Sprechi. Il nuovo cardinale pupillo di Francesco si fa comprare il vestito dal Comune: 6mila euro

Un autorevole sito d’informazione cattolica, Il Sismografo, diretto dal giornalista cileno Luis Badilla Morales – già ministro del governo di Salvador Allende – l’ha messa giù così: “Si tratta di una notizia insopportabile. Ci auguriamo che sia falsa. Dunque se falsa si attende una convincente smentita nel giro di poco. Se invece è vera si devono dare spiegazioni esaurienti”.

La notizia è questa: il comune di Monteroni di Lecce ha speso seimila euro per l’abito da cardinale del suo illustre concittadino Marcello Semeraro, elevato alla porpora nell’ultimo Concistoro di papa Francesco. La delibera è della fine di novembre e ha alimentato anche una polemica politica locale. La giunta è di centrodestra e all’attacco è andata la sinistra, chiedendo che “l’esoso dono possa essere devoluto ad opere caritatevoli o al benessere dei monteronesi”. Nella risposta sindaco e giunta hanno rivendicato l’esoso dono fatto con soldi pubblici: “È stato motivo di orgoglio assistere in tv al Concistoro e vedere il Cardinale indossare le vesti della sua città”. E ancora, con un tono decisamente materno: “E come una Madre provvede a coprire il figlio vestendolo, così questa città ha voluto fare con il proprio figlio”.

Settantatré anni il prossimo 22 dicembre, Sua Eminenza Marcello Semeraro è uno degli interpreti della rivoluzione avviata da Francesco con il suo pontificato. I due si conoscono da decenni e Semeraro, da vescovo di Albano, venne da subito nominato segretario del consiglio dei cardinali, l’organo voluto da Bergoglio per la riforma della Curia e il governo della Chiesa. Teologo esperto di media (ha scritto pure sul Fatto della domenica), è stato poi chiamato da Francesco per sostituire il cardinale Angelo Becciu – cacciato a settembre per l’affaire immobiliare a Londra – alla guida della Congregazione delle cause dei santi. Di qui la nomina a cardinale nell’ultimo Concistoro, applaudita anche dalla comunità Lgbt per la fama gay friendly da vescovo di Albano. E nella celebrazione del 28 novembre scorso, il papa in modo affettuoso ha salutato così il suo vecchio amico: “Comportati bene”.

In quell’occasione, Francesco si è anche soffermato sul colore della talare cardinalizia: “Il rosso porpora dell’abito cardinalizio, che è il colore del sangue, può diventare, per lo spirito mondano, quello di una eminente distinzione. E tu non sarai più il pastore vicino al popolo, sentirai di essere soltanto ‘l’eminenza’. Quando tu sentirai questo, sarai fuori strada”.

Difficilmente Sua Eminenza Semeraro andrà fuori strada, epperò l’incidente, chiamiamolo così, del suo comune natìo, contraddice tutto il suo percorso in questi sette anni di pontificato francescano. Senza dimenticare che quando l’allora arcivescovo di Buenos Aires Bergoglio fu creato cardinale da San Giovanni Paolo II il 21 febbraio 2001, si presentò al Concistoro con la talare del predecessore Antonio Quarracino, adattata alla sua taglia. E ai fedeli che volevano accompagnarlo a Roma per l’investitura cardinalizia, disse di non farlo e di destinare il denaro per il viaggio ai più bisognosi.

 

Ecco la “Netflix della cultura”: è il nuovo gioco della politica?

Cosa sarà la “Netflix della cultura” così fortemente voluta dal ministro Franceschini?

Per ora si parla di mettere in scatola lo spettacolo dal vivo: una soluzione forse comprensibile come estrema misura di emergenza, ma suicida come obiettivo di lungo periodo, quanto lo sarebbe immaginare una scuola per sempre in dad. Perché, come ha scritto Marco Baliani, così “ci si abituerà a delegare il nostro sguardo alle varie telecamere che riprendono il mondo. Quando assisto ad uno spettacolo teatrale ripreso in streaming io vedo quello che operatori registi e montatori hanno deciso di farmi vedere, non posso mica dislocare lo sguardo altrove nello spazio scenico, perché quello che ho di fronte è uno spazio piatto bidimensionale, senza profondità e senza volumi. Ma soprattutto senza odori, senza fremiti, senza corpi accanto al mio che mi trasmettano emozioni e sensazioni, senza possibilità di decidere da cosa voglio essere attratto”. Il che darebbe un colpo mortale non solo al teatro, ma anche alla nostra capacità di relazione, di autogoverno, di pensiero critico: di democrazia. E poi c’è il modo in cui tutto questo sarà fatto.

I dieci milioni di euro investiti dal ministero per i Beni Culturali (che contemporaneamente condanna a morte archivi e biblioteche per mancanza di soldi, e dunque di personale), e il controllo pubblico attraverso il 51% detenuto dalla Cassa Depositi e Prestiti potrebbero far pensare alla rinascita di una strategia pubblica nella diffusione della cultura. Ma il fatto che l’altro socio sia la piattaforma privata Chili, fondata da Stefano Parisi (già candidato del Centrodestra contro Beppe Sala a Milano), richiama l’ormai endemica incapacità del pubblico di cavarsela da solo, la sua irreversibile inclinazione ad affidarsi ad interessi privati garantiti dal sottobosco della politica.

A parte l’imperdonabile provincialismo dell’idea di una “Netflix de noantri”, è impietoso il paragone tra la politica che seppe fondare e far crescere la Rai e una politica che partorisce una simile trovata. Perché non si è puntato proprio sulla piattaforma pubblica che già esiste, inarrivabilmente ricca di contenuti culturali? Alludo naturalmente a Rai Play, patrimonio comune di tutti noi.

