà la storia”. Parole davvero ponderate, come il tweet di Fratelli d’Italia che Meloni ha ritwittato una settimana fa: “Manda al diavolo questi accattoni che abbiamo al governo”.

Brava Giorgia! Del resto Meloni è quella che, durante il lockdown, definì “criminale” l’atteggiamento di Conte. Ed è la stessa che, a fine luglio, non voleva il prolungamento dello stato d’emergenza perché secondo lei, nota virologa, l’emergenza non c’era più. Nel tweet fissato in alto sul suo profilo, e dunque per lei particolarmente arguto, Donna Giorgia scrive: “Conte e il governo la smettano di lavorare per il proprio ego”. Invece lei, e il suo partito, non pensano minimamente al proprio ego o al proprio tornaconto. No: loro pensano unicamente al bene di noi italiani. Lo dimostrano in ogni mossa, compresa quella di chiedere le dimissioni di Conte nel giorno dei 993 morti da Covid, sulla base del fortissimo sillogismo “Natale chiuso, porti aperti”.

Sebbene tale propaganda funzioni, ci permettiamo di sollevare qui alcune potenziali criticità.

– Report, programma encomiabile di Rai3 stranamente non apprezzato da Meloni, anche ieri si è occupata di Fratelli d’Italia. Citiamo dalla pagina Facebook del programma di Sigfrido Ranucci: “Nell’ultimo anno e mezzo Fratelli d’Italia ha raggiunto il record negativo di arrestati per ’ndrangheta. I rapporti con la criminalità organizzata non riguardano però solo i nuovi arrivati. L’ex tesoriere di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati Pasquale Maietta, definito da Giorgia Meloni ‘il migliore tra i migliori dirigenti del partito’, è accusato da vari pentiti di essere in rapporti stretti con i Di Silvio, il clan di origine sinti imparentata con i Casamonica. Il Tribunale di Latina lo ha rinviato a giudizio con l’accusa di aver creato un sistema di evasione e di riciclaggio da 240 milioni di euro. E Report ha scoperto che alcune delle società citate nelle carte dell’inchiesta per riciclaggio di Maietta risultano legate alla campagna elettorale di Fratelli d’Italia a Latina del 2013”. Cosa dice, in merito, Meloni?

– Meloni è donna forte, intelligente e sicura di sé. Ultimamente è però diventata pure lei una sgusciante Salvini mediatica. Nel senso che, fatte salve rare eccezioni, (non) si fa intervistare solo da megafoni travestiti da giornalisti. Poiché Meloni è notoriamente sprezzante del pericolo, la esortiamo d’ora in poi a frequentare anche quei salotti non necessariamente convinti che lei sia Giovanna d’Arco e Salvini Alessandro Magno.

– Se la forma è sostanza, la forma politica meloniana è quella di un perenne mercato del pesce, entro il quale Donna Giorgia strilla sempre per farci sapere quanto costino all’etto le cozze o il pesce persico. Poiché ella frequenta la Camera e non i mercati rionali, ci sfugge il senso di questi suoi interventi parlamentari costantemente sguaiati, cacofonici e foneticamente irricevibili. Se sogna per il suo futuro un ruolo come vocalist nella cover band dei Megadeth, allora è sulla strada giusta. Se invece vorrebbe far politica, sarebbe l’ora e il caso di abbandonare questo approccio inspiegabilmente pesciarolo e tragicomicamente greve. Ossequi.

 

L’abuso d’ufficio non esiste più: ha vinto “l’impunità di gregge”

Quel che sembrava impossibile un anno e mezzo fa oggi è triste realtà ed è avvenuto utilizzando, come intelligente grimaldello, la pandemia e la necessità di procedere speditamente (e anche “arbitrariamente”) nella cantierizzazione dei lavori pubblici.

