La mafia è sempre una montagna di merda. E mai pizza e spaghetti

Una pizzeria tedesca ha come insegna i nomi di Falcone e Borsellino. All’interno campeggia la notissima foto dei due magistrati sorridenti che parlano fra loro, affiancata da un’immagine di don Vito Corleone tratta dal film Il padrino. Sui muri alcuni fori a evocare spari. Nel menu, oltre alle pizze margherita, salame, funghi ecc., quelle “Falcone” e “Borsellino”. Un reclamo di Maria Falcone è stato respinto dalla magistratura tedesca con vari argomenti, principalmente questi: la protezione dei diritti della persona diminuisce con l’aumentare della distanza dalla morte e termina quando la memoria del defunto è svanita, di modo che l’interesse per tali diritti passa in secondo piano rispetto agli interessi contrastanti (commerciali); Falcone è stato ucciso quasi 30 anni fa; inoltre ha operato principalmente in Italia ed è noto solo a una ristretta cerchia di addetti ai lavori, procuratori e criminologi, mentre il pubblico di riferimento è la gente comune, cioè tutte le persone che visitano i ristoranti.

La motivazione è allucinante. Va bene che si parla di cibo, ma che anche i diritti della persona abbiano una… scadenza è piuttosto singolare. Ma soprattutto è fuori di ogni logica fondare una sentenza su una assurdità clamorosa: cioè la totale idiozia di qualunque pizzaiolo che per richiamare la gente usi nomi e immagini di persone sconosciute. Un pizzaiolo così (condannato al fallimento in pochissimo tempo !) non esiste al mondo, ma siccome esiste è la prova provata che quei nomi sono conosciuti anche dalla “gente comune”: e proprio per questo il pizzaiolo ne sfrutta la memoria, sia pure sfregiandola.

Ma la decisione è anche ingiusta. L’uso per scopi commerciali del brand mafia è contrario alla moralità e all’ordine pubblico. Violano i principi fondamentali della convivenza civile e democratica coloro che, per avvantaggiarsi nell’esercizio di un’attività economica, impiegano insegne o immagini che evocano organizzazioni criminali che – ovunque nel mondo – hanno disseminato terrore con atteggiamenti di intimidazione, violenza fisica e psicologica per raggiungere i propri obiettivi.

Questi elementari principi, patrimonio dell’umanità tutta e non solo dell’Italia, sono stati affermati nel 2018 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, respingendo il ricorso contro un provvedimento dell’Ufficio della proprietà intellettuale della stessa Unione, che aveva proibito l’uso dell’insegna “La mafia se sienta a la mesa” (la mafia si siede a tavola) di una catena di ristoranti spagnoli.

Sacrosanto dunque il ricorso della sorella di Falcone, ma non sarebbe male se fossero le autorità italiane a contrastare lo sconcio di un business che pur di riempirsi le tasche offende, oltre che la morale e la giustizia, anche il buon gusto. Se non altro ricordando – specie quando si tratta di alimenti, ed è il caso più frequente – che c’ è un’incompatibilità assoluta con il brand mafia: posto che la mafia non è roba per manicaretti, ma “una montagna di merda” (copyright Peppino Impastato).

