Ricoveri. “L’isolamento di anziani e disabili uccide quanto il Covid”

Lettera aperta. Caro Presidente Mattarella, caro Presidente Conte, caro Ministro Speranza, carissimo Papa Francesco. Sono uno delle centinaia di migliaia di caregiver che non fanno notizia. Appartengo a quel popolo di invisibili di cui ci si occupa, quando va bene, sotto le feste di Natale o in occasioni particolari, come il 2 Aprile, giornata mondiale di sensibilizzazione dell’autismo. Ho un figlio autistico, interdetto, che vive in una Rsd. Come potrei pretendere che oggi, per di più in piena emergenza Covid, ci si occupi di lui (ha quarant’anni) e di un genitore di 71 anni che vive da solo, dopo che un ictus ha colpito la madre di Gabriele, nostro figlio, costringendola a un ricovero prematuro in una Rsa?

Ci sono disabili e anziani segregati da mesi all’interno di strutture talvolta fatiscenti e insicure, di cui si prende frettolosamente nota solo quando la quantità di morti raggiunge un numero talmente “interessante” da garantire un’audience elevata nei Tg e talk show televisivi e perché no? “persino” in qualche interpellanza parlamentare. Poi ci sono tanti altri, altrettanto emarginati e soli: i senza fissa dimora, quelli che a causa del Covid hanno perso il lavoro, i “nuovi poveri” in giacca e cravatta… È giusto ricordare che ai disabili autistici sono stati permessi, e solo in poche Regioni, brevi rientri a casa solo dopo la seconda metà di agosto, al termine di una lunga vittoriosa battaglia… Eppure la specificità e la complessità della patologia autistica avrebbero potuto e dovuto suggerire ovunque il contrasto di ogni forma di isolamento sociale, prima ancora di qualsiasi altro intervento. Sarebbe stato necessario non smarrire i contatti con i familiari, con il contesto affettivo, con ciò che rimane di una vita segnata da dolorose e pesanti rinunce. Dalla fine di settembre, con l’avallo di presidenti di Regione e assessori alla Salute, sono state emanate ordinanze del tutto disattente alle caratteristiche dello spettro autistico. Per gli autistici ciò ha significato, e significa, nessuna terapia, nessuna riabilitazione, nessun rientro a casa, nessuna visita in struttura, nessuna attenzione ai loro stati d’animo, quasi ne fossero sprovvisti o non vivessero appieno le emozioni come chiunque altro. Parliamo di persone i cui i deficit di relazione e comunicazione rappresentano una cifra importante, essendo due tra le principali compromissioni.

Ebbene: oggi, in assenza di contatti con i familiari, l’unico loro riferimento è tornato a essere quello di operatori che indossano la mascherina e la visiera. Tanti che si aiutano col labiale non capiscono una sola parola di questi interlocutori e non riconoscono nemmeno il viso di chi hanno di fronte… Chi glielo spiega, allora, a Gabriele, come mai è risultato positivo al Covid e costretto a un deleterio periodo di isolamento, che ne ha ulteriormente aggravato la condizione psico-fisica? Chi gli ha trasmesso il Coronavirus visto che né lui né altri sono più tornati a casa? C’è relazione con la grave crisi che ha avuto i giorni successivi? La mia risposta è “sì”. Sono assolutamente convinto che questo è il prezzo che si paga (o meglio: quello che pagano tutti “i” Gabriele) a un sistema di cattività disumano e ingiusto, che esige un immediato cambiamento di rotta per non produrre danni ancor più devastanti.

Questa drammatica realtà non riguarda solo le Rsd, ma anche tantissime Rsa per persone anziane, dove il Covid continua a galoppare, nonostante gli ospiti siano reclusi da mesi… Chiudo rivolgendomi a te, Gabriele caro. Questa lettera, indirizzata alle massime autorità dello Stato e al Papa, finisce qui. Non finisce, invece, la tua e la mia battaglia, ciascuno nella modestia di ciò che rappresentiamo e di quanto riusciremo e sapremo fare. Resisti, ti prego, dammi la forza per andare avanti. Aiutami a far capire che per essere “realmente” vicini alle persone più fragili e alle loro famiglie è indispensabile che i diritti non siano affermati solo sulla carta, ma vengano riconosciuti, rispettati e soprattutto applicati.

Prof. Gianfranco Vitale

Il rito del dono, lezione per il virus

Una settimana fa, The Blank Contemporary Art, un’organizzazione culturale che si occupa da una decina d’anni di arte contemporanea, organizzata da un gruppo di ragazze che adesso vanno per la quarantina, mi ha invitato al loro Festival ArtDate.

L’argomento era il dono nelle opere di artisti contemporanei, anche stranieri, io dovevo invece parlare del dono dal punto di vista economico. A causa del Covid il festival per queste ragazze si è risolto in un bagno di sangue, molti artisti stranieri non sono potuti venire e ovviamente mancava il pubblico. Nonostante Bergamo non sia una città attualmente tranquillizzante (ma anche Milano è in “zona rossa”), ci sono andato per gratificare la serietà e lo sforzo di queste ragazze che mi avevano contattato già ai primi di maggio (e poi non datemi del misogino, stronze). Per me, che ero il solo presente fisicamente, c’erano addirittura due allampanate tipe che traducevano per i sordi.

