La Corte dei Conti europea dice che la realizzazione del Tav Torino-Lione provocherà danni ambientali superiori ai benefici, con costi più alti del previsto e peraltro con un ritardo medio di 15 anni? Non importa, si farà lo stesso. La maggioranza dei partiti nel Parlamento europeo resta favorevole. Ieri la Commissione Trasporti ha respinto gli emendamenti M5S che chiedevano di rimuovere il Tav dai progetti cofinanziati nell’ambito delle reti trans-europee (Tnt) poiché, a giugno, i giudici contabili europei hanno messo in guardia Bruxelles con una netta stroncatura: oneri lievitati dell’85%, emissioni di anidride carbonica compensabili in ben 25 anni dopo la costruzione a patto di centrare le (sovrastimate) previsioni sul traffico etc.. “La Commissione – ha detto l’europarlamentare M5S Mario Furore – sottovaluta le pesanti critiche dei giudici contabili. Così si avalla di fatto il progetto Lione-Torino”. Favorevoli all’emendamento i verdi e i partiti di sinistra. Fronte comune in difesa del Tav, invece, da parte di popolari, socialisti, liberali e destra.
La sua squadraMonza, ieri tamponi sequestrati dai nas
Tamponi irregolari o eseguiti da personale non qualificato sui calciatori del Monza Calcio, la società da un paio d’anni di Silvio Berlusconi, e di altri club. Questa l’ipotesi su cui sta lavorando la Dda di Milano e che ieri ha portato al sequestro di un migliaio di test molecolari effettuati da inizio campionato ai calciatori del Monza.
I magistrati nomineranno un loro consulente per riesaminare gli esami e accertare che siano stati processati correttamente. I carabinieri del Nas di Milano intanto hanno posto i sigilli alle celle frigorifere in cui sono conservati i tamponi, a -80 gradi, nei Laboratori Analisi Mediche San Giorgio di Lodi e Pavia a cui il club si era rivolto per lo screening.
Nell’inchiesta coordinata dai pm Alessandra Cerreti e Silvia Bonardi è indagato Cristiano Fusi, medico sportivo incaricato dal Monza come consulente esterno per gli esami. Gli inquirenti puntano ad approfondire la correttezza delle procedure e l’attendibilità dei responsi forniti. L’intervento di ieri come prosecuzione di quanto era emerso il 23 novembre scorso con le perquisizioni da parte dei carabinieri e della guardia di Finanza dello studio privato di Fusi alla Clinica Madonnina di Milano oltre a quello presso la clinica Zucchi di Monza, in cui è responsabile dell’Unità Operativa di Riabilitazione Specialistica. L’accusa a carico del medico è di esercizio abusivo della professione medica. Oltre a lui, però, potrebbero esserci altri indagati nell’inchiesta che ha preso il via subito dopo l’estate con controlli anche nella sede della società Monza Calcio che tramite l’ufficio stampa aveva fatto sapere di non essere tra gli indagati. Gli inquirenti stanno lavorando su tutto il materiale acquisito nel corso delle perquisizioni effettuate nei confronti di Fusi esperto in riabilitazione e medicina dello sport che in passato ha seguito il Milan, la Nazionale oltreché la Nazionale magistrati.
“Lui promette, ma non mantiene mai Il giro esiste ancora”
“Lo scriva: io il 21 dicembre vado in aula e racconto tutto! Parlerò perché Silvio mi ha raggirata”. È un fiume in piena, Barbara Guerra, l’ex olgettina tornata al centro delle cronache per quel “Io lo ricatto di brutto” scritto in una chat alla collega di “cene eleganti”, Aris Espinosa, riemerso all’ultima udienza del processo Ruby Ter, il 30 novembre. Un’udienza sospesa perché i giudici hanno rivisto verso l’alto il valore delle due ville di Bernareggio (da 900 mila a 1,1 milioni di euro), nelle quali abitano Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli, altra olgettina. Due case che B., secondo le accuse, avrebbe dato loro in comodato d’uso gratuito per comprarne il silenzio sulle cene di Arcore. È in una di queste ville che incontriamo la Guerra. Seduta nella veranda disegnata dall’archistar Mario Botta, accetta di parlare.
Questa è casa sua o è di Berlusconi? Chi paga le bollette lei, o, come dicono i pm, Silvio?
Questa non è casa mia. Non ho alcun documento, sono un’abusiva. Non ho neanche il domicilio qui e col Covid rischiavo di essere multata ogni volta che uscivo. Silvio mi ospita, è casa sua e paga tutto lui.
Quindi il dubbio che sia frutto di un ricatto è lecito…
Ho avuto le chiavi della villa un anno e mezzo prima di venirci ad abitare. Se lo avessi ricattato ci sarei venuta subito. E se avessi avuto i soldi, ora sarei in America.
E perché allora le ha dato una villa gratis?