Il dopo-Conte per 1.500 lettori

Era il 1959quando Enzo Forcella scrisse per Tempo presente il pezzo definitivo sul giornalismo politico italiano: “Millecinquecento lettori”. Cominciava così: “Un giornalista politico, nel nostro Paese, può contare su circa millecinquecento lettori: i ministri e i sottosegretari (tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto non conta, anche se il giornale vende 300mila copie (…) Trascurando questo elemento, ci si esclude la comprensione dell’aspetto più caratteristico del nostro giornalismo politico, forse della intera politica italiana: è l’atmosfera delle recite in famiglia”. È in questo spirito che vorremmo citare qui due articoli usciti ieri. Premessa: com’è noto il governo è in difficoltà sulla riforma del Mes e potrebbe persino incorrere in un incidente fatale (più nel 2021 che ora). Ci informa allora il CorSera attraverso il suo quirinalista Marzio Breda che il Colle trova “irritante” che qualcuno pensi di poter “fare di tutto per condizionare la vita dell’esecutivo, nella speranza di lucrarne un vantaggio. Tanto, si dice, il governo non può cadere per assenza di alternative. È vero il contrario: può cadere e, proprio per questo, saremmo costretti ad andare alle urne in piena pandemia”. In sostanza, Mattarella fa sapere a chi volesse ribellarsi sul Mes (certi grillini e, per altri versi, Berlusconi) che si andrà a votare e dovrà trovarsi un lavoro. Il “lato B” di questa minaccia ce lo spiega Stefano Folli su Repubblica: se i 5Stelle perdono pezzi, Forza Italia deve farsi trovare pronta. Come fare? Facile: servirebbe che il fu Cavaliere “fosse oggetto di una cauta pressione volta a indurre un ripensamento” sulla riforma del Mes da parte delle “cancellerie europee”. E mica “di seconda o terza mano”: “Se fosse Angela Merkel a telefonargli è plausibile che l’iniziativa otterrebbe ascolto”. Tanto poi, Silvio, il modo di fare un nuovo governo si trova: magari in “due o tre mesi”, si apre “la strada a un’alternativa più autorevole per la quale al momento non ci sono le condizioni”. Allora, avete capito tutti e 1.500? Prima di far cadere Conte vi dovete mettere d’accordo su chi arriva dopo, sennò Mattarella s’incazza e vi manda a votare.

Gli “Spaesati” e la conquista disperata del Nord terrone

Ecco un libro che, per forza, per ironia amara, richiama il Luciano Bianciardi di La vita agra, ma pure, per la viva partecipazione umana, l’Elio Vittorini di Le donne di Messina. Questo libro vibrante del 2020, di concreti furori, nostalgia e disincanto, è Gli spaesati. Cronache del nord terrone (Zolfo Editore). È l’opera prima di Enzo D’Antona, siciliano di Riesi, dalla limpida carriera giornalistica. Non è “un romanzo e neppure un saggio di antropologia”, ma, spiega l’autore, “ho voluto raccontare a modo mio attraverso la memoria… lo spopolamento e in qualche caso la desertificazione di una parte di Sicilia ormai irrimediabilmente condannata al sottosviluppo e all’abbandono”. Qui vengono narrate le storie vere di alcuni ragazzi cresciuti nello stesso paese dell’entroterra nisseno, che partono per il Nord per cercare lavoro. Giovani quasi tutti diplomati e laureati, tra il 1969 e i primi anni 90, emigrati a Milano, Torino e Genova, come fecero i loro genitori o zii contadini e operai all’epoca dei treni del sole. E come loro vivono una condizione di spaesamento, da sradicati e da “terroni”. Come certi personaggi di Bianciardi nella Milano degli anni 60, che abitano nelle camere ammobiliate della vedova “signora De Sio”, parente stretta della “vedova Persia” che ospita uno degli “spaesati” nisseni. Gli emigrati di D’Antona si muovono nell’Italia delle stragi di Stato, del terrorismo, della mafia. Cercano l’integrazione, che comporterà la perdita della loro identità culturale. I fondali sono le periferie di Torino e di Milano, i paesi divenuti città per immigrati. Oggi i nuovi “terroni” arrivano da altri Sud del mondo. Qualcuno del Sud nostrano, intanto, è diventato leghista. Vale per tutti, ieri e ora, un “genocidio culturale senza fine”.

Sul vaccino la fretta fa male

Il 27 novembre si è tenuta la plenaria del Comitato di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri sul tema Coronavirus, che ha pubblicato il documento I vaccini e Covid-19: aspetti etici per la ricerca, il costo e la distribuzione.

Alcune affermazioni sono davvero coraggiose. Innanzitutto sulla necessità di usare vaccini sufficientemente sperimentati. “Il Cnb sottolinea come l’emergenza pandemica non debba portare a ridurre i tempi della sperimentazione per garantire la qualità e la protezione dei partecipanti”. Ha senso pensare che, in poche settimane, le aziende produttrici saranno in grado di concludere le sperimentazioni e che gli enti certificatori potranno esaminare adeguatamente i loro dossier?