Dunque il dono. Per migliaia di anni, dall’8000 al 3000 avanti Cristo circa, nel periodo paleolitico e poi neolitico, la sola forma accettabile di scambio è stata quella del dono e del controdono. Lo scambio, che era fra tribù, collettivo, non era quasi mai contestuale, avveniva in tempi diversi e non aveva un contenuto economico, né necessariamente il controdono andava alla tribù che l’aveva fatto. Forse nessuno meglio di Marcel Mauss ha spiegato il singolare circuito del dono e del controdono, in Melanesia chiamato kula, che significa circolo, ma abituale in quasi tutti i popoli che si affacciavano sul Pacifico: “Un anno una tribù parte dalla sua isola a bordo di una nave vuota e fa il giro dell’arcipelago tornando carica di doni. L’anno successivo un’altra tribù fa lo stesso giro in senso inverso. E così via. Non necessariamente la tribù dà i suoi doni a quella da cui li ha in precedenza ricevuti, capita che li dia a una tribù terza, ciò che conta è che questa sia inserita nel giro del kula” (M. Mauss, Teoria generale della magia). Lo scambio individuale, detto gimwali, è proibito o comunque malvisto perché incrina l’unità e la solidarietà del gruppo che in quelle società è il valore in assoluto primario. In tali società non esiste nemmeno il concetto di economia, perché l’economia nella vita tribale si diluisce, si confonde, si incorpora in una così fitta rete di rapporti sociali, religiosi, magici, interpersonali, di amicizia, che è pressoché impossibile isolarla ed enuclearla dal resto. Poiché il controdono è abitualmente superiore al dono, alcuni economisti classici hanno affermato che in realtà si tratterebbe di un prestito a interesse. E in effetti i pellerossa dicono (o dicevano) che “il dono è un peso che si mette sul gobbo di colui che lo riceve”. Ma si tratta di una questione di onore e di prestigio che nulla ha a che fare con l’economia.

Nulla illustra meglio questa concezione di quello straordinario istituto che è il potlach, dove un capo tribù distrugge quanto più può della propria ricchezza proprio per dimostrare la sua potenza (oppure l’intera tribù la sperpera – noi moderni che abbiamo il concetto di investimento diremmo così – in banchetti, feste nunziali o altro genere di gozzoviglie). Bisogna quindi rassegnarsi al fatto che il primitivo non è un homo oeconomicus e che la storia non è una inevitabile ascesa verso il mercato e il denaro i cui presupposti sarebbero stati presenti fin dalle età più antiche.

Col progredire dell’evoluzione, se vogliamo chiamarla così, le tribù e le stesse famiglie si sparpagliano, per cui il circuito del dono e del controdono man mano si disperde. Già Esiodo ne Le opere e i giorni (VIII-VII secolo a.C.), aveva notato un cambiamento essenziale, alla tribù, al clan, dove la solidarietà è implicita perché l’individuo progredisce o perisce con esso, si sostituisce il vicino di cui il poeta ha un giustificato orrore. Perché il vicino lo si aiuta pensando che a sua volta, quando saremo in una qualche difficoltà, aiuterà noi. C’è quindi un calcolo, che se non è ancora propriamente economico in qualche modo gli assomiglia.

Sorvolando poi questa storia a volo d’uccello, inizia l’era dei grandi Imperi fluviali, mediorientali: Sumeri, Assiri, Babilonesi, Ittiti, Harappa, Egizi. Qui la ricchezza è accumulata nelle mani di un re, imperatore o faraone che sia, di origine divina o egli stesso un dio (sia detto di passata, in Oriente non si è mai concepita la figura di un capo supremo che non avesse origine divina, solo questa origine lo legittimava al comando, un riflesso moderno di questa concezione si ha nel Giappone dove il Mikado è stato un dio fino a quando gli Americani vincitori non lo costrinsero a dedivinizzarsi) che, attraverso la sua burocrazia, distribuisce la ricchezza ai sudditi. Entra in campo però anche lo scambio individuale che è basato sul concetto di equivalenza. Poiché è diventato ormai in larga misura indispensabile lo scambio individuale, una volta osteggiato, è consentito ed è sottratto al regime faticoso e dispendioso del dono e controdono, ma deve avvenire secondo certe equivalenze prefissate fra bene e bene in modo che non ci sia profitto di una delle parti a scapito e con danno dell’altra. Oppure, se vogliamo vederla da un’altra angolazione, il guadagno deve essere uguale per entrambe. È insomma la condanna del mercante. Il perché lo spiega bene Aristotele nell’Etica Nicomachea: “L’esistenza stessa dello Stato dipende da questi atti di reciprocità programmata… quando esse venga a mancare non è più possibile alcuna forma di compartecipazione, mentre è proprio tale compartecipazione che ci tiene uniti”. Come sottolinea il filosofo, anche qui i valori primari restano l’unità e la solidarietà del gruppo. Questo modo di pensare lo si riscontra ancora in alcuni popoli che chiamiamo “tradizionali”, e che sono stati fra noi fino a epoche recentissime. Per i Curdi, finché sono esistiti come tali, e gli Hunza, popolo dell’Asia centrale, il furto è punito più dell’omicidio, perché l’omicidio può avvenire in seguito a ira, onore, gelosia, cioè per i tradizionali moti dell’animo che, checché se ne dica oggi, non sono comprimibili, mentre il furto, a meno che non sia compiuto in stato di necessità, allora viene perdonato, incrina la fiducia e la solidarietà del gruppo.