La risposta a questa diffusa obiezione è stata che si è provato, certo: ma l’ostacolo era proprio la sua natura pubblica e gratuita. Uno Stato che si è ritirato da ogni comparto produttivo della cultura, mettendo in mano tutti i servizi redditizi dei musei a rapaci concessionari legati a doppio filo alla politica, vuole ora fare l’imprenditore.

C’è un’altra ragione, credo. Ed è che rinunciando alla Rai, il Ministero “della Cultura” evita una necessaria mediazione: con tutti i suoi difetti (tantissimi), con tutte le sue occasioni perse, con tutta la sua vergognosa lottizzazione, la Rai (specie per la cultura) rappresenta comunque un filtro rispetto al controllo della politica. Che in questa nuova struttura guidata da Cassa Depositi e Prestiti rischia invece di essere senza freni. Non è difficile prevedere che la servilissima corte dei miracoli che campa a spese di fondazioni liriche, teatri e ormai anche dei musei troverà nella “Netflix de noantri” una specie di karaoke. Se, al contrario, si volesse davvero stare sul mercato, non è forse evidente che a fare le spese del ‘sottocosto’ necessario alle grandi piattaforme commerciali sarebbero i produttori di contenuti culturali, già oggi schiavi di un sistema che li mangia vivi? E, poi, siamo sicuri che il modello dei grandi musei autonomi, valutati solo sugli incassi e incitati ad alzare costantemente il prezzo dei biglietti, sia quello da seguire? In una cultura pubblica (come quella voluta dalla Costituzione, nel primo comma del suo articolo 9) l’accesso dovrebbe essere libero, per tutti: perché i costi della produzione culturale sarebbero coperti dalla fiscalità generale (progressiva, come impone sempre la Carta) e non dai biglietti (regressivi per definizione).

È fin troppo evidente che l’operazione lanciata da Dario Franceschini punta a ottenere i soldi del Recovery Fund. Ma anche quelli sono soldi pubblici, il cui peso graverà sui nostri figli e i nostri nipoti per decenni. Non dovremmo allora usarli per alimentare una produzione culturale risolutamente pubblica (dai teatri, all’Opera, ai musei) invece che a sostenere una pseudoimprenditoria “culturale” nata all’ombra della politica?

In questa pandemia non siamo stati capaci, non dico di tenere aperte le scuole – come nei Paesi civili d’Europa –, ma nemmeno di costruire una piattaforma unica e pubblica che non mettesse il maggior bene pubblico (la scuola) in mano a multinazionali straniere. Ora, però, vogliamo la “Netflix della cultura”. I più arguti hanno evocato lo strombazzatissimo “Very bello”: il dimenticato portale della cultura italiana lanciato da Franceschini al tempo dell’Expo. La rivista Jacobin Italia è invece ricorsa ai classici, titolando: “La Netflix della cultura è una cagata pazzesca”. Severo, ma giusto.

La sai l’ultima?

Il nostro Forrest Gump Litiga con la moglie,
esce di casa e percorre 450 chilometri a piedi

Questa settimana la storia che ha commosso il paese è quella del Forrest Gump italiano: esasperato da un litigio con la moglie è uscito di casa per smaltire l’incazzatura e non si è più fermato. Ha percorso 450 chilometri in una settimana, da Como in Lombardia a Fano nelle Marche, una media di oltre 60 chilometri al giorno. Il viaggio è stato interrotto dalla polizia, gli agenti l’hanno fermato e multato per violazione del coprifuoco. A loro – come scrive il Resto del Carlino – ha detto di non essersi accorto di aver percorso quella distanza e di essere andato avanti anche grazie al cibo e alle bevande che gli hanno donato le persone incontrate lungo il cammino. I poliziotti, dopo aver preso le sue generalità, hanno scoperto che la moglie ne aveva denunciato la scomparsa alcuni giorni prima. La stessa consorte è andata a riprenderlo nelle Marche e a pagare la sanzione da 400 euro. Chissà se hanno fatto pace. Lui comunque stava bene, solo infreddolito. E forse un po’ stanchino.

 

Siracusa Evade dai domiciliari per andare
al pub di notte: arrestato un 50enne siciliano
Voleva bere qualcosa. Assolutamente. Non avrebbe accettato un no come risposta. Così è andato al pub in piena notte evadendo dagli arresti domiciliari: la misura cautelare non poteva fermare la sua sete. È successo a Francofonte, in provincia di Siracusa. Orazio Toscano, 49 anni, stava scontando i domiciliari in casa della madre per un omicidio commesso dieci anni prima. Questo non gli ha impedito di andarsene in giro come se nulla fosse: qualche sera fa si è presentato davanti a un pub chiuso e ha preteso di entrare a bere qualcosa. Con un’insistenza davvero molesta, visto che alla fine la titolare del locale ha dovuto chiedere l’intervento dei carabinieri. Orazio ha detto agli agenti di essere uscito da casa con l’idea di “svagarsi un pò”. A fregarlo sono state le restrizioni per il Covid: bar e ristoranti chiudono alle 18. L’uomo non si è arreso fino all’arrivo degli agenti, poi si è messo l’anima in pace: è stato arrestato e condotto nel carcere di Enna.

