Ricchi da Covid 34 miliardi in tasca a 40 italiani. È il virus, che bellezza!

Mi piacciono moltissimo gli appelli alla compattezza e all’unità del Paese, che dovrebbe attutire i colpi della crisi da virus. Ne prendo appunto ogni volta su un taccuino, sottolineando qui e là, specie quando il monito viene dai piani più nobili della Repubblica. Disse Mattarella il 2 Giugno: “C’è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite. Qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro”. Bellissime parole, sottoscritte all’unanimità da tutti – ma proprio tutti – i commentatori.

Passati quasi sei mesi, col Natale alle porte, il dibattito sull’apertura delle piste da sci che surclassa quello sulla riapertura delle scuole (che non vendono skipass, non fatturano in polenta e stanze d’albergo, quindi chissenefrega), sarebbe forse il momento di fare il punto sulla “condivisione dell’unico destino”. E così ci vengono in aiuto due ricerche, da cui grondano numeri e dati. Una è quella del Censis, che si può riassumere con pochi punti fissi: 7,6 milioni di famiglie il cui tenore di vita è seriamente peggiorato causa pandemia, 600 mila persone entrate in quel cono d’ombra che sta sotto la soglia di povertà, 9 milioni di persone che hanno dovuto chiedere aiuto (a famigliari e/o banche). L’altra ricerca viene da PwC e Ubs (le banche svizzere), e ci dice che i miliardari (in dollari) italiani erano 36 l’anno scorso, e che quest’anno sono 40, hurrà. La loro ricchezza complessiva ammontava nel 2019 a 125,6 miliardi di dollari e poi, in quattro mesi (dall’aprile al luglio 2020) è balzata a 165 miliardi di dollari, con un incremento del 31 per cento e oltre quaranta miliardi di dollari in più. In euro, al cambio attuale, fa 33,7 miliardi. E siccome i numeri sono beffardi e cinici, ecco che il totale fa più o meno quanto si è tagliato alla Sanità pubblica in dieci anni, che è poi la stessa cifra che arriverebbe indebitandosi con il Mes (circa 36 miliardi).

Non serve sovrapporre le due ricerche per capire che i vasi comunicanti della distribuzione della ricchezza non comunicano per niente, e alla luce di questi numeri le belle parole di Mattarella strappano un sorriso.

Vengono in mente, chissà perché, le continue metafore e similitudini con cui si paragona l’attuale crisi pandemica a una guerra: le trincee degli ospedali, gli eroi sul campo (medici e infermieri), i sacrifici della popolazione, l’incertezza su mosse e contromosse, la seconda terribile offensiva del nemico. E si dimentica volentieri, in questa continua, sbandierata analogia tra Covid e conflitto armato, che chi si arricchisce durante una guerra è più “pescecane” che “dinamico imprenditore”. Però – sorpresona! – di colpo, davanti alle cifre dell’impennata dei super ricchi italiani, la metafora del “Covid come la guerra”, solitamente molto gettonata, si scolora, si attenua, sparisce del tutto. Sarà una guerra, d’accordo, ma quelli che pagano sono i 600 mila scaraventati nella loro nuova condizione di molto-poveri, o oltre sette milioni di famiglie che stringono la cinghia e i denti. Pagano i tanti soldati, insomma, mentre i pochi generali festeggiano le loro rimpolpate ricchezze. Forse con i 34 miliardi piovuti in tasca ai 40 miliardari italiani si potrebbero attenuare problemi e sofferenze di qualche milione di persone. Come “condivisione di un unico destino” non sarebbe male, anzi, sarebbe un’ottima “unità morale” che, ovviamente, non vedremo.

 