La solidarietà oggi, in epoca di Covid, viene richiamata un po’ da tutte le Autorità proprio perché in epoche di calamità la solidarietà e l’unità di un popolo è particolarmente necessaria. Ma di questa solidarietà in giro, a dispetto di tutti gli altisonanti proclami, se n’è vista pochissima. Ha prevalso la paura reciproca (“noli me tangere”). In quanto agli uomini politici non fan altro che strumentalizzare la situazione per loro fini particolari e addirittura Silvio Berlusconi, il “delinquente naturale” come l’ha definito la Cassazione, si propone come “padre nobile” non solo della destra (chiamiamola in tal modo, anche se così si fa un insulto alla Destra), ma del Paese, proprio in nome di questa solidarietà.

Ribadisco un concetto che mi è proprio e caro: si stava meglio quando si stava peggio. Persino nel paleolitico.

 

Vivendi, e i francesi che s’incazzano…

Stefano Patuanelli è il grillino che piace alla gente che piace: i giornali non gli riservano il trattamento destinato agli altri “scappati di casa”, persino l’assemblea di Confindustria l’ha applaudito felice e ora forse avrà un albero a suo nome nel giardino di Arcore. Solo in Francia, pare, non siano tanto contenti di lui. Giovedì Il Corriere della Sera ha scritto che “la manovra di sbarramento a Vivendi su Mediaset mette sotto pressione Tim”: in sostanza, svela il pezzo, i consiglieri in quota Bolloré (primo socio col 24%) si sono presentati nel cda dell’ex monopolista telefonico a dare una bella strigliata all’ad Luigi Gubitosi facendo capire che ad aprile, quando verranno rinnovati i vertici, hanno tutta l’intenzione di comandare. Ieri Il Sole 24 Ore ci ha fatto sapere che la questione Vivendi vs Mediaset sarebbe stata trattata nell’incontro tra il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire e proprio Patuanelli: “La media company che fa capo a Vincent Bolloré non ha preso bene – per usare un eufemismo – l’emendamento ‘salva-Mediaset’, approvato proprio ieri in via definitiva alla Camera col decreto Covid, che di fatto scuda il Biscione – almeno temporaneamente – dagli effetti della sentenza Ue che ha mandato in soffitta la legge Gasparri’. Insomma, Vivendi è fuori dalla grazia di dio e, com’era prevedibile, si prepara alla ritorsione facendo valere la sua quota in Tim. Curiosamente lunedì proprio il ministro dello Sviluppo economico, il vero autore dell’emendamento salva-Mediaset, aveva escluso questa possibilità al Fatto: “Bolloré è un grande imprenditore, capisce l’importanza della rete unica anche per Vivendi, non credo vorrà sabotarla per ripicca, chi fa impresa capisce ciò che conta”. E infatti ha capito che rischia di perdere una fracca di soldi e ha fatto quello che fanno i francesi secondo Paolo Conte: s’è incazzato. Forse per ammansirlo Patuanelli potrebbe raccontargli quella spassosa storiella dell’emendamento nato per sterilizzare una sentenza sul caso Mediaset vs Vivendi che favorisce la prima, ma solo come “effetto indiretto” perché “la norma è generale e in futuro potrà riguardare aziende diverse”. Provare non costa nulla: quante volte una bella risata ha risolto una situazione difficile?

La giustizia sportiva non può essere al di sopra dello Stato

La Corte sportiva d’Appello nazionale, presieduta da Piero Sandulli, ha respinto il ricorso che la “Società sportiva calcio Napoli” aveva proposto contro la decisione del giudice sportivo di sanzionare la società con la sconfitta a tavolino, per 3 a 0, e con la penalizzazione di un punto in classifica per non essersi presentata a Torino il 4 ottobre per disputare la partita contro la Juventus. Il verdetto di Appello è stato durissimo poiché accusa la società del Napoli addirittura di “slealtà” e “scorrettezza” col rischio di un deferimento alla Procura federale. Afferma la Corte: “La Società ricorrente merita di essere sanzionata con la sconfitta a tavolino dell’incontro Juventus-Napoli, previsto per il 4 ottobre, oltre alla penalizzazione di un punto in classifica da scontarsi nella corrente stagione sportiva perché, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non si è trovata affatto nella impossibilità oggettiva di disputare il predetto incontro, avendo, invece, indirizzato, in modo volontario e preordinato, la propria condotta nei giorni antecedenti all’incontro nel senso di non disputare lo stesso, con palese violazione dei fondamentali principi sui quali si basa l’ordinamento sportivo, ovvero la lealtà, la correttezza e la probità”. In realtà, a seguito della positività di due calciatori del Napoli al Covid, l’Asl aveva disposto l’isolamento fiduciario per 14 giorni attesi i contatti stretti avuti con i due calciatori e l’insussistenza delle condizioni per intraprendere il viaggio verso Torino. Disposizione ribadita anche dal Capo di gabinetto della presidenza della Regione Campania. Conseguentemente, la società aveva obbedito all’ordine esplicitamente ricevuto dalle autorità sanitarie locali.

