Marcucci contro la stretta sugli hotel: è nel cda di 2 società che li gestiscono

La critica principale contro il nuovo Dpcm è arrivata dall’uomo del Pd più fedele a Italia Viva: Andrea Marcucci, ex renziano e attuale capogruppo dei dem al Senato. “Mi rivolgo al premier Conte: cambi le norme sbagliate inserite nel decreto sulla mobilità comunale del 25, 26 e 1 gennaio. Lo chiedono le Regioni e 25 miei colleghi senatori del Pd”, ha detto due giorni fa il senatore toscano. Nelle proposte fatte al governo dalla fronda interna che guida, Marcucci ha poi voluto specificare quale aspetto in particolare vorrebbe modificare: le chiusure dei ristoranti il 31 dicembre. “Per ora restano alle 18, noi abbiamo chiesto di verificare per gli alberghi”. La richiesta non verrà ricordata per l’assenza di interessi personali.

Una delle misure contenute dal nuovo Dpcm prevede che i ristoranti all’interno degli alberghi non possano servire il cenone di Capodanno al tavolo. Dovranno chiudere al pubblico esterno, sarà consentito solo il servizio in camera. Non proprio la notizia che si aspettavano a Barga, borgo lucchese a metà strada tra la città e la Garfagnana, da sempre terra dei Marcucci. Tra i vari settori economici in cui è attiva la famiglia del senatore dem c’è infatti quello dell’ospitalità, con hotel e ristoranti, e il divieto di offrire il cenone a clienti esterni non potrà che peggiorare i conti delle società di famiglia. L’affare principale dei Marcucci è di gran lunga la sanità: Kedrion, oltre 2mila dipendenti, multinazionale dei vaccini e prodotti medicinali derivati da plasma umano. Ma la famiglia del senatore ha sempre avuto anche il pallino dell’ospitalità, hotel e ristoranti. Due anni fa ha siglato una partnership con il Gruppo Marriott, multinazionale americana con strutture di lusso in mezzo mondo. Ne è nata una società per gestire insieme il Renaissance Tuscany Il, un mega resort con 600 ettari di terreno nel cuore della Garfagnana. La società della partnership si chiama “Shaner Ciocco Srl”: i Marcucci hanno la minoranza del capitale (40%) e il capogruppo del Pd al Senato siede nel consiglio d’amministrazione. L’ultimo bilancio disponibile, quello del 2019, dice che le cose vanno piuttosto bene. La società ha fatturato 9 milioni di euro, riuscendo a chiudere con un piccolo utile netto (16mila euro). Merito dei tanti clienti accorsi al Renaissance Tuscany Il, l’enorme complesso ricettivo tra le colline lucchesi, con piscine, spa e tre ristoranti. Che, la notte di San Silvestro, difficilmente faranno il tutto esaurito.

È messa invece molto meno bene la società che i Marcucci controllano al 100%, senza partner esterni. Si chiama “Il Ciocco Spa”, anche questa ha sede a Barga e conta su un ricco patrimonio turistico tra le colline lucchesi: tre alberghi per un totale di 58 camere, cui si aggiungono 12 chalet, 29 appartamenti e un lido sulla spiaggia di Viareggio. A differenza della joint venture con Marriott, qui il bilancio segna profondo rosso. L’anno scorso, a fronte di un fatturato di 3,2 milioni, “Il Ciocco Spa” – nel cui cda siede il senatore – ha chiuso in perdita per 2,5 milioni di euro. Un buco che si accumula a quello dell’anno precedente, quando il rosso era stato di 4,2 milioni, e a quello dell’anno prima ancora, quando le perdite erano state pari a 2,7 milioni.

Il risultato finale è scritto alla voce debiti: continuano ad aumentare, e alla fine del 2019 erano arrivati a 17,2 milioni, per più della metà nei confronti di banche. L’anno del Covid, e il divieto di ospitare a cena clienti esterni a San Silvestro, non potranno che far peggiorare le cose. Ma sicuramente, quando ha chiesto al governo di cambiare l’orario di chiusura dei ristoranti degli alberghi il 31 dicembre, Marcucci non ci stava pensando.

