Favori in cambio di assunzioni nella coop. Massa, 8 arresti: anche sindaco e giudice

Minori costretti a dormire su “giacigli di fortuna”, nutriti con “cibo di scarsa qualità o insufficiente”, stipati in spazi angusti e strutture fuori legge. E ancora: vessati quando cercavano di protestare o “contenuti”, chiusi cioè in modo coatto dentro le comunità che avrebbero dovuto accoglierli, minacciati di ritorsioni se si fossero ribellati. E chi doveva controllare non lo faceva perché corrotto con “assunzioni di familiari”. È questa l’ipotesi che ha portato ieri a otto arresti, disposti dal Tribunale di Massa, che hanno coinvolto i responsabili della cooperativa Serinper, il magistrato onorario Rosa Russo, all’epoca in servizio presso il Tribunale dei minori di Firenze, Rosa Russo, e Filippo Abramo Bellesi, sindaco di area leghista del Comune di Villafranca in Lunigiana, eletto con oltre il 70% dei voti. Le accuse sono a vario titolo di corruzione e traffico di influenze.

Al centro delle indagini dei carabinieri del nucleo operativo di Massa ci sono una dozzina di strutture “sotto agli standard minimi previsti” amministrate dalla Serinper, che secondo gli inquirenti si è arricchita sulle spalle dei più deboli, ragazzi stranieri non accompagnati o minori dati in affido da famiglie che hanno avuto guai con la giustizia, non di rado con problemi comportamentali o psicologici. Qualità dei servizi pessima, ma guadagni alle stelle: i ricavi della cooperativa sono passati dai “200mila euro l’anno nel 2011 a 2,7 milioni di euro nel 2017”, grazie a una rete di amministratori compiacenti. Il giudice onorario Rosa Russo, ad esempio, aveva ottenuto l’assunzione del figlio, “nonostante fosse privo dei requisiti di educatore professionale”: “Mi serve un piccolo favorino”, dice quando deve chiedere per lui una falsa attestazione. Lo stesso giudice, in occasione di alcune ispezioni, si sarebbe mostrata “meno collaborativa” per alzare il prezzo: “Quella guarda solo al portafoglio”, “si è stancata di non prendere soldi”, commentano tra loro gli amministratori della cooperativa. Avvertiti puntualmente, dallo stesso magistrato, quando al Tribunale dei minori di Firenze vengono avviate indagini sulle comunità. Tra gli indagati ci sono politici locali di varia appartenenza: il presidente del consiglio comunale di Massa, Stefano Benedetti (Fi), il sindaco di Montignoso e presidente della provincia di Massa Carrara, Gianni Lorenzetti; il consigliere comunale ed ex segretario del Pd di Montignoso Marino Petracci.

L’accusa a Facile.it: “Aiuta l’ex società di Genovese”

L’associazione Konsumer Italia ha presentato un esposto all’Antitrust e all’Ivass (Assicurazioni) contro Prima Assicurazioni e Facile.it per “dinamiche societarie e commerciali” ai danni dei consumatori sulle polizze Rc auto “anche in relazione al servizio offerto sul portale”. Konsumer segnala “conflitti di interessi, assenza di trasparenza, anomala crescita sul mercato nonché di pricing e quotazione dei preventivi online per favorire, attraverso Facile.it, i prodotti di Prima a scapito di altri intermediari e orientare le scelte dei consumatori con la rimodulazione delle quotazioni delle polizze”. Per l’associazione “tra le due società” ci sarebbero “stretti legami”. Come noto, Alberto Genovese, che sino al 14 novembre era ad di Prima ed è stato tra i fondatori di Facile, è accusato di due stupri, di cui uno a Milano ai danni di una 18enne. Facile.it replica: “Il nostro operato si basa sulla totale trasparenza e tutela del consumatore, nel pieno rispetto di norme e regolamenti. Non esiste alcun legame societario con Prima Assicurazioni”.

Anpi: “Creiamo una rete per far rinascere l’Italia”

In un Paese alle prese con l’emergenza Covid-19 l’Associazione nazionale Partigiani ha lanciato “l’idea di una grande alleanza per la persona, il lavoro, la socialità, per salvare, ricostruire, cambiare l’Italia, perché le strade percorse nel recente passato si sono dimostrate fallimentari”. L’Anpi ha chiamato a “una grande alleanza democratica, antifascista, per la persona, il lavoro e la socialità”, e ha fatto appello alla mobilitazione della società civile “per sconfiggere la pandemia, far rinascere il Paese e promuovere una democrazia più ampia e più forte”.

Venerdì si è tenuto il primo incontro a cui hanno preso parte il segretario della Cgil Maurizio Landini, Walter Verini del Pd, il leader delle Sardine Mattia Santori, Roberto Rossini per le Acli, Arturo Scotto per Articolo 1 e il capo politico del M5s Vito Crimi. Il primo passo sarà la stesura di un appello per dar vita nei territori a una rete di associazioni, forze politiche e sociali, personalità del mondo della cultura, dell’informazione, delle arti, per un programma di iniziative comuni.