Orbene, al di là delle espressioni al limite della diffamazione, quello che va rimarcato con forza è che la sentenza in questione tende ad affermare la supremazia assoluta dell’ordinamento sportivo su quello statuale. Ancora una volta, i giudici hanno fatto quadrato intorno alla intangibilità delle regole sportive – (nella specie, i protocolli in materia di Covid) – che non tollera interventi di altre autorità, anche se pubbliche: in sostanza, le Asl non possono – addirittura in tempo di emergenza sanitaria – affermare le loro priorità nei confronti del calcio. Si tratta di una tesi inaccettabile perché le leggi dello sport non possono sovrapporsi a quelle dello Stato, soprattutto se, come nella specie, si versa in tema di norme penali che ordinano di tenere determinati comportamenti sanzionando la loro inosservanza. Infatti, l’art. 650 c.p. statuisce che “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene, è punito”.

Ora, in un mondo qual è quello del calcio – contrassegnato da continui scandali, che hanno dato luogo a ripetuti commissariamenti straordinari della Figc, caratterizzato dal predominio della Lega sulla Federazione con il relativo controllo di quell’organo strategico che è il Consiglio federale che ha competenza, tra l’altro, in ordine alla nomina dei componenti degli organi di giustizia sportiva – è forse giunto il momento di emanare una nuova normativa che regoli diversamente i rapporti tra Figc e Lega, riducendo poteri e competenze di quest’ultima, intrisa di interessi economici giganteschi, e che riveda i criteri di nomina del presidente della Federazione e la composizione del Consiglio federale e che – pur non mettendo in discussione l’autonomia della giustizia sportiva – imponga più trasparenza agli organi di giustizia, iniziando con il togliere al Consiglio federale la nomina dei giudici sportivi – per lo meno quelli che compongono la Corte sportiva d’Appello nazionale, il Tribunale federale e la Corte d’Appello federale, assegnandone la competenza al ministro dello Sport.

 

Il Papa “comunista” leader planetario nella pandemia

 

“Le diseguaglianze portano le persone all’infelicità e minano la stessa efficienza economica di un sistema”.

(da Solidarietà, un’utopia necessaria di Stefano Rodotà – Laterza, 2014 – pag. 81)

 

Da domani, domenica 29 novembre, cambia il Messale. È il libro liturgico che contiene tutti i testi, le orazioni e i canti per celebrare la messa. Ma l’evento non riguarda soltanto i credenti: a livello mediatico, può riguardare anche i miscredenti e i non credenti, come “effetto collaterale” della testimonianza.

Due sono le modifiche principali introdotte da Papa Bergoglio. La prima è che d’ora in poi il sacerdote non si rivolgerà più ai fedeli chiamandoli “fratelli”, soltanto al maschile, bensì “fratelli e sorelle”. Mentre nel Padre nostro, la preghiera più popolare, non si dirà più “non indurci in tentazione”, ma piuttosto “non abbandonarci alla tentazione”. Fede a parte, che cosa significano queste modifiche? Quale messaggio possono comunicare anche ai laici, agli atei o agli agnostici?

La prima riguarda la donna, quella figura femminile spesso trascurata o peggio demonizzata dalla morale vagamente sessuofobica della Chiesa, come simbolo della tentazione e del peccato. Creata – secondo la Genesi – da una costola di Adamo, è stata sempre considerata alla stregua di un essere di rango inferiore, quasi un’appendice, una propaggine dell’uomo. E infatti le donne non possono (ancora) celebrare la messa. Ora, però, diventano “sorelle” e vengono messe alla pari dei “fratelli”. Acquistano, sul piano liturgico, una propria identità e dignità. Ed è un segnale importante anche per il resto della società, soprattutto per quella parte deteriore che sconfina nella discriminazione, nella violenza o addirittura nel femminicidio.

L’altra modifica, introdotta da Papa Francesco, riguarda il rapporto fra il Padreterno e i suoi fedeli. Già, perché mai Dio dovrebbe indurli in tentazione, come per metterli alla prova e spingerli a peccare? Lasciamo stare qui le diatribe sulla traduzione di quella frase dal latino, dal greco o dall’aramaico. Certo è che non corrisponde all’immagine di un Padre buono e misericordioso, pronto a perdonare e a redimere, a non “abbandonarci” – appunto – alle lusinghe della tentazione. E perciò, la correzione papale lascia la porta aperta anche ai non credenti, uno spiraglio di fiducia e di speranza.

Non c’era bisogno di aspettare le modifiche al Messale, nello stesso tempo lessicali e sostanziali, per capire che il Papa “comunista” tende le braccia al suo popolo e all’intera umanità, per ridurre le disuguaglianze, promuovere la giustizia sociale e la solidarietà. Un Pontefice “venuto dall’altra parte del mondo”, come si definì lui stesso, riferendosi ai più poveri, ai disereditati e agli emarginati. Non a caso si chiamò Francesco, perché “quel nome – come scrisse don Antonio Sciortino, allora direttore di Famiglia Cristiana – è già un’enciclica”.

Nel momento in cui la Chiesa attraversa uno dei momenti più travagliati della sua storia, fra scandali finanziari, giudiziari e sessuali, la predicazione di Bergoglio è una profezia quotidiana che – dall’ambiente all’immigrazione – si rivolge a tutti, senza distinzioni di genere, nazionalità o appartenenza. Compresi coloro che praticano altre religioni o non ne praticano nessuna. Se Francesco è un “comunista” o un “rivoluzionario”, lo è come Cristo che cacciava i mercanti dal tempio, moltiplicava i pani e i pesci, guariva i ciechi o gli storpi e perdonava la prostituta. Un leader planetario, un punto di riferimento sia per chi crede sia per chi non crede in questi tempi cupi di pandemia.

