Il 4 dicembre è stato giorno di Black Friday in Francia, slittato di una settimana a causa del secondo lockdown. La data è stata rinviata per non penalizzare i negozi di quartiere, “non essenziali”, che hanno riaperto solo il 28 novembre, rispetto ai colossi del digitale. In quest’ultimo mese di lockdown, Amazon è diventato una sorta di nemico pubblico numero uno in Francia. Ma mentre il ministro dell’Economia chiedeva ai francesi di fare “acquisti patriottici” e continuava ad applicare una “tassa Gafa” solo simbolica, il colosso californiano ha portato avanti la sua attività traendo vantaggio dalla stretta sanitaria. Il governo vorrebbe far credere che i “piccoli commercianti” francesi possono, grazie alla magia del “digitale”, mettersi alla pari con il gigante californiano. Ma si sbaglia.
La forza di Amazon si basa anche sulla sua capacità di evadere le tasse e grazie a questo espediente distrugge la concorrenza affermandosi come principale intermediario del commercio francese. Già l’anno scorso l’Ong Attac aveva rivelato che il 57% del fatturato di Amazon in Francia finisce in paradisi fiscali. Oggi Attac pubblica un altro studio che Mediapart ha potuto consultare e che chiarisce la logica predatoria di Amazon e come funziona la frode all’IVA nel mercato dell’e-commerce. In linea di principio, nell’Unione Europea, l’IVA, l’imposta che genera le maggiori entrate pubbliche (circa 126 miliardi di euro), deve essere versata nel paese di destinazione della merce venduta. Amazon, la cui sede è formalmente basata in Lussemburgo, deve quindi versare in Francia l’IVA legata alle vendite effettuate in Francia. Ma Amazon è anche una piattaforma di mercato in cui venditori di tutto il mondo si rivolgono a clienti francesi. Nel caso di venditori di paesi extra Ue, la legge prevede che questi debbano registrarsi nel paese di destinazione per pagare l’IVA quando le vendite superano i 35.000 euro tasse escluse all’anno. La registrazione è obbligatoria sin dalla prima vendita effettuata e quando il prodotto transita in un magazzino francese. È il caso della grande maggioranza dei prodotti venduti e spediti da Amazon. Lo studio di Attac, che si basa su un rapporto dell’Ispettorato generale delle finanze (IGF) del 2019, ricorda che il 98% dei venditori esteri attivi sulle piattaforme non era registrato in Francia e che quindi non versava l’IVA. Se questo obbligo non viene mai o quasi mai rispettato nell’e-commerce, è perché è molto difficile da accertare, dato l’enorme flusso di transazioni generato da queste piattaforme. L’IGF ha dunque stimato che solo 538 venditori su 24.459 erano registrati al 31 dicembre 2019! Calcolare l’ammontare delle perdite per le finanze pubbliche è piuttosto complicato. Attac ha realizzato tre analisi che Raphaël Pradeau, portavoce dell’Ong, definisce “prudenti”. La prima utilizza il cosiddetto approccio “top-down” che consiste nell’applicare all’e-commerce l’aliquota complessiva delle perdite legate all’IVA. Il risultato è una cifra compresa tra 790 milioni e 1,2 miliardi di euro. Ma si tratta di un dato “minimo” poiché, come abbiamo visto, la frode all’IVA è una pratica molto più diffusa in questo settore. Il secondo approccio, detto “misto”, parte dalla proporzione dell’attività di mercato nell’attività globale dei principali attori di e-commerce. Secondo la Corte dei conti, questa proporzione è in media del 29% (ma il dato raggiunge il 60% per Amazon). Questo metodo permette di stimare una frode di 1,1 miliardi di euro. Anche in questo caso, secondo Attac, si tratta di un dato “minimo”. L’ultimo approccio, detto “bottom up”, potrebbe essere il più vicino alla realtà. Esso consiste nell’estrapolare a partire dai dati del controllo fiscale resi pubblici dalla Corte dei Conti.