Mai detto B. al governo, ma collaborare si può

Con garbo e intelligenza politica, Franco Monaco sul Fatto di ieri interloquisce con alcune analisi e proposte da me avanzate negli ultimi mesi. Coglie bene il senso della strategia del Pd alla quale ho contribuito. In particolare la necessità di affrontare la prova del rapporto unitario, difficile ma indispensabile, con il M5S e il superamento della cosiddetta “vocazione maggioritaria”, intesa come velleitaria e boriosa occupazione di tutto il campo democratico da parte di un solo partito. Siamo da decenni dentro una crisi profonda delle “forme” politiche e della rappresentanza democratica. Chi sta in basso non ha canali di comunicazione con le élite del potere e dell’economia: masse confuse senza voce, in grado di esprimere, nella propria condizione, solo rabbia e spirito di rivolta. Non un conflitto virtuoso, ma una contrapposizione frontale. Certamente un sistema proporzionale che dia a ogni partito la possibilità di elaborare un profilo convincente, rappresentativo dei propri orientamenti, può riannodare meglio i fili con l’opinione pubblica; assai più che un sistema maggioritario che impone a tutti un unico contenitore indistinto. Un programma unitario preelettorale, onnicomprensivo e inevitabilmente confuso, spingerebbe infatti a un’alleanza di governo potenzialmente più trasformista che non un compromesso successivo alle elezioni, alto, limpido, onesto, impegnativo e inderogabile. Detto ciò, nell’articolo di Monaco ci sono due addebiti nei miei confronti che partono da presupposti non veri. Non ho proposto a Forza Italia di entrare nella maggioranza di governo. Ho anzi sottolineato le differenze di identità e politiche che debbono rimanere intatte. Ho detto che andava raccolta con coraggio la proposta avanzata da Berlusconi di una collaborazione unitaria, in un momento gravissimo del Paese. Una collaborazione in Parlamento, attraverso atti significativi e impegnativi a partire dalla legge di Bilancio, magari arrivando a decidere un relatore di maggioranza e uno dell’opposizione. Ho notato che si è subito alzata una riserva sospettosa e “politicista”. Scorgendo, nelle mie parole, manovre o sotterfugi di potere. Nulla di tutto ciò. Era il modo di conferire massima dignità, centralità e solennità alla politica e al Parlamento, nell’attuale disorientamento impaurito di tanti cittadini. Monaco si domanda qual è il modo migliore per aiutare Conte. In questi mesi ho difeso il premier strenuamente prendendomi anche qualche critica. Egli ha fatto bene fino ad ora. Ha salvato l’Italia. Aiutarlo, oggi, non significa definire ossessivamente, per mere preoccupazioni interne, le prerogative dei partiti e del governo (che non intendo mutare con cambi di maggioranze e di coalizioni), ma determinare un pieno coinvolgimento delle forze che lo sostengono. In questo senso, ho parlato dell’esigenza di impegnare in questo esecutivo le energie migliori e le massime responsabilità dei partiti della maggioranza. Per sostenere Conte con una più intensa corresponsabilità di tutti. Schermandolo da possibili manovre che pure si avvertono. Ma non sta a me decidere. Seguirò con rispetto i passi futuri che si riterranno necessari. Infine, la questione di stile che Monaco mi rimprovera, cioè di propormi come consigliere di Zingaretti. No: questa non l’accetto. Innumerevoli volte, in interviste a tv e giornali, ho affermato di non essere il suggeritore del segretario del Pd; malizia diffusa ampiamente dalla stampa. È autonomo e libero; il sottoscritto non sta dietro le quinte, ma è un dirigente politico da 45 anni abituato a parlare in modo aperto e diretto agli elettori e all’opinione pubblica. Spesso senza incarichi di potere, come oggi, ma in virtù delle sue idee e dei suoi convincimenti.

 

Ringrazio Bettini per l’attenzione e i chiarimenti. A me premeva motivare il mio scetticismo sulle aperture di FI. Anche a prescindere dalla “coincidenza” con la norma pro Mediaset, se non vogliamo indulgere a tatticismi e ammiccamenti, di che parliamo in concreto? Per esclusione: non di ingresso di FI nella maggioranza; non di rottura del centrodestra esclusa da tutti i partiti che lo compongono; non di un governo di unità nazionale del quale non esistono le condizioni numeriche, politiche e programmatiche. Dunque di che si tratta? Che tra maggioranza e opposizione, si possano produrre convergenze in parlamento per fronteggiare l’emergenza sanitaria ed economica. Prospettiva auspicabile ma decisamente difficile. Anche ammettendo i buoni propositi di FI, davvero si può credere che sia essa a dettare la linea a Salvini e Meloni? A Berlusconi, nel suo nuovo attivismo, piace raccontarsi e raccontare che il centrodestra ha bisogno di lui, di più, che il centrodestra è lui. Verosimile che egli ci creda, ma possiamo crederlo noi?

