Il bail-in, il Mes e un dilemma storico

Non sappiamose il lettore sia più d’accordo col paradigma derivato da Cicerone – la storia è maestra di vita – o col paradossale corollario di Antonio Gramsci, secondo cui la storia è sì maestra, ma non ha scolari. Non è questa la sede per approfondire la questione, ma teniamola presente mentre facciamo un passo indietro, precisamente a quando fu approvata e poi ratificata in Italia un’altra riforma europea, il “bail-in” per il settore bancario, cioè il divieto di fatto di aiuti di Stato prima della tosatura di azionisti, obbligazionisti e persino correntisti. Ce la descrissero così: “Con l’unione bancaria risparmiatori meglio tutelati, possibilità di più credito e costo del denaro più basso. Un fatto storico” (il ministro Fabrizio Saccomanni, 19 dicembre 2013); “Finita ora la sessione del Consiglio europeo. Approvata banking union per tutelare risparmiatori e evitare nuove crisi. Buon passo verso una Ue più unita” (il premier Enrico Letta, 19 dicembre 2013); “Finisce l’era dei salvataggi bancari massicci e dei conti pagati dai contribuenti” (il commissario Ue Michel Barnier, 19 dicembre 2013); “Le famiglie italiane sono tra le meno indebitate d’Europa e il sistema bancario è solido e privo di rischi” (il ministro Pier Carlo Padoan, 31 ottobre 2014); “È urgente recepire la direttiva sul bail-in: non solo per evitare di essere messi in mora dalle istituzioni europee, ma anche per garantire la certezza del diritto” (il governatore Ignazio Visco, 26 maggio 2015). Poi sono saltate sette banche una dietro l’altra (a non citare Mps), mentre il settore in Borsa perdeva il 60% del suo valore in pochi mesi e dal 2017 il bail-in non lo conosce più nessuno: “Manifestammo le nostre perplessità, ma non fummo ascoltati” (Visco), l’Italia era contraria “ma rimase in netta minoranza” (Saccomanni), “Io la ritengo una direttiva fatta male”, la votai perché “era l’indicazione di voto di tutti i partiti” (Roberto Gualtieri), il governo “fu praticamente ricattato dal ministro delle Finanze tedesco” (Giovanni Tria). Che la storia abbia scolari o meno e considerato che si poteva fare lo stesso lavoro su Fiscal Compact e altre meraviglie, ora ripensate alla mitica “riforma del Mes” appena approvata dal governo e a cosa ne diranno fra tre o quattro anni.

I vaccini “classici” vengono snobbati

Dalla bulimiadi informazioni e disinformazioni alla mancanza di informazioni. Accade anche questo, in tempo di Covid-19. I miei coetanei ricorderanno I cugini di Campagna, band fondata nel 1970 con tale denominazione “agreste” per proporre un repertorio tradizionale italiano. A quei tempi, da noi fan dei Beatles e dei Rolling Stones, vennero snobbati anche se ebbero successo. Mi è venuto in mente leggendo l’elenco dei vaccini in sperimentazione pubblicato dall’Oms. Accanto agli ormai noti Pfizer, Moderna e AstraZeneca, ce ne sono alcuni sviluppati con tecniche tradizionali e alcuni di questi sono allo stesso livello di studio dei più noti. Mi riferisco (copio dalla tabella Oms) ai vaccini Sinovac, Bharat, Biotec, Novavax che sono tutti in fase 3, come i succitati. Perché non se ne parla? Essendo prodotti con tecniche tradizionali, consolidate da più di un secolo, le fasi di validazione dovrebbero essere più rapide e avrebbero minori incognite. Eppure è come se non esistessero.

E nessuno, nemmeno l’Oms, fa un cenno alla necessità, più volte citata da Food and Drug Administration che i vaccini genici abbiano procedure di indagine particolari. Ma la disinformazione è ancora più evidente. Basta digitare su un motore di ricerca le stesse domande che, con le relative risposte, troviamo sulla pagina dell’Oms. Ad esempio: “Esiste un vaccino per Covid-19?” Risposta Oms: “Non ancora. Molti sono in fase di studio e diversi grandi studi clinici potrebbero riportare i risultati entro fine anno”. Risposta degli altri organi istituzionali (non solo italiani): “Il vaccino è una realtà e potrà essere distribuito a fine 2020”. Ancora: “Quando saranno pronti per la distribuzione i vaccini Covid-19?” Risposta Oms: “Non lo sappiamo (…), ma potrebbe essere tra l’inizio e la metà del 2021”. I vari Paesi: “I vaccini sono una realtà. Le prime dosi potrebbero già essere disponibili per le fasce a rischio tra fine 2020 e gennaio 2021”. No comment.