Prese i 600 euro, Salvini premia la Murelli

“Pur non avendo violato alcuna legge, è inopportuno che i parlamentari abbiano aderito a tale misura e per questa ragione abbiamo deciso e condiviso con i diretti interessati il provvedimento della sospensione”. Così parlò il 12 agosto Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera e fedelissimo di Matteo Salvini. Il quale, subito dopo, aggiunse: “Ho dato indicazione che chiunque abbia preso o fatto richiesta del bonus venga sospeso e in caso di elezioni non ricandidato”. Qualche giorno prima il Fatto aveva rivelato i nomi dei due parlamentari leghisti che avevano richiesto il bonus da 600 euro mensili elargito dall’Inps per i titolari di partita Iva: Andrea Dara ed Elena Murelli. “Sospensione”, aveva garantito il partito di Salvini nel tentativo di far rientrare le polemiche. Com’è andata a finire lo racconta un manifesto diffuso online nei giorni scorsi proprio dalla Lega. Ieri, alle ore 16.30, il partito ha presentato in streaming l’Accademia Federale Lega Emilia. “Un’iniziativa – si legge sul sito aperto per l’occorrenza – nata per chi intende arricchire le proprie conoscenze politiche e istituzionali partecipando al progetto di alternativa di governo proposto da Matteo Salvini”. Obiettivo: trasmettere a tutti gli interessati, “in modo approfondito e articolato, la conoscenza del nostro sistema politico, amministrativo, economico e sociale”. Chi ha scelto Salvini per insegnare ai suoi sostenitori tutto questo? Proprio la deputata Murelli, nominata addirittura responsabile dell’Accademia Federale in Emilia-Romagna, la sua regione natale.

Piacentina, 45 anni, laureata in Economia e specializzata in Finanziamenti europei per la ricerca e l’innovazione, Murelli è nella Lega dal 2001, e dopo anni di esperienza in consiglio comunale nella sua cittadina, Podenzano, nel 2018 è stata candidata da Salvini alla Camera. A dispetto dell’annunciata e non meglio specificata sospensione, Murelli è ancora oggi una parlamentare della Lega e continua a rappresentare il partito in Commissione Lavoro. Nonostante uno stipendio da 12mila euro al mese, l’economista emiliana ha richiesto e ottenuto il bonus Inps per le partite Iva. Prima che la notizia diventasse pubblica si era anche espressa pubblicamente sul tema: il 23 luglio 2020, in un intervento alla Camera, aveva accusato il governo Conte di “importare il Covid con i migranti per tenersi le poltrone”, definendo poi il bonus Inps “un’elemosina”. Ne parlava – si scoprì un mese dopo – per esperienza personale. Dopo lo scandalo dei furbastri dei 600 euro e l’annunciata sospensione, Murelli si è inabissata per un po’. Nessuna dichiarazione pubblica, nemmeno una risposta a chi (come il nostro giornale) le chiedeva un chiarimento sulla vicenda del bonus Inps. Ma la memoria è corta, si sa, e dopo nemmeno sei mesi riecco la salviniana all’attacco. “Convertire i permessi per la protezione speciali in permessi per motivi di lavoro, come prevede il decreto immigrazione, è una sanatoria mascherata che non avrebbe alcun impatto positivo sull’occupazione”, ha detto il 2 dicembre. Aggiungendo che “la Lega nulla ha contro chi viene in Italia regolarmente per lavorare e per contribuire alla crescita del nostro Paese. Siamo, invece, pienamente contrari a chi usa l’Italia, il suo sistema sanitario, il suo sistema assistenziale solo per delinquere o lavorare in nero”. Ieri sul web ha spiegato lei ai sostenitori della Lega come ci si comporta correttamente.

Enti religiosi e città leghiste. Gli affari dell’“idraulico”

Se le parole messe a verbale dal commercialista Michele Scillieri hanno svelato il “sistema” delle retrocessioni alla Lega di Matteo Salvini da parte di chi ottiene incarichi o lavori grazie alla politica, ora una nuova informativa della Finanza, agli atti dell’inchiesta milanese sui presunti fondi neri del partito e sul caso della fondazione regionale Lombardia Film Commission, traccia il giro del denaro. Per farlo si concentra sulla figura di Francesco Barachetti, l’idraulico di Casnigo oggi ai domiciliari con l’accusa di concorso in peculato. Si scopre così, attraverso le analisi finanziare, che nell’ultimo triennio l’ex consigliere comunale vicino di casa del contabile del Carroccio Alberto Di Rubba, ha raddoppiato i suoi guadagni arrivando a circa 4,2 milioni. Denaro che in parte, ed è questa una delle novità su cui lavorano il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi, gli è arrivato da lavori effettuati anche per enti religiosi, case di riposo, fondazioni e almeno nove comuni nella provincia di Bergamo, questi ultimi quasi tutti a guida leghista o appoggiati dal partito di Salvini.