 

Contratti. Ue per i vaccini, il segreto è inaccettabile

L’urgenza di produrre e rendere accessibile un efficace vaccino anti Covid-19 ha spinto la Ue a promuovere una strategia comune. La Commissione Ue per la Salute sta attivamente lavorando per ottenere un portfolio di vaccini quanto più ampio possibile, includendo vaccini prodotti utilizzando diverse tecnologie. In questo periodo la negoziazione con le big Pharma è intensa e molti contratti d’acquisto anticipato sono già stati stipulati con Johnson & Johnson (J&J), AstraZeneca, Sanofi-GSK, Janssen Pharmaceutica NV, BioNtech-Pfizer e CureVac e negoziazioni sono in corso con altre compagnie, inclusa la Moderna. È stata così garantita la disponibilità di 1,2 miliardi di dosi di vaccini.

La pandemia attuale sta, quindi, accelerando un processo di unificazione verso un singolo mercato comune europeo, nel campo della farmaceutica, dei vaccini e in generale in ambito di salute pubblica. Si potranno evitare così duplicazioni tra la comune Agenzia europea per i medicinali (Ema) e le varie agenzie nazionali dei farmaci, inclusa l’italiana Aifa. La centralizzazione delle procedure di negoziazione comporta indubbi vantaggi, ma ciò non può essere realizzato a scapito della mancata adempienza ai principi fondamentali di trasparenza ed equità, specialmente quando siano implicate ingenti risorse di denaro pubblico.

Vediamo allora come il Parlamento Ue sta agendo in tema di vaccini anti Covid-19. In una dichiarazione dalla commissaria alla Salute Stella Kyriakides, presentata il 12 novembre scorso, si auspica che “la vaccinazione, una volta che disponiamo di un vaccino di provata efficacia e sicurezza, giocherà un ruolo chiave: nel salvare vite umane, nel contenere la pandemia, nel proteggere il sistema sanitario, e nell’aiutarci a recuperare le risorse economiche perdute”. Nella stessa relazione si riconosce l’importanza della trasparenza in questi processi, ma viene ammesso anche che “a causa della elevata natura competitiva del mercato globale la Commissione è legalmente non in grado di rivelare le informazioni contenute nel contratto”. La stessa opinione è stata espressa dal portavoce della Commissione Ue Stefan de Keersmaecker. La Commissione, quindi, afferma di non poter decidere unilateralmente di rivelare informazioni sensibili sulla negoziazione dei vaccini anti Covid-19 senza il consenso delle parti implicate. Ma perché la Commissione ha deciso di derogare ai suoi doveri in materia di trasparenza verso i cittadini Ue che dovrebbe rappresentare e servire, preferendo salvaguardare la segretezza in trattative economiche con le big Pharma, condotte per lo più con impiego di fondi pubblici?

Durante il precedente governo Conte-1, l’allora direttore generale dell’Aifa, Luca Li Bassi, ha introdotto la trasparenza in medicina come una problematica globale durante la World Health Assembly, approvata il 28 maggio 2019 dalla quasi totalità dei 194 Paesi presenti, a eccezione di Germania, Inghilterra e Ungheria. L’obiettivo della sua iniziativa, in rappresentanza del governo italiano, era di promuovere riforme in ambito nazionale, europeo e globale per il conseguimento di farmaci di qualità, vaccini, test diagnostici, e nuove tecnologie mediche. Il suo lavoro nella definizione del Global Price Reporting Mechanism al Global Fund è stato riconosciuto da una moltitudine di esperti e di rappresentanti politici come un esempio di fattibilità dell’implementazione di politiche di trasparenza nel settore farmaceutico. Una lettera di sostegno a lui e alla sua iniziativa è stata all’epoca indirizzata all’attuale ministro italiano delle Salute affinché consentisse a Li Bassi di continuare la sua linea di programma. Il ministro decise invece, nella piena applicazione del principio dello spoils system, di nominare un altro direttore generale che non ha continuato la missione di Li Bassi.

L’assenza di trasparenza nella negoziazione sui vaccini Covid-19 sta frustrando il tentativo Ue di unificare in un singolo mercato tutti gli Stati membri e lascia spazio alla competizione dei vari Paesi per una migliore offerta, per migliori condizioni o per un diritto di priorità. In aggiunta, l’urgente necessità globale di vaccini anti Covid-19 ha fornito alle big Pharma una posizione di particolare forza contrattuale. Se avessimo perseguito e incoraggiato l’obiettivo di una chiara e trasparente equità in materia di salute globale, avremmo potuto ora trattare con le big Pharma in una posizione migliore, evitando asimmetrie deprecabili nell’accesso alle informazioni, nell’affare più redditizio in questo campo: quello dei vaccini anti Covid-19.