 

Namibia Alle elezioni locali stravince Adolf Hitler con l’85%
“Da noi è un nome diffuso, papà pensava che fosse normale”
Preoccupanti notizie dalla Namibia: Adolf Hitler ha vinto le elezioni. Ma pare si tratti di un innocuo signore di colore, senza velleità di dominio del mondo o stermini di massa. Per completezza, all’anagrafe si chiama Adolf Hitler Uunona. È stato eletto consigliere del collegio di Ompundja con una percentuale plebiscitaria: l’85 percento dei voti. In un’intervista al quotidiano tedesco Bild, ha voluto specificare di “non avere nulla a che fare” con il nazismo. E ha spiegato che Adolf è un nome tutto sommato abbastanza diffuso in Namibia, ex colonia della Germania. Il padre però non l’ha chiamato solo Adolf. Voleva essere chiaro: Adolf Hitler. Un nome composto tipo Giovanni Paolo. Il figlio non gli porta rancore: “Probabilmente papà non aveva capito cosa rappresentasse Adolf Hitler nella storia dell’umanità. Da bambino mi sembrava del tutto normale, da grande ho capito”. Il signor Uunona però non ha mai avuto la tentazione di cambiare nome.

 

Kazakistan Il palestrato sposa la bambola gonfiabile:
“Parlare troppo non serve, è la donna perfetta per me”
Dopo otto mesi di fidanzamento il super palestrato del Kazakistan Yuri Tolochko – 79mila followers su Instagram, viviamo in un mondo orribile – ha sposato la sua bambola gonfiabile Margo. Il body builder ha voluto condividere la sua storia d’amore con il resto del mondo: “Le coppie hanno bisogno di parlare di meno e di connettersi di più. Con il tempo e l’esperienza, Margo e io ci siamo resi conto che ci vuole più delle parole per avere una conversazione. Il tuo partner merita sicuramente il meglio, ma deve fare la sua parte”. Anche poeta… L’eclettico Tolochko si definisce candidamente un depravato, un “malato del sesso” e in questo senso ritiene, forse a ragione, che non ci fosse al mondo una donna più adatta a lui di questa pregevole bambola in silicone. L’ha raccontato tutto orgoglioso al Daily Star: si sono conosciuti in discoteca e la loro storia lo eccita da morire. Chissà cosa ne pensa Margo, non dice mai niente.

 

Biella Si dimentica il primo matrimonio e torna sull’altare
sette anni dopo con un’altra donna: condannato per bigamia
Un simpatico signore di Biella si è dimenticato il suo primo matrimonio come ci si può scordare di comprare il dentifricio al supermercato. Si è sposato una seconda volta senza aver divorziato formalmente dalla prima moglie e ora si è beccato una condanna per bigamia. Racconta la notizia Milano Today: “Il protagonista della vicenda si era sposato la prima volta a Rho (Milano) nel 2009. A distanza di 7 anni dal primo matrimonio, nel 2016, è convolato nuovamente a nozze con una donna di origine romena a Cossato, nel Biellese, dove l’uomo risiede. I Servizi Demografici del comune, però, hanno scoperto che lo sposo era già legato da matrimonio’ con una ragazza italiana e l’hanno segnalato ai carabinieri. Da lì è scattata un’indagine che ha permesso di appurare come il 42enne non avesse effettivamente mai divorziato. Questa ‘dimenticanza’, come stabilito dal tribunale di Biella, gli è costata una condanna a un anno di carcere per bigamia oltre che al pagamento delle spese processuali”.

 

Inghilterra Andava a 100 all’ora con la carrozzina elettrica:
un ingegnere disabile entra nel Guinness dei primati
Un ingegnere inglese è entrato nel guinness dei primati per raggiunto la velocità più alta al mondo con la sua sedia a rotelle elettrica: 107 chilometri orari. A Jason Liversidge era stata diagnosticata la malattia del motoneurone nel 2013, una patologia neurologica degenerativa che l’ha privato del 95% delle capacità motorie. Ma non della sua tenacia e del suo spirito. Negli ultimi tre anni Jason ha collaborato con due professionisti di uno studio di ingegneria per creare la più veloce carrozzina per disabili al mondo. Missione compiuta: Liversidge ha portato il prototipo della sua sedia a rotelle “modificata” all’Elvington airfield di Yorkshire, una vecchia pista per gli aerei della Raf. La sua velocità è stata registrata dagli ufficiali: nei primi due giri ha raggiunto 82 e 84 chilometri orari. Al terzo tentativo, dopo aver aumentato il voltaggio della batteria, ha infranto la barriera dei 100 all’ora. “Mia moglie dice che sono pazzo”, ha confessato. Ma l’impresa è servita a raccogliere fondi per un’associazione che si occupa di malattie neurologiche.

 

Stati Uniti Una mucca cade nella piscina ghiacciata
e viene salvata da una squadra di vigili del fuoco
Una massiccia e impegnativa operazione di salvataggio ha impegnato per ore la polizia del Connecticut e i vigili del fuoco di Bethlehem per tirare fuori una mucca da una piscina. Mercoledì sera un enorme bovino pezzato, bianco e nero, è riuscito in qualche modo a evadere dalla sua fattoria e si è avventurato tra le abitazioni del quartiere, finché è incappato in quella che poteva diventare una trappola mortale: una piscina coperta da un telo. La vacca è finita nell’acqua gelida senza avere la più pallida idea di come tirarsene fuori. Possiamo solo immaginare l’espressione del proprietario di casa quando ha visto un bovino gigante che faceva il bagno nella piscina dei figli. Alla sorpresa iniziale deve essere rapidamente subentrato il dilemma: “E ora come la togliamo da lì?”. Un’equipe di vigili del fuoco intabarrati in uniformi impermeabili si è calata nell’acqua fredda ed è riuscita a portare in salvo la mucca con un complicato sistema di funi. La bestia ha superato la disavventura ed è in perfetta salute.

“Ho comprato e abbattuto l’orrore, solo per la bellezza”

Se la guardava tutte le mattine, quando le passava di fianco. Quella casa a due piani, edificata nell’abuso, era sporcizia davanti al castello di Mussomeli, il suo paese, uno dei tesori della Sicilia interna. Era uno sfregio di cui nessuno se ne curava. Non l’amministrazione comunale, per decenni ignava come del resto ogni altra autorità pubblica. Il nostro, si sa, è uno Stato che non vede, non sente, non punisce, non rimuove.