Calcoli alla mano si arriva a circa 1,5 milioni, in parte anche pubblici. Denaro che in una certa misura, secondo l’ipotesi dei pm basata sull’analisi bancaria, è poi ritornato indietro o agli stessi enti o, in altri casi, a società riferibili ai commercialisti Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, quest’ultimo molto vicino al tesoriere della Lega Giulio Centemero. Un viaggio di ritorno che secondo il lavoro investigativo ancora in corso potrebbe ricalcare il sistema spiegato da Michele Scillieri nel suo ultimo interrogatorio.

Le società di Barachetti, moglie russa e affari targati Lega, così ottengono un incarico per 1,2 milioni dalla bergamasca San Giuseppe Onlus, che si occupa di case di riposo. La stessa onlus, si legge nell’annotazione, sarà destinataria di pagamenti da parte di Barachetti. Poco più di 115mila euro invece Barachetti li riceve dalla casa di riposo Caprotti-Zavaritt che si trova a Gorla (Bergamo), nata anche grazie a un lascito della famiglia Caprotti. E ancora: la Procura missionaria delle Suore Sacramentine di Bergamo paga poco meno di 10mila euro a Barachetti. Altri lavori sono commissionati dalla parrocchia Santa Maria Assunta e San’Ippolito della diocesi di Bergamo. Ci sono poi i pagamenti dalla Fondazione Accademia Carrara che gestisce, anche con denaro pubblico, la più importante pinacoteca di Bergamo. Socio promotore è il Comune, presidente il sindaco Giorgio Gori. Tra gli sponsor compare la società dell’idraulico leghista (Barachetti service). Altro denaro, spiega l’annotazione, viene pagato dalla Tranvie elettriche intercomunali. Compaiono poi nove Comuni della provincia di Bergamo annotati dagli investigatori. Sono: Dalmine, Casnigo, Cazzano Sant’Andrea, Borgo di Terzo, Trezzo sull’Adda, Peia, Fiorano al Serio, Zandobbio, Brignano Gera d’Adda. Molti, nel triennio analizzato dalla Procura, sono stati a guida leghista o appoggiati dal partito.

Ora, seguendo il filo investigativo, nell’ultimo triennio dalle casse di Barachetti il denaro oltre che entrare è anche uscito. Secondo la nota, le uscite hanno eguagliato le entrate. Tra i soggetti destinatari dei soldi di Barachetti ci sono la Fondazione Accademia Carrara, la San Giuseppe Onlus e due società citate nell’inchiesta milanese riconducibili ai commercialisti della Lega. Sono la Dea consulting e la Dea Spa. Ed è proprio su questo viaggio a ritroso del denaro che ora punta la Procura. Anche alla luce del verbale di Scillieri davanti ai pm dal quale emerge come i fornitori scelti dai commercialisti della Lega dovessero essere persone fidate alle quali poter chiedere indietro parte del denaro. Intercettato, Manzoni proponendo lavori di pulizia nelle sede della Lega in via Bellerio spiegava a Barachetti: “Sai che io lavoro per te cazzo, e sono qua a fare i tuoi interessi”. Negli ultimi anni Barachetti ha ricevuto denaro, oltre che dai soggetti citati nella nota della Finanza, anche dalla Lega nord, dalla Lega per Salvini Premier, dal tesoriere Centemero, da Alberto Di Rubba e dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli.

Guerra e il piano pandemico. Nel 2017 scrisse: “Va rifatto”

C’è un documento, mostrato da Report ieri sera, che sembra chiudere la questione del piano pandemico: “Si è posta la necessità di predisporre un nuovo piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale”. È un appunto del 15 settembre 2017 all’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, firmato da Ranieri Guerra, all’epoca direttore della Prevenzione al ministero. In una pagina e mezza spiegava tutto, dall’aviaria del 2003 all’influenza A(H1N1) del 2009 e alle linee guida dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Guerra pochi giorni dopo lasciò l’incarico per quello, ancora attuale, di assistente al direttore generale dell’Oms.

Perché rifare il piano a fine 2017? Sul sito del ministero della Salute si legge “ultimo aggiornamento 15 dicembre 2016” anche se il testo è sempre quello del 2006, con tanto di verbo al futuro riferito a quell’anno. Il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani ha acquisito l’appunto di Guerra: “Dimostra che i piani non erano operativi”, ha detto. Lo stesso Guerra lo scorso 11 maggio ha chiesto agli autori di modificare il report Oms sull’Italia (An unprecedented Challenge: Italy’s first response to Covid-19) proprio sulle date del piano. Nel testo uscito c’è scritto “reconfirmed in 2017”. Il rapporto sarà pubblicato il 13 maggio e ritirato dall’Oms in 24 ore dopo un mezzo incidente diplomatico con l’Italia. Parlava di reazione iniziale “caotica” e “improvvisata” e di “ritardi” e sarebbe stato utile ad altri Paesi, più fragili del nostro.