* ex Sottosegretario alla Salute, ospedale Sant’Andrea (Roma)
**ex capo della Segreteria del sottosegretario alla Salute, Università Sapienza (Roma)

 

Sesso con gli ortaggi, “Il segreto” e pregiudizi un tanto al chilo

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Italia 1, 21.20: Freedom – Oltre il confine, documentario. Scienza, storia, mistero e avventura: ecco la ricetta del programma condotto da Roberto Giacobbo. La puntata di questa sera ripercorre le gesta di Jan di Omsk. Alchimista, barbiere e dentista (inventò l’amalgama di caramello), Jan fu cacciato dalla scuola di igiene navale perché si ostinava a sostenere che la Terra fosse un solido a forma di molare. Per dimostrarlo, si fa ricevere a corte da re Werther l’Intenso, e gli chiede di poter salpare verso terre nuove da cui tornare con gemme, pellicce e malattie veneree. Impressionato dal forte temperamento di Jan e dalla sua logica stringente, re Werther lo fa seppellire vivo dentro un formicaio, ma Jan si libera e salpa per Chicago, che lui per sbaglio chiama Abbiategrasso, un errore che causa una tragica confusione per più di cinque secoli.

Rai 3, 15.00: TvTalk, attualità, ideato e condotto da Massimo Bernardini. Siamo sicuri che Bernardini, già capo della redazione spettacoli di Avvenire, approdato in Rai da Tv2000 (la tv della Cei che Bernardini contribuì a creare), sia la persona più adatta a giudicare serenamente i programmi tv? Per esempio, sulla chiusura di Satyricon (editto bulgaro) scrisse: “Illegittimo pensare che alcune provocazioni di Luttazzi non fossero da servizio pubblico? Questa è nuova censura”. Bernardini vittima di censura. Infatti in Rai ci sto io. E proseguì: “Non c’è solo Travaglio; c’è la faccenda della ‘finta cacca’, delle mutandine dell’attrice, del linguaggio scurrile…”. Però non si lamentò del linguaggio scurrile quando TvTalk elogiò South Park e i Soliti Idioti. Mmmm. Non è da escludere, allora, che al cattolico Bernardini urtasse la satira anti-cattolica e libertaria di Satyricon, il talk dove ospitai anche Marco Pannella, su cui vigeva un tacito veto. A chi rimarcò, su Twitter, che Bernardini aveva trovato giusta la chiusura di Decameron a La7 (“legittime scelte editoriali”) (Decameron fu chiuso in modo pretestuoso dal direttore Campo Dall’Orto prima della sesta puntata, che si apriva col monologo sulla Spe Salvi di Ratzinger) (anni dopo, Bernardini twittò: “Dopo la presidente Maggioni anche quella del dir. gen. Campo Dall’Orto mi sembra una bella scelta per @RaiTv”, tutto si tiene, sempre), Bernardini rispose: “Ma Luttazzi santo e martire tutta la vita? Pensiero unico è condividerne il pensiero (ricordo un Moro inaccettabile)”. Lorenzo Grossi replicò: “E infatti la sodomia di Andreotti da parte di Moro era una balla assoluta come poi confermò la Procura di Genova”. Come si vede, pregiudizi un tanto al chilo. A proposito: è vero che un figlio di Bernardini lavora come autore a La7? Sarebbe un piccolo conflitto di interessi, per uno che vuole fare il critico tv…

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Protagonisti sprecati per una storia che non decolla.

Rai 1, 21.25. Superquark, documentario. Piero Angela, a 91 anni, ha perso del tutto i freni inibitori, a giudicare da come introduce il primo filmato, dedicato alle meraviglie della natura: “Da anni coltivo un orto e un giardino. Non allo scopo georgico di raccogliere piselli e tulipani, ma per fare sesso con gli ortaggi”.

Canale 5, 16.20: Il segreto, telenovela. Donna Isabel accusa Rosa di essere un’assassina. Rosa la uccide.

In Lombardia è ora di capire gli errori

La Lombardia, come tutte le altre regioni italiane, dopo le attuali misure anti-Covid 19 sta mostrando un lieve miglioramento, con la speranza di passare dal “rosso” all’”arancione”. Rimane, però, sempre suo il primato degli indici negativi di questa pandemia, decessi, ricoveri, positivi. Eravamo abituati a sentirci, noi sanitari lombardi, un’eccellenza indiscussa e, siamo sinceri, guardavamo a volte con un certo senso di superiorità le altre realtà italiane, con commiserazione per quei cittadini che, spesso, per trattamenti sanitari efficienti e all’avanguardia, migravano con notevoli disagi, non solo economici. L’emergenza Covid ci ha, improvvisamente, sconvolti e fatti rimbalzare nelle graduatorie. Da marzo siamo i più colpiti, più in crisi per mancanza di posti di terapia intensiva, con il maggior numero di decessi e RSA rivelatesi insicure. Cosa è successo? Il Covid è stato come un acido che ha cancellato la nostra luminosa immagine, lasciandone solo qualche traccia. Tra le giustificazioni, il fatto che in Lombardia fossimo più colpiti dal Covid (anche io l’ho sostenuto in un precedente articolo), perché la popolazione anziana è più rappresentata che altrove. Abbiamo chiamato in causa l’inquinamento dell’aria. Ma è proprio così? In base al report di Legambiente, soltanto nelle prime tre settimane del 2020 Frosinone, Milano, Padova, Torino e Treviso hanno superato il limite pm10 per 18 giorni. Punteggio negativo, 16, anche per Napoli e Roma. Guardando al 2019, 54 capoluoghi di provincia hanno superato il limite previsto per le polveri sottili (pm10) o per l’ozono (O3), almeno 26 hanno superato entrambi i parametri. La città peggiore è Torino che ha superato il limite per 147 giorni. Se guardiamo i dati sulla diffusione del virus in queste città, non sempre questo correla con il grado di inquinamento. Diamo uno sguardo alla longevità. Nei dati ISTAT del 2019, la città più longeva è Firenze, seguita da Monza e Treviso. E ancora, Macerata, Ancona, dove il Covid non ha colpito come in Lombardia. Forse qualcosa non ha funzionato. Dovremmo cominciare ad analizzare cosa per non continuare a commettere errori. Anche perché ancora mancano i vaccini negli ospedali pubblici, ma non in alcune realtà private e potremmo fare eseguire tamponi rapidi in farmacia e dai medici di famiglia e solo per motivi burocratici non si fanno ancora.