 

Caro Scaroni, chi sono gli “anonimi” del nuovo San Siro?

“Non riesco a immaginare che si possa rifiutare un investimento di 1,2 miliardi, finanziato privatamente da capitali esteri, in un momento come questo. Milano non può rimanere indietro. È un’ipotesi che rifiuto, la considero molto remota”: così ha dichiarato il 30 novembre Paolo Scaroni, presidente del Milan, a proposito del progetto del nuovo stadio di San Siro, con annessi grattacieli. Milan e Inter lo hanno proposto al Comune di Milano, che tra fine dicembre e inizio gennaio dovrà dire sì o no. “Se il Comune ci darà tutte le autorizzazioni, mi auguro di partire con i lavori già l’anno prossimo”, annuncia Scaroni. “Lo stadio potrebbe essere pronto per i Giochi olimpici invernali del 2026”.

Dunque il sindaco Giuseppe Sala – che si ricandidi o no – passerà alla storia come quello che ha accettato, o respinto, la grande speculazione immobiliare (privata) sui terreni (pubblici) che farà crescere a San Siro migliaia di metri quadrati di edificazioni, torri, grattacieli, hotel e spazi commerciali. Sta negoziando, in segreto, quanto lasciar costruire: indice edificabilità 0,90, chiedono le squadre; 0,35, vorrebbe il Piano di governo del territorio che vale per tutti gli altri operatori in città; 0,51, mercanteggia il sindaco, come in un suq dove si vendono tappeti. Paolo Scaroni passerà invece alla storia come quello che copre e spinge la più confusa, pericolosa e meno trasparente delle operazioni finanziarie in corso a Milano. L’operazione stadio di San Siro è, innanzitutto, un gigantesco imbroglio: con la scusa dello stadio, Milan e Inter cercano di realizzare una colossale operazione immobiliare, abbattendo il Meazza e poi costruendo (oltre al nuovo stadio che sarà loro, in concessione, per 90 anni) 180 mila metri quadrati di spazi commerciali, 66 mila di uffici, 15 mila di hotel, 13 mila per intrattenimento, 5 mila di spazio fitness, 4 mila di centro congressi. Totale 283 mila metri quadrati di costruito, ricavi per le squadre di quasi 200 milioni di euro l’anno. Sfugge quale sia il beneficio pubblico, a parte una cinquantina di milioni di oneri d’urbanizzazione.

Ma l’operazione stadio è anche la più anonima e segreta delle manovre finanziarie. Che Sala lascia nelle mani – a dirlo è il presidente della Commissione comunale antimafia, David Gentili – di società (il Milan e l’Inter) di cui non conosciamo il vero proprietario. Il Milan presieduto da Scaroni è al 96 per cento di Elliott, il fondo “avvoltoio” fondato da Paul Elliott Singer, che raccoglie i miliardi di una moltitudine di investitori anonimi nel mondo. Ci spieghi Scaroni chi sono due dei membri del suo consiglio d’amministrazione, Salvatore Cerchione e Gianluca D’Avanzo. Sappiamo che controllano la società lussemburghese Blue Skye, la quale controlla, insieme a società del Delaware, la Project Red Black, che a sua volta controlla la Rossoneri Sport Investment, il veicolo usato dal cinese strano strano Yonghong Li per acquistare il Milan, che poi ha abbandonato nelle mani di Elliott che gli aveva prestato i soldi che non è riuscito a restituire. Cerchione, nato a Napoli nel 1971 e oggi residente a Dubai, e D’Avanzo, nato a Napoli nel 1975 e residente a Londra, hanno cominciato a fare affari dieci anni fa a Napoli, gestendo crediti sanitari della Regione Campania. Non sono lontani dagli ambienti berlusconiani, visto che avevano come socio Giuseppe Cipriani, l’erede dell’Harry’s Bar, l’ex compagno di Nicole Minetti, ex igienista dentale di Berlusconi, ex consigliera regionale della Lombardia, ex coordinatrice delle ragazze del bunga-bunga.