L’Oms giorni fa ha fatto sapere che il rapporto “conteneva inesattezze e incongruenze”. Rifiutano di spiegare quali e quando le avrebbero scoperte visto che l’11 maggio l’avevano approvato: ieri Report ha mostrato il verbale. Non confermano di aver contestato “errori” a Francesco Zambon, coordinatore degli autori del rapporto, che nega di aver ricevuto rilievi. Guerra riferiva invece a Zambon di “questioni politiche”, con passaggi imbarazzanti sui 10 milioni appena versati da Roma all’Oms e sulle mediazioni in cui è impegnato con gli Usa per il G20 della Salute. Hans Kluge, direttore dell’Oms Europa, scrive di un ministro Roberto Speranza “rammaricato” in un’altra email tirata fuori da Report. Ma “ritirarlo è stata una decisione interna”, assicura l’ufficio stampa dell’Oms Europa. Nell’email si legge che Kluge puntava a una “revisione congiunta” con gli italiani, ma dev’essere finita lì, forse perché Zambon rifiutava di firmare una versione “censurata”. L’Oms non ne esce bene.

Il vecchio piano pandemico, che pure si riferiva all’influenza e non al Coronavirus, contiene indicazioni che, tra il 30 gennaio (dichiarazione dello stato di emergenza) e il 19 febbraio (primo caso autoctono di Covid-19 a Codogno, Lodi), sarebbero state utili: dall’“approvvigionamento dei Dpi (mascherine, camici, calzari, ndr)” al “censimento delle disponibilità di dispositivi meccanici per l’assistenza ai pazienti”, cioè i ventilatori per le terapie intensive. La mancanza degli uni e degli altri è costata vite umane, il censimento è stato fatto solo dopo Codogno.

Infatti il piano interessa molto alla Procura di Bergamo. Ieri è stato sentito l’epidemiologo Stefano Merler dell’Istituto Kessler, che ai primi di febbraio aveva prospettato al governo scenari che avrebbero richiesto un maggior impegno per le terapie intensive: proprio lui si ritrovò a mettere mano al piano pandemico. Ma intanto il virus correva nel Nord Italia, nessuno lo cercava anche per via della circolare del ministero che, secondo le linee guida Oms, raccomandava i tamponi solo a chi avesse legami con la Cina. La Procura ha sentito Guerra e vorrebbe sentire Zambon, ma per lui l’Oms oppone un’improbabile immunità diplomatica.

Nel 2006 il piano pandemico antinfluenzale era stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni e pubblicato in Gazzetta ufficiale. Dei successivi aggiornamenti non c’è traccia. Ma, come scriveva Guerra nel 2017, il piano era da rifare. Fece un appunto simile il suo successore Claudio D’Amario alla ministra Giulia Grillo, ma senza risultati. E nel 2020 hanno ignorato il vecchio piano.

Abruzzo: si riapre senza aspettare l’ok. E il governo diffida

“La cura del governo ucciderebbe il paziente Abruzzo”. Parole del governatore Marco Marsilio in una giornata di grande tensione tra Pescara e Roma per l’ordinanza della disubbidienza regionale che ha “trasformato” l’Abruzzo da rosso, ultimi rimasti in Italia, ad arancione senza aspettare il via libera del governo. Infatti, ieri i negozi hanno riaperto e le vie dello shopping si sono riempite in occasione del ponte dell’Immacolata. I ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza hanno diffidato Marsilio con una lettera: “La invitiamo e la diffidiamo a revocare ad horas l’ordinanza regionale ricordandole le gravi responsabilità che potrebbero derivare dalle misure da lei introdotte riguardo alla salute dei cittadini”. Il presidente replica di non voler “drammatizzare il conflitto con il governo, ma francamente considero eccessivo se non risibile il tono intimidatorio e la minaccia di responsabilità penale rispetto ai contagi che deriverebbero da questo evento”. Ora il governo può rivolgersi al Tar e chiedere di adottare un provvedimento urgente con cui si dispongano “misure cautelari provvisorie” e promuovere il conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale.