Ero una testimone, quando scoppiò lo scandalo, mi licenziai, avevamo sempre i giornalisti sotto casa, mi seguivano anche i maniaci. Silvio nel 2011 mi diede le chiavi e io sono entrata nel 2013. Prima di entrare, Silvio mi fece scegliere 100 quadri che poi trovai in casa. Nel 2015 poi aveva promesso di intestarmi questa casa, ma non l’ha fatto. Silvio fa così: promette e non mantiene mai.
Perché ha deciso di parlare ora?
Perché Silvio mi ha usata e raggirata.
Quando ha visto l’ex premier per l’ultima volta?
A febbraio scorso. Io non ho mai minacciato nessuno, ma non mi sento di pagare per cose di altri. Era lui che invitava a cena le minorenni e le ragazze.
Ha subito pressioni?
Sì, ma dal suo entourage, lui però sa tutto. Per esempio ho dovuto ritirare la costituzione di parte civile in un processo contro Nicole Minetti.
Ma Silvo l’ha pagata a lungo, no?
Nel “periodo delle olgettine” ricevevo un sussidio da 2.500 euro al mese, una misera. Nel 2015, ci ha convocato tutte e ci ha liquidato: 25 mila euro ognuna. Poi per due anni è scomparso. C’era la fila davanti al cancello di Arcore, eravamo tutte lì.
Da allora niente più soldi né lavoro.
Ho chiesto di tornare a Mediaset, lui prometteva e poi scompariva.
Si sente una vittima di Silvio?
So che sto rischiando. Ho provato più volte a denunciarlo per violenza e maltrattamenti psicologici, ma nessun carabiniere ha voluto verbalizzare la denuncia. Sono finita nello scandalo perché sono entrata in un sistema che non mi aspettavo. Mi ha danneggiata.
Sulle “cene eleganti” cosa vuole raccontare?
Non posso parlare, c’è il processo in corso. Però posso dire che sesso ad Arcore non ne ho mai visto. Non erano però proprio cene eleganti.
Però gli atti raccontano un’altra storia…
Mi ricordo il Capodanno del 2012 in Sardegna: 30 donne in piscina e il solo Silvio. Mi rifiutai di partecipare, andai in camera e ripartii subito. C’è anche un’intercettazione su quella vicenda, dove dico che così “si rischiano le malattie…”.
Un mondo finito?
Quel giro c’è ancora tutto. Fino a febbraio scorso sicuramente. Alcune sono ragazze degli anni passati, altre new entry e poi ci sono soubrette della tv. C’è anche un giro romano. Ma non è mai venuto fuori.
Olgettine e Stragi: I conti aperti di B. con i giudici
Chi l’avrebbe mai detto, che l’Archivio Mario Botta di Mendrisio, in Svizzera, dove sono conservati i disegni del Maestro, potesse diventare d’interesse non soltanto per studiosi d’architettura, ma anche per investigatori a caccia di corpi di reato? La villetta disegnata da Botta a Bernareggio, nei pressi di Monza (valore 1,1 milioni di euro), è – secondo il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio – una parte del prezzo della corruzione con cui Silvio Berlusconi ha convinto Barbara Guerra (e Alessandra Sorcinelli, sua vicina di casa in una villa gemella) a tacere e a mentire davanti ai giudici a proposito delle “cene eleganti” di Arcore.
Per questo il leader di Forza Italia è imputato di corruzione giudiziaria nel processo chiamato Ruby ter, assieme a 28 tra ragazze e testimoni. È uno dei cinque procedimenti giudiziari in cui Berlusconi, tornato oggi protagonista della politica, è ancora coinvolto. A Milano, Roma, Siena, Bari e Firenze.
Chi scrive l’ha sentito con le sue orecchie: in una pausa del processo Ruby 1, Berlusconi proclama sornione: “Quando uno ha una barca, non si deve preoccupare di quanto gli costa l’equipaggio”. Ciurma costosa e vita complicata, per il processo Ruby 3. È nato dal Ruby 1, si è moltiplicato per sette ed è poi diventato uno e trino: si svolge oggi a Milano, ma anche a Roma e a Siena.
