Il cipollino lombardo versus brad, bello e buono come il pane

 

BOCCIATI

Giudizi e pre-giudicati. “Il nulla assoluto”. Le parole sono pietre e non ne è avaro Fabrizio Corona: il giudizio, sparato durante la trasmissione di Giletti, riguarda Flavio Briatore (a proposito del quale noi non siamo sospettabili di alcuna simpatia). Dice Corona: “Mi dispiace quando lo inviti a parlare di politica, lui non paga le tasse in Italia e se lo avessi fatto io avrei preso 50 anni di carcere. Briatore rappresenta l’esempio e l’essenza del mio libro, un uomo che attraverso non meriti ma rapporti personali, a cominciare da Luciano Benetton, è arrivato a ricoprire ruoli di potere”. I proverbi sono sempre utili. Uno toscano (ma presente in varie parti d’Italia con altre declinazioni) dice: “Come lo straccio che dice al cencio ‘sei pieno di polvere’”.

 

PROMOSSI

Brad and Roses. Con la camicia a quadri e i jeans sdruciti, ha aiutato i volontari a distribuire pacchi a Los Angeles per diverse ore. È arrivato guidando un camioncino pieno di viveri, che ha scaricato in un grande parcheggio e ha distribuito alle persone in fila, finché la coda non si è esaurita. Poi si è fermato a chiacchierare con gli altri volontari. Si è tolto la mascherina solo per fumare una sigaretta: sotto c’era Brad Pitt. Che bello esser buoni con il prossimo… e Brad è buono come il “bread”.

 

NON CLASSIFICATI

Sanremo fa primavera? Gossip festivaliero. “Ci sono voci tutti i giorni sulle date di Sanremo – ha detto il vicedirettore di RaiUno Claudio Fasulo, deus ex machina dell’Ariston, intervistato da Ernesto Assante – e questo ci fa capire che il tema è al centro dell’attenzione. Ma non c’è nulla di nuovo: abbiamo messo il cappello sulla prima settimana di marzo, dal 2 al 6, e il cappello sta ancora lì. Navighiamo a vista come tutti coloro che vivono su questo pianeta, ma per il momento è tutto confermato”. Secondo le indiscrezioni, il Comune avrebbe chiesto alla Rai di rinviare la manifestazione a causa della difficile situazione sanitaria, ma anche per la situazione economica. Sui social impazzano le indiscrezioni. Il sindaco Biancheri non ha proprio smentito: “La situazione generale è in continua e rapida evoluzione ed è impossibile avere certezze sugli scenari futuri”. Insomma, vedremo. Con settecento morti al giorno, la cosa incredibile è che alla gente importi davvero quando si farà Sanremo.

Cipollini lombardi. Massimo Boldi è il nuovo testimonial della campagna della Regione Lombardia. L’attore è stato scelto per pubblicizzare lo stanziamento di 167 milioni di euro da parte della Regione destinato alle categorie escluse dal “decreto Ristori” del governo. Il saluto finale è indirizzato ai “cipollini lombardi” che Boldi invita a “resistere”. Tutto bene, non fosse che l’estate scorsa Boldi aveva scritto su Facebook: “I potenti del pianeta vogliono terrorizzarci, ci mettono le mascherine per tapparci la bocca”, aveva in sostanza scritto l’attore. Piu tardi aveva precisato: “Non sono negazionista, sono scettico”. Ecco, anche noi: ma che abbiamo fatto di male in Lombardia?

Peccato di like. L’account Instagram del Papa ha messo “mi piace” alla foto della modella brasiliana Natalia Garibotto (con lato B al vento) rimosso poco dopo. Ora s’indaga. Un portavoce del Vaticano ha detto al Guardian di “escludere che il like arrivi dalla Santa Sede” e di aver chiesto spiegazioni a Instagram. Fonti del Vaticano hanno detto all’agenzia di stampa cattolica Cna che diverse persone hanno accesso all’account del Papa, e che è in corso un’indagine interna per capire cosa sia successo. Nulla resterà impunito… Ma “chi è senza peccato scagli la prima pietra” non vale per il social media manager del Vaticano? E soprattutto con tutto quel che accade in Vaticano, proprio di una sciocchezza come un like si devono occupare?

 

Calcio in dissesto. Stipendi “segati” a Messi e Benzema, tagli inventati a CR7&Company

In tempi di Covid nel pianeta pallone c’è chi fa le cose seriamente e chi no. Tra i primi il calcio spagnolo che non più tardi di qualche giorno fa ha reso noto, con tanto di tabelle rese pubbliche, il nuovo tetto salariale al quale i 42 club di Liga (20) e Segunda Liga (22) dovranno adeguarsi a partire dalla stagione in corso, la seconda dell’era-Covid.