Se l’Abruzzo allenta, c’è chi stringe le maglie. Il governatore del Molise, Donato Toma, ha deciso di sospendere l’attività didattica in presenza anche per le scuole primarie e secondarie di primo grado e disposto il divieto di utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico per motivi diversi da esigenze di lavoro, salute o di comprovata necessità. Reiterato anche, in considerazione del probabile esodo nel periodo natalizio, l’obbligo di isolamento fiduciario per le persone che dovessero rientrare in Molise senza aver eseguito, con esito negativo, un tampone antigenico. E da oggi la Puglia avrà una gestione “bicolore” dell’emergenza: gialla da Bari a Lecce, ma a nord arancione in 20 Comuni, dall’area murgiana al Gargano. Vista l’ampiezza dell’area coinvolta, si tratta di un caso pressoché unico in Italia. Visto l’alto indice di circolazione del Covid, il governatore Michele Emiliano, in accordo con il ministro Speranza, ha istituito la zona arancione in 20 Comuni: Andria, Barletta, Bisceglie e Spinazzola nella provincia Bat; Accadia, Ascoli Satriano, Carapelle, Cerignola, Lucera, Manfredonia, San Marco in Lamis, San Nicandro Garganico, San Severo, Torremaggiore, Troia, Zapponeta, Foggia e Monte Sant’Angelo nella provincia di Foggia; Altamura e Gravina in Puglia nella Murgia.

Intanto ieri le Regioni sono ritornate al tavolo col ministro Francesco Boccia per il piano-vaccini, aggiornato dal commissario Domenico Arcuri: ci sarà un hub per la distribuzione dei vaccini in ogni regione, oltre 28 milioni di dosi a disposizione entro la fine di marzo, un’indagine sierologica per valutare qualità e durata della risposta del vaccino sulla popolazione, quasi 6,5 milioni di italiani che rientrano nelle categorie “prioritarie”, la possibilità che i medici in pensione possano dare un contributo per sgravare il personale degli enti locali. “Per il successo del piano – ha affermato Boccia – sarà decisiva la collaborazione Stato-Regioni”.

Il bollettino del ministero della Salute ieri riportava altri 528 decessi per Covid-19, 13.720 casi positivi in più registrati in 24 ore, a fronte di 111.217 tamponi eseguiti. Migliora il numero dei ricoveri nelle unità di terapia intensiva, che con 144 segnano una riduzione di 72 unità; il totale è attualmente di 3.382. Sono invece aumentati di 133 unità i ricoveri nei reparti Covid ordinari, per un totale di 30.524 pazienti.

Fontana: “Violate il Dpcm”. E Gallera corre fuorilegge

Violare almeno tre divieti dell’ultimo Dpcm è già un record in sé. Fotografarsi e postare le immagini che testimoniano il misfatto è da testa di serie dell’autolesionismo. Se poi a farlo è l’assessore alla Sanità della regione col maggior numero di morti per Covid d’Italia, è un horror. Eppure Giulio Gallera è riuscito a fare anche questo. Domenica, infatti, sui suoi profili social l’assessore posta tre selfie in tenuta ginnica accompagnati dalla frase: “Oggi 20 km lungo il naviglio martesana – la maratona è maestra di vita – stringere i denti e non mollare mai”. Il primo ad accorgersene è il giornalista Giulio Cavalli, che su Fb scrive: “In zona arancione è vietato fare sport di gruppo e uscire dal proprio comune per praticare sport. L’assessore Gallera è riuscito a violare due regole e mettere tutto su Instagram. Incapaci e impuniti”. E da lì, è stato uno tsunami di commenti.

Ricapitolando: Gallera domenica decide di approfittare del giorno festivo per farsi una corsetta. Ma non come noi mortali nelle vicinanze della propria abitazione (massimo un km di distanza dalla propria residenza, recita il Dpcm). No, lui allunga un po’ il percorso e di chilometri finisce per farne una ventina (prima infrazione). E, forse per la foga, non si accorge neanche di essere uscito dai confini del Comune di residenza (Milano), di aver attraversato quelli del Comune di Vimodrone, fino a penetrare nel territorio di Cernusco sul Naviglio (seconda violazione). Infine, ha pensato di immortalare l’impresa con una serie di selfie senza mascherina (violazione n. 3). Ma, non essendo solo nell’impresa, ha ritenuto giusto comprendere nelle foto anche i suoi cinque compagni di maratona – tutti privi di mascherina – (quarta possibile violazione, perché se Gallera non risultasse iscritto a un club podistico, avrebbe infranto anche il divieto di sport in compagnia).

A confermare, indirettamente, l’attraversamento dei Comuni diversi, lo stesso assessore in uno scambio di messaggi con un fan sui social. Commenta l’elettore: “Dottore complimenti stesso percorso”, e accompagna il messaggio con lo screenshot del Gps che mostra un tragitto da Milano a Vimodrone. La risposta di Gallera arriva pochi minuti dopo: “Sì ma tu hai tenuto un ritmo pazzesco complimenti!!!!”. Ergo, tragitto confermato.

