Bibi vede in segreto MbS. E Gantz gli spara un siluro

Domenica sera, all’ora di cena, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, accompagnato dal direttore del Mossad, Yossi Cohen, si è imbarcato su un jet privato – codice 7T-CPX – per il volo più improbabile di tutta la sua lunga carriera politica: l’Arabia Saudita. Quaranta minuti di viaggio per atterrare fra le dune all’aeroporto della città “tecnologica” di Neom – lungo il confine saudita con Egitto e Giordania – dove ha incontrato per un paio d’ore il principe Mohammed Bin Salman, l’erede designato al trono saudita. Con loro anche il segretario di Stato Mike Pompeo atterrato solo un quarto d’ora prima di Netanyahu proveniente da Abu Dhabi, un’altra tappa del suo tour mediorientale che aveva toccato anche a Gerusalemme nei giorni scorsi.

I colloqui certamente erano stati meticolosamente pianificati, non si sono conclusi però con un patto per normalizzare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita, sebbene un tale accordo potrebbe ancora concretizzarsi in futuro. Le notizie sullo strano viaggio del premier sono trapelate grazie a uno sito israeliano di skyscanner che ha seguito lo strano volo di quel jet – già usato dal premier in passato – decollato dal Ben Gurion di Tel Aviv e atterrato 40 minuti dopo in Arabia Saudita. La rivelazione dell’incontro sembra essere un messaggio inviato da Israele e Arabia Saudita all’Iran, al resto del Medio Oriente e al presidente Usa eletto Joe Biden. L’incontro indica che anche se la nuova Amministrazione Usa invertirà le politiche intransigenti di Donald Trump sull’Iran, Israele e Arabia Saudita sono pronti a reagire alla minaccia rappresentata dalla Repubblica islamica. Biden ha pubblicamente sostenuto il ritorno all’accordo nucleare del 2015 che imponeva limiti alle ambizioni atomiche dell’Iran e dal quale invece Trump si è ritirato nel 2018, con il plauso di Netanyahu.

Nel suo blitz in Arabia Saudita Netanyahu era accompagnato dal direttore del Mossad Yossi Cohen, ma ha lasciato all’oscuro i suoi alleati di governo, il ministro della Difesa e premier “sostituto” Benny Gantz e il ministro degli Esteri, Gabi Askenazi. Nel governo tira una brutta aria fra il Likud di Netanyahu i suoi partner di coalizione del partito Blue & White (Blu e Bianco). Gantz, leader di Blue & White, ha aperto le ostilità annunciando la formazione di una commissione d’inchiesta su una vicenda di tangenti per l’acquisto di sottomarini della società tedesca ThyssenKrupp, nella quale sono coinvolte persone vicine al premier. Per Netanyahu, che ha parlato ieri di iniziativa “vergognosa”, è l’ennesima tegola giudiziaria che si abbatte sulla sua testa.

Certamente Bibi sperava in un risultato più clamoroso da una visita così inconsueta, magari che l’Arabia Saudita firmasse come i suoi alleati Bahrein e Emirati Arabi Uniti gli accordi di normalizzazione con Israele. A Ryad il clima è però diverso. Secondo quanto riferito dai sauditi, il principe ereditario Mohammed bin Salman – che farebbe qualunque cosa per lavare la sua immagine di mandante dell’assassinio dell’oppositore Jamal Kashoggi a Istanbul – ha espresso il suo sostegno nello stabilire relazioni con Israele, ma suo padre, l’anziano e malato re Salman, è contrario a tale mossa. Il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan Al-Saud, che probabilmente era presente durante l’incontro di Netanyahu con bin Salman, ha detto che il regno sostiene la piena normalizzazione con Israele, ma ha ribadito la posizione di lunga data di Ryad, secondo cui un tale accordo potrà venire solo dopo la creazione di uno Stato palestinese.

Biden e il team: Haines, prima donna a capo degli 007 Usa

Una squadra di politica estera che consenta agli Stati Uniti di riprendersi “il loro posto a capo tavola del mondo”: così Joe Biden, presidente eletto, presenta le prime nomine della sua Amministrazione. “Non abbiamo tempo da perdere quando si tratta della sicurezza nazionale e della politica estera: ho bisogno di un team pronto sin dal primo giorno”: per questo, ha scelto – dice – persone esperte, ma anche “innovative e fantasiose”. Biden ha anticipato d’un giorno gli annunci previsti oggi: Anthony Blinken sarà Segretario di Stato, Jake Sullivan consigliere per la Sicurezza nazionale e Linda Thomas-Greenfield rappresentante degli Usa all’Onu. L’ex Segretario di Stato John Kerry sarà inviato speciale del presidente sul clima e siederà nel Consiglio per la Sicurezza nazionale.