Open, Renzi perde la battaglia. I pm: l’inchiesta resta a Firenze

L’obiettivo di fuggire dalla Procura di Firenze per il momento è fallito. Matteo Renzi ha perso il primo round: l’inchiesta sulla Fondazione Open, che lo vede indagato assieme agli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi, e all’avvocato Alberto Bianchi per concorso in finanziamento illecito, per la Procura deve restare a Firenze. Dopo aver attaccato i pm fiorentini “in cerca di visibilità mediatica”, il 24 novembre scorso l’ex premier, tramite i suoi avvocati Federico Bagattini e Gian Domenico Caiazza, aveva presentato istanza di trasferimento per “incompetenza territoriale” sostenendo che l’inchiesta andava spostata a Roma e in subordine a Velletri e Pistoia. Ieri però è arrivata la decisione della Procura che ha rigettato l’eccezione di competenza territoriale sollevata dai legali di Renzi. Gli avvocati contro questa decisione, entro dieci giorni, presenteranno ricorso in Cassazione e poi il Procuratore generale avrà altri 20 giorni per decidere: anche se l’inchiesta venisse spostata da Firenze, gli atti dell’indagine già compiuti sono validi e potranno essere utilizzati dal nuovo ufficio competente.

Renzi – che fa tornare alla mente quando B. si appellava alla legge Cirami per trasferire i suoi processi per legittimo sospetto – da quando ha ricevuto l’avviso a comparire, si sente perseguitato dai pm fiorentini: “Dalla Procura mi sarei aspettato una lettera di scuse e invece è arrivato un avviso di garanzia, un assurdo giuridico” aveva detto. I pm stanno indagando sui finanziamenti a Open tra il 2012 e il 2018 e l’ipotesi accusatoria, è scritto nell’invito a comparire, è che “in concorso tra loro Bianchi, Carrai (Marco, ndr), Lotti e Boschi, componenti del consiglio direttivo della Open, riferibile a Renzi (e da lui diretta), articolazione politico organizzativa del Pd (corrente renziana)”, avrebbero ricevuto contributi per 7,2 milioni di euro “in violazione della normativa” sul finanziamento ai partiti. Somme queste, sostiene l’accusa, “dirette a sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”.

I legali di Renzi hanno quindi sostenuto che la competenza fosse “radicata nel luogo in cui ha sede la società che ha effettuato l’erogazione”. Tesi che non ha convinto la Procura.

Ieri, sempre nell’ambito dell’inchiesta Open, sono arrivate le motivazioni con cui il 24 settembre la Cassazione aveva annullato il sequestro di telefoni e computer dei fratelli Aleotti (Lucia, Giovanni e Benedetta) e della madre Massimiliana Landini (tutti estranei all’inchiesta), soci della Menarini e alcuni finanziatori – a titolo personale – di Open. Secondo gli ermellini, il Riesame di Firenze, tra le altre cose, non ha spiegato il perché di un sequestro “onnivoro e invasivo di una serie indifferenziata di dati personali” e quali fossero le ragioni per cui “quella documentazione fosse pertinente rispetto alle esigenze probatorie”. Il ricorso dei legali degli Aleotti riguarda solo l’opportunità del sequestro e delle perquisizioni e non l’accusa di finanziamento illecito.

Esame farsa di Luis Suárez. Indagato il dirigente Juve

Dalle aule dell’università al Viminale, passando per il ministero delle Infrastrutture, la Juventus nel settembre 2020 s’è mossa per la cittadinanza di Luis Suárez. Sono stati scomodati “i massimi livelli istituzionali” scrive la Procura di Perugia “per velocizzare la pratica di riconoscimento della cittadinanza italiana”. Le indagini condotte dal nucleo dalla Gdf di Perugia hanno accertato contatti tra il dirigente Fabio Paratici e il ministro Paola De Micheli “la quale ha ammesso di aver procurato all’amico di infanzia il contatto di Frattasi Bruno, capo di gabinetto del ministero dell’lnterno”. “Per effetto di tale segnalazione”, si legge, sono poi avvenute “le successive interlocuzioni tra l’avvocato (della Juve, ndr) Luigi Chiappero e il viceprefetto Dinacci Antonella, sempre afferenti al conseguimento della cittadinanza italiana da parte del calciatore Suárez”.

Né il ministro né i funzionari di governo citati sono indagati. Risultano soltanto richieste di informazioni. Hanno invece ricevuto un avviso di garanzia con l’accusa di false dichiarazioni ai pm – “ipotesi al vaglio degli inquirenti” sottolinea il gip Piercarlo Frabotta – Paratici e Chiappero. Secondo l’accusa Suárez avrebbe sostenuto un esame farlocco all’Università per stranieri di Perugia. E ieri il gip ha disposto un’interdittiva di 8 mesi per la rettrice Giuliana Grego, del dg Simone Olivieri, del professore Stefania Spina e del componente della commissione Lorenzo Rocca.