Lo avvia la Procura milanese nel 2014, dopo che l’ex presidente del Consiglio è stato assolto nel processo Ruby 1 per concussione e prostituzione minorile. I giudici assolvono, ma mandano alla Procura una montagna di testimonianze che ritengono false. Infatti, secondo le prove raccolte dai pm, sono state rese in aula in cambio di soldi o generosi regali elargiti da Berlusconi. È così che nascono i racconti delle “cene eleganti” del 2010, conviviali, allegre, forse un po’ burlesque, ma senza sesso vero, senza balli erotici, toccamenti e travestimenti troppo stravaganti. Ben altra storia raccontano le poche ragazze che non si sono fatte comprare, e anche tutte le altre, nelle intercettazioni captate dagli investigatori. Nel 2016, Silvio Berlusconi viene rinviato a giudizio per corruzione in atti giudiziari. In compagnia di una trentina di testimoni accusati di concorso nel suo stesso reato o di falsa testimonianza. Ma il giudice dell’udienza preliminare, Laura Marchiondelli, accogliendo almeno in parte le richieste delle difese, decide di “spacchettare” il processo, di dividerlo in sette procedimenti, mandando le carte, per competenza territoriale, a sette diversi tribunali, nelle sette città dove si sarebbero consumati i reati contestati (cioè i pagamenti di Silvio ai testimoni): Torino, Pescara, Treviso, Roma, Monza, Siena. Oltre Milano, naturalmente, dove restano imputate 16 persone di concorso in corruzione (tra cui la ragazza da cui tutto iniziò, Ruby Rubacuori, ovvero Karima El Mahroug), con altre sette a cui è contestata solo la falsa testimonianza. Traslocano così a Torino il processo a Roberta Bonasia, una delle ragazze partecipanti alle feste. A Roma quello a Mariano Apicella, il cantante che allietava le cene eleganti: ha ricevuto 157 mila euro da Berlusconi. E a Siena quello a Danilo Mariani, il fedele e silenzioso pianista delle serate del bunga-bunga: a lui il generoso ex presidente del Consiglio ha effettuato bonifici per circa 170 mila euro in tre anni, dal 2011 al 2013. Trasferiti anche i dibattimenti di Elisa Toti e Aris Espinosa, a Monza; Miriam Loddo, a Pescara; Giovanna Rigato, a Treviso. C’è stato un momento in cui per seguire i processi del bunga-bunga ci voleva Google Maps.
Poi è successo che la Procura di Milano – con quei due pm, Siciliano e Gaglio, che non mollano l’osso – ha scoperto che ad alcune ragazze (Elisa Toti, Aris Espinosa, Miriam Loddo, Giovanna Rigato) i pagamenti (oltre 400 mila euro) sono continuati fino al novembre 2016. A pagare era l’inappuntabile ragionier Giuseppe Spinelli, il portafogli vivente di Berlusconi, il bancomat umano delle sue ragazze. E le pagava nel suo ufficetto di Milano. Così a Milano sono tornati i processi di Pescara, Treviso e Monza. E anche quello di Torino, perché l’appartamento dove Bonasia ha abitato gratis dal 2008 al 2016 era al ventiduesimo piano della Torre Velasca, altra icona architettonica di Milano. Sono dunque rimasti a Roma e Siena soltanto i dibattimenti musicali per Apicella e Mariani.
Oggi, a distanza di anni, il processo romano è ancora alle prime battute. La pandemia ha rallentato tutti i processi, anche quelli a Berlusconi, che a settembre si è ammalato di Covid-19. Dopo qualche udienza di smistamento, il dibattimento entrerà nel vivo il prossimo 15 dicembre. Il processo di Siena dovrebbe invece arrivare a sentenza a metà gennaio, dopo che la pm Valentina Magnini ha chiesto per il pianista Danilo Mariani una condanna a 4 anni e 6 mesi per falsa testimonianza; e a 4 anni e 2 mesi per Berlusconi, che ha promesso di venire a rilasciare dichiarazioni spontanee nell’udienza del 14 gennaio. Al processo di Milano, Barbara Guerra minaccia di venire a testimoniare contro Silvio nell’udienza prenatalizia del 21 dicembre, mentre in quella del 27 gennaio sarà di scena l’ineffabile ragionier Spinelli, quello che poverino doveva affrontare le ragazze e le loro inesauribili richieste.
Berlusconi è imputato ancora anche a Bari, prossima udienza 22 gennaio. È accusato di aver indotto un possibile testimone a mentire ai magistrati baresi, a suon di soldi: è Gianpaolo Tarantini detto Gianpi, l’intraprendente imprenditore pugliese che forniva ragazze a pagamento per le feste romane e sarde di Berlusconi.
A Firenze l’indagine più delicata: sulle stragi di mafia del 1993. La Procura fiorentina, che deve far luce sulla stagione stragista dei primi anni Novanta, ha di nuovo iscritto sul registro degli indagati Berlusconi e Dell’Utri, per verificare le parole pronunciate in carcere (e intercettate) dal boss di Cosa Nostra Giuseppe Graviano, gran regista delle bombe scoppiate “in continente”, a Firenze, Roma e Milano, nel 1993.
“Berlusconi mi ha chiesto questa cortesia, per questo c’è stata l’urgenza”, diceva Graviano nel 2016, intercettato, al suo compagno dell’ora d’aria, il camorrista Umberto Adinolfi. “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi”, spiegava Graviano. “E lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa”. Poi sbottava: “Trent’anni fa, venticinque anni fa, mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere. Poi mi è successa una disgrazia, mi arrestano, e tu cominci a pugnalarmi. Per cosa? Per i soldi, perché ti rimangono i soldi”. A Silvio rimangono anche il potere politico, le alleanze. E cinque processi.
L’affaire Siena spacca i giallorosa
Il tracollo di Unicredit in Borsa mostra che la strada per la politica italiana, o meglio la componente targata Pd, è in salita. Le frizioni con il consiglio di amministrazione, trascinate da oltre un anno per i risultati incerti, hanno indebolito l’ad Jean Pierre Mustier al punto che l’affare Montepaschi ha permesso la spallata, primo caso in Italia in cui un cda ha mostrato autonomia decisionale. Ma lo scontro inizia ora.