Avril Haines, ex vicedirettrice della Cia ed ex vice-consigliera per la Sicurezza nazionale, sarà capo della National Intelligence, prima donna a guidare gli 007 statunitensi. Alejandro Mayorkas sarà responsabile del Dipartimento per la Sicurezza interna, una sorta di ministero dell’Interno: ne era già stato il ‘numero due’ nell’Amministrazione Obama: è il primo ispanico e il primo immigrato in quel ruolo.

Sono tutte persone con cui Biden ha già lavorato, negli otto anni da vice di Barack Obama e durante la campagna. Blinken, 58 anni, avrà il compito di riposizionare e rilanciare gli Stati Uniti sulla scena mondiale: iniziò la carriera diplomatica durante l’Amministrazione Clinton. Laureato ad Harvard, Blinken fa politica dalla fine degli anni 80, quando contribuì alla campagna elettorale di Michael Dukakis. Nella campagna di Biden, ha avuto un ruolo di primo piano, sempre accanto al presidente ora eletto in tutte le decisioni più importanti. Uomo colto, è cresciuto con la madre a Parigi – c’è chi lo definisce “francofilo” – in una casa frequentata da artisti e intellettuali. Ha una band musicale chiamata ‘Ablinken’, che lui stesso suggerisce di seguire su Spotify nel suo account Twitter. Lui canta e suona la chitarra elettrica, registrando musica originale, con citazioni del rock classico anni 70 e del R&B.

Biden assume e Donald Trump licenzia: il suo staff legale ha scaricato Sidney Powell, l’avvocatessa della teoria del complotto secondo cui l’ex leader venezuelano Hugo Chávez, morto nel 2013, sarebbe stato il grande vecchio dei brogli di Usa 2020.

I Mercer e la clava “Parler”. Il covo della tribù di Trump

Affari di famiglia. Mentre gli occhi di mezza America sono puntati su Ivanka Trump, è un’altra la figlia d’arte che in queste ore potrebbe rivelarsi una manna dal cielo, o da cloud, per il presidente uscente restio ad accettare la vittoria dell’avversario Joe Biden. Si chiama Rebekah, di cognome Mercer, come Robert, fondatore di Cambridge Analytica, e con il “suo” social media di nuova generazione, Parler dà libero sfogo ai sostenitori di The Donald. Un intreccio di interessi, politica e, perché no, scommesse sul futuro. Più di ogni cosa infatti, Trump pensa alla ricandidatura del 2024 e cosa c’è di più necessario – una volta scaricato dal Partito repubblicano – dei suoi sostenitori, quelli duri e puri, quelli di QAnon, delle teorie complottiste, i suprematisti bianchi? Niente.

Lo sa l’inquilino della Casa Bianca a cui mancano due mesi per traslocare e lo sa anche chi, come la famiglia Mercer, sul tycoon ha investito fin dal 2016, quando Robert, che ha aiutato a supervisionare l’hedge fund di Renaissance Tecnologies, e sua moglie Diane, hanno donato più di 23 milioni di dollari a gruppi che sostenevano candidati conservatori, secondo un rapporto del Center of Responsive Politics. È sempre del 2016 il finanziamento dei Mercer al “super Pac” che inizialmente ha sostenuto il senatore del Texas Ted Cruz – peraltro stella di Parler – alla nomination presidenziale repubblicana prima di gettarsi su Trump. Per non parlare delle voci che vogliono Rebekah dietro alle manovre per far assumere alla campagna elettorale del magnate presidente Steve Bannon e Kellyanne Conway.

Eppure, sostiene la figlia del fondatore di Cambridge Analytica – società accusata dal procuratore Robert Muller di aver usato i dati degli utenti per facilitare il compito alla Russia nel vendere fake news contro Hillary Clinton e agevolare così la vittoria di Trump – il padre questa volta non c’entra. Sarebbe lei il membro della famiglia Mercer ad aver co-fondato nel 2018 e continuato a finanziare la nuova piattaforma pro-Trump. “John (Matze) e io abbiamo avviato Parler per fornire una piattaforma neutrale per la libertà di parola, come la intendevano i nostri padri fondatori, e anche per creare un ambiente social che proteggesse la privacy dei dati”, ha dichiarato in risposta al Wall Street Journal che ha dato la notizia del suo coinvolgimento. Sembra un autogol, eppure Rebekah ci crede, o finge bene. “La tirannia e l’arroganza sempre crescenti dei nostri signori della tecnologia richiedono che qualcuno guidi la lotta contro il data-mining e per la protezione della libertà di parola online.