Un giorno di poche settimane fa Sebastiano Misuraca, pensionato settantacinquenne, decide di risolvere la questione, ridare cioè contegno alla bellezza.

“L’estate stava finendo, dei turisti tedeschi fotografavano la nostra meraviglia. Ma distintamente vedevo che indicavano quella casa increduli che potesse essere là. Mi sono molto mortificato e quel giorno ho deciso di concludere le trattative per l’acquisto”.

Ha cioè deciso che l’avrebbe acquistata per raderla al suolo.

Era un pensiero ricorrente. Ma c’erano problemi per via dell’accatastamento ancora parziale dell’immobile, e anche la richiesta economica dei proprietari mi pareva esosa. Avrei voluto pagare di meno quella casa costruita per metà, sempre disabitata, lasciata nell’incuria. Poi mi sono deciso di accettare tutte le condizioni. Mi sono impegnato a pagare il richiesto, il notaio ha trovato una soluzione legale a questo mio proposito, ho cercato un’impresa che facesse un lavoro pulito e celere e in una giornata l’abitazione è andata giù. In un pomeriggio sono stati rimossi i detriti. Il terreno è tornato vergine. E il castello liberato da quel sopruso.

Lei ha fatto una cosa bellissima e così rara.

Ho fatto quel che mi sentivo. Non sono ricco, ma ho la possibilità, ora che sono in pensione, di decidere come spendere un po’ dei miei risparmi. I miei figli hanno il proprio lavoro, non metto in crisi il loro futuro. Ho interrogato i miei nipotini sul da farsi. Samuele, il più grande (ha 11 anni) mi ha detto: fai bene nonno a fare ciò che hai deciso.

Lei è un combattente per il bello. E lo fa in una terra dove il sopruso, l’incuria, l’ignavia sono di casa.

Ho fatto quel poco che posso. Mussomeli è l’ombelico della Sicilia, abbiamo un castello bellissimo e tanti visitatori. Siamo seduti su una necropoli vasta, ricca, straordinaria. Perché disturbare il bello col brutto?

Già, perché?

E non lo so.

Negli anni passati ha fatto rimuovere, sempre a sue spese, un impianto di calcestruzzo abbandonato all’ingresso del paese.

Abbiamo trovato una ditta specializzata nello smaltimento dei materiali ferrosi. Tutto fatto a norma di legge.

E ha pure fatto rimuovere a sue spese un silos metallico che sfregiava, se ce ne fosse stato bisogno, un altro lato del castello.

Sì, è successo.

Secondo lei perché la bellezza è così tanto trascurata, offesa, denigrata?

Me lo chiedo. Perché, non per dire, ma Mussomeli è davvero un gran bel posto. Il centro del centro della Sicilia, ricca di tesori, di arte, di archeologia. Dovremmo fare uno sforzo, impegnarci un po’ di più per preservarla, custodirla.

Qual era il suo lavoro?

Commerciavo in grano. Un’attività che mi ha dato tante soddisfazioni e oggi mi permette di scegliere cosa fare e come fare.

Vuole dare qualche consiglio agli amministratori del municipio?

Del sindaco in carica non posso dire che bene. In ogni modo ha agevolato questo mio gesto.

È già una bella notizia che il comune non abbia ostacolato.

Il mio terrore è la burocrazia. Quando chiesi al notaio e mi illustrò tutte le questioni che avrebbero reso difficile l’acquisto mi sconfortai. A volte le leggi sembrano fatte apposta per crearti problemi.

L’abuso è perciò la via maestra.

Però c’è stato il condono.

E certo.

È così.

Lei avrebbe diritto a una medaglia al valor civile.

Ma per che cosa? Ma ha capito che era una casetta?

“I 5Stelle devono tutelare il premier. Bisogna evitare il nuovo Nazareno”

Rischiano tutti: il M5S che è una polveriera, il governo e quindi Giuseppe Conte. “Ma noi del Movimento, come il Pd, dobbiamo tutelare il presidente del Consiglio” esorta il 5Stelle Stefano Buffagni, viceministro allo Sviluppo economico.

Voi grillini forse vi state impuntando per motivi ideologici. Un voto sulla riforma del Mes vale davvero tutto questo?

In queste ore si sta lavorando alla risoluzione che verrà votata mercoledì in Parlamento. Di certo non potrà prevedere l’utilizzo del fondo salva Stati, strumento inutile, obsoleto e pericoloso.

Il Pd e Matteo Renzi insistono nel dire che quei miliardi servono per la sanità. Hanno proprio torto?

Oggi l’Italia non ha problemi a finanziarsi sul mercato, grazie alla Banca centrale europea. Ma poi basta citare i numeri. Per il 2020 abbiamo un miliardo di spesa corrente non utilizzata per la sanità, a cui ne vanno aggiunti altri otto stanziati da dai due governi Conte. Poi ci sono altri sei miliardi assegnati alle Regioni del Sud per ammodernare gli ospedali e acquistare macchinari, anche questi ancora fermi. E tramite il Recovery fund arriveranno altri 20 miliardi. Parliamo di circa 35 miliardi già a disposizione, che vanno a spesi.

Quindi il Mes non serve?

No, e sfido Renzi e i suoi economisti da salotto a dimostrare il contrario. Piuttosto, bisogna cambiare le norme affinché le Regioni utilizzino in fretta e con intelligenza. Bisogna accelerare i tempi, sul modello di quanto fatto per il ponte di Genova.

Lei cita Renzi, ma anche i dem insistono sul Mes.

Certo, perché come faceva la Lega provano a picchiare sui temi divisivi per mandare il M5S in ebollizione. E noi dovremmo rilanciare sui loro controsensi.