 

MailBox

 

Non dimentichiamoci dei pescatori in Libia

Nessuno si sta interessando dei pescatori italiani, rapiti dai libici, mentre le famiglie da due mesi stanno soffrendo anche per la mancanza di notizie. Anche loro si sono rivolte al governo, al ministro degli Esteri e al Papa, sinora inutilmente. Non sarebbe male se anche i genitori di Regeni, che meglio possono comprendere il dolore di quelle famiglie, facessero sentire la loro vicinanza alle famiglie dei pescatori siciliani.

Mario De Florio, Cisas Campania

 

Un grazie al “Fatto” per i suoi articoli sagaci

Da quest’anno leggo il Fatto Quotidiano dopo 59 anni di Corriere della Sera, che mia mamma mi faceva leggere insieme al Monello. Mi si è riaperta la mente e riacceso lo spirito e riesco ancora a sorridere per l’arguzia con cui vengono trattati alcuni argomenti. Grazie a tutti voi.

Bianca Maria Malinverni

 

B. e la sua attenuante per schivare la Procura

Quando la Procura convoca il povero B., lui è sempre malaticcio… È ovvio che quest’uomo necessita una “prescrizione” medica.

Francesco Facciolo

 

La sicurezza del vaccino anti-Covid va testata

Sono d’accordo con lei che dobbiamo essere liberi di decidere se farsi vaccinare contro il Covid oppure no. Vista anche la fretta di preparare questi nuovi vaccini Covid, secondo me, il rischio c’è sempre. A mio modesto parere, per verificare se il vaccino è sicuro, dobbiamo avere la possibilità di poter fare un prick test (come si fa per le allergie) e/o provare una dose minuscola del vaccino qualche giorno prima di farsi somministrare il vaccino Covid.

Claudio Trevisan

 

Una sanità calabrese
sfasciata dai commissari

La sanità calabrese è commissariata da oltre 10 anni senza che si siano registrati miglioramenti significativi. Il commissariamento, di per sé straordinario, ha motivo di essere solo se limitato nel tempo, ma così non è nel caso della sanità calabrese dove la normale gestione è diventata quella commissariale senza che se ne intraveda la fine. È evidente che in questa situazione i principali responsabili del disservizio sanitario in Calabria più che a Catanzaro vadano ricercati a Roma.

Pietro Volpi

È ora di combattere l’evasione fiscale

Parlando con un amico ex bancario di lotta all’evasione fiscale, il discorso è scivolato sulla necessità, per il bene dell’economia e della giustizia, di fare emergere il “nero” occultato soprattutto nelle cassette di sicurezza delle banche. È mai possibile che nessuno fra i nostri valorosi politici abbia pensato di abolire questo taglio di banconota entro un anno obbligando così i nostri eroi a uscire allo scoperto?

Danilo Bertuletti

 

È normale consultarsi con un pluricondannato?

Non riesco a spiegarmi una cosa: appurato che Forza Italia è stato un partito ideato da un mafioso e che Silvio Berlusconi è un condannato, mi chiedo come una persona come lui, durante la formazione del Conte-1, sia potuto entrare per le consultazioni, con la Meloni e Salvini, dal presidente della Repubblica Mattarella. Una persona così non avrebbe dovuto mettere piede in nessuna istituzione pubblica.

Giulia Motta

 

Avete messo in difficoltà un’intera intellighenzia

Leggo quotidianamente il nostro giornale e mi domando come certe riflessioni, commenti, analisi… direi “semplici” senza offesa, visto che le capisco benissimo pure io, umile ex ragioniere, possano invece sembrare a certa “intellighenzia” così cervellotiche. D’altronde mio nonno mi diceva sempre che la più brutta “bestia” da combattere non era il fascismo, ma l’ignoranza!

Walther Casadei

 

Pd, un partito ancora vivo solo grazie a Conte

Anche io mi sono chiesto come fosse possibile che il Pd da sempre cerca il modo di autodistruggersi. Una possibile spiegazione è che oggi sia al governo con un galantuomo come Conte, e questo ci abbia fatto dimenticare che il Pd è sempre quello dell’indagine romana di Barca (dopo l’esecuzione del sindaco Marino) sulle sezioni del partito non proprio specchiate, quello delle cooperative, quello che da sempre guida i destini di municipalizzate e partecipate come Ama e Atac. Un partito che ha il suo tornaconto, specie nelle amministrazioni locali in intrallazzi di ogni tipo.

