Puglia: la prima regione giallorosa

Prima la trattativa durata settimane con il governatore Pd, Michele Emiliano, poi il via libera dal capo politico Vito Crimi. E ieri, a due mesi dal voto, l’accordo storico si è concretizzato nella prima seduta del nuovo consiglio regionale: in Puglia per la prima volta il M5S è vicinissimo a governare una regione, per di più con una maggioranza giallorosa come quella che sostiene Giuseppe Conte a Roma. Adesso solo il voto degli iscritti pugliesi su Rousseau potrebbe “far ritornare il M5S5 all’opposizione” come spiega – dando per già fatto l’ingresso in giunta – la consigliera grillina Rosa Barone, in pole position per diventare assessore al Welfare.

Ma tant’è, l’accordo è stato annunciato dai capogruppo Filippo Caracciolo (Pd) e Grazia Di Bari (M5S) in apertura del primo consiglio regionale e si è concretizzato nel primo atto della legislatura: l’elezione a scrutinio segreto del presidente del consiglio regionale e dei due vicepresidenti. A guidare l’assemblea regionale sarà la dem Loredana Capone (assessore per 11 anni) con l’astensione dei voti grillini ma la vera novità è stata l’elezione del vicepresidente M5S Cristian Casili, favorevole alla trattativa con Emiliano e votato dal Pd. L’accordo era stato raggiunto dopo le trattative tra i quattro consiglieri pentastellati (la quinta è l’ex candidata Antonella Laricchia, contraria all’accordo) con il governatore sui temi – dalla decarbonizzazione dell’ex Ilva al Reddito di cittadinanza – e poi grazie all’intervento di Crimi che martedì ha parlato con Emiliano e poi ha dato l’ok ai consiglieri regionali.

E così il governatore ieri ha parlato di “seduta storica” perché “come avvenuto al governo nazionale può corrispondere per la prima volta nella storia d’Italia in una regione una collaborazione tra il centrosinistra e il M5S”. Ma l’accordo politico raggiunto tra Pd e M5S ha provocato uno psicodramma interno al gruppo grillino perché dopo l’annuncio della convergenza sul nome di Casili ha preso la parola la consigliera Laricchia, vicina ad Alessandro Di Battista che si è sempre opposta all’ingresso in giunta: “State sbagliando – ha detto rivolgendosi ai suoi colleghi – entrare oggi nella maggioranza è un tradimento della volontà elettorale dei cittadini”. Poi ha concluso, tra le lacrime: “Oggi restituirei i voti ai 200mila pugliesi che ci hanno dato fiducia”. Laricchia adesso potrebbe anche lasciare il M5S. Poi arriva la stilettata della senatrice pugliese Barbara Lezzi: “Ci svendiamo, va di moda l’incoerenza”.

Dopo la seduta di ieri, fonti del M5S fanno sapere che per il momento si tratta di una “collaborazione su temi e programmi per dare risposte ai cittadini”, mentre la consigliera Barone spiega che “è l’inizio di un percorso: abbiamo accettato la sfida di Emiliano perché il M5S ha la stessa visione”. Ora l’ultima parola spetterà a Rousseau, ma la giunta giallorosa è a un passo.

Bilancio: B. piega Salvini e Meloni sul sì al governo

Quando il voto è quasi acquisito il ministro per i Rapporti col Parlamento Federico d’Incà (M5S) esce dall’aula giulivo e si presta alla battuta del leghista Luigi Augussori: “Ora dovrete iniziare a cantare Meno male che Silvio c’è…” punge il senatore intonando il celebre inno del PdL sull’uscio della buvette. D’Incà sorride sornione. Ché sì, anche se la maggioranza avrebbe avuto comunque i voti, al Senato i numeri sono sempre ballerini e allora quella “collaborazione” con le opposizioni chiesta dal presidente Mattarella si concretizza sul quarto scostamento di bilancio da 8 miliardi per finanziare gli aiuti Covid.

Prima alla Camera e poi al Senato il Parlamento vota quasi all’unanimità: 552 “sì” a Montecitorio (nessun contrario e 6 astenuti) e 287 a Palazzo Madama (4 contrari e 4 astenuti tra gli ex 5S). La maggioranza sarebbe comunque autosufficiente con 163 voti ma il risultato non cambia: alla fine esultano tutti. Gioisce il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, alle prese con la spaccatura interna alla maggioranza sul Mes (ieri il M5S ha fatto sapere in una nota che “non sarà usato” e il 9 si vota in Parlamento), che in serata va al Tg5, la tv di Berlusconi: “È un ottimo segnale, Berlusconi è stato aperto al dialogo ed è un bel segnale che le altre forze di opposizione abbiano convenuto su questa posizione. Spero che il dialogo continui, nel rispetto dei ruoli”. Come dire: non è finita qui.