Tutto avviene tra il 7 e l’11 settembre 2020 quando il calciatore uruguaiano Suárez sembra prossimo alla cessione dal Barcellona alla Juve. C’è però bisogno dell’esame di italiano con categoria B1 per acquisire la cittadinanza italiana, indispensabile per il tesseramento come giocatore comunitario. Il tutto, scrive il gip, “sul pacifico presupposto che l’atleta non conoscesse per nulla l’italiano e allo scopo di fargli superare comunque il predetto esame-farsa organizzato e fissato in fretta e furia per il 17 settembre con l’istituzione di una sessione straordinaria ad personam”. Il 7 settembre la Procura guidata da Raffaele Cantone e gli investigatori della Gdf intercettano la telefonata tra il rettore dell’Università di Perugia Maurizio Oliviero e il direttore generale dell’Università per stranieri Simone Olivieri. “Allora – dice il rettore – io per rapporti storici conosco un po’ per dire la dirigenza della Juve e per una serie di questioni il nostro centravanti che sta arrivando da Barcellona, Suárez… allora me chiama questo mio amico di Barcellona dal Consolato, me dice ‘Maurizio so che tu li conosci … loro chiedono a noi’ e me dice ‘scusa anche se tu eccetera mettete in moto una cosa perché noi qui prima del 12/13 ottobre non gli potremo mai fare il test’ …”. E Olivieri: “Eh, ma noi glielo facciamo ad hoc”. “Esatto” risponde il rettore “allora io gli ho detto ‘ferma tutto perché io questa cosa la voglio fare a Perugia’, gli dico ‘non ti preoccupare, chiamo una persona se ne vede la fattibilità. L’importante che dopo ci sia una bella visibilità… per valorizzare l’università”. E ancora: “Eventualmente per anticipare quando lui è pronto per fare ovviamente il test regolare… non c’è bisogno de farlo aspettà a metà ottobre?”. “Assolutamente no!!” risponde Olivieri. Più tardi il rettore richiama: “Mi ha appena telefonato Paratici, mi ha detto ‘va bene allora scelgono Perugia e non Siena’.

Il giorno successivo, Olivieri è al telefono in viva voce con gli avvocati Chiappero, Turco e De Blasio (non indagato ndr). Spiega che per all’emergenza Covid gli esami si tengono soltanto con la prova orale, propone un corso intensivo e nel successivo appuntamento spiega di comprendere che c’è una certa fretta – “esatto… tanta tanta” gli risponde Turco – e che “dovremo formalizzare, dobbiamo fare le cose, non devono essere attaccabili, perché poi su queste cose si alzano i riflettori”. E Turco: “noi riusciamo entro il 17, magari così, in modo che a metà settembre di dare l’esame, cioè il 16 il 17 prima è meglio e!”. “Facciamo giovedì 17 – risponde Olivieri – ho sdoppiato la sessione creando una sessione diciamo ordinaria. Per evitare assembramenti e non dare l’idea che abbiamo fatto una sessione solo per lui. Anche per una tutela nostra, vostra, di immagine”. L’avvocato Turco concorda: “Poi se in futuro ci sono altre situazioni di appoggiarmi a voi! Su questo ci tengo…”. E Olivieri: “La ringrazio, ma guardi noi non per anticiparle il risultato che non posso nemmeno, ma sono molto bravi e poi vedrà che con il corso che fa c’è una certa garanzia sul risultato!”.

Giorni dopo, quando da una mail con una persona dello staff di Suárez emerge che il calciatore vorrebbe fare l’esame online, Turco s’indispettisce “(…) non vanno fatti favoritismi”. Chiosa il gip: “Il “favoritismo” che rifiuta è solo l’esame da remoto che sarebbe giuridicamente invalido e quindi non utile. Resta ferma la fittizietà della prova che Suarez sarà chiamato a svolgere”. Nel frattempo Olivieri sparge la notizia: “Ieri a telefono – racconta a un dipendente – Sono Fabio Paratici. Io lo stavo per manda’ a fanculo … cioè Paratici più famoso di Mattarella… è il direttore sportivo più potente del mondo! E praticamente niente… devo dare una mano a far superare l’esame a Suárez (…)”. Al professor Rocca dice: “Su sta vicenda dobbiamo dimostrare serietà, perché la Juventus m’ha detto vorrebbe fare un accordo per mandarci anche i calciatori della Primavera”. Rocca, che dovrà esaminarlo nei giorni successivi commenta: “Sul verbale non ho problemi a metterci la firma, mi assumerò la responsabilità dell’attribuzione del punteggio. Il mio timore è che poi tirando tirando diamo il livello ed esce e i giornalisti fanno due domande in italiano e va in crisi (…) deve essere come quelli che scappano dalla porta di servizio (…)”. Due giorni prima dell’esame l’insegnante Stefania Spina commenta con un amico: “C’ho l’ultima lezione e me la devo preparare perché non spiccica ‘na parola”. “Che livello dovrebbe passare… B1?” chiede l’amico. E Spina: “Non dovrebbe, deve, passerà, perché con 10 milioni a stagione di stipendio non glieli puoi far saltare perché non ha il B1”. Il 12 settembre Spina invia con mail a Suarez “il testo per l’esame”. Il 14 Spina dice: “Lui in realtà parla all’infinito, l’unica cosa che sono riuscita un po’ a insegnargli è qualche forma di presente, qualcosa riesce (…) allora io ieri sera gli ho fatto un testo sugli uruguaiani, calciatori uruguaiani che hanno giocato in Italia famosi e abbiamo parlato di Ruben Sosa, che lui ha conosciuto, Fonseca, Zalajeta (…) non coniuga i verbi”. E ancora, sempre Spina, dice a Rocca: “Allora mi raccomando Lorè, adesso io te mando il pdf del testo su cui ha lavorato. Lui se lo porta in aereo (ride) (…) Gliel’ho mandato io con tutte le 5 parti… con la descrizione delle domande”.