Roberto Giagnorio

 

Per me è più rieducativo il lavoro di una cella

Caro direttore, condivido la sua critica e le motivazioni alle ipotesi di nuove amnistie o… fuori tutti, anche se comprendo gli argomenti di Gad Lerner. A mio sommesso avviso, però, si dovrebbero fare campagne per una maggiore articolazione delle pene. I pesci piccoli, ma anche i corruttori e autori di reati contro beni pubblici e Pubblica amministrazione, dovrebbero essere avviati a lavori fisici compatibili, ad esempio in aziende create con i beni sottratti alle mafie. Se la detenzione deve essere rieducativa, il lavoro agricolo, manifatturiero, organizzato e svolto in condizioni non di semi libertà, mi sembra più rieducativo della cella e basta.

Valerio Tozzi

 

Caro Valerio, io invece penso che il carcere faccia bene soprattutto ai corruttori, ai corrotti e ai colletti bianchi che delinquono.

M. Trav.

Lavoro “Noi dipendenti pubblici stufi di essere trattati come fannulloni”

Buongiorno, sono un dipendente dell’Agenzia delle Entrate e lavoro da casa in smart working: il mio lavoro consiste nell’assistere telefonicamente i contribuenti. La mia giornata lavorativa inizia intorno alle 7.00 del mattino con la lettura delle ultime circolari e risoluzioni, poi ci sono le mail e le comunicazioni “irregolari”. Alle 9.00 si attacca col telefono, qualche piccola pausa e pranzo intorno alle 13.00-13.30. Si riprende con qualche altra telefonata, quindi si ripassa a leggere le ultime comunicazioni, risoluzioni, circolari… in modo da ultimare il lavoro e chiudere intorno alle 16.00-17.00, ma anche 18.00, con la protocollazione. Ovviamente metto a disposizione della mia amministrazione il computer (al quale ho già cambiato due batterie), la linea telefonica, Internet, l’energia elettrica… tutto senza ricevere alcun rimborso…

Essere accusato, senza prove in mano, di godere di un lungo e immeritato periodo di vacanza dovuto al Covid-19 non mi va proprio giù. È partita una campagna sempre più martellante, da parte di tutti, contro il pubblico impiego: si vuol far pagare la crisi anche ai lavoratori pubblici; si pretende di metterli persino in cassa integrazione. Questa campagna ha come obiettivo solo quello di creare l’ennesimo nemico per distogliere l’attenzione dai veri problemi del Paese: stavolta il bersaglio non sono i “neri immigrati che rubano il lavoro”, ma noi dipendenti pubblici.

In Tv mai che venga invitato un sindacalista per un contraddittorio: giammai, solo politici e giornalisti a sputarci addosso, e nessuno che si degna di sentire perché è stato indetto uno sciopero… già, perché ?

Nessuno spiega che il 4 per cento di aumento dello stipendio proposto dal governo non è reale, perché hanno fatto una media inserendo tutti, dal magistrato al custode, dal dirigente al poliziotto: viene fuori così una media falsata, che non produce i 107 euro lordi stimati, ma circa 70 euro, al netto dell’indennità di vacanza contrattuale. Forse sto perdendo tempo anche con questa lettera che con moltissima probabilità non pubblicherete… Grazie lo stesso.

Marino Petruzzellis

Riforma elettorale, l’inerzia politica è anticostituzionale

L’avvio dell’iter legislativo sulla rideterminazione dei collegi elettorali discende da imprescindibile precetto (art. 3 L. n. 51/19), la cui mancata applicazione renderebbe impossibile un fondamentale adempimento politico-istituzionale: la celebrazione delle elezioni con la legge allo stato vigente (c.d. Rosatellum).

Ciò induce brevi riflessioni in tema di doveri costituzionali. Questi ultimi non sono, di norma, sanzionati espressamente. Rispetto a essi l’atteggiamento della classe politica passa dall’inerzia al rabbercio tramite proroghe legislative quasi in articulo mortis, perché li adempiano diverse maggioranze e talora i posteri. La giustificazione è che tali doveri sono privi di giuridicità, in quanto non muniti di sanzione. In realtà “il criterio della giuridicità non è certamente la sanzione, ma l’appartenenza al sistema, ovvero la validità” (N. Bobbio). I doveri primari (J. Austin) costituzionali, quand’anche privi di espressa sanzione, sono di per sé imperativi, rientrando così nella “sfera dell’incondizionato” (Hegel): sono situazioni soggettive carenti di contenuto specifico e tuttavia operanti quali comandi giuridicamente impegnativi. Un esempio è dato dall’art. 54, c. 2 Cost. che impone il dovere di adempiere le funzioni pubbliche con onore e disciplina: concetti, questi ultimi, similmente ai doveri primari, indeterminati nei contenuti, da modulare con l’interpretazione alle coordinate sociali, culturali ed etiche di un dato momento storico. Altri doveri, tuttavia, insorgono dalla recente riforma costituzionale.