Tuonava, nel maggio del 2019, il ministro dell’Interno: “Io abolirei l’abuso d’ufficio” – il reato previsto e punito dall’art. 323 del codice penale, ndr – “Lo abolirei perché non posso bloccare 8.000 sindaci per la paura di essere indagati. Ci sono sindaci che non firmano niente per paura di essere indagati”. Allora, nonostante le pressioni dal basso di amministratori locali e regionali, spesso indagati e talvolta condannati proprio per l’abuso d’ufficio (che si sostanzia nel procurare a sé o ad altri un vantaggio o un danno in violazione di una legge o di un regolamento), ci fu una levata di scudi tanto per l’ipotesi di una sua abrogazione, quanto per prendere in considerazione proposte di modifica che, di fatto, ne svuotassero la portata. Disse il partito alleato di governo per bocca di Luigi Di Maio: “Chi vuole proporre l’abolizione dell’abuso d’ufficio troverà un muro nel M5S… Io non voglio tornare indietro ai podestà che facevano quello che volevano”. Come talvolta capita a questo Paese, applicando la legge del contrappasso, quel che era impossibile e indicibile per un governo gialloverde è diventato realtà per l’esecutivo giallorosa: l’abolizione, di fatto, del reato, avvenuta, come vuole tradizione, in una calda giornata estiva, con il dl cosiddetto “Semplificazioni”. Non si è trattato di una mera “svista”, ma di una scelta volontaria volta a rendere impuniti i comportamenti di decine e decine di amministratori locali che potranno violare i Regolamenti comunali (basti pensare a quelli edilizi e urbanistici), rispettando ogni disposizione di legge.

È infine giunta, benvenuta da coloro i quali erano imputati, una sentenza della Cassazione che ha messo una pietra tombale in senso tecnico sulla vicenda, statuendo che la modifica apportata al codice ha efficacia retroattiva. Mi domando, francamente, se in nome di una presunta semplificazione e, soprattutto, dell’esigenza di “accelerare” i procedimenti amministrativi giacenti, valesse la pena di creare una sorta di “impunità di gregge” per l’unica fattispecie che consentiva ai pubblici ministeri di aprire un fascicolo d’indagini.

C’è, infine, il capitolo relativo alla portata devastante della norma sul sistema universitario, questione sollevata da Giambattista Scirè, dell’Associazione Trasparenza e Merito. Come è noto, alle Università è riconosciuta una particolare forma di autonomia in virtù della quale le norme di organizzazione e di funzionamento, le procedure per l’assunzione di docenti e ricercatori, i concorsi per gli assegni di ricerca, per il dottorato, ecc. sono riservati allo Statuto di ciascuna università e ai regolamenti d’Ateneo, fonti che sfuggono dalla novella dell’art. 323 del codice penale. In buona sostanza, nel reclutamento del personale docente e ricercatore e in ogni altra procedura, non è più contestabile l’abuso d’ufficio. Certo è che la Pubblica amministrazione si ritrova oggi in una diarchia: quella “governata” esclusivamente dalla legge e quella, al contrario, in cui la normazione regolamentare prevale sulle fonti primarie. Per i funzionari della prima è ipotizzabile il reato di abuso d’ufficio, per quelli della seconda è del tutto escluso. Si impone, credo, una riflessione anche in termini di violazione del principio d’uguaglianza e di compatibilità del nuovo abuso d’ufficio con la Costituzione. Si deve dunque sperare, ancora una volta, in un intervento demolitorio della Corte.

 

 

Renzi fa comodo al Pd e viceversa: è un vizio

Fino a poco tempo fa avremmo iniziato l’articolo con l’ironia: interessante l’ultima intervista che il solo vero oppositore del governo, Matteo Renzi, ha rilasciato a Repubblica. Oggi non ostenteremmo più tanta sicumera. E non certo perché Renzi, col suo partito detto antifrasticamente Italia Viva, ha smesso di fare opposizione; piuttosto perché chiaramente non è più solo.