Quel qualcuno è Parler, un faro per tutti coloro che apprezzano la loro libertà, libertà di parola e privacy personale”, assicura. Un faro reso scaricabile gratis sull’App store l’8 novembre, in concomitanza con l’annuncio della vittoria di Biden su Trump. Un faro che illumina personaggi come Sean Hannity, conduttore di Fox News, l’attivista di estrema destra Laura Loomer, il membro del congresso Devin Nunes nonché gli account della campagna elettorale dello stesso Trump, più i membri dei Proud Boys e gli estremisti antigovernativi. Ed è qui che trovano spazio anche “la negazione dell’Olocausto, l’antisemitismo, il razzismo e altre forme di fanatismo”, secondo un rapporto dell’Anti-Defamation League. A questi si aggiungono i fuoriusciti da Twitter e Facebook “colpevoli” di aver intrapreso azioni contro la disinformazione elettorale a base di fake news sulle frodi affermazioni rilanciate da Trump ma bollate dai social come non attendibili. Tornando a Rebekah, l’altra figlia d’America è anche l’ad della società di famiglia che avrebbe donato 500 mila dollari al Government Accountability Institute (Gai), think tank fondato da Peter Schweizer e Steve Bannon che sosteneva la storia della corruzione di Joe Biden per proteggere il figlio Hunter in Ucraina. Schweizer, nel suo libro, Secret Empires dedica un capitolo a “Bidens in Ukraine”, affermando che l’ex vice presidente abbia abusato del suo potere per proteggere suo figlio da un’indagine su Burisma, la società energetica nel cui consiglio d’amministrazione lavorava. Poi c’è il finanziamento alla Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies, che “sviluppa contesti medici, legali e culturali per trarre vantaggio dall’uso attento di sostanze psichedeliche e marijuana” e quello all’Oregon Institute of Science and Medicine, Ong scettica sul cambiamento climatico. Tutti temi di cui si parla su Parler.

FI “tratta” il sì allo scostamento

Il dilemma, in fondo, è sempre lo stesso: votare lo scostamento di bilancio spaccando definitivamente il centrodestra o seguire Matteo Salvini e Giorgia Meloni che continuano a fare opposizione dura e pura al governo. Forza Italia è in mezzo al guado.

Mercoledì pomeriggio al Senato arriva lo scostamento da 8 miliardi per gli aiuti economici anti-Covid e proprio a Palazzo Madama i numeri sono ballerini (serve la maggioranza assoluta di 161 voti) per cui ai giallorosa sarebbe molto utile il supporto di Forza Italia. Che nelle ultime settimane si è staccata da Lega e Fratelli d’Italia come forza “responsabile” provando a trattare col il governo per scrivere insieme la legge di Bilancio. Eppure il partito berlusconiano è spaccato in due: da una parte, al Senato, è più forte la componente filo-leghista guidata da Licia Ronzulli e Anna Maria Bernini, che vorrebbe votare contro o, al massimo, astenersi (al Senato vale sempre come un “no”), mentre alla Camera il gruppo è più trattativista. La capogruppo Mariastella Gelmini e Renato Brunetta sono più vicini alle posizioni di Gianni Letta – “governista” per definizione – e quindi più propensi a votare a favore.

È proprio Letta che nelle ultime ore sta trattando direttamente con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri per capire se ci siano i margini per un appoggio su due punti: più soldi per i lavoratori autonomi e la moratoria fiscale per il 2020. Se la maggioranza dovesse inserire uno di questi punti o tutti e due nelle sue risoluzioni, il voto favorevole di Forza Italia potrebbe concretizzarsi. Visto che al Senato e alla Camera il gruppo di FI non potrà votare in maniera diversa, tutto dipende dalla trattativa in corso: “Stiamo aspettando di capire se il governo accoglierà le nostre proposte – spiega un big forzista – poi decideremo”. Intanto Matteo Salvini, che continua a proporre una “federazione dei partiti di centrodestra per fare proposte comuni”, gioca d’anticipo mettendo spalle al muro proprio Forza Italia sullo scostamento di Bilancio provando a sabotare l’intesa degli azzurri con il governo: sabato notte, prima di tutti gli altri partiti, il capogruppo al Senato della Lega Massimiliano Romeo ha depositato la propria risoluzione sullo scostamento di Bilancio e per questo sarà la prima a essere votata giovedì all’ora di pranzo. Risoluzione che prevede riduzione dell’Iva, Irap e misure per i pensionati, proposte molto simili a quelle di Forza Italia. “Così vedremo subito cosa vorrà fare Forza Italia, se sta con noi o con il governo”, fanno sapere dal Carroccio.

“Segreteria a 5 entro l’anno. Con Rousseau serve accordo”

Gli Stati generali sono finiti, ma per cambiare pelle i 5Stelle dovranno attendere alcune settimane, fatte di votazioni sulla piattaforma Rousseau. Fino all’elezione entro l’anno della segreteria, di cinque persone. Un altro snodo per il reggente Vito Crimi, che spiega: “Gli iscritti voteranno su ogni singolo passaggio e su ogni frase. Abbiamo chiuso con la ratifica delle decisioni tramite votazioni a pacchetto”.