E sulla stessa scia si accodano anche i dioscuri della maggioranza Luigi Di Maio (“grande segnale di unità e lealtà istituzionale”) e Nicola Zingaretti che con Berlusconi, per interposto Gianni Letta, aveva intavolato una trattativa iniziata con la norma salva-Mediaset rivendicata dal governo: “L’Italia che si unisce è una buona notizia” dice in serata escludendo l’ingresso di FI in maggioranza. Ma l’uscita che impressiona di più, facendo presagire alle larghe intese, è quella del ministro dem Dario Franceschini: “Quella di Berlusconi è una scelta responsabile che ha costretto le altre forze di centrodestra a cambiare linea. Chapeau”.

Sì, perché il vero artefice della manovra politica è stato l’ex Cavaliere che da settimane chiedeva al governo di accogliere le sue richieste per aiutare i lavoratori autonomi e le partite Iva in cambio di un voto favorevole allo scostamento di bilancio. Ma mercoledì pomeriggio, i tre leader del centrodestra sembravano aver ritrovato una parvenza di unità dopo una breve riunione in cui si era deciso di presentare una risoluzione comune e di “votare insieme” astenendosi. Ma in serata Berlusconi cambia: prima riunisce i gruppi parlamentari che confermano la volontà di votare sì allo scostamento (anche se i senatori filoleghisti, da Ronzulli a Bernini erano contrari) e poi Gianni Letta riceve le dovute rassicurazioni direttamente dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

Così ieri mattina, in videoconferenza con i deputati forzisti, Berlusconi dà l’ordine: “Voteremo sì, il governo ha accolto le nostre proposte, gli alleati facciano quello che vogliono”. Salvini va su tutte le furie (“Ma come, avevamo deciso di astenerci”) mentre Meloni, anche se stizzita, fa la mediatrice per non rompere la coalizione e consiglia al segretario di “andare dietro Berlusconi, se no qui salta tutto”. Così alle 12 i leader del centrodestra si presentano uniti in conferenza stampa al Senato per annunciare il loro sì allo scostamento ribadendo “la compattezza del centrodestra”.

Ma è un’unità solo di facciata come spiega un big forzista: “Oggi abbiamo mandato un messaggio a Salvini: non basta andare in piazza con la felpa, poi si deve agire per difendere gli autonomi. Come leader del centrodestra ha fallito”. Berlusconi in serata esulta: “Abbiamo raccolto l’appello di Mattarella, siamo all’opposizione ma oggi è solo un primo passo per unire le forze contro la pandemia”. Chi in queste ore ha parlato con Salvini invece lo definisce infuriato: “Adesso vado avanti con la federazione del centrodestra e se Meloni e Berlusconi non ci stanno, si vedrà chi non vuole l’unità del centrodestra”. Schermaglie di una coalizione che, di fatto, non lo è più.

Nasce Covidleaks.it, la piattaforma per segnalare dati (in forma anonima)

L’arma più potente per contenere la pandemia è la conoscenza: sulle caratteristiche del virus, sull’efficacia delle misure, sulle fragilità delle nostre società. Conoscere significa avere molti dati, di buona qualità: e saperli analizzare velocemente. Gli ostacoli non sono tecnologici: esiste ormai una capacità quasi illimitata di trattamento di dati in formato digitale. Il problema è politico: i dati sulla pandemia, trasferiti dalle Ats alle Regioni e dalle Regioni all’Iss, non sono resi disponibili dal governo e dalle Regioni come sarebbe necessario (e come chiesto da 40.000 persone con l’iniziativa #datibenecomune), cioè in formato aperto e disaggregati. Ogni scienziato dovrebbe poter accedere a tutte le informazioni sulla pandemia anche relative ai singoli centri medici o persone (naturalmente una volta anonimizzate) e dovrebbe poter usare i dati per ricerche autonome, per suggerire provvedimenti specifici a livello territoriale (es. la scuola, il trasporto pubblico…). È per questo ora operativa la piattaforma www.covidleaks.it, dove ciascun dirigente sanitario, funzionario, operatore può segnalare con garanzia di anonimato (grazie al sistema Globaleaks) dati dei quali è in possesso. Come associazione Luca Coscioni ne verificheremo l’autenticità e li pubblicheremo, a beneficio della comunità scientifica per migliorare la qualità del processo decisionale. L’alternativa alla rissa di chi pretende di avere in tasca soluzioni miracolose è un confronto basato su informazioni pubbliche passate al vaglio degli scienziati. Questo è l’obiettivo di Covidleaks.