Partiamo dai dettagli, visto che come sempre il merito per costui non conta nulla ed è solo fumo negli occhi (sospettiamo che abbia alzato tutta questa furibonda polemica sulla struttura che gestirà i soldi del Recovery Fund solo per fare la battuta che “centinaia di consulenti stanno al Recovery Fund come i navigator stanno al Reddito di cittadinanza”), e l’istantanea emergerà da sé come una Polaroid.

“Il futuro dell’Italia dei prossimi vent’anni non lo scrivono Conte e Casalino nottetempo in uno stanzino di Palazzo Chigi”. La scelta della parola “stanzino” dice di Renzi molto più di quanto potrebbero dirne renzologi amatoriali o professionisti, tra i quali ultimi ci annoveriamo. Dalla Treccani: “Stanzino: ambiente di piccole dimensioni, generalm. buio, privo di finestre, adibito a ripostiglio, spogliatoio, oppure utilizzato come locale di sgombero o come secondo bagno (contenente solo un lavandino, o altri servizî igienici, o la lavatrice e sim.)”. Palazzo Chigi ha sicuramente degli stanzini, adibiti ad accogliere lavandini, scope e maestranze: ma perché mai Conte e Casalino dovrebbero frequentarli? Di notte, per giunta. E colà, colti dall’occhio di Renzi o di chi ne fa le veci, scrivono furtivamente il futuro dell’Italia. Che allusione è? Che mondo losco evoca? E soprattutto: a cosa si può ridurre, fin dove si può abbassare, un senatore della Repubblica, per colpire i nemici e far parlare di sé? “Zingaretti ha chiesto un rilancio dell’azione di governo, noi siamo d’accordo con il segretario del Pd”, dice, e purtroppo noi, che ci ricordiamo tutto, ce lo rivediamo davanti quando andava in Tv a presentare il suo partito-sultanato e a dire: “Noi siamo diversi, noi siamo un’altra cosa dal Pd!” (ci fece pure un hashtag). Comunque questo resta un caso di schizofrenia politica che finirà nei manuali: un tizio porta il partito che ha reso irriconoscibile al 18%, ma poiché è convinto di avere il 41% personale, si stacca e si fa un partito tutto suo per goderselo. È dato intorno al 2-3%. Ciò nonostante continua a comportarsi da 41, perché possiede pedine nei gruppi parlamentari, dunque potere di ricatto, e l’intero arco parlamentare gli dà spago; la nazione lo ignora.

“Non siamo alla caccia delle poltrone e non chiederemo nessun rimpasto”. Il Renzi tradotto, cioè occulto, è sempre più interessante del Renzi palese: è ormai chiaro come questi abbiano provato a fare il rimpasto, ma Mattarella ha fatto sapere tramite Corriere che era meglio per loro non si azzardassero, che un conto è cambiare uno o due ministri, un conto aprire una crisi, ipotesi di fronte alla quale non resterebbero che le elezioni anticipate, cioè, almeno per Renzi, la dissoluzione del nucleo, la fusione del nocciolo, la disgregazione nel nulla; cosicché lui e il Pd si sono ritirati in buon ordine, ostentando nobiltà d’animo, fischiettando, fingendo con indignazione (“chi, io?”) di non aver mai voluto fare un rimpasto.