Con gli stadi vuoti (leggi: mancati incassi), le partite diventate meno appetibili (leggi: meno introiti televisivi), gli sponsor che dimezzano i budget e il merchandising che implode su se stesso, i tempi delle vacche grasse sono finiti. Secondo i dati resi pubblici, i 20 club della Liga (la Serie A spagnola) dovranno tagliare qualcosa come 900 milioni di stipendi a calciatori e personale vario. Per dare un’idea dell’emergenza assoluta in cui è piombato il movimento calcistico non solo spagnolo ma mondiale, il Barcellona dovrà passare da un salary cap di 671,4 milioni a uno di 382,7 con una diminuzione del 43%; mentre il Real Madrid, che negli ultimi tempi è stato più virtuoso e meno cicala rispetto ai rivali catalani, potrà abbassare il suo tetto solo del 27% passando da 641 a 468,5 milioni: il che significa che Messi & company avranno un’ottantina di milioni in meno da spartirsi, in busta paga, rispetto a quanto accadrà per la banda Ramos & Benzema. Ottant’anni dopo il discorso di Winston Churchill alla Camera dei Comuni, anche nel calcio è arrivato il momento di “Sangue, fatica, lacrime e sudore”. Ce ne sarebbe stato bisogno anche senza Covid: figuriamoci con la pandemia in corso ovunque.

Se in Spagna non si vergognano di fare i conti della serva, in Italia come sempre si naviga a vista. Tutti cani sciolti. E se qualcuno decide di fare una cosa, la fa a capocchia. Come la Juventus che il 29 marzo scorso annunciò, tra fanfare e squilli di tromba, un taglio di 4, diconsi quattro mensilità di stipendio ai giocatori, notizia che ebbe l’effetto di mandare in visibilio i cantori dell’Istituto Luce. “Cristiano Ronaldo che accetta di rinunciare allo stipendio, oltre a compiere un gesto di pura juventinità (ci sfugge il nesso, n.d.r.), dà corpo a un’immagine: è Re Mida che scende in mezzo al popolo, è l’eroe che si fa carico dei problemi della gente, è il Superuomo che abbandona i suoi privilegi e diventa parte della normalità”, scrisse La Gazzetta dello Sport il 29 marzo. Invece non era vero niente. Ronaldo non era San Francesco d’Assisi e la Juventus, che prevedeva serissimi problemi di bilancio alla chiusura del 30 giugno, si accordò con i giocatori per un semplice posticipo dei pagamenti. Delle 4 mensilità di cui all’annuncio, 2,5 sarebbero state corrisposte dopo il 30 giugno (nella stagione in corso, dunque), mentre la restante mensilità e mezzo sarebbe stata “rinegoziata in buona fede” (come da comunicato) e corrisposta in caso di regolare ripresa e conclusione della stagione, cosa peraltro verificatasi.

E insomma noi siamo messi così: con il più ricco e rifornito dei nostri club che si presenta al via della più complicata stagione della storia del calcio con 80 milioni di stipendi arretrati da aggiungere ai 236 già previsti e non più sostenibili; e con 15 club su 20 che non hanno corrisposto ai giocatori gli ultimi stipendi e il Consiglio Federale che ha spostato il termine per mettersi in regola dal 16 novembre all’1 dicembre. Quando si dice il buio in fondo al tunnel.

 

Il riscatto di Tatiana. Una moldava in Italia, un popolo al voto (tra zar Putin e l’Europa)

Tatiana. Stavolta la storia italiana si chiama così. Ed è un po’ italiana ma soprattutto moldava (o moldova). Arrivata in una casa milanese per qualche settimana, Tatiana è gentile, premurosa con tutti. All’inizio, dicono, tendeva a isolarsi educatamente, gli occhi fissi sul telefonino. Sarà il fidanzato o un corteggiatore, facevano immaginare i suoi 27 anni. Pare sia andata avanti così per più sere. Brevi isolamenti e cellulare sul ginocchio. Finché ha reso spontanee dichiarazioni: si informava su come stava andando “la signora”. La signora era Maia Sandu, candidata alla presidenza della Moldova domenica 15 novembre. D’altronde perché nominarla? Quasi nessun italiano sapeva che nel suo Paese si tenessero le elezioni presidenziali né, a maggior ragione, sapeva il nome della candidata.

Ogni tanto Tatiana spiegava perché facesse il tifo per questa donna. I concorrenti erano due. Uno era il presidente uscente, maschio e molto legato alla Russia di Putin. L’altra era “la signora”, capace di rappresentare i sogni delle nuove generazioni moldove. Non più giovane del rivale, anzi tre anni in più, ma infinitamente più giovane nello spirito. Europeista, capace di pensare in termini di libertà e soprattutto indipendente dalla Russia, parola pronunciata da Tatiana con un’ombra nello sguardo.