 

“La curva è congelata”. Ma ieri altri 822 morti

“La curva dei contagi ormai si sta raffreddando, anzi, come ci piace dire, si sta congelando”. Parole del Commissario all’emergenza Domenico Arcuri poco dopo la diffusione del bollettino Covid del 26 novembre. Un cauto ottimismo dettato dall’ormai evidente stabilizzazione (ma non ancora discesa) del numero dei nuovi contagi giornalieri.

I nuovi casi, per la verità, sono stati ieri 4 mila in più rispetto a mercoledì (29.003 contro 25.823) a fronte di un numero simile di tamponi (232.711 e 230.007), il che ha fatto aumentare di un punto il tasso di positività (da 11,2 a 12,46%). Ma a confortare è il dato della progressione settimanale: “Il 21 ottobre – dichiara Arcuri – l’aumento dei contagi rispetto alla settimana precedete era stato del 66%. Oggi siamo a una diminuzione del 19%”.

Ancora drammatica la conta dei morti: 822, 100 in più di mercoledì. Ma, come noto, il numero dei decessi sarà l’ultimo a retrocedere.

Buone notizie arrivano invece dal fronte ospedaliero. Per la prima volta dallo scoppio della seconda ondata diminuiscono sia i ricoveri ordinari che quelli in terapia intensiva. I pazienti ricoverati con sintomi sono 34.038, 275 in meno rispetto alle 24 ore precedenti; i malati più gravi 3.846, -2 rispetto a mercoledì. Dall’inizio della pandemia hanno ufficialmente contratto il virus 1.509.875 persone, “un italiano ogni 40”, ricorda Arcuri. Ma, sempre per dirla con il Commissario, “degli oltre 795 mila attualmente positivi, il 95,2% è asintomatico o paucisintomatico e si trova in isolamento domiciliare; il 4,2% è ricoverato in ospedale, lo 0,5% è in terapia intensiva. Durante il picco della prima ondata – prosegue – le percentuali erano rispettivamente 51,8%, 41,5% e 6,7%. Abbiamo compreso le dinamiche con cui il virus circola e attacca, ma il virus c’è ancora. Sarà sconfitto solo con il vaccino”.

Il cauto ottimismo di Arcuri, che ieri ha ufficialmente pensionato l’app Immuni (“Ci sono stati oltre 10 milioni di download, ma l’app per ora non ha sortito i risultati, in termini di discovery dei contagiati, che ci si poteva aspettare”) è condiviso da Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli studi di Milano: “I dati sull’epidemia – è la sua analisi – confermano una stabilità. Siamo al plateau. Vedo una situazione che, però, non ci prospetta un’immediata fuoriuscita. Quindi dobbiamo pensare a un Natale più che sobrio. Abbiamo una tendenza verso il miglioramento che potremmo vedere non prima di una settimana. Abbiamo dei valori stabili – spiega – che sono in qualche modo positivi seppure non proprio soddisfacenti. Vediamo qualche piccola scintilla di luce, se escludiamo il dato drammatico dei decessi che, però, sono originati dalla fase espansiva, esponenziale dell’epidemia”.

Roberto Battiston, fisico dell’Università di Trento, si spinge oltre: “Siamo al picco – dichiara – la curva comincia a scendere, siamo al massimo per gli infetti e abbiamo superato il massimo dei ricoveri in terapia intensiva e nelle ospedalizzazioni. Significa che in media l’indice di contagio Rt è inferiore a 1”.

“Da agosto il quadro è cambiato: ci fidiamo dei dati sui vaccini ”

“Dopo il mio editoriale e la pressione della comunità scientifica, l’agenzia del farmaco Usa (l’Fda) ha reso molto più stringenti le regole per l’approvazione di emergenza dei vaccini (la Eua), rispetto a quella che aveva adottato, ad esempio, per l’approvazione dell’idrossiclorochina come terapia anti Covid e che si è rivelata un fiasco”. Holden Thorp, direttore delle riviste del gruppo Science, qui intervistato in esclusiva, così commenta il suo editoriale di fine agosto in cui metteva in guardia contro la corsa forsennata al vaccino in assenza di regole chiare per l’approvazione al commercio.