Così mentre l’aspetto buffonesco di costui è noto a tutti (“Shish”), ultimamente emerge il lato feroce, e non è solo lo spirito del risentimento che lo abita dal 2016. Davanti alle telecamere di Report, innervosito dalle domande sull’aereo detto Air Force Renzi, era ferocissimo; tanto più deve bruciargli l’aver varcato la soglia psicologica dell’essere indagato (finanziamento illecito), obliqua manovra della magistratura per azzopparlo. Bizzarro che proprio ora che ha questa faccia (nonostante gli sforzi di perpetrare incongruenti operazioni simpatia via Twitter, dove cerca di ribadire il connubio Renzi-sport su cui è già caduto più volte come un soldato sul Carso), sia diventato simpatico al Pd, che pare sempre più d’accordo con lui che con Conte e i 5Stelle (vedi sul Mes). Questa maggioranza-ombra lavora come le squadre di scasso professionale: c’è la mente (Bettini), c’è il braccio, e c’è il piede di porco (fate voi le necessarie attribuzioni). A pensar male, parrebbe questa una storiaccia di vicendevoli usi: a Renzi fa comodo il Pd, com’è sempre stato finora, per contare qualcosa; e al Pd può far comodo Renzi per fargli fare il lavoro sporco e accoppare Conte uscendone bene.

Nota di colore: D’Alema, che era solito riferirsi a lui chiamandolo “questo guaio”, lo invita allo streaming della sua Fondazione per parlare di “cantiere della sinistra”, e l’immagine che viene in mente, metaforicamente parlando, può pure essere il ponte di Genova, come a molti piace ripetere, ma solo a patto di immaginare che si fossero chiamati i Benetton a dirigere i lavori.

 

Le fallacie di Feltri e il sorite di Ferrara: non è giornalismo

Continuiamo l’esame degli argomenti della seconda replica di Mattia Feltri sulla sua censura a Laura Boldrini. 8) “Quando mi è stato segnalato il riferimento dell’onorevole Boldrini nel suo post, ho deciso di chiamarla e di chiederle la cortesia di ometterlo” (Omettere la denuncia di chi colpevolizza una vittima di stupro non è una “cortesia”, altra banalizzazione: è auto-censura, e richiederla è osceno). 9) “Pensavo fosse una telefonata con una persona corretta e ragionevole. Ho sbagliato. Sbaglio molto spesso” (Hai sbagliato a telefonarle, non a considerare Laura Boldrini corretta e ragionevole. E usi, di nuovo, la fallacia emotiva per atteggiarti a vittima: “Sbaglio molto spesso”). 10) “In generale, su HuffPost non ingaggiamo duelli con altri giornali. Di sicuro non deleghiamo la pratica a un blogger, cioè a un ospite: se nel blog di Laura Boldrini il bersaglio fosse stato Luciano Fontana o Maurizio Belpietro, avrei fatto una telefonata molto simile” (Laura Boldrini non ha “ingaggiato duelli”, ennesima ridefinizione pro domo tua: ha denunciato un giornalista che colpevolizza una vittima di stupro. Se quel giornalista, invece di Vittorio Feltri, fosse stato Belpietro, Mattia Feltri avrebbe fatto a Laura Boldrini una telefonata molto simile? Davvero? Roba da matti. E definirla “ospite” serve a colpevolizzarla).
11) “Sulla policy a cui tutti i nostri blogger sono sottoposti c’è scritto che la redazione e la direzione si riservano di non pubblicare i blog senza dare spiegazione e senza nemmeno avvertire” (Ma una policy non può ledere i diritti di una ex presidente della Camera che denuncia chi colpevolizza una vittima di stupro. Boldrini è nel suo diritto, chi la censura no. Il lupo che s’abbeverava al fiume accusò l’agnello che beveva a valle di intorbidargli l’acqua, per mangiarselo. “Questo racconto” chiosa Fedro “è rivolto a tutti coloro che opprimono i giusti nascondendosi dietro falsi pretesti”. Tipo una policy). 12) “Vale sempre e vale ovunque: in trentadue anni che faccio questo mestiere ho visto quotidianamente e più volte al giorno direttori buttare via articoli per mille motivi, di opportunità, di linea politica, di convenienza, di gusto, talvolta le scelte sono illustrate, altre liquidate alzando un sopracciglio, ed è la normalità eterna della stampa” (Ma non puoi censurare la denuncia contro chi ha colpevolizzato una vittima di stupro, tanto più “alzando un sopracciglio”; né la pregiudiziale familista per cui non parli di tuo padre e non vuoi che se ne parli sul tuo giornale è la “normalità eterna della stampa”. Questo modo fallace di argomentare si chiama sorite ed è tipico di chi vuole buttarla in caciara. Il sorite sfrutta la vaghezza di un’espressione. Per esempio, Giuliano Ferrara usò un sorite quando tentò la difesa spericolata di Renato Farina, l’agente Betulla che il Sismi di Pollari & Pompa aveva arruolato per una missione di disinformazione ai danni di magistrati e giornalisti. Con una concatenazione di premesse condizionali (“Questo qui era una fonte per il servizio, per quest’altro il servizio era esso una fonte, un altro ancora era forse pedinato, scrutato, osservato, ascoltato e non ci si capisce più niente: chi usa chi, chi è al servizio di chi, chi è chi nel gioco eterno fra il giornalista e la spia?… Per procurarsi le notizie riservate, bisogna che il giornalista faccia un lavoro sporco… Tutti cercano la soffiata…”), Ferrara, di sfumatura in sfumatura, giunse alla conclusione che “il giornalista reporter è una spia autorizzata che origlia”. Se però si interpreta la parola “giornalista” in modo preciso, quella conclusione risulta fasulla (infatti condannarono Betulla).