Franco Monaco

Mail Box

 

Le parole di Morra non sono state offensive

Sono una calabrese, vivo in Calabria, amo la Calabria e sono stata operata di tumore sei anni fa. Ho tenuto a sottolineare che ho avuto un tumore proprio perché non ritengo che le parole del senatore Morra siano offensive per persone che hanno vissuto o vivono la situazione di malato oncologico. Ho passato l’inferno e in quel periodo non ero in condizione di fare molto. Era una brutta, ma innegabile realtà. Altra verità incontrovertibile è che ognuno ha i governanti che si merita. Il primo a dirlo fu Aristotele, ma lo disse anche Winston Churchill. Allora perché se lo dice Morra i calabresi dovrebbero arrabbiarsi? È un fatto conclamato che mafia e massoneria si siano introdotte nella politica, lo dimostrano le indagini e i tanti rinvii a giudizio che si verificano e che i giornali riportano con cadenza quasi quotidiana. Il procuratore Gratteri lo dice da tempo e penso che nessuno possa asserire che sia un incompetente. Nonostante tutto, però, in Calabria non cambia mai niente; sono sempre gli stessi a governare, di persona o tramite loro designati, eppure tutto questo non ci indigna minimamente.

Flaviana Perna

 

Continuate a raccontarci bugie e sotterfugi

Il 22 novembre mi sono recato all’edicola vicino a casa per acquistare il vostro quotidiano e mentre ero in coda, una signora che mi precedeva acquistava il vostro giornale. Questa scelta mi ha dato una felicità interiore enorme e una riflessione: più saremo e più l’Italia sarà migliore. Continuate così, a scrivere i vostri articoli mettendoci al corrente delle bugie e dei sotterfugi.

Mario Rovegno

 

Silvio è desiderato: gli ho fatto la statua (a destra)

Caro Marco Travaglio, rimango sconcertato delle sviolinate contro il noto evasore pregiudicato di grosso calibro, inspiegabilmente considerato e accreditato come statista in tutti i Palazzi, come d’altra parte accadeva ad Andreotti prescritto e spacciato per assolto e quindi ospite fisso in tv. Così va il mondo, anzi, lo stivale. A proposito del nostro eroe, ti invio il monumento preventivo da me concepito dopo la sua uscita di scena (provvisoria come vediamo) nel 2011, che insieme all’epigrafe che parafrasa ciò che di se stesso disse nei tempi migliori, vuole essere la sintesi del personaggio. A proposito di parafrasi… “meno male che Il Fatto c’è”.

Salvatore Gensabella

 

Santelli, a risultare becera è stata la destra

Carissimo direttore, svariati anni fa, in occasione della morte di Raimondo Vianello, scrisse un pezzo intitolandolo “Vilipendio di cadavere”. Le chiedo se quel titolo si potrebbe adattare anche oggi alle tante lacrime di coccodrillo versate in memoria della Santelli, abbinate agli attacchi verso l’onorevole Morra, colpevole solo di avere detto la verità. I due contesti sono diversi, ma la reazione di certi politici della destra mi sono parsi, quelli sì, offensivi verso la Santelli.

Giovanni Frulloni

 

I 5S devono recuperare lo spirito originario

Carissimo Travaglio, dopo avere chiaramente fatto capire, per l’ennesima volta, cosa sia avvenuto nel ventennio berlusconiano al quale siano da aggiungere gli anni da D’Alema fino a quelli di Renzi e oltre… si domanda chi sarà il prossimo. La speranza però è che non venga disfatto il Movimento 5 Stelle e che riprenda la sua iniziale opposizione verso il grande marcio fatto crescere da una pletora di farabutti nel Paese.

Franco Paone

 

Irpinia, bisogna ricordare Zamberletti

In occasione dei 40 dal terremoto in Irpinia si parla poco della figura e del ruolo che ebbe Giuseppe Zamberletti, commissario all’emergenza e alla ricostruzione. A fronte di altri personaggi che vengono portati in palmo di mano da certa informazione e che “risolvono” grandi problemi solo con l’imposizione delle mani, la differenza sarebbe però troppo stridente.