Professor Thorp, oggi come stanno le cose?

Il quadro è cambiato completamente, e la comunità scientifica concorda che l’attuale procedura sia affidabile.

I risultati della sperimentazione ci arrivano solo attraverso i comunicato stampa delle aziende che testano i vaccini. Un giorno annunciano percentuali di efficacia altissime. Altre volte, come ieri, AstraZeneca che sta lavorando con l’Università di Oxford, annuncia che dovrà riesaminare i risultati già annunciati. I risultati di solito si rendono noti attraverso riviste scientifiche accreditate, come Science, che fungono da filtro per scremare cosa è scientificamente solido e cosa no. Siete stati defraudati?

No. I risultati ottenuti da Moderna e Pfizer stanno per essere sottoposti in questi giorni a riviste scientifiche prestigiose. Allo stesso momento, si stanno fornendo tutti i dati finora disponibili all’Fda, per l’approvazione prevista il 10 dicembre. Il ruolo di controllore da parte delle riviste come Science, The Lancet, British Medical Journal, sono ancora fondamentali. Sebbene le agenzie del farmaco si avvalgono di comitati di esperti, la pubblicazione dei risultati da parte delle riviste permetterà di avere un numero ben più ampio di scienziati che, in tutto il mondo, potranno conoscere e ricontrollare i dati. Quando si tratta di studi clinici, le riviste lottano sempre con le aziende per avere quanta più trasparenza possibile sui dati. Nel caso dei vaccini Covid, vista l’attenzione, credo che le aziende avranno interesse a rilasciare quante più informazioni possibile. Le pubblicazioni scientifiche potrebbero esserci già prima dell’approvazione del Fda.

Con tutta la pressione politica che c’è per avere il vaccino, possiamo fidarci del lavoro che faranno le agenzie regolatorie del farmaco?

Adesso mi sento di avere fiducia. Prima della fine del mandato di Donald Trump, no. L’Fda sembrava cedere alle pressioni politiche per ottenere il vaccino a ottobre, quando veramente non avevamo abbastanza dati e sarebbe stato pericoloso. Con Biden, mi auguro che non accadrà più e che finalmente saranno gli scienziati delle istituzioni titolate a parlare del tema, come il Centre for Disease Control, il National Institute of Health e dell’Fda, e non qualunque scienziato di qualunque settore scientifico, o peggio ancora, il presidente o il vicepresidente degli Stati Uniti, che non sanno nulla di scienza.

Un altro annuncio che ha creato confusione è quello dell’azienda Moderna due giorni fa: l’alta percentuale registrata anche dal loro vaccino riguarda l’efficacia contro la malattia, non contro la diffusione dell’infezione. Ha sorpreso tutti e creato polemiche.

Gli scienziati hanno semplicemente dichiarato, con onestà, che per ora non hanno dati sull’efficacia del vaccino contro la diffusione del virus, ma solo contro la malattia. Non vuol dire che non lo sarà, ma che ancora non lo hanno valutato, ci vuole molto più tempo. Adesso possiamo solo dire che il vaccino mostra di poter prevenire la malattia, che non è poco. Il virus potrebbe essere presente nelle vie aree superiori anche dopo il vaccino, che non ci farà ammalare, ma dal nostro naso il virus potrebbe ancora diffondersi. Gli scienziati hanno parlato in modo chiaro e onesto.

L’Italia verso il “giallo rinforzato”. Le Regioni: scuole ancora chiuse

L’Italia può virare verso il giallo, il colore delle limitazioni più lievi. E in serata a scandirlo al Tg5 è Giuseppe Conte: “Domani (oggi, ndr) è una giornata importante: mi aspetto un Rt che è arrivato all’1, anche che molte Regioni che ora sono rosse diventino arancioni o gialle”. Anche se il governatore lombardo Attilio Fontana già protesta: “Vogliono lasciarci in zona rossa fino al 3 dicembre”. Il ministro della Salute Roberto Speranza cercherà un’intesa. Proprio Speranza ieri lo ha detto dritto ai governatori: “Nel corso di dicembre contiamo di avere un’Italia senza più zone rosse, tutta gialla”. Perché l’Rt, l’indice di trasmissibilità, è “ormai attorno all’1”.