Il documento fa anche riferimento a due importanti elementi: il costo e la presunta obbligatorietà. Il costo è molto diverso anche tra vaccini simili. Si va da 19,5 a 2 dollari a dose (se ne necessitano due). Il primo, che sarà disponibile in Italia, sarà il vaccino Pfizer. Sappiamo che non avrà attività preventiva nei confronti dell’infezione (quindi il virus circolerà) ma, come dichiara l’azienda, avrà efficacia almeno al 95% nella prevenzione dello sviluppo di sintomi da Covid-19. Tradotto, chi si vaccinerà, potrà infettarsi e ammalarsi, ma con sintomi lievi. Cioè? A oggi, senza vaccinazione, il 95% della popolazione infetta non si ammala o ha sintomi lievi. È lecita la richiesta di ulteriori delucidazioni.

Dovrà essere mantenuto a –70 gradi e costerà 19,50 dollari a dose (39 dollari a vaccinazione). Anche la questione dell’obbligo è spinosa. Il Comitato dice che “debbano essere fatti tutti gli sforzi per raggiungere e mantenere una copertura vaccinale ottimale, non escludendo l’obbligatorietà in casi di emergenza”. Da un punto di vista della coerenza, l’obbligatorietà potrebbe essere accettabile. Il problema è un altro: avendo delegato l’informazione a comunicati stampa, non essendo mai stato pubblicato alcun dato scientifico esaustivo, la popolazione è sfiduciata, molti di noi esperti perplessi. Credo si stia perdendo, ancora una volta, l’occasione di creare responsabilità sociale e consapevolezza, lasciando che la fretta possa giocare cattivi scherzi.

 

Corsa al Quirinale: il sogno proibito dell’ex Cavaliere

“Chi sa di essere predestinato a compiere sempre lo stesso errore deve camminare con passo sicuro”.

(da Il silenzio alla fine di Pietro Leveratto – Sellerio, 2020 – pag. 121)

 

Più che il voltafaccia di Silvio Berlusconi sulla riforma del Mes – il controverso meccanismo europeo di stabilità – sorprende e colpisce la sua faccia tosta. E ancor più quella di chi gli ha promesso in cambio l’appoggio per assurgere alla presidenza della Repubblica. Un quarto di secolo dopo la fatidica “discesa in campo”, l’ex Cavaliere avrebbe 87 anni quando si eleggerà il prossimo capo dello Stato, ma nonostante il peso dell’età e lo status di “pregiudicato” ha ancora la sfacciataggine di aspirare a salire sul colle più alto di Roma.

Peggio di lui, però, si comportano i suoi congiunti politici, la premiata ditta Salvini & Meloni, che lo lusingano e lo blandiscono come fanno gli eredi infedeli nella circonvenzione di incapace, reato punito anch’esso dal codice penale. Qui si arriva alla crudeltà mentale.

“Ostaggi di Salvini no, grazie”, dice giustamente al Foglio l’esimio professor Brunetta, responsabile economico di Forza Italia, dando voce alla ribellione che serpeggia nelle file dei suoi colleghi parlamentari. E profetizza uno scenario apocalittico nel caso in cui l’Italia non approvasse la riforma del fondo salva-Stati: aumento dello spread, credit crunch bancario, tassi più alti sui mutui per famiglie e imprese.

Sarà pur vero – come sostiene l’impavido Brunetta – che “il Cav. non è mai stato quello del tanto peggio, tanto meglio”. Ma è certo che fin dall’inizio della propria esperienza politica Sua Emittenza ha sempre seguito una stella polare: i suoi interessi personali e aziendali in conflitto con quello generale; i suoi affari e le sue traversie giudiziarie. A colpi di “leggi ad personam”, impedimenti più o meno legittimi, lodi e bavagli. Ora, appena incassato l’emendamento salva-Mediaset, non ha fatto in tempo a esibire un atteggiamento più responsabile nei confronti del governo (e soprattutto del Paese) che già s’è ricreduto per inseguire un sogno proibito che sarebbe un incubo per gran parte degli italiani. È una “coazione a ripetere” gli stessi comportamenti, di cui la sinistra farebbe bene a prendere atto una volta per tutte.

Fatto sta che al momento Berlusconi, europarlamentare dal 2019, risulta eleggibile ai sensi della legge Severino. Finora l’unica condanna passata in giudicato è quella del 2013 nel processo Mediaset per frode fiscale (quattro anni di carcere, di cui tre condonati per l’indulto) per la quale ha scontato la pena ed è stato riabilitato nel 2018. Oggi – come il Fatto ha ricordato nei giorni scorsi – è ancora imputato in cinque processi, tra cui il “Ruby ter” a Milano (corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza) e quello sulle escort a Bari (induzione a rendere false dichiarazioni all’autorità giudiziaria), ma fino a sentenza definitiva queste “pendenze” non farebbero venir meno il godimento dei diritti politici e civili a norma dell’articolo 84 della Costituzione.