Angelo Testa

 

Una Calabria in pieno caos politico. E non

Morra dice che la mafia impronunciabile vota e fa votare i propri candidati; e i calabresi li votano. Dice che i calabresi hanno eletto comunque la Santelli, ben sapendo che era malata molto grave! Al netto della ruvida considerazione di Morra sulla persona deceduta, FI, FdI, Lega e qualche 5S s’indignano e la Rai censura Morra. Poi ci meravigliamo degli imbecilli negazionisti!

Paolo Mazzucato

Malcostume “La musica nei locali pubblici andrebbe abolita per legge”

Gentile Maestro Isotta, mi rivolgo a lei per una richiesta: da diversi anni è invalso l’uso e l’abuso di trasmettere musica in tutti i luoghi pubblici, ovvero bar, ristoranti, sale d’attesa, negozi, palestre, piscine… Trattasi sempre di pessima musicaccia di consumo, di infima lega, atta solo a rimbambire le menti delle masse. Ora, considerando che ognuno ha il diritto di ascoltare quello che più gli aggrada a casa propria, al contrario nei luoghi pubblici trovo assolutamente antidemocratico obbligare le persone all’ascolto di queste fastidiosissime, orribili musicacce. Non si capisce perché, per fare un semplice esempio, se una persona entra in un bar per prendere un caffè, debba essere obbligato a subire l’imposizione dell’ascolto di queste rumorose canzonacce (rap e quant’altro): non si entra in un bar per ascoltare musica; si tratta, quindi, di un uso errato della funzione pubblica del bar, un abuso. Mi è capitato di dover subire questa imposizione perfino nello spogliatoio di una piscina comunale, con tanto di schermo che trasmette video, o nel gabinetto di pizzerie o ristoranti: un’autentica persecuzione e nessuno sa darmene una giustificazione. Spesso sono obbligato a richiedere ai gestori dei bar di abbassare il volume, così elevato da far fatica a intendermi con chi si sto parlando. Frequento una palestra: da anni devo mettermi i tappi nelle orecchie; alla mia richiesta scritta alla direzione di abolire questa pessima usanza, facendo presente che si va in palestra per fare un salutare esercizio fisico e non per ascoltare musica, mi è stato risposto: “I giovani hanno bisogno degli Hertz per ballare” (?). Come ha scritto Scanzi sul “Fatto”, stiamo vivendo in una società alla canna del gas. Perciò sono arrivato alla conclusione che si debba mettere in atto una proposta di legge per abolire tale obbrobriosa consuetudine. Per questo mi rivolgo a lei: lei potrebbe lanciare una raccolta pubblica di firme per il divieto di trasmissione di musica nei luoghi pubblici. Da vecchio abbonato del “Fatto” chiedo a lei e al direttore Travaglio di farvi vettori di tale proposta di legge.

Tiziano Corsi Residori

 

Gentile Collega, lei ha ragione sotto ogni punto di vista. Ma una proposta di legge in tal senso sarebbe impossibile e inutile. E poi andrebbe qualcuno a frignare da Lilli Gruber rivelando che la nostra prossima mossa sarebbe di proporre al Parlamento europeo la riapertura di Auschwitz.

Paolo Isotta

Le disavventure di Mario, smarrito nel “Giardino degli Spermatozoi” a Roma

Perché in Italia si può seppellire un profilattico pieno di sperma all’insaputa del maschio che l’ha farcito. Un caso recente, raccontato da un post virale su Facebook, ha riaperto la questione sui cosiddetti “cimiteri degli spermatozoi”. L’altro giorno, un uomo ha raccontato di aver eiaculato in un profilattico durante un rapporto con la sua ragazza, di religione cattolica, e di aver poi scoperto che, senza il proprio consenso, il profilattico era stato seppellito al cimitero. Inoltre, sulla croce in legno c’è il suo nome e cognome: “Al cimitero Flaminio c’è un campo apposito, pieno di croci con nomi e cognomi maschili”. L’eco di questa storia ha generato molte domande su quali siano le norme in materia, e quali siano i margini di decisione garantiti al maschio in casi del genere.