Cosa avverrà da qui alle prossime settimane?

Gli iscritti voteranno il documento di sintesi del lavoro fatto negli Stati generali (diffuso ieri, ndr), e mi auguro che ciò possa avvenire entro una settimana. Ci si esprimerà su una griglia di 20-30 quesiti, scegliendo tra il sì e il no. Due settimane dopo si voteranno le modifiche allo Statuto. Quindi entro la fine dell’anno verrà eletto l’organo collegiale: sempre su Rousseau.

I delegati vogliono un M5S con sedi fisiche e online.

Non si parla di sedi, ma di luoghi d’incontro, e giuridicamente c’è una bella differenza. Gli iscritti hanno bisogno di luoghi dove ritrovarsi e incontrare i cittadini: peraltro già ne esistono in varie città.

Per finanziarle parte dei delegati proponevano di utilizzare il 2 per mille.

Questo è inattuabile, abbiamo princìpi precisi. I soldi del 2 per mille sono un finanziamento pubblico, risorse dello Stato.

E dove prenderete i soldi?

I parlamentari devolvono già mille euro mensili a eventi sul territorio. L’idea è centralizzare tali somme e poi redistribuirle per l’attività sui territori con criteri oggettivi e trasparenti.

Possono bastare?

Ce le faremo bastare.

Volete un contratto di servizio con Rousseau. Ma non è che cambierete piattaforma, visti i pessimi rapporti con Casaleggio?

È nell’interesse di tutti stipulare un accordo, e sono convinto che lo faremo.

Casaleggio vorrebbe “spazi digitali territoriali e tematici su Rousseau”. Vuole costruire un M5S parallelo?

Esiste soltanto un Movimento, e queste iniziative riguardano solo l’associazione Rousseau.

Per eleggere la segreteria saranno essenziali composizione e regole. Chi le definirà?

Come previsto dalle norme il comitato di garanzia, composto da me, Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri.

Il board sarà di cinque persone?

Probabile. È stato proposto anche un altro organo (“ad ampia rappresentatività”), che verrà votato in un secondo momento se accettato dagli iscritti.

Chi si potrà candidare per la segreteria?

Saranno possibili candidature individuali e non per squadre.

Il testo spiega che andranno individuate eventuali incompatibilità per le candidature. La sindaca di Torino Chiara Appendino, condannata in primo grado e auto-sospesasi dal M5S, potrebbe candidarsi?

In sede di regolamento valuteremo i requisiti di candidatura e chiederemo anche il supporto del collegio dei probiviri per definre situazioni come questa, se dovessero presentarsi.

Lo stesso varrebbe per l’europarlamentare Dino Giarrusso, su cui è stato aperto un procedimento per i finanziamenti alla sua campagna elettorale?

Gli iscritti soggetti a procedimento disciplinare in generale non possono candidarsi per gli organi del M5S. Starà ai probiviri stabilire se ci sono i presupposti per definire il procedimento in tempo per accertare la situazione prima della votazione.

Che ne pensa del dialogo tra M5S e Silvio Berlusconi? Non rischiate di farvi male?

Non c’è alcun dialogo tra noi e Berlusconi. Semplicemente nell’ambito della legge di Bilancio si è cercato di coinvolgere maggiormente le opposizioni. E finora a mostrare spirito collaborativo è stata solo Forza Italia. Punto e basta. Chiunque abbia in mente altro, se ne faccia una ragione.

La Rai ha impedito la partecipazione di Nicola Morra al programma Titolo V per le frasi su Jole Santelli (“Era noto a tutti che fosse una grave malata oncologica”). È vero che voi 5Stelle eravate state preavvertiti?

Sono stato avvisato a decisione presa.

Chi l’ha chiamata?

Non è rilevante. Ciò che conta è che è stato un fatto grave, penso derivante da una situazione di tensione che si era creata intorno a Morra e alle sue parole. Credo che la Rai gli darà uno spazio adeguato, e si potrà ricucire.

Come giudica le parole di Morra?

Chi ricopre determinati ruoli ha un dovere istituzionale rispetto alle parole che usa, per tutelare quel ruolo. Mi sono dissociato da quelle frasi, che ritenevo sbagliate. Ma ha chiesto scusa, e credo che la commissione debba riprendere il suo prezioso lavoro.