In primis quello di superare un sistema largamente insoddisfacente come il Rosatellum. Sul punto le forze politiche sono in surplace. L’iter di una nuova legge elettorale, infatti, è sospeso in Parlamento, dopo una vampata d’inizio autunno, spenta da un acquazzone di critiche e dalla petizione sostenuta dal Fatto: il metodo proporzionale propugnato in sede di Commissione costituirebbe l’estremo danno a un ordinamento già fiaccato da personalismi e dall’esercizio opaco del potere. Nei doveri costituzionali primari assume fondamentale importanza conformare la composizione parlamentare a compiuta espressione della volontà popolare, siccome riaffermata con il sigillo della votazione referendaria a larghissima maggioranza. Il referendum esprime una precisa indicazione del popolo sovrano che ha evidentemente condiviso non solo la riduzione del numero dei parlamentari, ma anche l’intrinseca istanza di acquisire, con le elezioni, maggiori competenze utili ad accelerare e migliorare il lavoro delle due Camere. In altre parole: non si è votato solo per una riduzione di posti e di costi, ma soprattutto per affermare una diversa concezione della rappresentanza, legandola a più elevate e selettive qualità degli eletti: risultato possibile e legittimabile solo con una meditata scelta del territorio. Esattamente l’opposto di quanto offrirebbe il proporzionale, preordinato a garantire seggi in virtù di un’appartenenza politica rispetto alla quale è indifferente il profilo della competenza.

Scaturisce dall’ineludibile indicazione il dovere costituzionale di procedere a una riforma elettorale non in funzione dell’interesse di avide dirigenze (come prefigura il proporzionale) ma di quello della comunità nazionale, protesa a conseguire un rinnovo profondo e meritocratico della classe politica. Quest’ultima, anziché attivarsi, sembra attendere, per provvedere, quasi il gong di fine legislatura. Mantenere una callida inerzia, nella speranza di raggiungere in extremis un accordicchio manipolativo motivandolo con l’urgenza e la necessità, si rivela perfettamente contrario ai più elementari doveri costituzionali.

 

Dopo Biden, c’è un’altra via per i veri progressisti

La vittoria di Biden è una buona notizia per gli Usa, per le democrazie occidentali, per il multilateralismo, per l’Europa. Lo è in particolare per le forze democratiche e progressiste. Il direttore di Repubblica si è spinto oltre, avviando una campagna di opinione all’insegna della tesi condensata in un titolo di prima pagina: “Biden-Starmer (nuovo leader dei laburisti inglesi, ndr) la nuova via progressista”. Renzi ci si è fiondato subito con il suo vecchio credo: “la sinistra vince al centro”. Senonché, sulla stessa Repubblica, Anthony Giddens, ideologo della Terza via blairiana, tradendo le attese della testata, ha preso le distanze: “Non credo che nelle circostanze attuali Biden o qualsiasi altro leader di centrosinistra possa governare come un moderato. La pandemia richiede un attivismo interventista su larga scia”. Non a caso, Giddens parla di “nuova” e non di “terza” via. Non basta riconquistare il consenso delle classi medie, aggiunge, “i fenomeni che hanno portato Trump alla Casa Bianca sono più complessi”. A seguire, curiosamente sempre su Repubblica, a dare un dispiacere al giornale, il leader della Spd tedesca Walter-Borjans e un editoriale del politologo Carlo Galli, entrambi per nulla convinti della ricetta centrista. Dunque, una campagna giornalistica boomerang. Sorprendono lo schematismo e la precipitazione nel trarne facili ricette. Esse tradiscono un provincialismo, uno sfasamento, una diagnosi sbrigativa delle radici dei populismi.