Tutto ciò non toglie, comunque, che un’eventuale elezione dell’ex Cavaliere alla presidenza della Repubblica risulterebbe impresentabile e inaccettabile per la maggior parte dell’opinione pubblica italiana e internazionale. Altro che contraccolpi finanziari del Mes! Già solo la sua candidatura rischia di essere una mazzata per l’immagine e la credibilità del nostro Paese. In attesa di affrancarci definitivamente dalla dittatura del Coronavirus, non abbiamo alcun bisogno di ripristinare quella mediatica di cui purtroppo paghiamo ancora le conseguenze.

 

Dai tg a Trump: tutti parlano di “ricorso”. È un’ossessione

Ci sono parole o situazioni che si ripetono talmente durante le nostre giornate da restare impresse nella nostra memoria subliminale divisa dal nostro inconscio da una sottilissima linea di confine. Responsabile di ciò è l’attualità che ci viene quotidianamente riferita (spesso direi ad libitum, secondo l’accezione usata negli spartiti musicali), dai notiziari televisivi e ribadita dalla carta stampata. Così l’altra mattina non mi sono meravigliato se una volta sveglio continuava a ronzarmi in testa la parola “ricorso”. Né ho avuto necessità di andare a consultare L’interpretazione dei sogni per darmene una spiegazione. Abbastanza logico invece considerare ciò che aveva da poco diviso l’Italia in tre zone di diverso colore e i conseguenti malumori di questo o di quello da cui il ricorrere appunto, secondo ragioni più o meno accettabili, per ottenere una diversa connotazione cromatica. Dell’altro nel frattempo s’era aggiunto. Dall’altro capo del mondo infatti era iniziato il tormentone dell’uscente presidente degli Stati Uniti, peraltro, benché uscente, ben deciso a non mollare la poltrona e quindi anche lui impegnato a ricorrere da qualche parte pur di non ammettere la sconfitta. E qui mi fermo poiché, lo ammetto senza vergogna, mai ho capito come funziona il sistema elettorale americano e credo che nemmeno se me lo spiegassero riuscirei a comprenderlo. Tutto ciò era solo per dire che quella parola si era incistata nel corrente vocabolario della giornata e non posso escludere di averla usata a sproposito chiacchierando in famiglia o di averla sentita ripetuta e ripetuta anche nel corso di qualche pubblicità che interrompeva questo o quel telegiornale. Al punto che, temendo diventasse un’ossessione, ho deciso di agire per liberarmene. L’unica era uscire di casa con un’ottima ragione che mi giustificasse e l’ho trovata nel chiedere a mia moglie di concedermi il diritto di provvedere alla spesa quotidiana. Per anticipare obiezioni e anche evitare di far sorgere dubbi sulla tenuta del mio impianto psichico ho sventolato la bandiera della parità di diritti e doveri nel matrimonio: insomma, una volta tanto potevo assumermi io l’incarico di provvedere agli acquisti e nel contempo godere di quell’oretta all’aria aperta che mi avrebbe liberato, così speravo, dall’ossessione del “ricorso”. Mia moglie me l’ha concesso a patto di dotarmi di una lista sulla quale era annotato tutto ciò che serviva. Soddisfatto sono quindi sceso verso la piazza del paese e già lo stare solo in macchina, lontano dalle voci dei tigì, mi sembrava che già stesse agendo in senso terapeutico. Ho parcheggiato quindi e sono sceso pronto ad affrontare con un sorriso le inevitabili facezie di chi, conoscendomi, mi vedeva nel ruolo di massaia. Ma non ho fatto in tempo a fare due passi che quella parola, ricorso, mi ha colpito alle spalle, uscita da un gruppetto di tre, quattro uomini che con tanto di mascherina e stando distanziati stavano chiacchierando. Pure loro ossessionati dai ricorsi, ho pensato, curioso di capire di quale o quali stessero discettando. E d’un subito la verità mi si è svelata. Ma come avevo fatto a non pensarci? Era o no lunedì? S’era giocato o no, pur se a spizzichi e bocconi, il campionato di calcio? C’erano o no pareggi, rigori e cartellini da mettere in discussione? E c’era, o no?, quella classifica che se il Napoli dovesse vincere il RICORSO per la partita non disputata con la Juve adesso lo vedrebbe in testa? Lo ammetto, mi piace il calcio e pure ascoltare chi ne discute in piazza. Così come ho fatto appunto l’altra mattina ascoltando i pareri discordanti di quei quattro mentre il tempo passava e i negozi chiudevano. Sono tornato a casa a mani vuote e per giustificarmi non ho fatto ricorso, eccolo ancora!, a scuse di alcun tipo. Dubito che mia moglie mi concederà ancora il permesso di uscire per fare spese.

