Dai racconti apocrifi di Maurice Dekobra. Per salvarlo da Yvonne, una entraineuse dalla bellezza esasperante che lo stava mandando al manicomio con i suoi tradimenti, ma che lui non riusciva a smettere di amare, tre suoi amici decisero di condurre Jules Maggi, giovane professore di lettere, in un convento di frati liquoristi, dove, passeggiando sotto i portici del chiostro, avrebbe potuto snebbiarsi la mente fino a ritrovare la serenità perduta. Jules protestò con sdegno istrionico, ma poi si convinse al romitaggio.
La prima notte di monastero, qualcuno lo svegliò bussando alla porta della sua cella: “Fratello! È passata un’altra ora della tua vita! Ricordati che devi morire”. Jules non ne fu divertito, e mugolò qualcosa di estremo nel cuscino. La mattina seguente, il padre guardiano lo affidò al frate pittore. Stava affrescando, su un muro della sua cella, San Francesco che fugge dalle tentazioni del diavolo gettandosi nella neve alta. Bussarono alla porta, e la solita voce lanciò l’ammonimento. “Morire bisogna”, rispose il padre guardiano. “Morire bisogna”, rispose il frate pittore. “Morire bisogna”, rispose anche Jules. Il frate pittore era un bell’uomo, robusto, gagliardo: a Jules ricordava quel personaggio misterioso che, nei melodrammi, d’un tratto getta indietro il cappuccio e si rivela essere l’eroe guerriero sotto mentite spoglie. Gli era stato dato il compito di convertire Jules invitandolo a meditare sulla vanità del mondo, e facevano lunghe chiacchierate, mentre dipingeva la fronte tormentata del Santo al cospetto delle donne lussuriose della tentazione satanica.
Una notte, il frate pittore confidò a Jules di essere stato rovinato da una entraineuse. “Era bella di una bellezza impudica. Mi sono fatto frate per isolarmi dal secolo”. Bussarono alla porta. “Fratello! È passata un’altra ora della tua vita! Ricordati che devi morire”. “Morire bisogna”, rispose il frate pittore. “Morire bisogna. Ti tradiva?”. “Sì, e non gliene importava nulla”. “Si chiamava Yvonne?”. “No. Chantal”. Ogni notte, Jules veniva svegliato per il Mattutino e, dovendo recarsi in cappella, a volte si soffermava a contemplare le stelle palpitanti. Gli ricordavano Parigi, e in quei momenti sentiva il peso della clausura. Parlandogli di Yvonne, e del Lapin Agile, Jules risvegliò nel frate pittore desideri sopiti. Nei loro colloqui, come miraggi, presero a scintillare Montecarlo, Nizza, Biarritz. Sognarono le sale abbaglianti dei casinò. Rammentarono la nebbia di Montmartre, addolcita dai profumi delle belle donne. “Domani me ne vado”, gli disse Jules. “Vieni con me?”. Quella notte, il frate pittore non riuscì a prendere sonno. Bussarono alla porta. “Fratello! È passata un’altra ora della tua vita! Ricordati che devi morire”. “Morire bisogna”, rispose lui; ma stavolta pensò che, appunto perché si muore, conviene vivere più che si può.
Lasciato San Francesco nella neve, arrivarono a Parigi in due giorni. Il frate pittore, sbarbato, e vestito alla bohémienne, piacque alla sorella di Yvonne, una ballerina del Moulin Rouge: come poteva disprezzare quel pittore affascinante, che a letto era insaziabile come un ergastolano appena evaso? Fra le lenzuola perdevano la nozione del tempo. Una sera, Jules bussò alla porta della loro camera: “Fratello! È passata un’altra ora della tua vita! Yvonne ha fame, e anch’io”. “Mangiare bisogna”, rispose l’altro, ricordando di colpo l’invito al ristorante. E quando, dopo mezz’ora, i due s’affacciarono all’uscio, Jules guardò le occhiaie dell’amico e gli disse: “Fratello! Ricordati che morirai, se continui così”.