Primo. Provincialismo inteso come assimilazione acritica di contesti tanto diversi, come difetto di consapevolezza delle marcate differenze di cultura e di modello politico-istituzionale tra Usa e Europa. Penso al presidenzialismo e al bipartitismo Usa e cioè alla circostanza che il moderato Biden è tuttavia espressione di un partito largo e inclusivo, comprensivo di Sanders e Ocasio-Cortez. Penso alla cultura politica Usa, dove sinistra, per tacere di socialismo, è una brutta parola. Al più, i progressisti si definiscono liberal. Persino il suddetto Starmer, pur sempre laburista, avrebbe di che eccepire. Penso al caso nostro, ove le sinistre in senso lato sono orgogliosamente eredi delle tradizioni socialiste e cattolico-democratiche. Rivisitate e aggiornate, ma non rinnegate.

Secondo: il cambio di fase. Gli stessi protagonisti nostrani di quella stagione, da Prodi a D’Alema, non si sono negati a una riflessione critica retrospettiva sui limiti della Terza via in auge nella seconda metà degli anni Novanta. Circa la sua subalternità ideologica al paradigma neoliberale, originata da una lettura ingenuamente ottimistica della globalizzazione e della “fine della storia” dopo la vittoria del capitalismo. Prima l’attentato alle Torri gemelle (2001), poi la grande crisi economico-finanziaria (2008) ci hanno fatto più consapevoli delle minacce alla democrazia e degli alti costi della globalizzazione. La sinistra – inebriata da “parole magiche” tipo opportunità, innovazione, talenti, eccellenze – aveva trascurato la montante domanda di sicurezza, di uguaglianza, di protezione sociale. La pandemia sta semmai acuendo tale domanda. Se, nelle classi dirigenti europee, non vi fosse la consapevolezza di un netto cambio di fase, come altrimenti si spiegherebbe l’innegabile, positiva svolta interventista della Ue? Terzo: la sfida dei populismi. Chi, con realismo, considera tuttora aperta la partita (il trumpismo dopo Trump) dovrebbe scavare nelle ragioni profonde. Tra queste, innegabilmente: la precarietà, le disuguaglianze, la sfiducia nella politica e nelle élite. Non deve forse riflettere una sinistra percepita come appiattita sull’establishment? Non si spiega anche così l’innaturale divorzio con i ceti popolari che, per paradosso, si sono rivolti alle destre populiste, considerandole più sensibili al proprio disagio?

Non ce la si può cavare con vecchie ricette e logori slogan del tipo “si vince al centro”. Si potrebbe persino sostenere che semmai si richiedono soluzioni radicali, perché radicalizzato è il conflitto. Del resto, Biden ha vinto anche per questo: non è stata, quella Usa, una contrapposizione radicale? Renzi rivendica il suo 40% alle Europee del 2014 (votò il 60%) esorcizzando il crollo al 18% del 2018: quando, dopo avere esordito come uomo del cambiamento, un Pd associato al Palazzo, nel mentre si sommavano disagio sociale e sentimento antipolitico, aprì un’autostrada alle destre e ai populismi nostrani. Lungi da me tirare il Papa in politica, ma è significativo che, nella “Fratelli tutti”, suggerisca non una terza via mediana tra liberalismo e collettivismo (come nella tradizione della dottrina sociale della Chiesa), ma una via altra, rispetto alle due da lui rifiutate: populismo e liberalismo. Si esagera quando si rappresenta il Papa come leader di sinistra, ma forse la cultura politica delle sinistre potrebbe trarne qualche ispirazione.