In Italia, un regolamento di polizia mortuaria stabilisce le procedure in caso di sepoltura di profilattici pieni di sperma. Il regolamento afferma che la sepoltura è sempre possibile: la libertà di chi la sceglie è dunque garantita. Non sono però tutelate la libertà e la volontà di chi la sepoltura non la vuole. In alcuni casi, Comuni o aziende ospedaliere consentono a terzi – spesso associazioni ultracattoliche – di procedere con la sepoltura del profilattico farcito e con i relativi riti di accompagnamento, anche all’insaputa degli uomini che vi hanno eiaculato. Nel suo post su Facebook, Mario Parascandolo ha raccontato di aver avuto un rapporto protetto con la sua ragazza, cattolica praticante. Al momento del congedo, lei gli aveva chiesto se aveva intenzione di procedere con le esequie e la sepoltura del profilattico: Mario aveva risposto di no, “per motivi miei, personali che non ero e non sono tenuto a precisare a nessuno”. Dopo circa sette mesi, Parascandolo si trova al cimitero e, “ripensando all’episodio”, ha un dubbio. Dopo aver chiamato la sua ragazza “e aver ricevuto risposte vaghe”, contatta la camera mortuaria. Nel suo post riporta il contenuto della conversazione: “Qual è il suo nome?”. “Mario Parascandolo”. “Signor Parascandolo, il profilattico con dentro il suo sperma sta qui da noi”. “Come da voi?”. “Signor Parascandolo, noi li teniamo perché a volte gli uomini ci ripensano. Stia tranquillo: anche se lei non ha firmato per la sepoltura, il profilattico col suo sperma verrà comunque seppellito per beneficenza. Non si preoccupi, avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome”. “Scusi, ma quale nome? In un eiaculato ci sono 7 miliardi di spermatozoi!”. “Il suo nome, signor Parascandolo. Stia tranquillo, la chiameremo noi quando il condom sarà spostato al cimitero”. “E se io volessi farlo cremare?”. “Una volta uno lo ha fatto. Il giorno dopo è stato colpito da un meteorite. Coincidenza?”.

A Roma il cimitero dello sperma, chiamato “Giardino degli Spermatozoi”, è stato inaugurato nel 2012 quando era sindaco Gianni Alemanno. I profilattici, si legge nell’ordinanza, si trovano in fosse singole, “contraddistinte da una croce e da una targhetta su cui è riportato il nome del padre”. Il fatto che la norma parli di “padre” e non di “uomo” tradisce un pregiudizio confessionale: si dà una tomba agli spermatozoi perché sarebbero bambini mai nati. Lo Stato, insomma, riconosce al maschio il diritto di sborrare, ma gli impone la gogna pubblica di una croce con il suo nome inciso sopra.

(1. Continua)

Ultim’ora. Grande Fratello Vip. Nuova provocazione di Fausto Leali: “L’Olocausto? Sono morte più persone in Formula 1!”.

 

Caro premier Conte, riempia le classi, lo spettacolo politico indecoroso si fermi

Caro presidente Conte, sono una cittadina campana indignata, per usare un eufemismo. Trovo più pericoloso degli effetti del virus l’insopportabile e continuo controcanto cui siamo costretti ad assistere, da settimane. Da un lato, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, con le sue improbabili, per quanto temerarie, “uscite” su questioni che hanno il solo potere di disorientare ancor più noi cittadini; dall’altro, il caricaturato governatore Vincenzo De Luca, sempre più ostaggio del suo personaggio, che attacca, insulta, oramai senza esclusione di colpi, politici, scrittori, addirittura scolari che hanno voglia di andare a scuola, accompagnati dalle “mammine” colpevoli di averli nutriti con latte al plutonio. In un tempo così fluido e scivoloso, con prospettive critiche e incerte sul futuro economico e sociale del Paese, trovo surreale che il senso di responsabilità sia secondo al bisogno di fare sarcasmo, ironizzare, duellare per primeggiare sull’altro.

Caro presidente mi rivolgo a Lei perché sono stanca che nella terra nella quale continuo a vivere – nonostante tutto, nonostante le battaglie e l’impegno civile profuso, le ferite subìte, l’endemica disuguaglianza e povertà educativa oggi aggravata dal Covid – si continui ad assistere all’indecoroso spettacolo di una politica incapace di mettere al centro l’interesse legittimo della salute, soprattutto sociale, dei cittadini più giovani. Da mesi sono personalmente schierata sul fronte della riapertura delle scuole, paventando i danni che stiamo procurando alle future generazioni, senza che questo sembri costituire una reale, concreta priorità per lo Stato, in una regione come la Campania che è la seconda più popolosa del Paese e la prima per numero di giovani.