(4. Continua)

 

Chi cerca il modo di aggirare i divieti

Al mattino, come la maggior parte di chi si reca al lavoro in auto, ascolto la radio per conoscere le ultime notizie e ascoltare qualche approfondimento che, solitamente, le segue. Interessantissimi gli interventi degli ascoltatori con domande o commenti. Tracciano il profilo della società e della percezione che questa ha relativamente a tutto quanto accade. Da febbraio, molta attenzione è focalizzata sull’emergenza Covid-19.

Ho ascoltato parole di panico, incertezza, richieste di aiuto, critiche a tutto e a tutti, ma non sono mai rimasta così colpita come dai commenti e domande seguiti all’ultimo Dpcm del presidente del Consiglio. Critiche ai contenuti, alle eccessive precisazioni ma, ahimé, tante domande che lasciano intravvedere come l’obbiettivo sia spesso aggirare le norme per lasciare immutato il proprio programma festivo, noncuranti dell’emergenza. Troppi non riescono a capire che Natale, Capodanno, in corso di una pandemia, sono da considerarsi comunque giorni di contenimento del contagio, come qualsiasi altro. Il virus non va in vacanza! È vero che i numerosi Dpcm ci hanno dato spesso la sensazione di essere trattati come adulti immaturi che hanno bisogno di avere indicazioni governative, persino sulla loro vita privata. È vero che, a primo impatto, sia difficile accettare che ci sia un virus che fa più paura il 25 e il 26 e non negli altri giorni, ma è anche vero che in molta gente non ci sia ancora consapevolezza, mostrandosi, di fatto, più interessata a trovare la furbata che lasci indisturbati o quasi i propri piani festivi, che a sentire un senso di responsabilità collettiva. La croce tutta italiana sta proprio qui: bravissimi nell’emergenza, nella solidarietà umana del momento di crisi, ma altrettanto bravi a scovare lo spazio sottile dell’eccezione consentita dalla legge per, di fatto, trasgredirla. Pessima tempora, plurimae leges (in tempi pessimi, molte leggi). È proprio così e i tempi sono proprio pessimi, non solo per la pandemia ma anche perché, sembra, che non ci stia insegnando nulla.