Banche: il terzo giro di fusioni lo paga lo Stato con 5 miliardi

Dopo l’integrazione tra Intesa e Ubi, l’Offerta pubblica di acquisto (Opa) lanciata ieri da Crédit Agricole Italia sul Credito Valtellinese segna una svolta nella terza ondata di fusioni bancarie degli ultimi 15 anni. Ma, per la terza volta, il conto graverà sulle spalle di una diversa categoria di stakeholder. Le fusioni del 2006-07 che diedero vita a Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Popolare e Ubi furono pagate dai dipendenti con decine di migliaia di esuberi. Nel 2015-17 le banche “risolte” (Etruria, Marche, Carife e CariChieti) o liquidate (Vicenza e Veneto Banca) furono acquisite a costo zero da Ubi e Intesa Sanpaolo con perdite di decine di miliardi per azionisti e obbligazionisti subordinati azzerati. Con la nuova legge di Bilancio, a pagare le nuove aggregazioni saranno i contribuenti con incentivi che potrebbero arrivare a 5 miliardi. I maggiori beneficiari del sostegno pubblico saranno UniCredit, Banco Bpm e Bper.

Crédit Agricole Italia, controllata per il 75,6% dalla francese Crédit Agricole che già possedeva indirettamente il 9,8% del Creval, ha lanciato un’offerta pubblica amichevole in contanti a 10,5 euro per ogni azione del Valtellinese, con un premio del 53,9% sulla media degli ultimi sei mesi. L’investimento può arrivare sino a 737 milioni. L’offerta sarà valida se l’Agricole raggiungerà almeno il 66,7% del capitale del Creval ma i francesi potranno ritenersi soddisfatti con la maggioranza assoluta. Dopo l’annuncio Creval in Borsa è balzata del 23,7% a 10,75 euro, poco sopra i 10,5 dell’Opa, mentre il titolo Credit Agricole a Parigi ha segnato +4% a 9,3 euro.

Dopo le spinte della Bce alle integrazioni tra istituti, ora l’Italia mette in campo nuovi aiuti pubblici sotto forma di incentivi fiscali dopo quelli introdotti nel 2011 e poi rafforzati nel 2013. In base alle nuove norme, dall’anno prossimo le banche che si integreranno potranno trasformare in crediti fiscali le imposte differite (Dta) derivanti dalle svalutazioni su crediti di entrambi gli istituti che si fondono. La trasformazione sarà possibile entro il 2% degli attivi totali della banca più piccola. Chi ne ha di più deve fondersi con un istituto più grande. La norma in manovra, pensata per svendere il Montepaschi a Unicredit ha impatto su tutte le fusioni, condizionandole.

L’incentivo fiscale accelererà il consolidamento del settore, consentendo alle banche maggiori di acquisire quelle più piccole e in difficoltà con forti benefici, tra aumento dei patrimoni di vigilanza e riduzione delle perdite sulle sofferenze. Secondo gli analisti di Mediobanca Securities, le partite fiscali valide per le nuove norme ammontano a 280 milioni per Creval e 160 per Credit Agricole, ma i maggiori beneficiari potenziali saranno, come detto, Mps, con poste fiscali valide per 3,8 miliardi, seguita da UniCredit per 3,6 miliardi, da Banco Bpm per 1,03 miliardi e da Bper per 280 milioni. UniCredit potrebbe aggregare Mps o Banco Bpm, la quale a sua volta potrebbe muovere su Bper. Il pasto però non è gratis: entro il 2023 i contribuenti potrebbero girare alle banche aiuti sino a 5 miliardi.

Per Mps, nazionalizzata nel 2017, il conto salirà ancora di molto vista la svendita e l’ipotesi che lo Stato si accolli il macigno dei rischi legali.

 

Cashback, arriva il bonus per lo shopping di Natale

Rinviato a gennaio il cashback ordinario, in questo “Natale sobrio”, per dirla con le parole del premier Conte, ci sarà comunque spazio per il rimborso degli acquisti effettuati con carte di credito, bancomat e app, con esclusione però dell’online, sia per incentivare la lotta al contante ma soprattutto per stimolare i consumi falcidiati dalle restrizioni anti-Covid. L’ultimo tassello necessario per far partire il “Piano Italia cashless” è arrivato con la stesura del regolamento del ministero dell’Economia in cui emergono un paio di novità rilevanti per il tris di misure previste (il cashback, il super incentivo e il bonus di Natale), che potrebbero ridare agli italiani fino a 3.450 euro nel 2021 sommando i vari rimborsi. Dall’acquisto dell’auto alla fattura del meccanico, dall’abbigliamento al caffè al bar, vale la pena capire come funzionano i rimborsi e quanto si avrà indietro, direttamente sul proprio conto corrente.