Per esempio?

Non è il momento di creare nuovi conflitti.

Torniamo a Renzi. Vuole far cadere il governo, o punta a un rimpasto?

Forse lui vede Conte come un ostacolo ai suoi progetti politici. Ma il Pd e il M5S devono essere una garanzia per il premier, nell’interesse del Paese. Non vorrei che certi mondi affaristici volessero mettere le mani sui soldi del Recovery fund.

I problemi principali per Conte però vengono da voi 5Stelle. Come farete ad evitare che i vostri parlamentari lo facciano affondare votando contro?

È in corso un lavoro di confronto, che andava avviato prima. Il punto è che bisogna rafforzare il governo nell’azione per ottenere il Recovery fund, che rappresenta una vittoria per il M5S.

Barbara Lezzi e altri sostengono che è in gioco l’identità del M5S, e che sulla linea bisognerebbe consultare gli iscritti sulla piattaforma Rousseau.

La linea è già chiara ed è nel programma: noi siamo contrari al Mes.

Con il Pd avevate approvato una risoluzione secondo cui la riforma del fondo era accettabile solo se abbinata ad altre riforme. I dissidenti che invocano la logica di pacchetto hanno ragione, no?

Nell’assemblea di venerdì del M5S ho ascoltato con attenzione l’intervento sul punto del ministro degli Esteri Di Maio e lo condivido. Bisogna lasciare il tempo di trovare una soluzione a chi ci sta lavorando.

In Senato pare impossibile recuperare alcuni dissidenti. Vi salverà Forza Italia?

Dobbiamo evitare un Nazareno bis, che abbiamo sempre combattuto. Il M5S deve essere una forza stabilizzatrice. Piuttosto dispiace avere un’opposizione così irresponsabile come quella di Salvini e Meloni.

Alcuni 5Stelle vogliono far cadere Conte, lo dica…

Penso che nessuno abbia questo obiettivo. Ma non si può mettere la polvere sotto il tappeto. Il M5S deve rilanciarsi su temi che ci uniscono, come il superbonus. E in fretta.

Renzi vuole usare contro Conte i ribelli M5S (che tirano diritto)

Il reggente dei 5Stelle mescola l’ottimismo d’ufficio con un monito: “Sono convinto che mercoledì non ci saranno problemi di voto. Se qualcuno dovesse decidere diversamente si assumerà la responsabilità di votare contro la risoluzione di maggioranza, e contro una decisione presa dal gruppo parlamentare”.

Intervistato a Mezz’ora in più, Vito Crimi prova a cavarsela così. Ma sa bene che sul Mes la maggioranza balla pericolosamente. Perché a palazzo Madama, il possibile epicentro del sisma, tra i sei e gli otto senatori del M5S, forse di più, sono decisi a votare contro la risoluzione sulle comunicazioni all’Aula del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: testo che dovrà per forza citare la riforma del fondo salva Stati. E l’attivissimo Matteo Renzi, che è già a tornato a puntare il premier (“Se la riforma non passasse dovrebbe dimettersi”), è pronto ad approfittarne. E forse non serviranno a nulla le acrobazie dialettiche in quella mozione su cui ieri i capigruppo delle commissioni hanno lavorato tutto il giorno, assieme al capo di gabinetto di Conte, Alessandro Goracci. Per deporre le armi i dissidenti del M5S pretendono un no chiaro all’utilizzo del Mes. Inaccettabile per i dem, e figurarsi per Italia Viva. Possibile invece una via di mezzo, consigliata da Conte: ossia scrivere che prima di adoperare i soldi del fondo bisognerà comunque sempre consultare il Parlamento, come ripete spesso il premier. Si lavora poi a un riferimento alla logica di pacchetto, invocata dai “ribelli”. Ossia all’obbligo di abbinare alla riforma del Mes l’Unione bancaria europea e il Bicc, strumento per gli investimenti. “Ma voteremo comunque no” hanno fatto sapere molti ribelli. Così, ecco la senatrice Barbara Lezzi: “Basta con la sciocchezza che votiamo il Mes ma non lo attiviamo, non impicchiamo l’identità all’albero della complessità”.

Piuttosto, Lezzi invoca un voto sulla piattaforma web Rousseau, proprio come il suo collega ligure Mattia Crucioli. Lezzi e Crucioli vengono calcolati come sicuri voti contrari. Come le senatrici venete Orietta Vanin e Barbara Guidolin. Pare difficilissimo anche recuperare Elio Lannutti e il presidente dell’Antimafia Nicola Morra. Ma almeno altri 3-4 senatori sono in bilico (mentre alla Camera contano di convincere gran parte dei dissidenti a disertare il voto). Ergo, a palazzo Madama potrebbe servire l’aiuto di Forza Italia, con assenze mirate.

Anche perché la minaccia di sanzioni per chi voterà no è un’arma spuntata. “Il programma del M5S prevede lo smantellamento del Mes e mercoledì non ci sarà un voto di fiducia, gli estremi per espulsioni non ci sono” spiega una fonte. E allora? “Magari il 9 ci salviamo – dicono dai 5Stelle – ma siamo messi male. Vedrete domani (oggi, ndr) in Consiglio dei ministri il caos che farà Iv”. Già, perché oggi il Cdm dovrebbe approvare la struttura per gestire i soldi del Recovery fund e le risorse sulle sei macroaree. E i renziani avvisano: “Non voteremo al buio”. Perché fiutano il sangue.