Mustier ha deciso di non effettuare acquisti sul mercato italiano: ha snobbato l’ipotesi di fusione con Ubi (poi assaltata da Intesa Sanpaolo) e un mese fa ha avallato la cooptazione dell’ex ministro Pier Carlo Padoan in cda per quietare lo scontro interno e le pressioni della politica. In un primo momento ha sperato di barattare la fusione con Mps in cambio del via libera del governo al progetto di raggruppare le attività estere in una subholding e quotarla a Francoforte, preludio forse per l’uscita dall’Italia del cuore strategico del gruppo e a una fusione con una banca europea. Un progetto inviso al cda e al governo, che ha sbarrato la strada. Saltato quello, lo scontro è virato su Mps.
Con la nomina di Padoan, destinato alla presidenza, il ministero dell’Economia punta a liberarsi della banca senese traghettandola con una bella dote pubblica in Unicredit. Se non fossero evaporati circa 45 miliardi nel falò senese, ci sarebbe un risvolto quasi ironico: il plurisecolare Montepaschi è stato schiantato dalle manie di grandezza di un ceto bancario lottizzato dagli eredi del Pci. La stessa area politica che oggi, da Padoan a Gualtieri, cerca di regalarne le spoglie, a carico dello Stato, a un’altra banca. Padoan da ministro ha nazionalizzato Mps e oggi tratta col suo successore il regalo Mps.
Quanto sarà il costo per lo Stato? Gli uomini di Gualtieri hanno infilato in manovra una norma per convertire due miliardi di crediti fiscali in caso di fusione. A questi vanno sommati 2,5 miliardi di ricapitalizzazione; una misura per agevolare l’uscita di seimila dipendenti (quasi 800 milioni) e lo scorporo delle cause legali in un veicolo con garanzia statale. A conti fatti, quasi sei miliardi che porterebbe lo Stato, post fusione, ad avere circa il 10% di Unicredit. Difficile che in Parlamento possa passare in cavalleria. I 5Stelle sono contrai. Alla Camera pendono due emendamenti: uno blocca il regalo fiscale del Tesoro, l’altro lo sposta in sede di aumento di capitale. In questo modo Mps si rafforzerebbe prima di fondersi con Unicredit e la quota dello Stato salirebbe intorno al 20%, rendendo più accettabile l’operazione. C’è pure chi sogna un polo bancario parapubblico con Pop Bari e Carige. Vasto programma.
Piano flop e scontri: così Mustier ha perso Unicredit
“Molti anni fa da ufficiale comandavo 30 paracadutisti. Se volevo che mi obbedissero davvero dovevo ottenere il loro rispetto: quindi saltavo dall’aereo per primo, correvo più di loro e portavo carichi più pesanti. Per chiedere tanto devi dare tanto”. La leadership non è bastata a salvare Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di UniCredit. In una riunione informale, domenica i consiglieri della seconda banca italiana, unico istituto nazionale considerato sistemico dalla Bce, lo hanno isolato: da un lato l’ad, arroccato sul suo piano industriale Team 23; dall’altro i consiglieri espressi dagli azionisti, che vogliono adattare il piano allo scenario Covid in modo da remunerare i loro investimenti. Così Mustier ha annunciato le dimissioni entro aprile 2021. Ma l’uscita del 59enne manager francese potrebbe avere perfino l’effetto paradossale di portare qualche banca francese al comando nel grattacielo di piazza Gae Aulenti a Milano dove ha sede UniCredit.
Le tensioni intorno all’ad si accumulavano da settimane. A inizio ottobre erano circolate voci sulla sua idea di proporre l’economista Lucrezia Reichlin come presidente. Una mossa per trovare un alleato in cda. Invece il 13 ottobre il consiglio ha cooptato come presidente l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. In ballo c’è il dossier aggregazioni. Restare da soli o andare a nozze grazie ai nuovi bonus fiscali da 5 miliardi per le unioni tra banche? E se questo matrimonio s’ha da fare, cercare un partner estero o in Italia, magari in quell’Mps “salvato” proprio da Padoan?
L’era Mustier, iniziata a giugno 2016, aveva visto subito la pulizia dei conti: UniCredit svalutò gli asset per 13,2 miliardi, chiudendo l’esercizio in perdita di 11,8 miliardi. A inizio 2017 scattò un maxi-aumento di capitale da 13 miliardi che diluì le storiche fondazioni azioniste che hanno sempre fatto il bello e il cattivo tempo nella banca e innalzò tra i soci BlackRock, Capital Group, Norges Bank. Per saziare l’appetito degli azionisti il Mustier ha inanellato una cessione dietro l’altra: in quattro anni UniCredit ha ceduto Fineco, l’asset manager Pioneer, la polacca Bank Pekao, la turca Yapi Kredi (perdendo 1,58 miliardi), l’ucraina Ukrsotsbank, le attività nelle carte di credito in Italia, Germania e Austria, la sua quota dell’8,48% in Mediobanca (che custodisce il controllo delle Generali). L’uscita da attività e mercati redditizi ha focalizzato eccessivamente la banca sull’Italia, dove economia e credito languono. In quattro anni in UniCredit il margine d’intermediazione è calato di 3 miliardi (-26%), i crediti deteriorati del 36% mentre il patrimonio netto è cresciuto di 10,6 miliardi (+21%). I bancari sono calati di un terzo, con 40mila uscite. Il titolo ha perso il 24,5%.
