Dalle novelle apocrife di Pietro Aretino. A quel tempo, Messer Damiano era uno dei mercanti più noti di Treviso. Importava da Venezia ogni sorta di mercanzia all’ingrosso, che rivendeva al dettaglio con profitto. Il commercio era la sua ossessione: non gli importava altro. Anche sua moglie, Madonna Eudora, aveva un’ossessione. Era una donna molto bella, dalla femminilità fremente, e al suo passaggio gli uomini si voltavano ad ammirarla, facendo convergere su di lei i loro desideri più roventi, come raggi del sole attraverso una lente biconvessa. I bei giovanotti erano la sua passione, e ogni giorno, approfittando del marito assente, ne conduceva in casa qualcuno. Non c’è da meravigliarsi: l’istinto di ogni donna la spingerebbe a concedersi a dieci uomini di seguito, finché fossero esaurite tutte quelle provviste di energia che un uomo solo non basta a esaurire.
Il marito non sospettava nulla, ma un giorno brontolò: “Cosa fai tutto il giorno, chiusa in casa? Come si può essere soddisfatti della propria vita, se non si commercia in qualcosa?”. Le aveva dato un’idea. Da quel giorno, ogni volta che il giovane di turno si scioglieva dal suo abbraccio e, seduto sul bordo del letto, cominciava a rivestirsi, Eudora esigeva un pagamento. “Giusto un pensiero, qualcosa di personale che mi ricordi di te. Una cosa bella, ma non troppo costosa”. Felice di cavarsela così a buon mercato, ognuno di loro le donava le proprie calzature, che lei ammassava in un magazzino inutilizzato dal marito. I calzolai di Treviso fecero fortuna. I nobili, salutate le mogli, si allontanavano con ai piedi preziose scarpette di velluto e seta; i commercianti con eleganti scarpe di tela ricamata; gli artigiani con raffinati scarponcini in pelle. E ciascuno, con grande stupore delle mogli, delle fidanzate e delle madri, tornava a casa scalzo.
Qualche anno dopo, Messer Damiano ricevette un carico di merci dalla Siria, e avendo il magazzino pieno aprì quello della moglie. Restò a bocca aperta: davanti ai suoi occhi, file e file di scaffali perfettamente ordinati esibivano un campionario di calzature dalla fattura eccelsa, come non se ne trovavano neppure nei negozi più lussuosi di Venezia; alcune anche di foggia straniera. Corse a casa, e chiese spiegazioni. La moglie scoppiò a ridere. “Credi che una donna non sappia comprare a molto e vendere a poco?”. “Guarda che è il contrario: si deve comprare a poco e vendere a molto”. “Sì, certo, naturale, è quello che intendevo. E non me la cavo male, come hai visto”. Damiano, contentissimo dell’inaspettato talento commerciale della moglie, si complimentò con lei, e la esortò a continuare, mettendole a disposizione altri magazzini. In breve, Madonna Eudora collezionò tante di quelle scarpe da poter calzare a nuovo tutti gli uomini della Serenissima. Ma il Tempo crudele, signore di tutto, un giorno soffiò su di lei il suo alito freddo. Il bel volto di Eudora prese a segnarsi di rughe; il suo corpo, florido e attraente, a rinsecchirsi; finché, un brutto giorno, nessun uomo la guardò più. Il suo appetito, però, non era cambiato: un bel toso le faceva ancora gola. Allora decise di fare il contrario: col belletto, poteva rimorchiare marinai in licenza, scaricatori di porto, facchini; e, dopo aver fatto l’amore, regalava a ciascuno un bel paio di scarpe dal suo campionario. Anni dopo, il marito scoprì che i magazzini della moglie erano quasi vuoti. Sbalordito, chiese spiegazioni. “Devi aver fatto affari d’oro!”. La moglie scosse la testa, e con un sospiro disse: “Tutte le scarpe, ahimé, se ne sono andate come sono venute”.