 

Superata la soglia dei 60 mila morti. Shopping e risse: violazioni ovunque

Risale la percentuale dei positivi nel nostro Paese, +11,54%: ieri erano 18.887 nuovi casi di Covid-19 su 163.550 tamponi (+0,8%) e 564 morti, 100 meno di sabato. Scendono i ricoverati in terapia intensiva, 63 meno del giorno prima, per un totale di contagi pari a 1.728.878. Ma all’Italia spetta un triste primato: superata la soglia delle 60 mila vittime per coronavirus, 60.078, siamo il Paese europeo con il più alto tasso di mortalità (3,47%), in media 7-800 decessi al giorno: un morto ogni mille abitanti. Peggio di noi fa solo la Gran Bretagna che già una settimana fa ha superato la soglia dei 60 mila morti con una letalità del 3,55%.

La nota positiva è arrivata da Domenico Arcuri. Secondo il commissario straordinario, ospite del programma di Lucia Annunziata “Mezz’ora in più”, l’uscita dalla pandemia con il vaccino è a portata di mano: “Se il piano sarà rispettato, pensiamo di poter vaccinare entro settembre fino a 60 milioni di italiani”, ha assicurato Arcuri, aggiungendo che “nell’ipotesi che gli istituti di certificazione europei e italiani forniranno le autorizzazioni alla messa in commercio, sarà possibile che in Italia, da gennaio 2021 a marzo 2022 arrivino 202 milioni di dosi”, rimarcando che ogni cittadino dovrà fare almeno due richiami a distanza di poche settimane. Arcuri ha stabilito anche date e paletti del piano per cui all’hub di Pratica di Mare si sta lavorando: la campagna partirà con una prima fase a fine gennaio, per diventare “di massa” a primavera. Ai punti di somministrazione saranno 1.500 – i primi 300 sono presidi ospedalieri – si aggiungeranno le unità mobili. A somministrare le dosi al personale già esistente si uniranno atri 20 mila operatori selezioni con gara pubblica. I vaccini “efficaci ed efficienti” perché – Arcuri assicura essere stati “revisionati man mano nelle diverse fasi dei test, sebbene Ema abbia introdotto un sistema di accelerazione” – saranno “gratuiti, ma non obbligatori e andranno in coda “coloro che hanno già avuto il Covid”. Quanto ai migranti, la risposta del commissario in tv è stata: “Hanno diritti uguali a quelli dei cittadini italiani”. Intanto, continuano a essere migliaia le segnalazioni violazioni delle misure di sicurezza in tutta Italia. Nella capitale gli agenti sono intervenuti nella zona di Piazza Navona per una festa tra 14 ragazzi e un’altra in via Tuscolana, mentre decine di assembramenti sono stati segnalati davanti ai bar e attività commerciali che somministravano cibi e bevande oltre l’orario consentito. Una maxi rissa è avvenuta sulla terrazza del Pincio, con centinaia di ragazzi accalcati e senza mascherine. Il sospetto è che la rissa non sia stata casuale, ma che i protagonisti possano essersi dati appuntamento sui social forse per un “regolamento di conti”. Sempre a Roma, circa tremila persone si sono incontrate nella zona del quartiere Eur per lo shopping natalizio. A Torino, per la seconda domenica in zona arancione della regione Piemonte, le vie degli acquisti sono state prese d’assalto provocando assembramenti, mentre gruppi di ragazzi senza mascherina si radunavano in piazza Castello. Video di assembramenti riempiono i social: come la ressa nel centro di Riccione per l’accensione delle luminarie. Il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese ha sottolineato come, nonostante i 6 milioni di controlli negli ultimi tre mesi, il problema sia “la nostra responsabilità personale”.

Disastro Abruzzo: Marsilio si abolisce la “zona rossa”

Essere rimasta l’unica regione rossa d’Italia era diventato insopportabile per il Presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio di Fratelli d’Italia. E così, contro il parere del Ministero della Salute, ieri sera con un tratto di penna ha cancellato la zona rossa passando già da domani a quella arancione. L’obiettivo del governatore di centrodestra era chiaro e lo andava dicendo da giorni: anticipare tutto per “riaprire i negozi per l’Immacolata”. Una forzatura che adesso rischia di aprire uno scontro istituzionale tra l’Abruzzo e il governo pronto a “mettere in mora” la giunta regionale. Fonti del ministero della Salute spiegano al Fatto che la decisione è stata assunta in autonomia dal governatore Marsilio, e per gli uffici di Lungotevere Ripa il termine sarebbe scaduto mercoledì, dopo i 21 giorni previsti di chiusura. La cabina di regia del Ministero aveva riconosciuto l’anticipazione della zona rossa dal 18 novembre presa autonomamente da Marsilio ma, spiegano fonti di governo, “non c’è avallo su questa ulteriore anticipazione, l’Abruzzo deve aspettare mercoledì”. La conferma arriva dal ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia al “Live-non è la D’Urso”: “L’Abruzzo era stata dichiarato con 2 giorni d’anticipo zona rossa, che poi fu decretata di venerdì. C’è la disponibilità del governo a riconoscere la fine della zona rossa nelle tre settimane necessarie e obbligatorie”, chiarisce Boccia avvisando che “se l’Abruzzo decide autonomamente di andare in zona arancione da domani mattina sarà diffidato perché diventa inevitabile tutelare sul piano sanitario tutti gli abruzzesi e tutti gli italiani”.

Infatti i tecnici venerdì non avevano ancora ritenuto che la Regione di Marsilio potesse passare ad arancione come Campania, Toscana, Valle d’Aosta e Bolzano, ma il governatore aveva dimostrato una certa insofferenza all’applicazione “fredda e burocratica” delle regole che impongono casi in miglioramento per 15 giorni consecutivi. Così ieri il Presidente della Regione ha deciso per la fuga in avanti: dopo aver “informato” il ministro della Salute Roberto Speranza – si legge nella nota ufficiale della Regione – Marsilio ha “ritenuto di doversi assumere la responsabilità di evitare che un’applicazione letterale delle norme vigenti provocasse all’Abruzzo un trattamento sproporzionato e dannoso”.