Mascherine, indagato Benotti: “Sfruttava i rapporti con Arcuri”

Nella vicenda dell’acquisto in piena emergenza di 801 milioni di mascherine per un miliardo e 251 milioni da tre aziende cinesi, sarebbe stato messo a punto uno “schema di azione” che per i pm romani potrebbe configurare un traffico di influenze illecito. Nello schema c’è un intermediario, “il quale, forte del suo credito verso un pubblico ufficiale, ottiene, per sè e per i suoi soci un compenso per una mediazione andata a buon fine”. Gli intermediari nella partita miliardaria delle mascherine erano due: Andrea Tommasi (titolare della Sunsky srl) e Mario Benotti, ex giornalista Rai, già caposegreteria del sottosegretario Sandro Gozi (estraneo all’indagine). Per gli investigatori, il pubblico ufficiale ‘trafficato’ a sua insaputa sarebbe il commissario Domenico Arcuri, non indagato. L’influenza su Arcuri, per i pm, sarebbe stata spesa – senza che il commissario ne fosse a conoscenza – da Benotti per ottenere 12 milioni di euro a titolo di intermediazione. La fetta più grande della torta delle provvigioni riconosciute dai cinesi (e non dall’ufficio del Commissario) agli intermediari italiani è andata alla Sunsky di Tommasi, che ha incassato circa 59 milioni. Mentre alla Microproduct Srl (di cui è presidente del cda Benotti) sarebbero andati altri 12 milioni circa. Per questo ieri la Finanza ha effettuato una serie di perquisizioni presso gli indagati. La Gdf è entrata anche nella uffici della sede del Commissario straordinario, dove hanno acquisito centinaia di documenti e mail.

La vicenda risale al picco della pandemia. Il 25 marzo, poi il 6 e il 15 aprile scorso Arcuri alla disperata ricerca di presidi sanitari, acquista complessivamente con vari ordini 801 milioni circa di mascherine. Le forniture secondo i pm sarebbero state “intermediate illecitamente da Mario Benotti, che ha concretamente sfruttato la personale conoscenza con il predetto pubblico ufficiale, facendosene retribuire, in modo occulto e non giustificato da esercizio di attività di mediazione professionale/istituzionale”. Benotti conosce dai tempi di Palazzo Chigi il commissario Arcuri. Al Fatto risulta che Benotti lo contatta personalmente e in quel periodo lo incontra più volte. Il commissario, dopo aver ascoltato la sua proposta, lo gira agli uffici preposti. Ieri gli uomini del commissario straordinario hanno consegnato alla Finanza mail e documenti, compresa una nota nella quale si spiega la trattativa e la si inquadra nel momento storico. La tesi degli uffici è che i prezzi, oggi alti (2,2 euro per una mascherina Ffp2; 3,4 euro per una Ffp3 e 0,49 per una chirurgica), in quel momento fossero convenienti. Soprattutto perché le società proposte da Benotti non chiedevano acconti. Gli accertamenti degli investigatori riguarderanno anche le offerte ricevute da altri in quel periodo.

Nell’indagine romana è finita anche Francesca Immacolata Chaouqui, coinvolta in passato nell’inchiesta Vatileaks 2 (è stata condannata a dieci mesi, pena sospesa, per concorso in divulgazione dalla giustizia vaticana). Ora le viene contestata la ricettazione dai pm di Roma, perchè “al fine di procurarsi un ingiusto profitto riceveva sul conto corrente della View Point Strategy”, società a lei riconducibile, circa 230 mila euro “compendio – è scritto nel capo di imputazione – del reato di traffico di influenze commesso da Benotti, conoscendone la provenienza delittuosa”. Ieri la Chaouqui è stata perquisita, al Fatto spiega: “Non conosco Arcuri. Non sapevo della vicenda delle mascherine. Siamo fornitori di Benotti. Abbiano curato un evento per 150 persone con noleggio della Galleria Borghese e da solo quello vale 40 mila euro. Abbiamo un contratto per il suo libro, un altro per due suoi blog e il suo canale youtube per il quale abbiamo già fatto 30 puntate. Tutti i soldi da noi incassati sono giustificabili”. Nell’inchiesta romana è indagata anche Antonella Appulo, in passato segretaria del ministro ai Trasporti Delrio. Per i pm “le rimesse di denaro, che dall’affare in discorso la Appulo ha ricavato, è decisamente indicativo dei rapporti intercorsi tra gli attori della vicenda: è il Tommasi, su disposizione di Benotti, a versare dal conto della Sunsky, alla Appulo 53 mila euro, giustificando il movimento finanziario mediante false fatturazioni, simulando attività di consulenza ricevuta dalla predetta”.