Feltri figlio, la Boldrini e quell’assurda pregiudiziale familista

Ed ecco gli argomenti della seconda replica di Mattia Feltri: 1) “Penso sia mio dovere tornare, per l’ultima volta, sulla questione dell’onorevole Boldrini” (Definire il caso “la questione dell’onorevole Boldrini” lo minimizza: il tema, grave, è la tua censura a Laura Boldrini, che denunciava en passant l’articolo in cui Vittorio Feltri attribuiva la responsabilità di uno stupro alla vittima. Si censura quando si impedisce la libera manifestazione di un pensiero: questo lede una libertà costituzionalmente garantita (L’art. 21 Cost. difende il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Al secondo comma, l’art. 21 stabilisce inoltre che “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, in modo che si realizzi un rapporto diretto tra gli organi di informazione e la collettività. L’assurda pregiudiziale familista di Mattia Feltri altera la normalità di questo rapporto, ledendo dunque, oltre al diritto della censurata, il diritto della collettività. Mattia Feltri, in prima battuta, telefona addirittura a Laura Boldrini perché si auto-censuri, una pretesa oscena). 2) “Lo faccio perché mi dispiace che sulla redazione di HuffPost – una redazione meravigliosa, di ragazzi che lavorano seriamente dalla mattina alla sera, che non si lamentano mai, che sono un esempio di dedizione e di correttezza – si sia riversato tanto malanimo ingiustificato – ma anche tanta solidarietà” (I redattori saranno anche meravigliosi, ma sul loro lavoro hai gettato un’ombra definitiva tu, con la tua censura a Laura Boldrini motivata da un’assurda pregiudiziale familista, di cui non si sapeva nulla. Spero se ne siano lamentati con te, in proporzione alla loro correttezza. Inoltre, evocare la loro dedizione è il tentativo di un argomento ad misericordiam, la fallacia emotiva che mira a suscitare pietà quando invece il tema richiederebbe un ragionamento logico. Ai redattori dell’HuffPost va la solidarietà di tutti per la sfiga di avere un direttore del genere). 3) “Ero convinto che la mia succinta risposta all’onorevole Boldrini dell’altro giorno fosse sufficiente per respingere attacchi e accuse surreali. Evidentemente non era così” (Le accuse non erano surreali, altra banalizzazione, ma giustificate; la tua prima risposta era inadeguata e adesso provi a metterci una pezza). 4) “Non nego, non ho mai negato, che questa volta intervengono questioni personali, del rapporto fra mio padre e me” (Ti si accusa di censura; e le tue questioni personali, che “non neghi”, sono emerse solo dopo il racconto di Laura Boldrini). 5) “Mi sono dato una regola: non parlo in pubblico di mio padre” (Quindi la tua regola va estesa a chiunque collabori al tuo giornale? Lo sanno i tuoi giornalisti? Esistono altre tue regole nascoste? La proprietà Gedi-Agnelli cos’ha da dire al riguardo?). 6) “Qualche volta vorrei difenderlo, qualche volta vorrei criticarlo, ma come si vede in queste ore non c’è serenità d’animo per accogliere le mie parole per quelle che sono: il mio pensiero” (Tuo padre ha attribuito la responsabilità di uno stupro alla vittima. Questo ha fatto indignare, perché su questo non ci può essere “serenità d’animo”. Non colpevolizzare questa giusta indignazione per giustificare la tua pregiudiziale familista). 7) “Non ne parlo e non voglio che se ne parli sul giornale che dirigo” (Grave errore deontologico: così hai censurato chi denunciava la colpevolizzazione di una vittima di stupro. Di più: hai reso opinabile tale colpevolizzazione).

(3. Continua)

 

B. non cambia mai solo la sinistra non se n’accorge

Lui promette, ma non mantiene mai, dice al Fatto, Barbara Guerra parlando di Silvio Berlusconi: constatazione di un’olgettina dalle aspettative tradite, che conferma una conclamata verità politica. Nello stesso giorno nel quale, infatti, il presidente-padrone di Forza Italia scompagina le carte annunciando che non voterà a favore del Mes in Parlamento. Narrazioni assai diverse, certo, ma ciò che conta è l’unicità del personaggio. Che resta sempre lo stesso, nelle cene eleganti (“non proprio eleganti”, sottilizza la Guerra) come nei giochi di potere. Dove il guanto di velluto serve soltanto a contenere tutto il cinismo necessario a disorientare il prossimo. Sia esso una bella ragazza che attende di essere pagata, oppure una maggioranza di governo a corto di voti al Senato. Stando alle cronache, l’ex Cavaliere dopo avere costretto Salvini&Meloni a votare lo scostamento di bilancio non poteva tirare troppo la corda con gli alleati sovranisti in vista dell’importante test amministrativo di primavera. E ha ceduto sulla riforma europea del meccanismo salva Stati. Si dice anche che non abbia voluto togliere le castagne dal fuoco al governo giallorosso, per mantenerlo debole e dunque meglio ricattabile.

Non si può non essere affascinati dalla molle arrendevolezza dimostrata dalla sinistra (e dai suoi derivati) ogniqualvolta il Caimano invece di azzannarla ha spalancato le fauci in un ghigno seduttivo. Dall’epoca dell’inciucio con Massimo D’Alema (il Dalemoni coniato da Giampaolo Pansa), fino al recente patto del Nazareno (con Matteo Renzi nei panni di Barbara Guerra) tutte le volte che B. ha stretto un accordo lo ha stracciato dopo avere ottenuto ciò che gli stava a cuore. Ieri come oggi la salvezza di Mediaset.