Con il piano Team 23, un anno fa Mustier aveva annunciato l’ennesimo taglio dei dipendenti: 8mila uscite, delle quali 5.500 in Italia, e la chiusura di altre 450 filiali. Nel quadriennio 2020-23 l’ad prevedeva di remunerare gli azionisti con 16 miliardi. Previsioni saltate per la pandemia: in un prospetto pubblicato il 20 novembre UniCredit ha scritto che “gli obiettivi finanziari di Team 23 per 2020 e 2021 non sono più rilevanti, sebbene siano confermate le priorità strategiche”. È sballato il costo del rischio, che al 30 settembre era di 81 punti base rispetto ai 49 del 2019 con attese a 100-120 per il 2020. Traballa anche la remunerazione degli azionisti: il 29 luglio la banca ha accettato di seguire le raccomandazioni della Bce, evitando dividendi e “buyback”, il riacquisto di azioni (per alzarne il valore) nel 2020, e attendendo l’ok per distribuire il capitale in eccesso.
La Borsa non ha preso bene la svolta: gli investitori temono la fusione di Unicredit in Mps ma non solo. In due sedute l’azione della banca milanese ha perso il 12,6%, bruciando 2,8 miliardi di capitalizzazione, due volte e mezza quella del Monte, salita del 6,8%. Secondo Mediobanca Securities, UniCredit è “una nave sicura, ben equipaggiata per la tempesta grazie a conti ripuliti, capitale forte, grandi accantonamenti Covid e diversificazione geografica”, ma ha “una valutazione di Borsa molto riduttiva” e l’abbandono del piano industriale “lascia la nave esposta alle onde e senza una chiara rotta alternativa. Il vuoto di leadership, la valutazione economica e fondamentali solidi potrebbero indurre altri a tentare di prenderne il controllo”. UniCredit sarebbe appetibile come “opzione strategica per le banche francesi per accedere alla Germania e moltiplicare l’accesso alle società europee. Un finale sarebbe paradossale: UniCredit più fragile uguale aggregazioni nazionali più difficili e maggiori possibilità di proprietà francese”. Proprio quello che molti, a partire dal Comitato parlamentare di controllo sui servizi (Copasir) imputavano a Mustier, temendo che il suo progetto di scorporare le attività internazionali per inserirle in una subholding quotata accelerasse una scalata dall’estero. A chi ricorda che “la pensione è la paura dei paracadutisti perché dà loro un senso di vuoto”, c’è chi ribatte che il paracadutista è saltato ma potrebbe tornare con i rinforzi.
Lega, s’indaga su chat e mail: “Molte sono state cancellate”
Capire il passato per decifrare il presente. La Guardia di Finanza di Milano da giorni sta analizzando chat, email e tutta la documentazione informatica sequestrata nel dicembre 2018 dalla Procura di Genova ad Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i commercialisti vicini alla nuova Lega di Matteo Salvini indagati nell’inchiesta milanese sui presunti fondi neri del partito e sul caso della fondazione regionale Lombardia Film Commission. Le accuse: evasione fiscale, peculato.
I magistrati liguri da tempo inseguono i 49 milioni di rimborsi elettorali scomparsi dalle casse della Lega. Il fascicolo per ora ha un solo indagato: l’assessore regionale lombardo Stefano Bruno Galli accusato di riciclaggio per la gestione dei fondi dell’associazione Maroni Presidente. A ottobre, poi, un vertice tra le due procure ha portato da Genova a Milano diversi documenti. Tra questi le annotazioni sui telefonini sequestrati a Di Rubba e Manzoni nel 2018. Lo studio delle chat e delle email è un elemento nuovo e fondamentale per ricostruire i contatti politici e i flussi finanziari legati al partito, anche al di fuori del recinto tracciato dall’indagine su Lfc. Flussi che potrebbero portare importanti novità non solo sul fronte dei 49 milioni, ma anche sui passaggi di denaro più recenti descritti in oltre cento segnalazioni della Banca d’Italia messe agli atti dell’inchiesta di Milano. La ricerca sui messaggi in chat e su quelli di posta elettronica punta poi a capire i rapporti tra i commercialisti e i vertici politici del partito, come il deputato e tesoriere della Lega Giulio Centemero che al momento non risulta indagato. Ecco allora perché il passato è così importante. Chat, email e documenti informatici appoggiati sui vari server tornano indietro di almeno quattro anni e cioè all’inizio del 2016. Il biennio successivo fino al 2017 è quello che interessa maggiormente visto che proprio nel 2016, a quanto emerge dagli atti dell’inchiesta milanese, sono iniziati i sopralluoghi per l’acquisto del capannone di Cormano da parte di Lfc, la fondazione di Regione Lombardia già all’epoca presieduta da Di Rubba. Nomina – metterà a verbale Manzoni davanti al procuratore aggiunto Eugenio Fusco e al pm Stefano Civardi –, voluta dallo stesso Centemero già nel 2014. Sotto la lente della Procura di Milano ci sono anche le chat tra i commercialisti e l’imprenditore Angelo Lazzari (non indagato) al quale sono riferibili diverse società lussemburghesi collegate, secondo i pm di Genova, agli interessi del duo leghista Di Rubba-Manzoni. E in Lussemburgo sarebbero transitati anche i 49 milioni. Di più: stando alla ricostruzione dei pm alcune fiduciarie di Lazzari, non indagato nel fascicolo milanese, controllavano indirettamente la Taac srl riconducibile a Di Rubba e Manzoni. La Taac, si legge negli atti, risulta coinvolta nelle triangolazioni finanziarie per occultare parte degli 800mila euro frutto della vendita del capannone di Cormano dalla società Andromeda a Lfc.