Con questo metodo si perviene a una cifra compresa tra 2,6 e 5,98 miliardi di euro di gettito fiscale perso all’anno. Ma, secondo Attac, di fronte alla natura sistematica delle frodi all’IVA dei venditori extra-UE, il dato più realistico si situa sulla fascia alta, tra 4 e 5 miliardi di euro. Questi importi non sono trascurabili. “Grazie a questa frode, esiste un’evidente distorsione della concorrenza che il rapporto dell’IGF aveva già evidenziato lo scorso anno”, sottolinea Raphaël Pradeau. Dal momento che una parte dei venditori presenti sul mercato non adempia ai suoi obblighi, è facile per loro applicare prezzi molto competitivi e quindi escludere la concorrenza europea e nazionale che invece gli obblighi li rispetta. Di conseguenza le piattaforme di e-commerce, a cominciare da Amazon, guadagnano quote di mercato. Il gigante del digitale, che negli ultimi giorni ha preso pubblicamente la difesa delle piccole e medie imprese francesi, giocava in realtà in loro sfavore. “Che Amazon ne sia consapevole o no, trae profitto da questa frode”, ha continuato Pradeau. Lo studio di Attac osserva da vicino il caso di Amazon. Il colosso californiano rappresenta circa il 30% del mercato di “marketplace” in Francia e, secondo un sondaggio della Federazione delle aziende della vendita a distanza, il 63,5% dei consumatori che hanno fatto ricorso ai marketplace hanno acquistato almeno una volta su Amazon. E il marketplace rappresenta il 65% del volume di attività del gigante, un dato considerevole che aiuta a rendersi conto dell’importanza della frode all’IVA per il modello economico del gruppo. Attac stima dunque che il deficit in termini di gettito fiscale per lo Stato, direttamente collegato ad Amazon, ammonta al miliardo di euro. Per Amazon “l’elusione fiscale è sistemica”. Essa è anzi la base stessa del suo potere. La legislazione Ue dovrebbe presto evolvere. A partire da luglio 2021, le piattaforme saranno considerate corresponsabili del pagamento dell’IVA da parte dei loro venditori. Ma questa direttiva, rinviata di sei mesi a causa del Covid “non darà piena responsabilità al marketplace”, sottolinea lo studio di Attac. Le piattaforme potranno farla franca escludendo il venditore che potrà poi ricomparire sotto altro nome. Raphaël Pradeau sottolinea che, perché la normativa venga rispettata, si dovrebbero effettuare controlli regolari. Ma la mancanza di risorse da parte della Direzione generale delle finanze pubbliche è lampante: 2.000 posti di lavoro sono stati soppressi nel 2020 e la nuova legge finanziaria prevede di tagliarne ancora più di 2.100 nel 2021. “Si può ipotizzare che di fronte a regole più dure ci saranno anche meno nuove frodi. Ma la frode già esistente persisterà”, conclude Pradeau. Attac propone di richiedere il rimborso delle somme non versate alle finanze pubbliche e un inasprimento della normativa sul modello tedesco.
Per poter vendere su Amazon, la Germania impone infatti un certificato di IVA, su cui deve figurare il numero di identificazione fiscale nel paese, e il prelievo alla fonte dell’IVA, richiesta sin dal 2015 da un rapporto parlamentare. Insomma, le soluzioni esistono, manca solo la volontà. Il primo passo per rimediare a questa situazione potrebbe essere di creare un’imposta eccezionale sui marketplace per finanziare i “fondi di solidarietà” istituiti per aiutare le aziende e gli autonomi a far fronte alla crisi economica attuale. Idea che si basa sulla constatazione che le piattaforme di e-commerce hanno di fatto tratto vantaggio dalle misure sanitarie restrittive attuali, che invece hanno indebolito i commerci fisici, che ora devono rimettersi agli aiuti dello Stato. Dal momento che lo Stato in più perde delle entrate fiscali con il settore, un meccanismo di solidarietà, come sottolinea Attac, è ancora di più giustificato. Diversi progetti di legge che vanno in questa direzione sono stati presentati sia dalla sinistra che dalla destra in Francia. Per ora senza risultato. Eppure la lotta contro la frode di Amazon e delle altre piattaforme dovrebbe essere sistematica per poter attaccare le basi stesse del colosso Amazon, un’azienda predatrice che approfitta delle debolezze delle altre aziende e degli Stato per rendersi indispensabile e dettare le condizioni. La sfida della lotta alla frode all’Iva è innanzitutto una sfida politica.
(Traduzione di Luana De Micco)