Il meccanismo. Per richiedere i rimborsi bisogna essere maggiorenni, residenti in Italia e dichiarare che le carte registrate vengano utilizzate solo per acquisti al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione. Serve iscriversi all’app “Io” della Pa (si può accedere con Spid o carta d’identità elettronica) o su altri sistemi degli operatori convenzionati con PagoPa, fornire il codice fiscale e gli estremi delle carte con cui si faranno gli acquisti e l’Iban per l’accredito.

Cashback sperimentale. Il meccanismo ribattezzato bonus di Natale è l’ultima novità. Valido per il solo mese di dicembre, è un rimborso fino a 150 euro per tutti coloro che spenderanno almeno 1.500 euro (vale a dire il 10% di tutti gli acquisti). Per ottenerlo vanno fatti almeno 10 acquisti con carte e app (Apple Pay, Samsung Pay, Satispay o Paypal). Il rimborso verrà erogato a febbraio 2021. Ma se le richieste sforeranno l’importo di 227,9 milioni, il pagamento verrà proporzionalmente ridotto. Fondi che dovrebbero accontentare 1,5 milione di persone.

Piano ordinario cashback Saltata la campagna informativa prevista per presentare la misura (complice l’invito a rimanere a casa), è slittato anche l’inizio del vero e proprio cashback. Il regolamento del Mef prevede che il normale rimborso slitti da dicembre 2020 al primo gennaio 2021 per concludersi il 30 giugno 2022. Le modalità restano invariate: un rimborso del 10% delle spese effettuate per un massimo di 300 euro all’anno (150 euro a semestre). Vanno fatte almeno 50 operazioni sempre ogni sei mesi. Non si possono superare transizioni superiori a 3mila euro annui. I soldi saranno erogati a luglio 2021, gennaio 2022 e luglio 2022. Uno slittamento che ha permesso di prevedere un fondo di 1,7 miliardi nel 2021 e poi 3 miliardi nel 2022. Arriveranno molto probabilmente risorse aggiuntive.

Rimborso speciale. Al cashback ordinario si affianca un bonus di 1.500 euro che sarà erogato ai centomila consumatori che effettueranno più transazioni in tre semestri: gennaio-giugno 2021; luglio dicembre 2021; gennaio-giugno 2022. Ogni semestre il conteggio ripartirà da zero.

Scillieri ammette: “Ci siamo spartiti i soldi pubblici”

Michele Scillieri, il commercialista nel cui studio milanese a fine 2017 è stato registrato e domiciliato il movimento “Lega per Salvini premier”, ha ammesso di aver partecipato alla spartizione dei soldi della Lombardia Film Commission, e ha smentito la tesi difensiva dei commercialisti della Lega, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. È quanto emerge dall’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame ha confermato il sequestro di due ville che, secondo la Procura di Milano, sono state comprate dai due contabili leghisti usando parte degli 800mila euro dell’ente pubblico lombardo. Nelle motivazioni della decisione, i giudici citano i contenuti dell’interrogatorio reso da Scillieri lo scorso 18 settembre: “Scillieri afferma che sia Di Rubba che Manzoni erano coinvolti nell’affare della Fondazione, che entrambi avevano visionato l’immobile di Cormano fin dal 2016… e poi illustra gli accordi tra loro tre per spartirsi i soldi”. Per giustificare i 178.450 euro pagati a Di Rubba e Manzoni da Andromeda Srl (la società che ha incassato da Lombardia Film Commission gli 800mila euro), i due commercialisti hanno presentato al Riesame una scrittura privata tra loro e la stessa Andromeda, datata 10 gennaio 2017, in cui i due offrivano consulenza per la ricerca di un terreno edificabile in Alta Val Seriana. Di Rubba e Manzoni sostengono dunque che quei 178mila euro incassati non abbiano nulla a che fare con i soldi della Lombardia Film Commission. Ma i giudici del Riesame non la pensano allo stesso modo. “È assai singolare”, scrivono, che per un affare da 250mila euro (il prezzo pagato per il terreno in Val Seriana) sia stata pagata un’intermediazione da 140mila euro, “per di più la scrittura privata è successiva alla data di firma del preliminare di vendita di quel terreno”. Scillieri, davanti ai pm, lo ha definito “un errore da dilettanti”.

Vaticano, gli abusi e le coperture: “Sono stato molestato nel letto”

Non è solo un processo per abusi sessuali, il primo in Vaticano, voluto da Jorge Mario Bergoglio che con un rescriptum ha cambiato la legge per avviarlo d’ufficio, sia pure dopo anni. È un processo alla passata gestione del Preseminario San Pio X dei cosiddetti “chierichetti del Papa”, l’unica struttura che ospita minorenni in Vaticano, ragazzini dai dieci anni in su che a volte pensano di farsi preti e spesso no, vogliono “stare vicino al Papa” e studiare nei licei collegati alla Santa Sede. Vivono a due passi da San Pietro, accanto a Santa Marta dove ora abita Bergoglio.