Lo studio sulle chat prosegue da poco meno di un mese. Centinaia i messaggi analizzati. L’idea degli inquirenti è quella di trovare elementi importanti in un periodo nel quale si presume che gli indagati, non ancora sotto i riflettori, fossero meno attenti nelle comunicazioni. Nonostante questo, già all’epoca diversi messaggi risultano cancellati. In particolare quelli con esponenti politici. In altri ancora leggibili, secondo l’accusa, compare anche Michele Scillieri, il terzo commercialista indagato e interrogato lo scorso sabato. Interrogatorio fiume durante il quale a Scillieri è stata mostrata anche parte della documentazione di Genova. Davanti ai magistrati l’indagato ha aperto quello che intercettato ha definito il suo “cassetto della memoria” sui passaggi di denaro della Lega.
Insomma l’indagine prosegue a ritmi serrati. Il 4 dicembre è fissata l’udienza davanti al Tribunale del Riesame per Francesco Barachetti, l’elettricista di Casnigo legato a doppio filo al partito e finito ai domiciliari il 13 novembre. Prima di questa data la Procura chiuderà il cerchio sulla vicenda Lfc con altri importanti interrogatori. Dopodiché la road map, a quanto risulta al Fatto, veleggia verso una richiesta di giudizio immediato cautelare a carico delle sei persone ancora sottoposte a misure cautelari: Di Rubba, Manzoni, Scillieri, Barachetti, Barbarossa e il presunto prestanome Luca Sostegni. La formula, introdotta nel 2008 dall’allora ministro leghista Bobo Maroni, si può chiedere entro 180 giorni dall’applicazione della misura se non vi sono ulteriori emergenze investigative e se la misura è ancora in essere. Tutti elementi che a oggi ricorrono per i sei indagati. Chiuso questo capitolo, l’inchiesta dovrebbe proseguire sui flussi finanziari e sui rapporti politici. Non va dimenticato, infine, che a Milano s’indaga anche per riciclaggio. Accusa contestata a Roberto Tradati, direttore della fiduciaria Fidirev sui cui conti è passata buona parte del denaro del caso Film Commission.
“Il capo indiscusso è zio Michele”
Michele Senese era il “capo indiscusso” della camorra romana e “dell’omonimo cartello del narcotraffico operante sulla Capitale”. “Lui comanda tutta Roma, qualsiasi cosa passa prima da lui e poi va avanti”. Dopo anni di inchieste, arresti e testimonianze, il bollino sullo status di “boss” ora ce lo mettono anche la Dda di Roma e i carabinieri del Nucleo investigativo, che ieri hanno eseguito un’ordinanza di arresto di custodia cautelare che ne ha di fatto spazzato via i luogotenenti sparsi su tutto il quadrante est della città. Fra questi nelle carte compare anche il nome Fabrizio Piscitelli, detto “Diabolik”, il capo ultrà della Lazio freddato con un colpo di pistola alla nuca il pomeriggio del 7 agosto 2019 nel parco degli Acquedotti a Roma. I fatti contestati risalgono in gran parte al periodo 2011-2013, prima della grande stagione degli arresti mafiosi. Diabolik era ancora vivo nel febbraio 2018, quando i pm Giuseppe Cascini e Barbara Zui hanno concluso le indagini, per poi attendere oltre due anni la disposizione degli arresti da parte del gip.