Bertolaso, i numeri veri delle sue due “astronavi”

“I Covid hospital della Fiera di Milano e di Civitanova Marche sono pieni da settimane (purtroppo), ma erano inutili, giusto?”. È la domanda retorica che si è fatto Guido Bertolaso, padre delle due costose “astronavi” di Lombardia (21 milioni) e Marche (11), in un post apparso ieri su Facebook. Tuttavia, se si analizzano i numeri, l’impatto delle due strutture sui sistemi sanitari regionali è un’altra storia.

Fiera hospital, Milano. Giovedì 3 dicembre nell’Astronave di Milano erano ricoverati 72 pazienti in terapia intensiva, a fronte degli 822 totali della Lombardia. Il 30 novembre, a occupare i posti letto del Portello c’erano 69 pazienti (su 906 ricoverati in ti degli ospedali lombardi). Il 26, “solo” 66 su 934. A conti fatti, quella che era sta definita la “la diga anti-Covid” della regione più colpita dal Covid (copyright dottor Nino Stocchetti, responsabile Neurorianimazione del Policlinico), ha dato un contributo limitato. “Piena” sì, come dice Bertolaso, ma solo perché i letti sono sempre stati molti meno di quelli annunciati. Quando fu presentato il progetto, la coppia Fontana-Bertolaso parlò di 400 letti, scesi poi a 300, quindi a 221, infine a 102. Ora siamo a 72.

Una politica degli annunci andata avanti almeno fino al 12 novembre, quando il dottor Nicola Bottino, responsabile del modulo in Fiera gestito dal Policlinico, dichiarava: “L’obiettivo, in una settimana, è aprire un altro modulo da 14 posti letto, per arrivare a 88-90 posti”. Peccato che questa quota non sia mai stata raggiunta. Per una ragione: gli ospedali lombardi, travolti dalla seconda ondata, non avevano più personale da fornire all’Astronave. E questo, nonostante il Pirellone nelle vesti di proprietario degli ospedali pubblici o di cliente di quelli privati, abbia più volte ordinato di distaccare lì decine di medici e infermieri. Un “saccheggio” che ha contribuito al collasso di alcuni grandi ospedali lombardi. Perché “la Fiera è stata una scelta politica”, non sanitaria. Come ha ricordato ieri il professor Alberto Zangrillo, a La Confessione di Peter Gomez, dove ha raccontato l’incontro in Regione nel quale rifiutò di dare il suo benestare a una rianimazione staccata da un vero ospedale. “Ho detto: ‘Signori, ma se la politica ha già fatto le sue scelte, è inutile che io sto qui a perdere il mio tempo’”. Zangrillo una terapia intensiva “vera” poi se l’è fatta – la “Pallaria”, i due palloni da 21 posti letto accanto al San Raffaele, realizzati anche grazie ai fondi raccolti dai Ferragnez – spendendo 7 milioni di euro (non 21), e senza peraltro che alcun sanitario sia stato costretto a traslocare dal proprio reparto.

Astronavina, Civitanova Marche. Anche questa struttura appare un fiore appassito all’occhiello di Bertolaso: qui i posti-letto di Ti occupati giovedì 3 dicembre erano 20, più 28 di sub-intensiva, su 62 totali, mentre i moduli attivi sono 5 su 8. Inoltre, la “struttura del futuro” che avrebbe dovuto mettere al riparo le Marche dalla seconda ondata – la prima l’aveva mancata, curando solo tre pazienti – , sembra anche in questo caso non aver compiuto la sua missione. Perché avrebbe dovuto assorbire il flusso di pazienti Covid per lasciare virus-free gli altri due ospedali di Civitanova e Camerino. Ma così, purtroppo, non è stato.