Caro presidente, lunedì sera in tv ha manifestato la ferma volontà di riaprire le scuole a dicembre. Dia seguito a questa intenzione per evitare che proprio sull’istruzione continui a consumarsi questo spettacolo indecoroso. Ma soprattutto indichi luoghi, percorsi, mezzi dove promuovere un autentico e libero confronto sui destini della mia terra, di Napoli, della Campania, del Mezzogiorno. Ora più che mai bisogna sentire fino in fondo il dovere di trasformare la pandemia in un’opportunità di futuro. I partiti restano soggetti indispensabili ma non esaustivi di un lavoro così impegnativo.

Docente universitaria e madre di Arturo, accoltellato a 17 anni a Napoli da una baby-gang nel 2017

Carceri: il dl Bonafede “non lede né il diritto alla salute dei detenuti né il diritto di difesa”

Il decreto antiscarcerazioni è legittimo perché non solo non viola il principio di tutela dei “doverosi standard” di salute dei detenuti, anche quelli sottoposti al 41-bis, ma neppure “il diritto alla difesa”. Lo scrive la Corte costituzionale, che ieri ha depositato le motivazioni della sentenza del 4 novembre. La Corte ha dato ragione a governo e Parlamento e torto ai ricorrenti: il Tribunale di Sorveglianza di Sassari n– che per evitare il rischio del Covid aveva mandato in zona rossa, ai domiciliari, per curarsi, il camorrista Pasquale Zagaria – e i magistrati di Sorveglianza di Spoleto e Avellino. Il decreto Bonafede, in seguito alle troppe scarcerazioni di mafiosi durante la prima ondata Covid, contiene disposizioni, spiega la Corte, che “impongono al magistrato di sorveglianza”, concessi i domiciliari temporanei, “di rivalutare periodicamente le condizioni che giustificano la misura, alla luce dei pareri delle Procure distrettuali e della Procura nazionale antimafia, nonché delle informazioni del Dap sull’eventuale sopravvenuta disponibilità di strutture sanitarie all’interno del carcere o di reparti di medicina protetti”. E rammenta che “la legge sull’ordinamento penitenziario da tempo affida al magistrato di sorveglianza il compito di anticipare, in situazioni di urgenza, i provvedimenti definitivi del Tribunale di sorveglianza sulle istanze di concessione di misure” fuori dal carcere, “per ragioni di salute, sulla base anche di documentazione non conosciuta dalla difesa”. Esattamente come “nel procedimento di rivalutazione disciplinato dalla normativa ora in esame, funzionale ad attribuire al magistrato la possibilità di revocare in via provvisoria e urgente la detenzione domiciliare già concessa”, in modo da garantire anche “il bilanciamento tra l’imprescindibile esigenza di proteggere la salute del detenuto e le altrettanto fondamentali ragioni di tutela della sicurezza pubblica”.

Il diritto di difesa è salvo perché “potrà esplicarsi pienamente nel procedimento davanti al Tribunale di sorveglianza”, che deve concludersi entro un mese dall’eventuale revoca dei domiciliari. La Corte esclude, infine, la violazione principio di separazione dei poteri: “La legge non intende esercitare alcuna indebita pressione sul giudice” che ha concesso i domiciliari, “mira unicamente” a fargli conoscere “alternative intramurarie (strutture carcerarie, ndr) in grado di tutelare in modo ugualmente efficace la salute del condannato”.

Destra spaccata sullo scostamento: B. dà buca a Vespa

Manovra, amministrative e federazione: il centrodestra è nel caos. Ieri i tre partiti della coalizione si sono divisi su tutto. In primis sul voto di domani in Senato sullo scostamento di Bilancio: Forza Italia, che tratta con il governo, si avvicina a votare sì e la spaccatura nel centrodestra si è materializzata in commissione Bilancio alla Camera dove Lega e FdI hanno votato contro la relazione del governo sullo scostamento mentre i forzisti sono usciti. Silvio Berlusconi, per non esporsi troppo, ha cancellato la sua ospitata di ieri sera a Porta a Porta. Ma Giorgia Meloni non si fida: “Proporrò al centrodestra un documento comune” ha detto in serata. FI e FdI continuano ad avere perplessità sulla “federazione di centrodestra” proposta da Salvini (“Non so di cosa stiamo parlando” ha detto la leader di FdI) e Meloni sta facendo resistenza anche su Guido Bertolaso candidato a Roma. Poi Lega e FdI hanno votato sì alle pregiudiziali di incostituzionalità al dl Covid (con la norma pro-Mediaset) mentre gli azzurri si sono astenuti.