In carcere dal 2013 per l’omicidio di Giuseppe Carlino, avvenuto nel 2001, di Michele O’ Pazz, 63enne originario di Afragola ma a Roma da 40 anni, si è detto e scritto tantissimo in questi anni oltre – si dice – aver ispirato un personaggio della serie tv Gomorra (Giuseppe Avitabile, suocero di Genny Savastano). Ne ha scritto anche il Fatto Quotidiano, a più riprese. Le ultime inchieste, quella del 18 novembre 2019 sulla “Roma di Senese” e sulle piazze di spaccio gestito dal clan romano federato con i Pagnozzi di San Giovanni a Teduccio. O quella del 1° ottobre 2019 sui “Nuovi re di Roma narco-albanesi”, gli “eredi di Senese e Casamonica”, che hanno raccolto il testimone dopo la sua cattura. Quando nel 2017 il suo vecchio amico Massimo Carminati se l’è ritrovato nel cortile del carcere di massima sicurezza di Oristano, ha poi affermato: “Adesso posso prendere il sole con Michele Senese”. Oggi, il gip Luigi Balestrieri scrive: “Il marchio di fabbrica Senese viene utilizzato dagli affiliati per incutere timore e godere del dovuto rispetto nei rapporti con gli altri gruppi criminali operanti sulla capitale, esercitando una indiscussa forza intimidatrice sia negli ambienti malavitosi che nei confronti di ampi strati della cittadinanza ove è generalmente diffusa la paura nei confronti dei cosiddetti napoletani della Tuscolana”.
L’ordinanza di custodia cautelare colpisce tutto il clan Senese: il padre, Vincenzo, 84 anni, il figlio Enzo, 43 anni, e il fratello Angelo, 58 anni, reggente del clan fino al 7 luglio scorso, quando è stato arrestato nell’ambito di un’altra operazione sul riciclaggio condotta dalla Mobile di Roma. La Dda ha messo fine agli affari dei luogotenenti di Michele O’ Pazz: Davide e Guido De Gregori nei quartieri Tuscolano e Cinecittà, Ugo e Domenico Di Giovanni nella zona Tiburtina e Prenestina e Maurizio Monterisi a Tor Bella Monaca. Così potenti ma anche così “riconoscenti” verso i Senese, tanto da provvedere al mantenimento della famiglia mentre “zio Michele” è in carcere.
Roma, la Raggi tira diritto. I nemici sperano nel rinvio
Non si sposta e non si sposterà. Anche se il Pd e un bel pezzo del Movimento non aspettano altro. “Continuo ad andare avanti con determinazione, cosa potrebbe farmi desistere dal ricandidarmi?”, scandisce la sindaca di Roma Virginia Raggi, intervistata a Studio 24 su Rainews. E la domanda per lei è puramente retorica: “Nel 2010 ho contribuito alla nascita del M5S, ho aperto il gruppo del mio municipio, ho contribuito al successo nazionale con la mia vittoria a Roma”. Come a dire che lei non deve niente a nessuno, casomai si sente un valore aggiunto, quindi proprio non pensa al passo di lato.
Impossibile, anche se il 14 dicembre dovessero condannarla nel processo di Appello per falso ideologico, accusa da cui è stata assolta in primo grado. “Io vado avanti, in questo momento la città ha bisogno di una guida sicura”, risponde al giornalista che le evoca Chiara Appendino, la sindaca di Torino autosospesasi dal M5S dopo la condanna in primo grado. “Io sono onesta e porto avanti provvedimenti che sono fondamentali”, chiosa Raggi.
Fuori, però, c’è il Pd che la inonda di comunicati al curaro per le dimissioni del capo dei Vigili urbani, Stefano Napoli. “La città è allo sbando”, sentenzia il segretario dem cittadino, Andrea Casu. Mentre Matteo Salvini si palesa nel parco archeologico di Centocelle. E in mezzo ai ruderi prima la insulta: “Raggi dice che il centrodestra ha aperto i campi rom? Poverina, è scema”. Poi le recapita il milionesimo avviso di sfratto: “I romani ad aprile le daranno il bye bye”. Ma il Salvini che le promette il peggio non ha un suo candidato per Roma e ascolta senza entusiasmo il Berlusconi che nelle riunioni del centrodestra insiste per Guido Bertolaso. E a oggi un nome non ce lo ha neppure il Pd guidato da un segretario romano, Nicola Zingaretti. Consapevole di non avere molto altro tempo a disposizione, perché nel suo partito ormai lo sussurrano in parecchi: “Se continua così, sarà proprio Nicola a doversi candidare”. O, se non lui, il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. E alla fine si arriva al M5S, dove il leader di fatto Luigi Di Maio ogni volta che parla di Roma gioca di doppi sensi. Tra il ministro e la sindaca è tregua formale, dopo anni di gelo. Di Maio preferirebbe altro per il Campidoglio, qualcuno scelto assieme ai dem. Ma non può dirlo, non con un congresso ancora da chiudere e con Alessandro Di Battista, a naso il più popolare tra gli iscritti, primo tifoso della sindaca. Così aspetta, tenendosi sempre buono il piano B: il sostegno a un candidato dem al ballottaggio.