 

Ciampi, presidente capace di educare gli italiani

Carlo Azeglio Ciampi (9 dicembre 1920- 16 settembre 2016) è stato un presidente profondamente repubblicano. Ha amato i valori, i simboli, le memorie della Repubblica e si è adoperato per tutto il suo mandato affinché gli Italiani li scoprissero e li amassero.

Repubblicana era la sua religiosità laica. Prima di Ciampi tutti i presidenti avevano invocato Dio nei loro discorsi d’insediamento. Uniche eccezioni, Luigi Einaudi, che esortò tuttavia a guardare al cielo: “Volto lo sguardo verso l’alto, intraprendiamo umilmente il duro cammino” (12 maggio 1948), e Giuseppe Saragat, che non si rivolse a Dio, ma invocò la Provvidenza (29 dicembre 1964). Solo Sandro Pertini non si appellò a Dio o al cielo o alla Provvidenza. Ricordò “i patrioti” con i quali aveva “condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza”; citò quali suoi maestri Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo Rosselli, don Giovanni Minzoni e Antonio Gramsci” (9 luglio 1978). Ciampi invocò Dio: “Con l’aiuto di Dio, con la fiducia degli Italiani, sarò fedele al mio giuramento. Sarò fedele ai valori di libertà, di giustizia, di democrazia che sono il fondamento della Costituzione repubblicana” (18 maggio 1999). Il suo Dio era il Dio che vive nella coscienza e comanda di seguire la legge morale. Repubblicana, e azionista (l’unico partito al quale Ciampi si iscrisse fu il Partito d’Azione), era la sua visione dell’amor di patria. Fin dall’inizio del suo mandato scelse di usare nei suoi discorsi la parola ‘patria’ al posto del più neutro, e più incolore, ‘Paese’, consapevole di avviare un cambiamento significativo del linguaggio politico. In un discorso che tenne a Napoli il 10 settembre 1999, affermò: “Sento che ormai ci si trova subito uniti nel pronunciare, senza nessuna remora psicologica, la parola ‘Patria’. Questo, credetemi, lo sento un fatto nuovo, dopo un periodo durante il quale si preferiva ricorrere a riferimenti diversi, che io stesso purtroppo spesso ho usato, la parola ‘Paese’. Io preferisco usare la parola ‘Patria’”. Avviandosi alla fine del mandato, volle mettere in rilievo che il suo impegno per incoraggiare gli italiani a riscoprire l’amor di patria era un imperativo morale che nasceva dalla sua esperienza di vita: “A questi sentimenti, frutto delle esperienze di una vita iniziata, nella gioventù, negli anni drammatici della Seconda guerra mondiale e della Lotta di Liberazione, mi hanno ispirato stati d’animo a cui, divenuto capo dello Stato, ho dato spontanea espressione: l’amor di Patria, l’adesione istintiva ai simboli della Nazione italiana, l’inno di Mameli, la bandiera tricolore, il vessillo levato in alto dagli eroi del Risorgimento”. Di schietto timbro repubblicano era la sua convinzione che il vero amor di patria trova il suo coronamento nell’ideale dell’Europa unita. Confortava e rafforzava la sua convinzione la Storia d’Europa nel secolo decimonono di Benedetto Croce che Laterza pubblicò nel 1932. Ciampi conosceva benissimo quel libro: “Negli anni bui della dittatura noi, allora giovani, leggevamo di nascosto Benedetto Croce. Nelle pagine immortali del- l’‘Introduzione’ alla Storia d’Europa nel secolo decimonono, c’è un’idea dinamica, quasi la ricerca di un destino. Questo destino è la libertà” (19 aprile 2002). Durante un colloquio nello studio presidenziale, mi sia permesso un ricordo personale, recitò a memoria, commosso, la celebre pagina dell’‘Epilogo’: “Già in ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché, come si è già avvertito, le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche); e a quel modo che, or sono settant’anni, un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l’essere loro anteriore, ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri si innalzeranno a europei e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate già, ma meglio amate”. Consapevole della natura dell’ordinamento repubblicano, dichiarò di non essere disponibile per un secondo mandato. “Il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato” (16 settembre 2016). Repubblicane erano la sua interpretazione della Resistenza come lotta di liberazione di popolo e di militari idealmente erede del Risorgimento e la sua concezione della Costituzione come una “Bibbia civile” che riconosce i diritti fondamentali della persona e addita ai governanti e ai cittadini i doveri inderogabili di solidarietà. Repubblicano nell’animo, volle essere, e seppe essere, un presidente educatore. Educò gli Italiani ai princìpi della coscienza civile perché sapeva bene, e aveva ragione, che senza coscienza civile la Repubblica muore.