Pomigliano, la nuova giunta parte tra le liti

Il laboratorio politico Pd-M5S di Pomigliano d’Arco, patria di Luigi Di Maio, parte in salita. Per il nuovo sindaco giallorosa, il papirologo Gianluca Del Mastro, c’è voluto oltre un mese per formare la giunta tra i malumori della lista civica di maggioranza “Rinascita” che parla di “giunta di spartizione” accusando il sindaco di scegliere “assessori nel centrodestra” locale. Le tensioni sono esplose durante la prima seduta del consiglio comunale in cui la maggioranza doveva votare il presidente dell’assemblea. Il prescelto era Raffaele Cioffi (M5S), ma le prime due votazioni sono andate a vuoto per l’autocandidatura del Pd Giovanni D’Onofrio, collegato da remoto perché positivo al Covid e sostenuto da alcuni consiglieri di maggioranza. Cioffi è stato eletto solo alla terza votazione con 16 preferenze, tra cui diversi del centrodestra. Così il vicesindaco Pd Eduardo Riccio ha richiamato i suoi: “Gli equilibri del Pd e delle forze che governano Pomigliano non possono essere strumentalizzati” ha detto. Una falsa partenza.

All’Ilva torna lo Stato. “Carbon free” solo un terzo della produzione entro il 2025

Per l’ufficialità servirà ancora qualche giorno, forse “qualche ora” come annunciato ieri da Giuseppe Conte. Fatto sta che lo Stato torna nell’llva di Taranto 25 anni dopo la sciagurata privatizzazione a favore della famiglia Riva. L’accordo con Arcelor Mittal – oggi affittuaria degli impianti in attesa di acquistarli – è sostanzialmente chiuso e sarà firmato entro il 30 novembre, chiudendo uno scontro che dura da un anno e mezzo, da quando il colosso franco-indiano ha stracciato il contratto con lo Stato avviando un feroce scontro legale. Il governo italiano, tramite Invitalia, entrerà con una quota “non minoritaria” del 50%, mentre Mittal potrà nel tempo ridurre la sua quota di minoranza: di fatto, un’uscita dall’Ilva a scoppio ritardato. Si parla di un investimento da 400 milioni (altre stime parlano di 600 milioni).

L’Ilva a trazione statale avrà bisogno di ingenti investimenti, si parla di almeno 2 miliardi. L’ipotesi a cui lavorano i tecnici del governo prevede il riassorbimento della forza lavoro (oggi 8.200 operai solo a Taranto, 10mila nel gruppo) al 2025, quando si ipotizza di tornare a produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio l’anno. Tradotto, servirà tanta cassa integrazione per i prossimi quattro anni (oggi lavora metà del personale) e l’“area a caldo”, la più inquinante, resterà aperta a lungo. L’ipotesi è infatti di dercarbonizzare l’Ilva, ma non in tempi brevi. Verrà creato un grande impianto di riduzione diretta (Dri) per realizzare il “preridotto” che permette di colare acciaio senza bruciare carbone con un forno ibrido, coprendo una quota del 25-30% della produzione al 2025. Il restante verrà prodotto dagli altiforni tradizionali (il 5, il più grande, verrà rifatto, chiudendo Afo 1 e 2). Nel 2030 Afo 4 chiuderà, sostituito da un nuovo forno ibrido, e così avverrà nel 2037 con Afo 5. Accelerare di più la decarbonizzazione aumenterebbe il numero di esuberi. Per il preridotto verrà creata una nuova società, staccata da Ilva e senza Mittal.

Difficile che a guidare il nuovo gruppo a trazione statale sarà Lucia Morselli, l’ad scelto dal colosso per battagliare con lo Stato. Mittal di fatto uscirà da Ilva anche se in tempi più lunghi: si impegnò a comprarla per 1,8 miliardi nel 2016; finora ha versato 300 milioni. Senza accordo, dal 30 novembre poteva uscirsene con una penale da mezzo miliardo. Se la caverà con meno.