 

La rissa sul Mes: uno show osceno in piena pandemia

Che differenza passa tra la rissa del Pincio e la rissa intorno al Mes? Nel primo caso le bande di ragazzetti idioti che si menano giocano con le loro vite. Nel secondo, la politica protagonista dell’inverecondo spettacolo scherza con le esistenze di noi tutti. Non è un paragone così azzardato visto che siamo una nazione sull’orlo di un crollo nervoso, come dimostrato tra l’altro dall’impennata di ansiolitici e antidepressivi venduti nelle farmacie con la seconda ondata Covid. Prendete un italiano qualunque che da quasi un anno si sbatte con la sua famiglia, tra contagi e lockdown. Stretto nella tenaglia di mascherine, tamponi e regioni variamente colorate. Massacrato dalla crisi economica. Stressato dal presente. Angosciato dal futuro prossimo (e forse remoto), con un orizzonte di terze, e forse quarte ondate pandemiche. Assillato dal lavoro che non c’è, dai soldi che non ci sono più. Nei primi mesi dell’incubo (da marzo fino a primavera inoltrata) si sopravviveva con un paio di punti di riferimento. Lo spirito collettivo che trasmetteva sentimenti forse confusi, ma positivi. Nell’incitarsi a tenere duro, nella coesione nazionale del ce la faremo, del tricolore sui balconi. E poi c’era un governo che sembrava comunque un punto di riferimento, guidato da un premier che non avendo la fama di un Churchill o di un De Gaulle era pronto a farsi carico di decisioni senza precedenti, a tutela della salute pubblica. Nel consueto sottofondo, le proteste dell’opposizione e i rumori molesti dei negazionisti (spesso un tutt’uno) non mutavano granché la percezione della vasta maggioranza del Paese sulla direzione di marcia da seguire.

Ma oggi basta aprire un giornale, o guardare un tg, o consultare un sito per essere investiti da un frastuono iracondo, da una oscena cacofonia di minacce, ricatti e ripicche. Solo che questa volta a strillare, a mulinare le braccia, a strattonare non sono tanto i soliti sovranisti, o i picchiatelli del no Covid, ma i partiti della maggioranza di governo. A cominciare dai cosiddetti “irriducibili” 5stelle (almeno 25, leggiamo, tra Camera e Senato) pronti a fare cadere il governo votando contro la posizione italiana su Mes e Recovery Fund che sarà illustrata da Giuseppe Conte in Parlamento. Così, giusto per dimostrare la loro esistenza in vita a parenti e amici. Poi ci sono pidini di casino e di governo, ciascuno con un misterioso conto personale da saldare (o da reclamare). Infine, come sempre quando c’è qualcuno o qualcosa da bullizzare, ecco puntuale Matteo Renzi con la sue interviste a piè di lista: “Conte si fermi, no a inutili task force” (in genere segue la ministra Bellanova con le istruzioni del caso). Non sappiamo come andrà a finire, e se questi personaggi da Pincio tenderanno la corda fino a spezzarla. In tal caso consigliamo loro di entrare senza indugio in clandestinità. Per non rischiare d’incrociare gli italiani di cui sopra.

Marinella apre in “zona rossa”: multato dopo 34 cravatte vendute

Avesse avuto qualche giorno di pazienza, il re delle cravatte Maurizio Marinella si sarebbe risparmiato la multa di 400 euro, la sanzione dei cinque giorni di chiusura e quello che nella sua Napoli viene chiamato ‘scuorno’. Giovedì sera un reporter di Fanpage con telecamera nascosta è entrato nella sua storica bottega di Riviera di Chiaia per acquistare una cravatta e l’ha pagata in contanti. Cosa c’è di strano? Napoli era in zona rossa, dove i negozi di abbigliamento devono stare chiusi. Il reporter si era fatto precedere da una telefonata con la quale un commesso gli aveva detto che “le cravatte le stiamo vendendo sul sito Internet, ma se lei viene, aumm aumm, la facciamo entrare”. E il pagamento in contanti, e senza scontrino, era imposto dalle circostanze: ricompensato da Marinella in persona con uno sconto di 30 euro. Napoli è passata in zona arancione domenica, via libera allo shopping di beni voluttuari, ma non da Marinella: dopo la diffusione del video, la polizia ha fatto i controlli e gli ha notificato i cinque giorni di chiusura.