Anche questa volta, appena l’astuto rettile ha fatto gli occhi dolci auspicando “l’unità dei partiti per salvare gli italiani”, subito dalla maggioranza si alzato un peana inneggiante allo statista: quanto è buono lei. Ottenuto dal governo l’emendamento che gli interessava, per stoppare la scalata di Vivendi alle sue televisioni, ha ricambiato con il voto sul bilancio. Che era non solo un “modus Vivendi” (Mario Monti), ma anche il corrispettivo a una prestazione. Come con le ragazze. Anche sul Mes alla fine sarà lui a fissare il prezzo. Parafrasando Talleyrand, per Berlusconi la politica non è che un certo modo di agitare la controparte prima dell’uso.

FI ancella di Salvini, Letta furioso E Brunetta minaccia: “Vado via”

Mentre a Roma sta esplodendo il partito, dalla villa di Nizza della figlia Marina, Silvio Berlusconi è furioso. La fibrillazione fa temere anche per la sua salute, visti gli 84 anni e la guarigione dal Covid. Ma alle sue orecchie la voce dei filosalviniani di Forza Italia – Licia Ronzulli e Niccolò Ghedini (che ha in mano anche il dossier Mediaset con un possibile accordo con i francesi di Vivendi) – gli arriva troppo forte per non reagire: “Silvio, in diversi vogliono andarsene”. L’ex premier reagisce d’impulso, facendo arrivare a Roma un messaggio chiaro: “Nessuno si azzardi a fare dichiarazioni favorevoli alla riforma del Mes”.

E infatti da martedì mattina, quando Berlusconi si è dovuto piegare alla minaccia di Salvini (“Chi vota sì al Mes è fuori dalla coalizione”) posizionando Forza Italia sul “No”, molti azzurri non parlano. Né la capogruppo Mariastella Gelmini, né Renato Brunetta, i due che nelle scorse settimane avevano iniziato a trattare con il governo. Il partito è spaccato – da una parte i filoleghisti al Senato di Ronzulli e Bernini e dall’altra i filogovernativi alla Camera – e quindi Matteo Salvini non può che approfittarne dopo lo schiaffo preso sullo scostamento. Già giovedì in FI si temevano “ritorsioni” e così è stato: le telefonate tra Berlusconi e Salvini del fine settimana sono state gelide e i rapporti tra i due sono ridotti al lumicino.

Ora il leader del Carroccio però ha alzato il livello dello scontro: “C’è una parte di Forza Italia che vuole fare la stampella al governo e noi da ora in poi dobbiamo stanarla: o si sta con il centrodestra o con Conte”. E così è arrivata l’uscita sul Mes, seguita a ruota da Licia Ronzulli, che si ripeterà tutte le volte in cui FI vorrà aiutare la maggioranza, dalla manovra fino alla legge elettorale.

Al momento Berlusconi non può far altro che piegarsi, ché ci sono in ballo le candidature nelle grandi città e anche la Regione Calabria dove vorrebbe candidare Roberto Occhiuto, ma Salvini sta mettendo il veto. Resta il fatto che FI è in preda al caos: Gianni Letta è infuriato, mentre il gruppo della Camera è sull’orlo dell’ammutinamento. Ieri sera i deputati si sono riuniti per uno sfogatoio con Brunetta che addirittura minacciava “di andarsene”. La soluzione sarà meno drastica: una decina di deputati e almeno 5 senatori sono pronti a un’uscita tattica il 9 dicembre quando si dovrà votare. Una decisione che potrebbe pesare a Palazzo Madama dove le assenze dell’opposizione farebbero abbassare il quorum visto che non servirà la maggioranza assoluta, disinnescando i ribelli 5S.

Così l’ordine della maggioranza è tenere bassi i toni sperando che Berlusconi si ammorbidisca. In serata il dem Goffredo Bettini elogia Berlusconi e si dice “preoccupato” per la sua posizione sul Mes. E ieri è arrivato l’ennesimo rinvio sul forzista Giggino Cesaro, indagato per associazione mafiosa e scambio elettorale politico-mafioso continuato dal Tribunale di Napoli che da luglio chiede al Senato di poter utilizzare alcune intercettazioni che lo inguaiano: il renziano Giuseppe Cucca ha chiesto un supplemento di tempo per predisporre la sua relazione in Giunta per le autorizzazioni a procedere, dove i giochi li fa il presidente forzista Maurizio Gasparri. “Siamo al a Fra’, che te serve?” mastica amaro un 5Stelle.