Sul banco degli imputati, davanti all’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, ora presidente del Tribunale vaticano, c’è don Emilio Radice, rettore del San Pio X fino al giugno del 2014. A 71 anni è accusato di favoreggiamento del suo pupillo, Gabriele Martinelli da Chiavenna (Sondrio), classe 1992, un tempo detto “Momo” e oggi sacerdote, accusato di aver abusato per anni, tra il 2006 e il 2012 quando erano entrambi giovanissimi, di un compagno di Preseminario nato appena sei mesi dopo di lui. “Momo” era il preferito del rettore, decideva lui chi dovesse servire alle messe papali e chi no. “Noi contavamo meno di zero, Martinelli contava molto di più”, ha dichiarato un sacerdote del Preseminario.

Mario, lo chiameremo così, ha raccontato che le violenze “avvenivano soprattutto di notte. Mi ritrovavo il Martinelli sdraiato nel mio letto che mi abbassava i pantaloni del pigiama e mi toccava o mi praticava del sesso orale”, si legge in una lettera del 2017, confermata in più verbali. “A volte mi costringeva a seguirlo nella sua stanza per proseguire indisturbato”. Succedeva “due-tre volte alla settimana” anche se “la frequenza poteva cambiare”. Parla anche di “sodomia”. Si sentiva “paralizzato” ma “a volte reagivo”. Kamil, il giovane polacco che fu suo compagno di stanza per due anni, conferma tutto, anzi è stato il primo a parlare. Un altro dice di aver saputo. “Ero vittima del clima terribile che si viveva in Preseminario”, ha scritto Mario. Quel clima lo confermano in tanti. Mario racconta di aver detto a don Radice, nel 2009, “che Martinelli mi dava fastidio, senza esplicitare altro”, ma l’ex rettore “rispose che si trattava di fandonie e che, se avessi insistito, avrebbe chiamato i miei genitori, dicendo loro che ero un bugiardo. Era solito ricorrere a questi mezzi intimidatori”. Agli atti decine di messaggi Whatsapp, Martinelli che cercava insistentemente Mario, ormai uscito dal collegio, quando ormai le voci correvano, “per chiarire”. E lui che gli scriveva “sei interessato solo al pene delle persone”. Nel 2013 il giovane scrisse al vescovo di Como, monsignor Diego Coletti, nella cui diocesi ricade l’Opera Don Folci da cui dipende il Preseminario. Inutile.

Due religiosi e due ex allievi “confermano che i Superiori dell’Opera erano a conoscenza dei fatti”, cioè dei presunti abusi sessuali, “ma non avevano dato seguito alle denunce, e anzi si erano adoperati per mettere a tacere la cosa”, scrive il Promotore di Giustizia, il pm vaticano professor Gian Piero Milano. Fin dal 2012 giravano voci, lettere anonime. Don Marco Granoli, recentemente scomparso per Covid, raccolse per primo le confidenze di Kamil e poi di Mario e segnalò tutto ai vertici dell’Opera nel 2013, chiedendo di “non far continuare nel cammino verso il sacerdozio Martinelli”, ma finì relegato in una parrocchietta. Don Ambrogio Marinoni, allora economo del Preseminario, allarmato dalle battute dei ragazzi, fece un appostamento serale: “Vidi Martinelli uscire a un’ora tarda dalla camera” di un allievo, che però non ha mai confermato. L’ex rettore e la gerarchia negano, ma intanto l’avvocato Dario Imparato, che assiste Mario, ha ottenuto la citazione in giudizio del Preseminario e dell’Opera del Divin Prigioniero a cui appartiene la Don Folci. Quali responsabili civili saranno loro, rappresentati dall’attuale rettore don Angelo Magistelli, a pagare gli eventuali risarcimenti.
Mario con la Chiesa ha chiuso, lavora, ha fatto una lunga psicoterapia. Racconta anche la chiamata di “un avvocato, che si presentò come legale dell’Opera Don Folci… Volevano querelare Kamil, gli dissi che volevano farlo passare per matto… Don Magistrelli mi propose un incontro per un caffè, posi la condizione che avvenisse fuori dal Vaticano e alla presenza del mio legale di fiducia. Non sentii più nessuno di loro”.