A rigor di logica (e di norma), l’assessore dovrebbe ora essere sanzionato con un’ammenda da 400 euro. La stessa che il 14 aprile scorso si vide appioppare il suo compagno di partito, l’attuale presidente dell’assemblea regionale, il forzista Alessandro Fermi, pescato dalla Finanza a passeggio in pieno lockdown. “Andavo da mio fratello”, si era giustificato. Ma forse le conseguenze peggiori Gallera se le deve aspettare da Attilio Fontana il quale, proprio negli stessi momenti nei quali l’assessore risaliva il Naviglio, a SkyTg24, a proposito della ventilata sostituzione dell’assessore, dichiarava: “Mi sono sfilato da questo dibattito come da tutti quelli che non si riferiscono alla lotta contro il coronavirus. Credo che ci sia un tempo per ogni problema. Poi verrà il tempo in cui se ne parlerà”. Tradotto: non ora, ma comunque presto. E Gallera è un problema. Del resto, che Matteo Salvini (e la Lega tutta) chieda da mesi la testa di Gallera non è un mistero. A difenderlo era rimasta Forza Italia (e neanche tutta) e Fratelli d’Italia. Probabile che la performance di domenica porterà a un’accelerazione.

In realtà Fontana dovrebbe solo ringraziare il suo (quasi ex) assessore. L’allegra “sgambettata” infatti ha oscurato una dichiarazione gravissima che il presidente lombardo ha consegnato ieri a Libero. Interrogato sui divieti di spostamento nei giorni di Natale, Fontana si era detto “d’accordissimo con quanti li violeranno”, perché sarebbero “una sciocchezza”. Parole di un uomo delle istituzioni, passate in secondo piano solo grazie a Gallera.

Parte il Cashback: ecco tutto quello che c’è da sapere

Tutti in coda per gli sconti di Stato del programma Cashback, il piano di rimborsi sui pagamenti effettuati con carte, bancomat e app digitali che scatta oggi. Ieri, all’apertura delle iscrizioni, almeno 6,6 milioni di italiani hanno scaricato l’app “Io” per attivare il piano rilasciato nella notte tra domenica e ieri, con picchi di 8mila accessi al secondo. I server sono andati in sovraccarico e in molti non sono riusciti a registrarsi, ma in serata erano già 1 milione circa gli utenti che avevano caricato almeno un metodo di pagamento per attivare il Cashback. PagoPa, la società pubblica che gestisce i pagamenti alle P.A. e ai gestori di pubblici servizi, si è scusata e ha chiesto ai cittadini “comprensione e pazienza” per uno “dei progetti più complessi e sfidanti realizzati sin qui in Italia e in Europa”. Stamane scatta dunque il primo tassello del “Piano Italia cashless” che mira a contrastare l’uso del contante e a stimolare i consumi. Come promesso dal premier Giuseppe Conte, sarà possibile ottenere un rimborso sul proprio conto corrente pari al 10% degli acquisti effettuati con carte di credito, bancomat e app (ma non sull’e-commerce) entro un tetto di 1.500 euro.

Il “bonus di Natale” valido solo a dicembre rimborsa fino a 150 euro a chi spenderà almeno 1.500 euro in 10 acquisti diversi effettuati con carte e app (Apple Pay, Samsung Pay, Satispay o Paypal). Il rimborso sarà erogato a febbraio. Ma se le richieste sforeranno la dote di 227,9 milioni, che dovrebbe bastare a 1,5 milioni di consumatori, il rimborso sarà ridotto in proporzione.

Per partecipare bisogna essere maggiorenni, residenti in Italia e dichiarare che le carte registrate saranno usate solo per acquisti estranei alla propria impresa, arte o professione. Serve l’identità digitale Spid o la carta d’identità elettronica. Per richiedere lo Spid a uno degli identity provider occorrono un indirizzo e-mail, il numero di cellulare, un documento di identità valido (carta di identità, passaporto o patente) e la tessera sanitaria col codice fiscale.

Con Spid o carta d’identità elettronica va scaricata sul cellulare l’app “Io” in modo da rendere operativa la sezione “portafoglio” e attivare il cashback, fornendo il codice fiscale e i numeri di bancomat, carte di credito o degli altri metodi di pagamento con cui si partecipa al programma, insieme al codice Iban del conto bancario sul quale si riceverà il rimborso. Altri operatori dei pagamenti – come Hype e Satispay e il circuito delle carte Nexi – stanno rendendo disponibili sistemi per registrarsi al programma Cashback senza usare Spid e l’app “Io”.

Una volta registrati e indicati i metodi di pagamento, si potrà pagare al bar, al ristorante, nei negozi, in farmacia, al supermercato, dagli artigiani e dai professionisti, al supermercato con le carte o le app, senza limiti merceologici (sono esclusi però gli acquisti online). Dopo qualche giorno il sistema registrerà i pagamenti su “Io”, che mostrerà l’elenco delle operazioni che danno diritto al cashback e la classifica del “supercashback” speciale. Attenzione: i 1.500 euro sui quali si ha diritto al rimborso non possono essere spesi in un solo acquisto ma serviranno almeno 10 operazioni.

La fase ordinaria del cashback partirà invece dal 1° gennaio per concludersi il 30 giugno 2022 con le stesse modalità, per un rimborso massimo di 300 euro l’anno (150 euro a semestre) su almeno 50 operazioni ogni sei mesi. Non si potranno superare i 3mila euro annui di transazioni. I rimborsi saranno erogati a luglio 2021, gennaio 2022 e luglio 2022. L’operazione richiederà un fondo di 1,7 miliardi per l’anno prossimo e di 3 miliardi per il 2022.