 

Veltroni, superquark e la santa messa: cosa non perdere in tv

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Rai 3, 21.45: Edizione straordinaria, documentario. Secondo il libro di Michele De Lucia Il baratto (2008, Kaos edizioni), Veltroni, come responsabile Comunicazioni di massa del Pci, nel 1985 avrebbe aiutato a ratificare, in cambio di Rai3 al Pci, il decreto salva-Fininvest di Craxi, che permetteva la trasmissione simultanea nel Paese dei tre canali televisivi di Berlusconi. Oggi, su Rai3, Veltroni racconta l’Italia e il mondo attraverso le edizioni straordinarie dei tg dal 1954 a oggi, ricreando le emozioni suscitate da eventi come attentati, guerre e catastrofi naturali, tipo Veltroni.

Italia 1, 21.20: Inside Out, film animazione. Gioia, tristezza, paura, disgusto e rabbia sono le emozioni che controllano la testa dell’undicenne Riley. I problemi iniziano quando la piccola deve affrontare la prima delusione: un aborto procuratole da suo padre con un attaccapanni in fil di ferro.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, sitcom. Gli apostoli organizzano una festa a sorpresa per la resurrezione di Gesù.

Rai 1, 21.25. Superquark, documentario. Piero Angela, a 91 anni, ha perso del tutto i freni inibitori, a giudicare da come introduce il primo filmato, dedicato al dramma della violenza contro le donne: “Le donne! Trovo incredibile la loro vocazione al martirio. ‘Vi siete rimessi insieme? Avevi detto che era finita!’ ‘Sì, ma mi ha chiesto scusa. Ha detto che non mi prenderà più a pugni in faccia. Abbiamo fatto un patto: solo nello stomaco, e non con tutta la forza. A poco a poco conto di farlo smettere.’ Del resto, la discussione con una donna non è mai finita completamente: la donna può sempre riprenderla, anche a distanza di anni. Se una donna, in una discussione, si dà per vinta, diffidate. È un ripiegamento strategico, e tempo un anno ritornerà sulle sue posizioni, perché quello che tu credevi spiegato, documentato, risolto e archiviato, per lei è sempre vivo e nuovo, come se non se ne fosse mai discusso. Nei litigi, le donne riescono sempre a ricordarsi quello che hai detto un anno fa, per usarlo contro di te. In questo modo portano alla ribalta un fatto remoto su cui non hai più sottomano gli argomenti di difesa: un fatto snaturato dal tempo e dalla lontananza, i cui particolari sono svaporati dalla tua memoria, viene evocato per la comodità dell’accusa. ‘Un anno fa tu…’ Questo tipo di argomento va bloccato sul nascere, ma come? Un secolo fa, Jigoro Kano, l’inventore del judo, consigliava di usare un seoi nage, la mossa con cui si carica l’avversario sul dorso e lo si proietta sopra la propria spalla per scaraventarlo al suolo. ‘Vi siete rimessi insieme? Avevi detto che era finita!’ ‘Sì, ma mi ha chiesto scusa. Ha detto che non mi scaraventerà più al suolo con un seoi nage. Abbiamo fatto un patto: solo una volta al giorno, e dopo aver disteso il tatami. A poco a poco conto di farlo smettere.’ Come se non bastasse, non ammettono mai che le mestruazioni le rendono intrattabili. E guai a dirglielo! ‘Cos’è, hai le tue cose?’ Diventano Hulk: ‘AARRGGHH!!!’ Anni fa stavo con una che invece non aveva paura di confessarlo, che con le mestruazioni era meglio starle alla larga. Anzi, te lo segnalava proprio, a scanso d’equivoci. Nettava il sangue dalla passera con l’indice, se lo strisciava sotto gli occhi, assumeva una posa da guerriera zulù e urlava: ‘YAAAAH!’ Lo preferisco”.