Una decisione poco attinente alla situazione sanitaria regionale e molto a quella economica. Infatti se ieri l’Abruzzo ha toccato il numero più basso di nuovi contagi dall’inizio della seconda ondata (386), è ancora impressionante il dato sui posti letto occupati: 73 in terapia intensiva pari al 40,3% (la soglia critica è del 30%) e 698 dei posti covid su 1.454 (48%). “Quella di Marsilio è una scelta dettata dalla approssimazione” attacca il consigliere regionale del M5S, Domenico Pettinari. Ma quello della saturazione degli ospedali non è l’unico dato preoccupante della gestione della pandemia della giunta regionale che dal 18 novembre scorso ha portato l’Abruzzo a diventare zona rossa. Oltre alle dichiarazioni controverse del governatore – il 30 ottobre parlava di situazione “molto migliore di altre regioni”, il giorno dopo di “situazione molto critica” e “ospedali saturi” – a pesare sulla situazione abruzzese è stata l’estate da “liberi tutti”: basti pensare al piccolo caso di Isola Gran Sasso, comune montano di 4 mila anime nel teramano, dove a far scoppiare un focolaio fino a 200 contagiati potrebbe essere stata la festa elettorale del 3 ottobre con tanto di porchetta e birra a fiumi per festeggiare la vittoria del neo-eletto sindaco Andrea Ianni (che ha sempre smentito). Qualcuno l’ha ribattezzata la nuova Vo’ d’Abruzzo.

Ma a pesare sulla gestione regionale della pandemia è stato soprattutto il tracciamento saltato e la gestione degli ospedali. Secondo i monitoraggi dell’Iss l’Rt dell’Abruzzo è stato tra i più alti d’Italia per tutto novembre (era 1,32 tra il 9 e il 15, oggi è sceso a 0,85) ma uno degli alert del Ministero è stato quello del contact tracing: alla vigilia della zona rossa la Regione aveva 0,5 tracciatori ogni 10.000 abitanti (la soglia dovrebbe essere 1) e una capacità di tracciamento all’80%, oggi migliorata al 87% (ma dovrebbe essere al 100%). Poi ci sono gli ospedali saturi. La giunta ha deciso di investire 11 milioni di euro per un nuovo ospedale covid a Pescara ma senza pensare al personale necessario: ad oggi per i 200 pazienti nei nuovi posti letto (di cui 30 di terapia intensiva) c’è un infermiere ogni 4 pazienti (dovrebbero essere uno ogni 2) e un medico ogni 8 pazienti (dovrebbero essere uno ogni 4). Per non parlare degli ospedali de L’Aquila, Sulmona e Avezzano dove, come ha documentato Le Iene, il personale è stato costretto a indossare buste come scarpe e i pazienti a usare secchi al posto dei wc, oltre alla promiscuità tra positivi e pazienti non covid. Tutto questo nonostante l’8 maggio, con una lettera ufficiale inviata alla giunta, il direttore generale della Asl de L’Aquila Roberto Testa, avesse messo nero su bianco le necessità e le spese da sostenere per potenziare gli ospedali evitando una crisi durante la seconda ondata. Ma niente è stato fatto. “La gestione di Marsilio – denuncia il consigliere del M5S Giorgio Fedele – è stata basata solo sulla propaganda lasciando a se stessa l’area interna dell’Abruzzo. In autunno è arrivato il ciclone”.

“Abusi, eletto Fd’I disse di non parlarne”

Il pastore Massimo Ripepi, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Reggio Calabria e guida spirituale della comunità religiosa della Chiesa cristiana “Pace”, avrebbe dissuaso due genitori dal denunciare le violenze sessuali subite dalla figlia minorenne. È quanto emerge da un decreto del Tribunale dei minori che ha revocato la responsabilità genitoriale ai due coniugi, affidando la bambina ai servizi sociali. Lo stesso decreto è stato trasmesso alla Procura di Reggio Calabria che è stata informata della vicenda, iniziata mesi fa quando la madre è stata ricoverata in ospedale.

Non potendo la figlia essere accudita dal padre, i due genitori si erano rivolti “in cerca di aiuto al pastore Massimo Ripepi”. L’esponente di Fratelli d’Italia, non indagato, stando a quanto si legge nel decreto avrebbe invitato i due genitori ad affidare la piccola alla “nonna e ciò malgrado tutti fossero a conoscenza del fatto che quest’ultima vivesse con il figlio, in passato condannato per violenza sessuale su minori”.

Così è andata. Ma una volta tornata a casa, la bambina ha raccontato alla madre i “particolari raccapriccianti degli abusi” subiti e lo zio, a giugno, è stato arrestato. Poco prima i due genitori erano tornati dal pastore Ripepi, “venendo però dissuasi dal denunciare”. La madre della piccola, infatti, “veniva messa in guardia dal Ripepi dal rischio di provocare, con una denuncia, il suicidio del fratello (lo zio, ndr), del cui sangue sarebbe stata ‘responsabile davanti a Dio’”. La bambina, allora, si è confidata con i coetanei e ciò ha suscitato quelle che i giudici definiscono “le ire del Ripepi” nei confronti della donna “rimproverata di essere una ‘madre di merda’ perché incapace di far stare zitta la figlia”. “È una vicenda che suscita orrore e sgomento” per i consiglieri di centrosinistra che hanno chiesto a Fratelli d’Italia una “presa di posizione” e allo stesso Ripepi “le dimissioni immediate per indegnità dal consiglio comunale”.