Dall’anno prossimo, poi, al cashback ordinario si affiancherà un bonus di 1.500 euro che sarà erogato ai 100mila consumatori che effettueranno più transazioni in tre semestri: gennaio-giugno 2021; luglio dicembre 2021; gennaio-giugno 2022. Ogni semestre il conteggio ripartirà da zero.

Un Recovery digital-green con le corsie preferenziali

La parte del leone la fa la “Transizione energetica”, 74 miliardi in 6 anni, fanalino di coda, per così dire, la Salute (9 miliardi) ma ci sono anche Digitalizzazione e cultura (48,7 miliardi), Infrastrutture e mobilità (27 miliardi), Istruzione (19,2), parità di genere e coesione sociale (17,1). Oggi il Consiglio dei ministri approverà il Recovery Plan italiano, il piano per spendere in sei anni i 196 miliardi: 78 in sovvenzioni (di cui 13 del programma Ract Eu), la parte rilevante perchè destinata a programmi aggiuntivi e il resto in prestiti in arrivo dal Recovery fund europeo. Nelle 126 pagine della bozza di documento ci sono gli stanziamenti per le 6 missioni “prioritarie”. Il livello di dettaglio non è elevato, non c’è l’elenco puntuale dei progetti. Ma a balzare all’occhio è la struttura messa in piedi per attuare il piano. Una specie di governo ristretto e parallelo con enormi poteri in deroga e corsie accelerate per i progetti. Lo schema prevede dei “responsabili di missione” (si pensa a 6 manager, di cui uno “coordinatore”) inquadrati in una “struttura di missione” a Palazzo Chigi, che li nomina. Saranno i veri responsabili del Piano, redigeranno programmi e tempistiche, vigilando sui lavori perfino con poteri sostitutivi se le amministrazioni non rispettano i tempi. La struttura potrà assumere uno stuolo di figure a supporto, anche fuori dalla Pubblica amministrazione (si parla di un centinaio) e con stipendi in deroga alle norme attuali, guidati da un “direttore amministrativo”. La struttura arriverà con un decreto ad hoc e dipenderà da un Comitato esecutivo formato dal premier Giuseppe Conte e dai ministri Stefano Patuanelli (Sviluppo) e Roberto Gualtieri (Economia) che a sua volta risponde al Comitato interministeriale per gli Affari Europei (Ciae), presieduto dal Conte e coordinato dal ministro per gli Affari Ue Enzo Amendola. I ministeri potranno solo interfacciarsi con i Responsabili, ma il potere di rimuoverli spetta a Chigi. Industriali e sindacati saranno coinvolti in un comitato solo consultivo.

L’altra novità dirompente riguarda gli iter autorizzativi. I progetti avranno una corsia preferenziale unica nel suo genere. Nel documento vengono classificati come “prioritari e a rilevanza strategica”. Usufruiranno delle norme dello Sblocca cantieri di luglio, cioè il “modello Genova” con commissari che operano in deroga alla legge, ma arriveranno anche nuove misure per evitare attriti con le Regioni e accelerare le autorizzazioni, anche quell ambientali. Par capire: l’idea di Palazzo Chigi è che la Valutazione di impatto ambientale dei progetti venga accelerata e di fatto sottratta al ministero dell’Ambiente per consegnarla alla Struttura di missione.

Sui nomi è ancora buio pesto. Non saranno i grandi manager di Stato, ma le partecipate (Eni, Enel etc.) saranno coinvolte (i loro piani sono stati consegnati al governo a giugno), anche perché intercetteranno molti dei fondi.

Green Efficienza energetica, gas e idrogeno

All’efficienza energetica è dedicata oltre la metà delle risorse della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”: 40,1 miliardi su 74,3 totali. C’è “l’estensione del superbonus edilizio del 110% e un piano per l’efficientamento degli edifici pubblici. Poi, un po’ di tutto: economia circolare, interventi per rendere “green” l’agricoltura e potenziare la gestione dei rifiuti. C’è un capitolo sulla mobilità sostenibile: infrastrutture per auto elettriche e per l’idrogeno liquido, rinnovo parco mezzi pubblici e privati. La parte rilevante è fatta di ciclovie, colonnine per le auto elettriche, piano per la riduzione delle emissioni ed uno, molto valido, per le risorse idriche e la prevenzione del dissesto idrogeologico. Manca però l’efficientamento energetico del settore produttivo e si parla molto di idrogeno senza specificare se proveniente da rinnovabili o gas (le lobby petrolifere sono a lavoro). Il supporto delle “pipeline” sembra indicare le infrastrutture del gas di Snam (a partire dal Tap).