 

Mail box

 

 

I governatori sono distanti da noi cittadini

Gli autoproclamatisi “governatori” hanno dimostrato la loro totale inefficienza nella gestione dell’epidemia epocale che ci ha colpiti. È stata ribadita la legge, non scritta, per cui più il potere è vicino agli elettori meno è efficiente nell’amministrazione del pubblico interesse su cui prevale la pressione dei cittadini e di conseguenza l’interesse di bottega. Eppure il primo dovrebbe sempre prevalere. Vedere la caciara scatenata dai parlamentari che blablano (Crozza cit.) di sospensione delle libertà costituzionali ci dà la dimensione di come anche il Palazzo dei nostri rappresentanti sia distante dalla reale difesa dei nostri interessi.

Melquiades

 

Crucioli dei 5Stelle ci scrive sul Mes

Egr. direttore, ho letto con interesse il suo articolo di ieri dal titolo “Stormir di fronde”, volto a dimostrare che opporsi alla riforma peggiorativa del Mes (da Lei stesso definito un meccanismo di “prestito-capestro”) porterà a conseguenze peggiori che adeguarvisi, poiché tale riforma passerà ugualmente con l’aiuto di FI, indebolendo M5S e Conte.

Pur condividendo il possibile esito della vicenda da Lei rappresentato, non ritengo corretta l’imputazione di responsabilità da lei formulata. Contrariamente a quanto sostenuto nel suo articolo, infatti, qualora quanto da lei paventato si realizzerà, la colpa non sarà di chi si rifiuterà di votare una risoluzione sbagliata, bensì di chi porterà in aula una risoluzione divisiva e dannosa per il Paese.

Seguendo il suo ragionamento, infatti, al peggio non ci sarebbe mai fine: su qualsiasi argomento importante, infatti, Pd (o pezzi di tale partito) o Iv potrebbero porre sotto scacco il Movimento (e l’intero paese) con un semplice ricatto: vota o verrai soppiantato dagli amici di FI (o la variante più drastica ma meno credibile: vota o cade il governo e si torna al voto). Verrebbe comunque vanificata la presenza del M5S al governo e, anzi, risulterebbe inutile l’esistenza stessa del nostro Movimento.

Del resto, Conte non è affatto tenuto ad accettare la riforma del Mes al prossimo vertice del 10 e 11 dicembre: basterebbe proseguire nel richiedere il perseguimento della “logica di pacchetto” già oggetto di due risoluzioni parlamentari, votate dalle due ultime e differenti maggioranze. Meglio, quindi, che se non si riuscirà a trovare un accordo in seno all’attuale maggioranza in continuità con le indicazioni contenute nelle predette risoluzioni, il M5s voti in scienza e coscienza, possibilmente restando uniti sulla posizione rappresentata in campagna elettorale, lasciando che chi si piega al ricatto su una riforma dannosa se ne assuma le responsabilità.

Mattia Crucioli Senatore M5S

 

Rispettiamo i carcerati, ma prima le vittime

A proposito dello scambio tra Lerner e Travaglio, vorrei che mi si rispondesse: a che servono diritto e procedura penale, processi, giudizi, sentenza e pena? Perché per le vittime non c’è la stessa comprensione che per i carcerati? E infine, qual è il fine e lo scopo della pena? Perché espiare una pena e non godersi un po’ di riposo, pur se dietro le sbarre? Se, invece di filosofare su chi deve stare dentro o chi fuori, si riuscisse una volta per tutte a stabilire che i condannati stanno in carcere a espiare la pena!