Meno contagi, ma altri 814 morti. Province del Nordest maglie nere

L’Italia si avvia a diventare tutta gialla, a questo punto c’è solo una Regione rossa (l’Abruzzo, dove le restrizioni maggiori sono iniziate più tardi e dovrebbero finire il 10). Passano da rosso ad arancione da domani Campania, Toscana, Valle d’Aosta e Bolzano, dove quindi riapriranno i negozi e si potrà circolare almeno nel proprio Comune dalle 5 alle 22 senza autocertificare motivi di lavoro, salute o altre necessità. Restano arancioni Lombardia, Piemonte, Calabria e Basilicata: sono otto in tutto. Mentre l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia, le Marche, la Puglia e l’Umbria lasciano l’arancione per il giallo: domani riapriranno bar e ristoranti fino alle 18.

Per la prima volta dall’estate, il tasso di riproduzione del virur Rt è sotto 1: 0.91 la media nazionale tra l’11 e il 24 novembre. Poco più di un mese fa era a 1.7, superiore a 1.5 indicato come soglia per la chiusura delle Regioni. Sopra 1 ci sono solo Molise (1.37), Veneto (1.11), Friuli Venezia Giulia (1.03) e Toscana (1.03) secondo il report diffuso ieri per la settimana 23-29 novembre. Seguono Emilia-Romagna (0.99), Lombardia (0.97) , Calabria (0.95), Lazio (0.94) e Puglia (0.92) e Abruzzo (0.9). Vanno meglio Sardegna (0.67), Liguria (0.69), Umbria (0.71) e Piemonte (0.76).

Il monitoraggio fino al 29 novembre dà atto, per la terza settimana, dei contagi in calo: i nuovi casi passano da 706,27 a 590,65 ogni 14 giorni ogni 100 mila abitanti (meno 16,37%) secondo i dati, più completi, dell’Istituto superiore di Sanità. L’incidenza è più bassa se calcolata sul flusso quotidiano delle Regioni, aggiornato al 3 dicembre: 530. Ieri il bollettino quotidiano ne contava 24.099 con 206 mila tamponi, quindi il rapporto positivi tamponi è al 10,7 per cento, stabile da quattro giorni e ben al di sotto del 17 per cento di metà novembre. Naturalmente il professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss, ribadisce che il numero di 20 mila casi, poco meno della metà rispetto a un mese fa, “è ancora molto alto” e quindi bisogna “porre la massima attenzione alle misure e intervenire dove c’è trasmissione con misure di contenimento”. L’obiettivo è portarlo sotto 10 mila con Rt “significativamente sotto 1”.

Cambia anche la geografia del virus. Rispetto a Lombardia e Piemonte il calo è più contenuto in alcune aree del Nord-Est. Secondo i dati delle Regioni, nel periodo 20 novembre-3 dicembre l’incidenza più alta si è registrata a Belluno (1.093 casi ogni 100 mila abitanti) che scavalca tutte le province del Nord-Ovest, poi c’è Como (1.004) e al terzo posto ancora il Nord-Est con Gorizia (993), al quarto Varese (974) seguita da Udine (943). Secondo ministero della Salute e Iss sono tre, contro le dieci di una settimana fa, le Regioni a rischio alto: la Calabria perché continua a non fornire dati completi, la Puglia per l’aumento dei focolai e dei giorni che passano tra inizio sintomi e diagnosi (8 contro una media nazionale di 5), la Sardegna sempre per i tempi di diagnosi (6 giorni) e per le difficoltà del tracciamento, dichiarato solo per il 67% dei casi.

Negli ospedali la pressione diminuisce più lentamente, la Cabina di regia Salute/Iss scrive tuttora di “sovraccarico” perché ben 18 Regioni sono tuttora sopra almeno una delle soglie d’allerta del 30 e del 40% dei posti occupati da pazienti Covid, rispettivamente, nelle terapie intensive e nei reparti ordinari, con punte oltre il 60% delle rianimazioni in Lombardia e Piemonte e ancora dell’80% dell’area medica sempre in Piemonte. I ricoverati sono diminuiti nel complesso di circa il 9,7% dal 23 novembre (il dato più alto: 38.507 ) e del 7,3% nelle terapie intensive (dal 25 novembre quando erano 3.814): ieri si contavano 572 pazienti in meno nei reparti ordinari nelle ultime 24 ore e 30 in meno nelle terapie intensive. Guardando le previsioni dell’Iss, con l’attuale andamento solo Molise, Marche, provincia di Trento, Veneto e in misura minore Emilia-Romagna corrono seri rischi di ritrovarsi ancora in difficoltà negli ospedali al 1° gennaio.

Non si vede ancora, però, il calo dei morti: ieri il bollettino ne contava 814, la media degli ultimi sette giorni è 739,3 contro i 729,7 dei sette precedenti.