 

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Fotana&Gallera hanno finito anche le scuse

Non rispondono e scappano. Gli chiedono come sia possibile che a fine novembre le scorte di vaccino antinfluenzale a disposizione dei cittadini lombardi siano spesso introvabili, e loro balbettano, svicolano e se messi alle strette promettono immediate interviste chiarificatrici. Per poi dileguarsi oltre i cristalli del grattacielo della Regione e scomparire per sempre. Il fatto è che assessori e funzionari della giunta di destra non rispondono (giovedì sera all’inviato di Piazza Pulita) perché non sanno cosa diamine dire. E non sanno cosa dire perché la premiata ditta Fontana&Gallera, insieme ai vaccini ha esaurito anche lo stock delle spiegazioni accettabili (in un vortice di camici, cognati e paradisi fiscali). Certo, se proprio non vuoi aspettare inutilmente altre settimane, e forse mesi, in quanto cosiddetto soggetto fragile, per anzianità e patologie varie puoi sempre rivolgerti al benemerito San Raffaele. Dove sarai subito accontentato sborsando 65 euro sull’unghia. Una cifra che spiega nel modo più semplice ed efficace in cosa consista il “virtuoso” modello lombardo, quello che mette in virtuosissima concorrenza la sanità privata con quella pubblica. Dove infatti stravince la prima perché nella seconda il vaccino sarebbe pure gratis, ma purtroppo non c’è. Se tanto ci dà tanto, prepariamoci alla prossima delirante emergenza, quella del vaccino anti-Covid, che una volta validato sarà acquistato e gestito direttamente dallo Stato. Se esso sarà reso obbligatorio è l’interrogativo che appassiona tg e talk. Ma siamo sicuri che il vero problema riguarderà chi non vuole vaccinarsi? E non invece chi vuole vaccinarsi? Perché qualcosa ci dice che di fronte a una richiesta di massa ci sarà qualche Regione, una in particolare, che troverà il modo di far pagare anche questa volta ciò che dovrebbe essere gratuito. E chissà, nel sempre possibile caso di un esaurimento delle scorte, potrebbero pensarci i fan leghisti del caro amico Putin a rifornire del formidabile vaccino Sputnik i poveri lombardi. Che versando 65 euro potranno anche fare da cavia.

Quelle parole in chat: “Ricordati che Eni può distruggere chiunque”

Pubblichiamo gli scambi inediti che Antonio Massari ha raccolto per il Fatto Quotidiano, ora contenuti integralmente e in esclusiva nel libro, edito da PaperFirst, “Magistropoli”. In seguito alla pubblicazione di queste conversazioni, l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi ha ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Milano.

 

Il 12 agosto 2020 contatto Vincenzo Armanna per sentire la sua versione. (…) E decide di fornirmi delle “prove”: le chat che – sostiene Armanna – ha intrattenuto sia con il numero due dell’Eni Claudio Granata, sia con l’attuale amministratore delegato Claudio Descalzi. Risalgono al 2013, quando Descalzi non è ancora l’ad del colosso petrolifero. Il 30 ottobre decido di utilizzarne una minima parte per un articolo sul Fatto:

Dice la verità Vincenzo Armanna quando sostiene di aver ricevuto messaggi del tenore “l’Eni può distruggere chiunque in Italia”. O la dice l’Eni quando smentisce categoricamente l’esistenza di questi messaggi? Il Fatto

non ha gli strumenti tecnici per risolvere questo dilemma, che peraltro sarebbe competenza di una Procura. (…)

Il 2 novembre 2020, la Procura di Milano mi convoca “per le vie brevi” (…): il procuratore aggiunto Laura Pedio e il pm Paolo Storari mi pongono delle domande in qualità di persona informata sui fatti. In questa sede mi viene chiesto di depositare le chat che Armanna mi ha inviato. E che a tutti gli effetti sono, mentre scrivo, un atto acquisito alla loro inchiesta, il che non soltanto dimostra, ma ne accresce il loro interesse pubblico. (…)

 

“Vincenzo scrivi poco”