Mentre si è autosospeso dal partito “dopo un colloquio con i vertici di Fratelli d’Italia”, Ripepi non fa passi indietro al Comune dove guida la commissione Vigilanza. Per il pastore, la madre della bambina, “in preda alla disperazione, ha fatto di tutto per cercare un capro espiatorio su cui scaricare sue esclusive responsabilità”. “La madre – dice – si è messa alla ricerca di persone che potessero aiutarla a riavere l’affidamento della figlia, sostenendo che fossi stato io a sconsigliarla di rivolgersi all’autorità giudiziaria”. Secondo la sua versione, Ripepi le aveva detto “di decidere lei liberamente cosa fare. Di questo ho già da tempo informato il pubblico ministero procedente”.

I guai di Fratelli d’Italia non finiscono qui. “Non posso conoscere tutti i candidati. Faccio un appello: inquirenti, fateci sapere”, dice Giorgia Meloni in un’intervista che andrà oggi in onda su Report. La trasmissione di Rai3 ha approfondito la situazione di Latina, fondata da Benito Mussolini e roccaforte del partito. L’uomo chiave è Pasquale Maietta, commercialista, già presidente del Latina Calcio, ex tesoriere del gruppo FdI alla Camera, ora autosospeso. Considerato vicino ad ambienti della criminalità locale di origine sinti, è accusato di aver messo in piedi una rete di evasione e riciclaggio da oltre 200 milioni di euro. La “rete” del riciclaggio arrivava fino in Svizzera e, per la Procura di Latina, sarebbe stata gestita da Max Spiess, figlio dell’avvocato di Licio Gelli.

Open, c’è una nuova accusa: ora si indaga per corruzione

Non soltanto finanziamento illecito. Nell’inchiesta fiorentina sulla fondazione Open s’indaga anche per corruzione. In sostanza qualcuno, finanziando la fondazione, avrebbe corrotto persone legate a Renzi e alla sua fondazione. A quale scopo? Con quale obiettivo? L’obiettivo stato raggiunto? E in che modo? È a queste domande – accanto ai nomi di presunti corrotti e corruttori per ora coperti dal segreto istruttorio – che la procura di Firenze dovrà rispondere. A dare notizia della nuova ipotesi di reato è proprio l’ufficio guidato da Giuseppe Creazzo, motivando il rigetto della richiesta, avanzata da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, di trasferire il fascicolo.

I legali dell’ex premier – Giandomenico Caiazza e Federico Bagattini per l’ex premier e Paola Severino per l’ex ministra – sostengono infatti che la competenza non sarebbe quella del capoluogo toscano: l’inchiesta dovrebbe essere trasferita a Roma perché, proprio nella capitale, è avvenuto il primo versamento contestato nell’accusa di presunto finanziamento illecito. In subordine, le altre eventuali procure competenti sarebbero quelle di Pistoia (dove è stata costituita la Open) o Velletri dove sarebbe avvenuto un altro versamento. La procura fiorentina ha contestato questa tesi – è probabile che i legali di Renzi ricorrano al procuratore generale della Cassazione – con un documento di 2 pagine nel quale si aggiunge che, comunque, l’inchiesta deve restare nelle loro mani anche per un altro motivo: s’indaga per un reato più grave, la corruzione appunto, che però non viene contestata né a Renzi né a Boschi.

La precisazione della procura getta così una nuova luce sull’inchiesta che riguarda la fondazione Open, la cosiddetta “cassaforte” renziana, che dall’accusa viene considerata una “articolazione” di partito. Nell’indagine risultano iscritti per finanziamento illecito anche l’ex ministro Luca Lotti, Marco Carrai e l’ex presidente di Open, l’avvocato Alberto Bianchi, che hanno fatto parte del cda della fondazione. I nomi degli indagati per corruzione sono al momento coperti dal segreto istruttorio e non è escluso che si tratti di una ipotesi di reato valutata dalla procura di Firenze nelle ultime settimane. Basti riflettere sul fatto che proprio Bianchi e Carrai hanno ricevuto un avviso di garanzia che non contemplava il reato di corruzione soltanto il 2 novembre scorso e, per quanto risulta al Fatto, Lotti non avrebbe ricevuto in questi giorni ulteriori comunicazioni di reato. Va anche ricordato che a ottobre la Corte di Cassazione – motivando l’annullamento (con rinvio) del provvedimento del Riesame, che aveva respinto il ricorso presentato da Carrai, sul sequestro disposto dalla procura – ha utilizzato parole molto severe sul concetto cardine dell’inchiesta condotta dai pm Luca Turco e Antonino Nastasi, ovvero l’assimilazione della fondazione con una “articolazione di partito”.

Il Riesame, secondo la Cassazione, “aveva ritenuto che la Fondazione Open costituisse articolazione di partito” fondandosi su un presupposto: “Aveva contribuito ad alcune spese riguardanti iniziative riferibili a un partito e aveva corrisposto somme di denaro in favore di un partito o di suoi parlamentari”. Per la suprema corte, però, il presupposto è insufficiente: “È necessario non solo dar conto di erogazioni o contribuzioni in favore del partito rivenienti dall’ente formalmente esterno al partito, ma anche del fatto che la reale funzione di esso, al di là di quanto in apparenza desumibile dalla cornice statutaria, possa dirsi corrispondente a quella di uno strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti, in assenza di una sua effettiva diversa operatività”. Nella dialettica tra accusa e difesa, insomma, a ottobre la Cassazione aveva assegnato un punto a quest’ultima. Ma lo scenario, come dimostra la comunicazione inviata dalla procura ai legali di Renzi e Boschi, anche se la nuova accusa non riguarda loro, ora è mutato: s’indaga anche per corruzione, reato più grave del finanziamento illecito. Che radica ulteriormente la competenza a Firenze e presuppone un nuovo assunto: i finanziamenti passati per Open avrebbero avuto uno scopo illecito.