La Signora del Grillo

I cosiddetti professori dell’Università per stranieri di Perugia a colloquio sulla promozione del calciatore uruguaiano Luis Suárez, promessa alla Juventus per fargli avere la cittadinanza subito anziché nei quattro anni canonici e consentirne l’ingaggio immediato: “Ma te pare che lo bocciamo!?”. “Oggi c’ho l’ultima lezione e me la devo preparare perché non spiccica ’na parola”, “e che livello dovrebbe passa’ ’sto ragazzo… B1?”, “Eee, non dovrebbe, deve, passerà, perché con 10 milioni a stagione di stipendio non glieli puoi far saltare perché non ha il B1”. Il campione madrelingua che rassicura la prof: “Stai tranchilla porché io lo estudio in l’aviòn”. I vertici bianconeri che convocano i presunti docenti come fossero raccattapalle. E chiamano la ministra dei Trasporti Paola De Micheli, che con molto trasporto non dice “come vi permettete?”, ma li indirizza al capo di gabinetto del Viminale, perché i clandestini sono un guaio solo sotto un certo reddito (“10 milioni a stagione”!).

Al di là degli illeciti penali e sportivi, tutti da accertare nelle indagini, il caso Juve-Suárez è tutto qui. Una storia di ordinario privilegio, una volta si diceva “arroganza del potere”. L’ennesimo capitolo della saga infinita del Marchese del Grillo, personaggio romanzato da scrittori e sceneggiatori, eppure molto più realistico di qualunque figura realmente esistita, nell’Italia della scorciatoia, del “chi conosciamo?”, del “lei non sa chi sono io”, anzi dell’“io so’ io e voi nun siete un cazzo”. L’Italia che celebra Maradona non solo come un prodigio del pallone, ma anche come una via di mezzo fra Robin Hood e Che Guevara sempre in lotta con i poteri forti, a parte i camorristi del clan Giugliano, e sempre correttissimo in campo, a parte i gol con la mano, perché lui era lui e noi non siamo un cazzo. C’era una volta lo “stile Juventus”: ipocrita finchè si vuole, ma attento a salvare almeno le apparenze. Luciano Moggi segnalava i talenti del calcio, perché lo sapeva fare benissimo, ma nella sede della Signora non metteva piede perché Boniperti non ce lo voleva e l’Avvocato lo chiamava “il nostro stalliere”. Poi cadde anche il velo dell’ipocrisia, “la tassa che il vizio paga alla virtù” (La Rochefoucauld). Lucianone entrò dalla porta principale, come direttore generale. E fu subito Calciopoli: condanne penali (poi prescritte), radiazioni sportive, retrocessione in B, revoca dei due scudetti truccati. Eppure ancora 15 anni dopo Andrea Agnelli, che dell’Avvocato ha solo il cognome, rivendica i due trofei sporchi. Poi, quando vince 3-0 a tavolino contro il Napoli assente perché bloccato dall’Asl, dichiara che “la Juventus rispetta sempre le regole”. Come no. Era dall’ultimo film di Totò che non si rideva tanto.

Tesla a caccia di un partner, e Musk non appare geloso

Per diventare imprenditori miliardari, ed Elon Musk in questo campo è secondo solo a Jeff Bezos, ci vuole una genio ma anche imprevedibilità. Quella che il vulcanico sudafricano ha dimostrato nell’uscita a sorpresa, fatta durante gli Axel Springer Awards a Berlino: “Non inizieremo sicuramente un procedimento di acquisizione ostile, ma se un concorrente dovesse trovare una buona idea fondersi con Tesla, se ne potrebbe parlare”. Una frase buttata lì con naturalezza, e tuttavia potenzialmente dirompente nel Risiko delle alleanze tra costruttori. Perché mette in vetrina, con l’obiettivo di un’alleanza strategica, quella che è l’antesignana della produzione di auto 100% elettriche, in un momento storico in cui i costruttori stanno nello stesso tempo ballando e cercando di non rimanere con la scopa in mano. Un momento in cui chi si accasa o semplicemente si accorda con altri tira un sospiro di sollievo, e chi ancora è da solo si interroga preoccupato sul futuro. Perché gli investimenti su elettrico e nuove tecnologie sono tanto ingenti quanto insicuri nei ritorni, e dividerseli male non fa. Specie se il partner, come nel caso dell’azienda californiana, possiede già il know how e l’expertise, come pure il valore monstre sul mercato di ben 550 miliardi di dollari. E si appresta a sbarcare nel cuore produttivo dell’Europa con il suo mega stabilimento di Berlino, pronto a sfornare mezzo milione di veicoli a batteria ogni anno. È come sposare un’ereditiera bella e giovane, basta solo ricordarsi che sarà sempre lei a decidere.