È il 10 giugno 2013. Dieci giorni prima, il 31 maggio, Armanna è stato licenziato per una vicenda legata a dei rimborsi spese che, secondo l’Eni, sarebbero stati gonfiati. Descalzi, che in quel momento è il direttore generale dell’Eni, dovrebbe essere parecchio adirato con il funzionario che ha gonfiato le spese. Ma le chat dimostrano un atteggiamento diverso. Descalzi alle 21:11 scrive ad Armanna: “Vincenzo come stai? Claudio [Granata, ndr] mi ha detto che state lavorando insieme e che tutto andrà bene. Devi avere pazienza e sangue freddo. Chiamami quando vuoi”. (…) Armanna alle 21:12 risponde a Descalzi: “Ciao Claudio, sinceramente non mi aspettavo tutto questo, mi ha spiegato cosa pensa ci sia dietro, ma io ho fatto solamente quello che mi è stato chiesto. È assurdo che mi si accusi di cose che ho fatto solo perché richiestomi dai miei capi”. (…) La conversazione successiva è del 17 giugno 2013. Armanna è stato definitivamente licenziato. Alle 20:37 Descalzi scrive ad Armanna: “Ho in programma degli incontri a Roma chiamami che ci organizziamo”. “Ho provato” risponde Armanna “ma non capisco se squilla”. “Riprova nuovamente” scrive Descalzi “questi telefoni non lasciano alcuna traccia su chi ha chiamato o su chi chiama. Non scrivere più su questo”. “Va bene” conclude Armanna “riprovo subito”.

 

Conoscono ogni cosa, ti annienteranno

Il giorno seguente, il 18 giugno 2013, alle 13:02 è Granata a scrivere ad Armanna: “Vincenzo, chiedi al tuo avvocato di contattare urgentemente l’avvocato che ti ho indicato e parla con lui così comprenderà in quale direzione io voglia andare. Non fare mosse avventate. Ricordati che l’Eni può certamente distruggere chiunque in Italia, sanno tutto di te, chi sono i tuoi amici, dove vivi, con chi parli, dove potresti cercare lavoro, chi potrebbe aiutarti, dove lavora tua moglie e dove vanno a scuola i tuoi figli. Sanno tutto, proprio tutto di tuo fratello, di sua moglie, dei tuoi nipoti, di tua madre. Sanno dei tuoi rapporti e accordi con il costruttore di casa tua, hanno informazioni di prima mano dal tuo portiere e da P.R. [mettiamo il nome puntato perché si tratta di una persona estranea a questa vicenda, ndr] che conosco benissimo, un ex Eni che lavorava nel personale. Sanno di Claudio Gatti e Montante ha promesso di sterilizzarlo. Non potrei fare nulla per fermarli. […] ha già dato mandato di seguirti, di scoprire qualsiasi cosa su di te, se hai amanti, se prendi soldi in nero, chi gestisce il patrimonio, qualsiasi cosa e vuole preparare un dossier, anche con notizie non vere, da dare ai suoi amici della magistratura, dei Servizi, e della Gdf per distruggerti totalmente. Eni comincerà a breve un’opera di distruzione della tua reputazione, ti creerà problemi ovunque finché non ti arrenderai e o andrai all’estero o farai scelte più radicali. Hai una sola speranza: che Paolo e Salvatore vadano via e che arrivi Claudio. Non tenere nulla a casa, sicuramente hanno già avvicinato il personale di servizio. Dobbiamo vederci presto credo sia importante parlare di persona dopo che i due avvocati si saranno parlati”.

Se davvero Granata avesse scritto queste parole, non solo saremmo dinanzi a un episodio gravissimo. Ma anche dinanzi a una incredibile leggerezza: una persona di minimo buon senso non lascerebbe traccia di affermazioni simili. (…)

Armanna risponde a Granata alle 14:03: “Non ho paura e conosco bene i meccanismi di questa Eni, così come comprendo che mi stai minacciando (…)”.

(…) Granata risponde: “Vincenzo, non ti voglio minacciare, ti devi fidare di me ma anche di Roberto [Casula?, ndr] e Claudio [Descalzi, ndr], sentili quanto prima, oggi ti chiamo e decidiamo quando vederci. Ho concordato con Claudio [Descalzi, ndr] un percorso ben preciso per farti rientrare e far comprendere cosa ti sia stato fatto devi solo fare molta attenzione alle risposte e ai documenti che fornisci e aspettare soltanto che Claudio venga nominato. Ti ripeto, una risposta sbagliata, un allegato non valutato con attenzione potrebbero far diventare amministratore delegato Salvatore”. E quindi, secondo Granata, bisogna attendere che Descalzi venga nominato amministratore delegato di Eni e poi, per Armanna, si risolverà tutto. Ma una mossa falsa di Armanna sul suo licenziamento potrebbe far saltare l’operazione. (…) Il 5 luglio Descalzi cerca ancora una volta Armanna: “Vincenzo che fine hai fatto? Rispondi, devi essere forte. Chiamami o rispondimi dobbiamo sentirci. Devi resistere non distruggiamo tutto”. Armanna non risponde. Descalzi ci riprova il 29 luglio: “Vincenzo, perché non rispondi? Claudio [Granata, ndr] ti ha detto tutto? Sei soddisfatto? Vedrai che tutto questo periodo sarà solo un brutto ricordo”.

(…) Il 30 luglio Granata scrive ad Armanna: “Ciao Vincenzo, credo che la proposta che ti ho anticipato sia eccezionale, in nessun caso avresti ottenuto una tale cifra neanche andando in causa e vincendo: è l’equivalente di quasi quattro anni di stipendio netto”.

(…) Il 13 agosto 2020 chiedo a Eni di fornirmi la sua versione rispetto a quanto sostiene Armanna e al contenuto dei messaggi che mi ha mostrato. Eni smentisce categoricamente queste ricostruzioni, ricordando che Descalzi e Granata hanno già denunciato Amara e Armanna per calunnia.