Giuseppe Mazzei

 

Gli attacchi di Minniti a Gad sono una lusinga

Stimato dott. Lerner, sto seguendo il suo dibattito con l’ex ministro Minniti a Piazzapulita. Mi colpisce il modo insinuante e sgangherato con cui Minniti la sta accusando di parlare solo del ruolo del ministero degli Interni quando il titolare era lui, tacciandola apertamente di non affrontare il presente per non essere costretto a una critica al governo attuale. Lasciando intendere, neanche troppo tra le righe, che il Fatto per cui lei scrive sia un house organ. Una sciocchezza senza se e senza ma, che tanta politica abituata più a farsi leccare che a confrontarsi con la stampa, quando messa dialetticamente con le spalle al muro, insinua come una maldicenza da portineria: il pregiudizio di quelli che mal sopportano che il Fatto abbia sempre trattato i 5stelle e i governi Conte 1 e 2 senza pregiudizio. Non se la prenda, alla fin fine Minniti a modo suo le ha detto “benvenuto al Fatto”.

Emiliano Brotto

 

Come fa la De Girolamo ad avere spazio in Rai?

È incredibile che la Rai possa richiedere interventi nei talk alla signora Nunzia De Girolamo cui il pm ha chiesto 8 anni e tre mesi di reclusione per associazione a delinquere e altri reati consumati tramite “una Asl asservita al suo potere politico”. Tutti abbiamo sentito le inequivocabili intercettazioni della De Girolamo. Passi La7 che è privata, ma la Rai no.

Marco Gabrielli

 

Per me, Saviano sbaglia sulle droghe “leggere”

Le posizioni di Saviano sulla liberalizzazione delle droghe sono assurde. Pensare che la libera vendita di droghe indebolisca le mafie è falso. I minorenni continueranno a comprare droga illegalmente e le farmacie o chicchessia venderanno solo alcune delle droghe vendute nelle piazze di spaccio (cosiddette “leggere”) a costi più elevati.

Loris Calanni Rindina

Ristori. Tante proteste e lamentele, ma non scordiamoci dell’evasione

 

 

Seguivo la trasmissione L’Aria che Tira e un giornalista esperto in economia, mentre si faceva riferimento ai ristori da parte del governo, ha semplicemente detto quello che ha scelto la Germania sullo stesso argomento: il governo centrale ha chiesto alle aziende industriali, commerciali e ai professionisti di presentare i dati del fatturato al 30.09 e in base a quelli si procedeva con l’importo del ristoro. Sono rimasto allibito in quanto né il governo, né il Parlamento con tutte le sue forze rappresentate, né i grandi editorialisti, né i giornalisti non ne abbiano nemmeno accennato in nessun modo, nonostante sia il più chiaro e logico modo al quale riferirsi essendo i ristori soldi pubblici… anche miei e di tutti. Ho capito subito il motivo: in Italia oramai tutti sanno, non parlandone è ovvio, che il fatturato non è mai veritiero già al 10 gennaio per non parlare al 30.09. Anche da lì nasce poi l’evasione, e l’idea che siano proprio gli evasori, che già eludono i versamenti allo Stato, a esser i primi a chiedere importi di ristori allo Stato: tutto ciò mi lascia non poco alterato, ma questo è il Paese nel quale vivo. Almeno leggo il Vostro quotidiano e mi sento meglio. Grazie e buon lavoro… i migliori saluti.

Fabio De Bartoli

 

 

Carissimo Fabio, non c’è dubbio che per quanto riguarda l’Italia il tema rimosso sia proprio questo. Purtroppo siamo immersi in una grave crisi pandemica, i morti ogni giorno consigliano, almeno a chi è dotato di una minima sensibilità, di evitare strumentalizzazioni. Di fronte alle proteste e alle preoccupazioni di migliaia di lavoratori autonomi, piccoli imprenditori e professionisti, prevale la tendenza a rispondere con provvedimenti certi, immediati. Ma si fa fatica a dimenticarsi dell’evasione fiscale o a ignorare che il grado di impellenza con cui si chiedono i ristori non è lo stesso con cui si onorano gli impegni fiscali. Almeno a giudicare dai dati, se è vero che in Italia solo il 6% dei contribuenti dichiara più di 300 mila euro. Dato che non corrisponde alla miriade di auto di lusso, di seconde e terze case, di barche private e via discorrendo. Nel vivo della crisi, sta passando il messaggio che le vere vittime siano le categorie che hanno un conto irrisolto con lo Stato. Dovremmo ricordarcene quando, speriamo presto, si tornerà alla normalità.

Salvatore Cannavò