Nell’attesa si torna al punto di partenza, ossia a Raggi, che ricandidandosi in agosto ha giocato d’anticipo, puntando sulla lentezza e gli imbarazzi dei partiti. “Ci ho messo la faccia, ho avuto il coraggio di dire ‘mi candido per un secondo mandato a Roma’”, ha rivendicato non a caso ieri. Ben sapendo che la voglia di correre per una poltrona scomodissima ce l’hanno in pochi. E a complicare tutto è anche il rapporto tra i giallorosa, sempre alla ricerca di un centro di gravità permanente. Per questo nel Pd e in ampie porzioni del M5S quasi si aggrappano all’ipotesi di uno slittamento delle Amministrative dalla primavera a settembre, causa Covid. Mesi in più per rendere meno urgente la soluzione del rompicapo Roma, assieme a Napoli la più rognosa delle caselle da riempire. “Un rinvio è possibile”, soffiano ambienti di governo da un po’ di tempo. Invece dalla pancia del M5S, periodicamente, riemerge una carta alternativa a Raggi, il viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri: chirurgo candidato da esterno, quindi poco caratterizzato come grillino, conosciuto per le sue frequenti apparizioni in tv.
Sileri sa delle voci, qualcuno lo ha anche sondato. Ma non pare dell’idea. “A fine mandato tornerò a fare il mio mestiere”, ripete a tutti. Poi ci sarebbe la politica, come ha ricordato la settimana scorsa il deputato romano Francesco Silvestri, vicino a Di Maio. In una conference call con l’associazione Carte in regola, Silvestri ha sostenuto che il primo punto su cui ragionare per Roma “con le altre forze politiche” è una legge sui poteri speciali per la città. “E comunque noi non siamo l’Emilia-Romagna, che ha avuto le Sardine”, ha aggiunto. Ergo, non si potrà vincere giocando solo contro Salvini e le destre. E può valere anche per Raggi. Candidata, nonostante gli altri.
Conte al ristorante con il coprifuoco? Chigi: “Tutto falso”
“Il 31 ottobre alle 20.30 Giuseppe Conte e la fidanzata Olivia Palladino erano a cena in un noto ristorante stellato in zona piazza Montecitorio nonostante il coprifuoco: è lui il primo a trasgredire il Dpcm”. La voce della donna è decisa, il messaggio pure: secondo un audio anonimo, divulgato ieri da Dagospia e confermato da due fonti interne al ristorante, il presidente del Consiglio il 31 ottobre scorso avrebbe cenato da “Achilli al Parlamento”, enoteca in via dei Prefetti, a pochi passi dalla Camera, in barba al divieto imposto dal Dpcm da lui stesso firmato il 24 ottobre che imponeva la chiusura dopo le 18 di bar e ristoranti ammettendo solo il servizio da asporto. Il fatto però è stato smentito ieri sera dagli stessi proprietari dell’enoteca e da Palazzo Chigi che in una nota ha parlato di “notizie false, destituite di ogni fondamento, a carattere gravemente diffamatorio”. Nell’audio, la donna racconta che un’amica che “abita lì vicino” – di nome Beatrice – quella sera stava “cercando parcheggio per parcheggiare il suo Twizy” (il veicolo elettrico che ha bisogno della colonnina per essere ricaricato) e in quel momento “ha visto che nel posto che lei di solito utilizza c’era la macchina del nostro presidente Conte”. A quel punto, continua la ricostruzione, la donna si è “insospettita” e “conoscendo la proprietaria è entrata” ma quest’ultima le avrebbe intimato “di andarsene via”: “Bea per favore esci, non puoi trattenerti” le avrebbe detto. In quel momento la donna avrebbe visto “la fidanzata del nostro presidente Conte uscire dalla stanza dove stava mangiando e recarsi in bagno” prima di essere “messa alla porta” dalla “scorta di Conte”.
I proprietari dell’enoteca frequentata da molti politici però negano tutto: “Da quando è entrato in vigore il Dpcm a cena non è mai venuto nessuno e mai abbiamo somministrato alcolici – spiega al Fatto il responsabile Mario Falco Romano – e questo vale per Conte o per qualunque cittadino. Siamo solo aperti a pranzo o la sera per il commercio a dettaglio”. Conte e la compagna sono clienti dell’enoteca: “L’ultima volta che sono venuti qua era il 25 settembre, giorno del compleanno di Olivia”, racconta il proprietario. Una ricostruzione confermata anche da Palazzo Chigi che, dopo aver controllato l’agenda del premier, ha precisato che l’ultima volta che il premier ha cenato lì “risale a fine settembre”. Il proprietario dell’enoteca spiega che non avvierà alcuna azione legale nei confronti di chi ha diffuso l’audio perché “non sappiamo nemmeno chi è questa Beatrice”. Anche due dipendenti del market a fianco, davanti alla colonnina delle auto elettriche, dicono di “non aver mai visto Conte”. In questi giorni il premier è sotto pressione per un’indagine della Procura di Roma, nata da un esposto di FdI, per peculato che è stato trasmesso al Tribunale dei Ministri: il 26 ottobre, secondo la denuncia, la compagna di Conte si era rifugiata in un supermercato mentre un giornalista delle “Iene” le faceva alcune domande. A quel punto sarebbero intervenuti gli uomini della scorta del premier. In un’informativa inviata al Viminale si specifica che la scorta di Conte quel giorno era “in osservazione e controllo al di sotto dell’abitazione della compagna del premier” perché quest’ultimo si trovava nell’appartamento della Paladino. Entro 90 giorni il Tribunale dei ministri deciderà se archiviare il caso o meno.