Infrastrutture Molta Tav e manutenzioni. 4 mld ai porti

Il documento è nuovo, ma il grosso del piano è vecchio: molta alta velocità ferroviaria, in particolare – sembra di capire – la Napoli-Bari e la contestata Tav in Sicilia. A questo fine – che comprende anche un po’ di manutenzione su strade, ponti e gallerie, oltre al monitoraggio delle opere ovviamente “digitale” – sono stanziati 23,6 miliardi: anche qui si va di fretta e si allude a una sorta di modello Genova anche in collaborazione con Rfi (“semplificando le procedure ed eliminando fasi ridondanti”). Altri 4,1 miliardi sono dedicati ai porti: in larga misura andranno a Genova e Trieste, “per lo sviluppo delle infrastrutture portuali e terrestri di interconnessione”.

Salute Medicina territoriale e ospedali più digitali

Nel piano finisce un pezzo del progetto di riforma del Ssn illustrato da Roberto Speranza in questi mesi, quello che riguarda la digitalizzazione e la telemedicina (gli ospedali, però, potrebbero essere interessati dagli interventi di efficientamento e rigenerazione). Di fatto 4,8 miliardi vanno a “assistenza territoriale e telemedicina”: l’idea è creare un modello di medicina, anche preventiva, di territorio fuori dal modello ospedale-centrico. Per questo servono medici, infermieri e strutture e capacità di usare i dati dei pazienti rendendo più semplice l’assistenza domiciliare. Altri 4,2 miliardi, invece, andrebbero a “Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria”: in larga parte si tratta di ammodernare il sistema sanitario, specie il “parco tecnologico degli ospedali” e garantire che dialoghino con la sanità territoriale (realizzando davvero il Fascicolo sanitario elettronico).

Digitale Cloud per la Pa. 35 mld per Rete e imprese

Dieci miliardi vanno alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. È previsto un cloud nazionale per assorbire gli attuali “11mila data center” di “22mila enti pubblici” (7,5 miliardi di spesa annua) che hanno enormi problemi di sicurezza. Si punta alla “piena interoperabilità dei dati” per arrivare al principio ‘once only’ (cioè la richiesta di dati una volta sola da parte della Pa). Si conserva e si potenziano i server fisici solo per i dati dei cittadini considerati “critici”. Per gli altri (sarà fondamentale capire la differenza) si ricorrerà ai servizi cloud sul mercato, da Google ad Apple a Tim. Prevista pure l’istituzione di un apposito “centro di sviluppo e ricerca sulla Cybersecurity”. È la fondazione cara a Conte contro cui Pd e Italia Viva minacciano sfracelli. La fetta più grande, 35,5 miliardi, è destinata a “Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione”, cioè fondi alle imprese (sgravi sugli investimenti). Previsto anche il potenziamento della banda ultralarga e la spinta sul 5G. Digitalizzazione è la parola chiave pure per cultura e turismo. Nonostante il comparto sia il più colpito, vengono destinati a questa voce solo tre miliardi. Pochi soldi e pochissimi progetti specifici “strategici” tra cui la Biennale di Venezia e la Biblioteca europea di informazione culturale di Milano mentre si aspira a maggiori “sponsorship” tra attori pubblici e privati.

Istruzione. Istituti tecnici potenziati, come i dottorati

Sono 19 i miliardi che si divideranno scuola e università. Per la prima, compare la terribile parola “riforma”, in questo caso della selezione del personale scolastico che integri “le attuali procedure concorsuali: in pratica si dovrebbe intesificare il periodo di prova dopo il concorso. Viene potenziata la formazione continua del personale e l’ammodernamento tecnologico degli istituti tecnici anche coinvolgendo i privati. Per le università si parla di “una maggiore incidenza dei crediti formativi in materia digitale e ambientale” con l’istituzione di nuovi dottorati di ricerca in questi ambiti e, anche qui, coinvolgendo i privati.

Coesione e parità di genere 4 mld agli Asili nido

È un insieme di piccoli interventi, non del tutto dettagliati, che dovrebbero sanare le diseguaglianze più dolorose. L’incentivo all’occupazione femminile, ad esempio, passa soprattutto su più asili nido e scuole per la prima infanzia e in maggiori servizi alle famiglie nelle attività di cura di anziani e portatori di handicap. Vale 4,2 miliardi, uno in più di quanto stanziato per “giovani e politiche del lavoro (potenziamento dei centri per l’impiego, sgravi alle assunzioni, servizio civile universale). Quasi 6 miliardi vanno alla coesione sociale: tra gli interventi il classico “sport e periferie” con la creazione di cittadelle dello sport nei Comuni e finanziamenti per la rigenerazione urbana, l’housing sociale e l’edilizia residenziale pubblica. Infine 3,8 miliardi saranno dedicati alla “coesione territoriale”, soprattutto piani di intervento già esistenti, tipo quello per le aree montane o terremotate o energetico per Sardegna e piccole isole.