Proprio come detto ieri in chiaro da Conte. Mentre la pressione sugli ospedali ha cominciato ad attenuarsi. Ma “non si può abbassare la guardia, o rischiamo una terza ondata con molti decessi” ricorda il premier.

Così al di là dei colori sarà un Natale segnato dai divieti. Ossia con le piste da sci chiuse, almeno fino a gennaio. Con il divieto di spostarsi tra Regioni, anche quelle gialle per le quali attualmente non c’è. Si studiano i possibili limiti per cenoni e riunioni conviviali, ancora da definire, con l’ipotesi di mantenere il cosiddetto coprifuoco alle 22 anche la notte di Natale. C’è poi un grande nodo, quello delle scuole. Perché i governatori ieri lo hanno detto a una sola voce: “Riapriamole il 7 gennaio, inutile fare un tentativo di pochi giorni prima di Natale”. Fanno eccezione due dem, l’emiliano Stefano Bonaccini e il toscano Eugenio Giani, quest’ultimo disponibile a far ripartire almeno le seconde e terze medie. Mentre l’Associazione nazionale Comuni (Anci), per bocca di Antonio Decaro, mercoledì aveva offerto “la massima collaborazione per riaprire le scuole”. Ma prima va trovato un punto di caduta nel governo, dove i 5Stelle provano ancora a sostenere la loro ministra all’Istruzione, Lucia Azzolina, ovviamente fautrice della riapertura. Nel primo pomeriggio, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte fa un punto con i capidelegazione di governo in vista del nuovo Dpcm che dovrà entrare in vigore dal 4 dicembre. E si parla soprattutto di spostamenti tra Regioni. Un lusso che gran parte del governo ritiene di non potersi permettere. Con il 5Stelle Alfonso Bonafede che ribadisce la sua netta contrarietà a qualsiasi deroga. Ma anche altri più aperturisti, come il ministro agli Affari regionali, il dem Francesco Boccia, sono ormai sulla linea dura. Oggi i rappresentanti dei partiti si rivedranno. Prima, ieri pomeriggio, Speranza e Boccia hanno tastato il polso ai governatori. Rassegnati al divieto di spostamenti tra Regioni, come alle limitazioni per le cene e al probabile coprifuoco natalizio per le 22 (“Gesù Bambino può nascere anche due ore prima” ha riassunto il ministro agli Affari regionali). Però chiedono soldi: ristori, “per quelle Regioni che hanno applicato misure più restrittive” come scandisce il governatore Luca Zaia. E Boccia assicura “un fondo da 250 milioni”. Poi c’è un’altra richiesta, sulle piste di sci. Perché la chiusura fino a gennaio inoltrato è inevitabile, e cominciano a deglutirlo anche i governatori. “Ma devono farlo anche gli altri Paesi. E se non succede dobbiamo chiudere le frontiere, altrimenti la gente andrà in Svizzera” dicono. O almeno “potremmo rendere obbligatoria la quarantena per chi va all’estero”. Boccia e Speranza non possono prendere impegni. Assicurano che Conte sta parlando con Francia e Germania, fanno capire che anche l’Austria dovrebbe allinearsi. Ma chissà. Di certo c’è che da Napoli arrivano immagini di assembramenti per la morte di Maradona. Comunque una nuvola per il governo, in tempi di pandemia. Mentre oggi sul tavolo di Speranza arriva il nuovo monitoraggio sulle Regioni.

Fonti di governo anticipano ottimismo: “Sono ottimi dati, alcune Regioni possono tornare già gialle”. Eppure in serata ecco la rabbia del lombardo Fontana: “Nonostante la mia opposizione, il governo intende mantenere in vigore fino al 3 dicembre le attuali misure restrittive e, quindi, lasciare la Lombardia in zona rossa”. Dal ministero della Salute assicurano che cercheranno un’intesa.