Pure il “turbo”, Mini si avvia all’elettrico

La Mini John Cooper Works avrà un motore elettrico alimentato a batteria: lo conferma la casa madre, già alle prese coi collaudi del modello e con l’ampliamento del suo portafoglio di prodotti a zero emissioni allo scarico. Il target è assicurare che il consueto piacere di guida delle Mini sia sostenibile a livello ambientale.

Osservando le prime foto del prototipo, si evince che l’edizione elettrica presenterà delle piccole differenze estetiche rispetto a quella termica: la mascherina frontale, complici le diverse esigenze di raffreddamento del powertrain, non presenta le classiche feritoie e ciò permette di migliorare l’efficienza aerodinamica. Al posteriore, invece, mancano i due scarichi alloggiati centralmente, tipici della versione turbobenzina.

L’azienda ha specificato che le auto in allestimento John Cooper Works saranno disponibili, oltreché con trazione completamente elettrica, anche con motore a combustione. Attualmente la quota di veicoli ad alto tasso di elettrificazione è pari al 10% delle vendite Mini e include la Cooper SE Countryman ALL4 ibrida plug-in (ricaricabile alla spina e in grado di viaggiare a impatto zero per qualche decina di chilometri) e la Cooper SE 100% elettrica.

“Con Mini Electric abbiamo dimostrato che è possibile combinare il piacere di guida tipico del marchio con la mobilità sostenibile”, afferma in una nota ufficiale Bernd Körber, capo del marchio Mini: “Ora è il momento di tradurre la passione per le prestazioni del brand John Cooper Works in elettro-mobilità. Ecco perché stiamo lavorando sullo sviluppo dei concept dei modelli 100% elettrici. Tuttavia, le John Cooper Works con motori a combustione convenzionali continueranno ad avere un ruolo importante, per essere sicuri di soddisfare i desideri e le esigenze degli appassionati di tutto il mondo”. Saggia scelta.

Tecnologia e prezzo: la Dacia “Sandero” adesso sfida il mercato

Game changer è quel termine al confine tra sport e marketing che viene cucito addosso a un prodotto capace di scuotere per bene il mercato, costringere la concorrenza a ragionare sui prezzi e sul corrispettivo da offrire in termini di valore e qualità. Nuova Sandero diventa sfidante per i mercati come quello italiano, dove l’auto per tutti è una esigenza, e il preteso rinnovo del parco circolante si scontra con il basso numero di vetture tecnicamente moderne con listini realmente accessibili. Per riuscirci, il gruppo Renault ha rivoluzionato la personalità di Dacia. La filosofia minimalista dell’auto low cost della Logan targata 2004 ha lasciato il posto alla concretezza. Oggi Sandero gioca sul valore, sul patrimonio di oltre 2,1 milioni di unità che ne hanno fatto l’auto più venduta in Europa dal 2017, e sulla svolta tecnica che la vede nascere sulla piattaforma modulare Cmf, ovvero il telaio più raffinato e aggiornato del gruppo francese. Quello dove nasce la nuova Clio, per intenderci. Sandero Streetway è la due volumi classica, ma si aggiunge anche la Stepway, con un look da crossover urbano che fa crescere l’altezza da 149 a 153 cm, mentre i 408 cm di lunghezza e soprattutto i 184 in larghezza raccontano un design furbo, a metà strada tra gli ingombri di una segmento B e di una C, dunque tra citycar e medie compatte. Linee fluide, parabrezza più inclinato, profilo del tetto spiovente e fiancate muscolose, con i gruppi ottici anteriori e posteriori a Led che inaugurano la nuova firma luminosa a Y di Dacia. Bella da vedere, concreta negli interni, con tanto spazio per i passeggeri, assemblaggi curati e materiali di vera qualità, oltre alla sorpresa di un sistema multimediale con schermo fino ad 8’’ che manda definitivamente in pensione le associazioni mentali tra Dacia e sul low cost. Sandero fa scelte concrete, con l’abbandono del gasolio e l’arrivo di una gamma di motorizzazioni a tre cilindri benzina giocate tutte sulla riduzione dei costi, a partire dal SCe 65 disponibile solo sulla Streetway con cambio manuale a 5 rapporti, salendo alla varianti turbo TCe 90 con trasmissione a 6 rapporti o automatico CVT (non proprio un fulmine di guerra), fino alla Tce 100 Eco-G 100 con alimentazione anche a Gpl. Logan allora esibiva l’essenziale come un fatto di distinzione, oggi Sandero arriva sul mercato con prezzi a partire da 8.950 euro per la versione Streetway, 12.600 euro per la Stepway, e per entrambe si tratta del controvalore adeguato a una tenuta di strada convincente, a una precisione di guida da vettura di buona categoria tanto alle andature cittadine che a quelle autostradali, di un pacchetto di comfort e qualità costruttiva. Anche spendendo il giusto, si può avere un’auto vera.