Il rumore dell’accaduto non ha superato i confini di Napoli, ma in città se ne è parlato, eccome. Perché Marinella è un volto noto e amato, un orgoglio napoletano. E a febbraio, prima che il Covid rovinasse le nostre vite, ha rilasciato un’intervista al Corriere da potenziale candidato sindaco. “Ma la politica non è il mio campo”.

Sorpreso col sorcio in bocca, Marinella ha replicato con la classe delle sue raffinate cravatte da 130 euro l’una (quando batte lo scontrino): “Abbiamo sbagliato, io cerco sempre di essere corretto ma stavolta abbiamo avuto una debolezza. Mi scuso con tutti”. Il Riformista, giornale di un altro napoletano famoso, Alfredo Romeo, lo ha difeso: “Trattato come un mafioso per aver venduto una cravatta, giornalismo da inquisizione”. Ma la debolezza non era isolata: poco prima di essere chiuso aveva venduto 34 tra sciarpe e cravatte a un unico cliente.

Esame di Suárez, negli atti il sospetto dei pm: “La Juve potrebbe aver saputo dell’inchiesta”

Il sospetto della Procura di Perugia è messo nero su bianco negli atti d’indagine: “Sussistono fondati dubbi che rappresentanti della Juventus abbiano potuto avere contezza dell’esistenza di questo procedimento e delle attività tecniche in corso”. E potrebbe essere questo il motivo che ha poi spinto il club a non concludere l’affare. È importante precisare che si tratta di un sospetto – “fondati dubbi” scrive la Procura guidata da Raffaele Cantone – e quindi di una pista investigativa. Ma da cosa nascono questi dubbi? Gli elementi sono tre. Il primo riguarda il contenuto di una conversazione tra il direttore generale dell’Università per stranieri di Perugia, Simone Olivieri, e l’avvocato legato alla Juve, Maria Turco. È il 14 settembre e i due discutono dell’esame d’italiano, secondo i pm farlocco, che Suárez avrebbe dovuto sostenere qualche giorno dopo. L’ottenimento del certificato B1 di conoscenza dell’italiano era requisito essenziale per accedere alla cittadinanza italiana e poter tesserare Suárez come comunitario. Il 14 settembre, però, quando viene a sapere che Suárez vorrebbe sostenere l’esame online, quindi a distanza, Turco è irremovibile: “Sono cose che non ho messo neanche in conto. (…) Se lui vuole dare ’sto esame, lo dà con quelle modalità, corrette secondo quello che dice il ministero dell’Interno (…) dal mio punto di vista, è uno studente come fosse… Mohammed… non me ne frega niente (…) da Torino questa è la linea eh”. Il sospetto dei pm è che questa conversazione possa essere stata dettata dal fatto che la società fosse a conoscenza delle indagini. A rinforzare questa tesi, altri due elementi. Il manager della Juve Fabio Paratici contatta, attraverso la ministra Paola De Micheli, i funzionari del Viminale per sapere se la tempistica consente il conseguimento della cittadinanza in tempi utili per il tesseramento. La società – che chiede informazioni e non favoritismi – viene tranquillizzata: i tempi ci sono. Ma, per stessa ammissione della funzionaria Antonella Dinacci, poco prima dell’esame gli esponenti del club che l’avevano contattata spariscono. Infine – ed è il motivo per cui viene indagato per false dichiarazioni ai pm – l’avvocato della Juve Luigi Chiappero spiega in Procura che, al contrario, dal Viminale avevano escluso che la pratica si sarebbe potuta chiudere in tempo. Da lì il sospetto dei pm: perché la Juve, pur potendo concludere l’affare, rinuncia? Come mai Chiappero e Dinacci si contraddicono? E perché l’avv. Turco è così risoluta nel rimarcare che non vuole favoritismi per l’esame e che, soprattutto, questa è la linea scelta da Torino?