Per grazia ricevuta

Nel leggere le lagne quotidiane del Pd – dichiarate o spifferate ai retroscenisti di corte – contro il governo, il premier e gli alleati a 5Stelle, sorge spontanea una domanda: ma glielo prescrive il medico, a questi signori, di sostenere il Conte-2 viste le atroci sofferenze che ciò provoca alle loro animucce candide? Perché non aprono la crisi e non fanno un altro governo o ci rimandano alle elezioni e provano a vincerle? Forse si sono già scordati come e perché un anno fa erano tornati nella stanza dei bottoni. Non per merito loro, ma di Salvini: senza l’harakiri del Cazzaro, il famoso “partito a vocazione maggioritaria” veleggiava sul 16% dopo la più ciclopica batosta della storia del centrosinistra, con la prospettiva di restare all’opposizione altri vent’anni. Invece, con sua grande sorpresa, risalì al governo per grazia ricevuta e per puro culo, aggrappato alla scialuppa di Conte che, essendo da due anni in cima ai sondaggi, sommamente schifava. Salvo poi scoprire che bastava fingersi morto e mandare avanti il premier per rivedere il 20%.

Ora, da qualche settimana, non passa giorno senza una presa di distanze, uno sgambetto, un’imboscata del Pd al suo governo, e nella forma più vile e viscida perché nessuno ci mette mai la faccia. Uno stillicidio quotidiano, tipico delle guerre di logoramento. Le menate giornaliere sul Mes e sul rimpasto (ma perché non si rimpastano la De Micheli?). Le critiche alla Azzolina, prima perché non riapre le scuole, poi perché non vuole richiuderle e ora perché vuole riaprirle. La difesa dell’impresentabile De Luca che insulta premier e alleati. Gli attacchi a Morra in stereofonia con le destre. Il voto per regalare a Gasparri la licenza di diffamare. La guerra alla Raggi, magari a costo di digerire Calenda o di candidare la Lorenzin (le alleanze locali sono obbligatorie solo se il candidato è del Pd). Le mire su Rai, servizi segreti e cybersicurezza. L’insofferenza per la cabina di regia sui 209 miliardi del Recovery Fund (e chissà mai chi li ha ottenuti). Le dichiarazioni d’amore a B. Insomma, dopo un anno di distrazione che avevamo preso per timido cambiamento, il Pd è tornato a fare il Pd, cioè a dare il peggio di sé. Tant’è che non si capisce perché non si riprenda l’Innominabile e il Giglio Fradicio.

Tutte scelte legittime, intendiamoci: in politica i sentimenti non esistono e nulla è indissolubile. Basta dirlo: si apre la crisi, Conte finalmente si leva dalle palle e torna a fare il professore e l’avvocato, nasce un nuovo governo con un’altra maggioranza (auguri), guidato da uno dei tanti Cavour pidini che troneggiano nei sondaggi (non ce ne viene in mente nessuno, ma fa niente), o si va a votare. E poi si ride. O si piange.

“A San Siro era in ritardo. E noi speravamo che non si presentasse”

Nel lutto, a un certo punto, Alessandro “Picchio” Altobelli quasi sorride, “perché Diego è e resta gioia”.

Inquadriamo Maradona.

(Deciso, sicuro) Il più forte di tutti i tempi. Mai nessuno come lui.

Senza se e senza ma.

Allora specifico un dato: quando giocava Diego, i difensori erano tutta un’altra storia rispetto a oggi. Erano bestiali. Sanguigni. Feroci.

Addirittura.

Persone come Gentile uscivano dal campo con la pelle dell’avversario sotto le unghie. Ti massacravano.

Eppure.

Con lui era impossibile, non si riuscivano e prevedere i movimenti, forse neanche lui sapeva cosa avrebbe combinato. Era istinto supremo.

Divino.

Spero con non romperanno le scatole ancora con Messi.

Cioè?

Tutti a paragonarli, quando Diego ha vinto il Mondiale con un piede solo, mentre Messi si è schiantato nonostante formazioni molto forti a sostenerlo.

La sua esperienza diretta.

Ricordo San Siro alle 13.30, quando si scendeva in capo alle 14.30. Lui non c’era.

E voi?

Nello spogliatoio pregavamo non arrivasse, senza Diego il Napoli era abbordabile, con lui erano guai. All’ultimo lo vedemmo entrare, cambiarsi e scendere in campo. Segnò.

Il suo gol preferito.

Una rete a Verona da centrocampo. (resta in silenzio) Però tutti parlano delle sue realizzazioni, ma dimentica o l’infinito numero di assist e soprattutto la forza che dava alla squadra.

“Lui è stato un vero artista. E la sua rete all’Inghilterra è magia unica”

Dino Zoff è a tavola. Ma per un ricordo di Maradona posa la forchetta e zittisce gli altri commensali: “Lui è stato un artista. Un artista assoluto”.