È tutto agli atti dell’indagine canonica, ordinata dal successore di Poletti a Como, monsignor Oscar Cantoni. Nel 2018 il suo delegato, don Fausto Sangini, concluse che Martinelli aveva tenuto “condotte sessualmente inappropriate e lesive della sfera intima” di Mario, senza tuttavia ritenere provate “coercizione o sopraffazione”. Confermò altri “contatti sessuali tra adolescenti maschi consenzienti” e ritenne “verosimile” un episodio in cui Martinelli, scrisse, “praticò scandalosamente l’omosessualità in occasione di una messa feriale” in San Pietro: “In uno spazio retrostante l’altare della Cattedra, aprì la veste, esibì i genitali e invitò (Mario) a compiere atti sessuali”. Cantoni, tuttavia, rilevò che Martinelli, una volta ordinato prete, si era comportato bene, l’omosessualità era stata “transitoria” come diceva uno psichiatra della Curia. Quanto a Radice, fu ritenuto colpevole di falso per aver fabbricato una lettera a firma dell’ex vescovo Coletti: serviva ad accelerare l’ordinazione sacerdotale di Martinelli. Coletti la disconobbe e la stracciò, lo dichiarano due sacerdoti.

Gli atti dell’investigatio praevia sono stati acquisiti dal Promotore vaticano e ora anche dal pm Stefano Pizza della Procura di Roma, che indaga sugli stessi fatti. La seconda indagine canonica era stata innescata dal libro di Gianluigi Nuzzi Peccato Originale (Chiarelettere, 2017) e soprattutto dai servizi di Gaetano Pecoraro delle Iene. La prima, tra il 2013 e il 2014, era finita in nulla. Secondo una testimonianza rubata da Pecoraro a don Andrea Stabellini, ex vicario giudiziale della diocesi di Como, già allora “c’era sostanza sufficiente per procedere”, ma “il vescovo Coletti chiese di non procedere” dopo aver “parlato con il cardinale Angelo Comastri”, vicario del Papa per la Città del Vaticano, oltre che con Radice. L’ex vescovo sarà sentito come testimone. Francesco Zanardi, che guida la Rete L’Abuso contro la pedofilia, vorrebbe processare anche lui e Comastri. Secondo il Promotore vaticano la prima investigatio fu “condotta molto sbrigativamente”. Don Sangini trovò il fascicolo “privo di significativi documenti”.

A-24, sequestrati oltre 26 milioni ai dirigenti. “Niente manutenzioni anche dopo tre sismi”

Non sono bastati tre grandi terremoti (quelli del 2009, del 2016 e del 2017) e il crollo del ponte Morandi. “Ancora oggi” giunti e appoggi “ammalorati” e “ossidati” dei viadotti delle autostrade A24 e A25 “non hanno avuto manutenzione, riparazione e sostituzione”, dato che “la concessionaria ha pensato solo di provvedere all’antiscalinamento”, una “opera provvisoria, ausiliaria e finanziata dallo Stato”. A certificarlo, una relazione del 2019 dell’Università Sapienza.

Dal 2009 al 2018, le società della Toto Holdings, che gestiscono la Roma-Teramo e la Roma-Pescara, non hanno mai effettuato lavori di manutenzione su almeno sette viadotti e diverse strutture, alcune presenti anche all’interno del Comune di Roma. E ora sei fra attuali ed ex vertici di Strade dei Parchi Spa sono indagati dalla Procura di Teramo, tre dei quali – l’amministratore delegato Cesare Ramadori, il presidente Lelio Scopa e il vice Mauro Fabris – hanno subito un sequestro preventivo sul loro patrimonio privato pari a circa 21 milioni, sugli oltre 26 confiscati in totale. Tale è l’ “indebito profitto”, secondo il Nucleo economico finanziario della Guardia di finanza di Teramo, ottenuto dalle società del gruppo Toto fra soldi risparmiati per i lavori mai eseguiti e fondi pubblici incassati. Non risultano indagati, invece, gli imprenditori Paolo e Carlo Toto, sebbene la loro Toto Holdings abbia ottenuto, per gli investigatori, il maggiore beneficio economico.

La concessionaria Strade dei Parchi, su cui indagano anche le Procure dell’Aquila e di Pescara, per i magistrati è una “scatola vuota” con un “precario equilibrio economico-finanziario” che appare “strumentale alla massimizzazione dei profitti delle consorelle”, attraverso un “sistematico drenaggio” dei fondi statali “sia sotto forma di pedaggi autostradali sia sotto forma di erogazione di finanziamenti pubblici”. In sostanza, Strada dei Parchi affidava i lavori “in via diretta e senza gara” alle società della galassia Toto, incassando soldi pubblici “anche quando non avrebbe avuto titolo” e al contempo minacciando addirittura la cassa integrazione per i suoi dipendenti, con diverse missive inviate al Mit. La Procura sottende, dunque, “una piena consapevolezza della portata di tale condotta ed esprima un’inequivoca volontà di i procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale alle società del gruppo Toto”. È per questo motivo che oltre ai “reati di inadempimento di pubbliche forniture” e “attentato alla sicurezza dei trasporti”, agli indagati viene contestato anche l’abuso d’ufficio.