Da ammirare.

Quasi da contemplare. Diego rappresenta il calcio, lui è il calcio, non è solo una bandiera; lui è magnetismo: toccava la palla e ti fermavi ad ammirare quella grazia, quel gesto, a scommettere su cosa avrebbe creato con il suo sinistro.

A Kusturica lo stesso Maradona ha detto: “Chissà senza droga…”.

Non sono d’accordo con lo stesso Diego: lui era così, quella era la sua indole, la sua forza e debolezza, non poteva andare in un altro modo.

Nella diatriba tra lui e Pelé?

Allora rientro nella casistica di quelli che dividono il pallone a seconda delle generazioni…

Quindi?

Erano differenti, entrambi avvolti da una magia e da un popolo alle loro spalle; entrambi in grado di ribaltare una partita, di incutere il giusto rispetto davanti agli avversari (quasi cambia tono).

Lei Zoff, di solito pragmatico, è realmente colpito…

Non dovrei? Ripeto: lui è stato il calcio, quando il calcio riesce a emozionare e suscitare dei sogni.

Con Maradona ognuno ha il suo gol proferito.

Io resto legato al secondo tra Argentina e Inghilterra nel Mondiale del 1986…

Lo slalom

Il bello è la facilità con la quale ha azzerato la formazione avversaria.

Amato e detestato nella “sua” Argentina, ma ora tre giorni di lutto e cortei spontanei

Arrivano le ambulanze davanti a casa Maradona, nel quartiere Tigre. Alla fine se ne conteranno addirittura nove, tutte inutili. “A volte mi domando se la gente continuerà a volermi bene”, aveva detto Diego Armando Maradona nell’ultima intervista il giorno del suo 60° compleanno. Quasi un testamento per il campione amato fino alla follia, specie nel Mondiale di Città del Messico del 1986, che successivamente, una volta abbandonata la carriera di calciatore, ha fatto parlare di sé più per le sue tragiche esperienze con la droga e per le sue esternazioni politiche che per i continui insuccessi come allenatore.

Un uomo elevato a Dio , ma più a Napoli che nella sua Argentina, dove peraltro la morte ha emozionato l’intero popolo al punto che si è svolta una manifestazione convocata dalle reti sociali, attorno all’Obelisco di Buenos Aires, con migliaia di persone.

Anni fa incontrai il suo primo allenatore nelle giovanili dell’Argentinos Juniors che, caduto in disgrazia , si manteneva come tassista: “Io ero certo che Diego sarebbe diventato il numero uno non solo per come giocava le partite, ma anche per un particolare che ricorderò sempre. Finito il primo tempo, invece di riposare come facevano tutti i suoi compagni di squadra, si metteva a calciare punizioni a più non posso, per migliorare la tecnica. E questo lo fanno solo i grandi campioni”.

Ovviamente l’Argentina è in lutto e il suo presidente, non amato da gran parte della nazione, ha decretato non solo tre giorni di lutto nazionale, ma ha anche annunciato che la salma del calciatore sarà esposta direttamente nella Casa Rosada (sede della presidenza) per far sì che tutti gli possano rendere il doveroso omaggio, sempre nel rispetto delle norme sanitarie anti-Covid.

“Non può essere vero”, le prime dichiarazioni di Oscar Ruggieri detto Cabezon (Testone) uno dei giocatori di calcio più amati in Argentina e compagno di Diego non solo nella mitica Nazionale dell’86 ma anche nel Boca Juniors. “È davvero incredibile al punto che uno si aspetta che gli dicano che non è successo nulla… pazzesco. Stavamo pensando di andarlo a trovare, noi ex della Nazionale dell’86, ma abbiamo desistito per tutta la questione sanitaria del Covid. Non abbiamo potuto parlargli o vederlo, una tristezza grandissima”.

La morte di Diego è sopraggiunta nell’anniversario di quella di Fidel Castro, il leader cubano di cui era molto amico e di cui aveva sempre sostenuto gli ideali, non solo per i suoi continui soggiorni nel Paese caraibico, ma anche per il suo appoggio al Venezuela chavista e al peronismo kirchnerista argentino. E questo gli aveva procurato fortissime critiche, a tal punto da mettergli metà dell’Argentina (che già si era dimenticata delle sue imprese sportive) contro.