Il sogno del cambiamento, l’utopia di tante elezioni. Tirarsi fuori da una storia lunga un secolo, nonostante il crollo del Muro. Ce ne siamo andati via tutti, raccontava Tatiana. Non solo per guadagnare di più, ma soprattutto per “vivere”. Gli studi da designer e l’università progettando un atelier; per ritrovarsi cameriera nei ristoranti di Londra o badante alla periferia di Milano. E la sorella a Creta, dopo la fuga avventurosa nei camion e le marce a piedi nei boschi: studi in psicologia e di nuovo un po’ le serre e un po’ un ristorante.

Dietro, un padre coltivatore diretto ora in pensione, e una madre sarta che ha inculcato in tutti e cinque i figli (Tatiana è l’ultima) i valori dell’onestà e della solidarietà. Di lei parla quasi con venerazione, gli occhi lucidi, come se le avesse consegnato un patrimonio inestimabile. “Trasmesso con l’esempio. Mai vista con il trucco. Serenità e fatica. Ci ha solo insegnato a dare agli altri. Per questo ha accolto in casa i nostri tre cuginetti rimasti senza genitori. Da un momento all’altro otto figli invece di cinque”.

Per domenica 15 aveva una paura, Tatiana. Che i giovani non andassero a votare. Perché se vanno solo i vecchi, quelli rimasti lì, vince il presidente di oggi. La gente sta bene nella mediocrità se ne ha un po’ di sicurezza. E così dicendo dava a tutti l’immagine malinconica di questa nazione svuotata di giovani e in gara con il suo destino. Di un popolo sparso per tutta Europa, che ha dovuto ridimensionare aspirazioni e progetti per sentirsi felice e non fallito. Speriamo che votino i giovani, quelli che sono partiti, diceva.

La sera del voto si è quasi illuminata vedendo le immagini provenienti dalle tivù, le lunghe code di elettori moldovi a Milano. Solo in Italia 80mila elettori.

Dice che il mattino di lunedì era già china sul suo telefonino. Finché ha comunicato raggiante: “Ha vinto la signora”. E la felicità era tale da coinvolgere i suoi amici italiani, che possono solo immaginare che cosa sia un’alternativa tra l’Europa e la Russia di Putin. Forse ha pensato al suo atelier, il sogno della vita. Ha benedetto quelli che sono andati a votare, lei non poteva per ragioni logistiche.

Quando ho ascoltato tutto questo ho riflettuto per l’ennesima volta che la democrazia è una cosa immensa, che votare liberamente è una delle cose più belle della vita. L’ex presidente sconfitto non l’ha pensato. Ha contestato le elezioni paventando brogli. Come un Trump qualsiasi. Sconfitto dalla “Signora” che oggi fa sperare la diaspora moldova.

 

Covid da non credere. “Papà è morto solo, mentre negazionisti inseguono ambulanze”

 

Virus, il gorgo: “Silenzi, attese, chiamate, intanto arriva la fine”

Ciao Selvaggia, il sette di novembre mio padre è morto dopo aver contratto il Covid. Aveva 71 anni, viveva in una Rsa da pochi mesi perché aveva l’Alzheimer. Mi sono trovata a chiedermi se è morto di Covid, col Covid o durante il Covid ma la risposta è sempre la stessa. Se non avesse contratto questo virus subdolo e bastardo, lui sarebbe ancora in Rsa a farmi le videochiamate, quelle in cui non ci capivamo, non ci sentivamo, non mi riconosceva nemmeno, ma io riconoscevo lui. L’otto ottobre è stata l’ultima volta in cui ho visto i suoi occhi azzurri, di persona. Da quel momento, con la chiusura delle Rsa, non sono potuta andare a trovarlo. L’ho visto cinque minuti in videochiamata il 21 ottobre, era strano. Il 22 mi confermano che aveva la febbre e che dal primo tampone era risultato positivo, pertanto sarebbe stato trasferito all’ospedale Civile di Brescia. Da quel momento non ho più sentito la sua voce sbagliare i nomi, non ho più visto i suoi occhi azzurri nemmeno per video, non c’è più stato un “ciao” detto a voce bassa col sorriso. Ho avuto una settimana di speranza perché sembrava stare meglio. Tanto che la dottoressa mi disse che non valeva la pena chiamarla ogni giorno, perché “il papà sta molto bene e non resta che attendere il tampone negativo per poterlo mandare in Rsa”. Dopo una settimana invece mio padre è morto. Una forte crisi respiratoria con febbre sempre sopra i 39.5 per due giorni, fino al suo ultimo respiro.

È passato qualche giorno, ma io non riesco ancora a capire dove è finito mio papà. Ho visto il funerale, ho visto le sue ceneri, ma il Covid ha risucchiato mio padre in una sorta di buco nero fatto di silenzi, di attese, di chiamate, fino all’ultima in cui anche la dottoressa piangeva insieme a me. A marzo mi immedesimavo e soffrivo con le persone che vivevano queste situazioni. Adesso ho vissuto io questa tremenda esperienza di non rivedere più il proprio padre, nemmeno quando stava morendo. E intanto, mentre succedeva, dovevo sentire colossali cazzate: viene da pensare che bisogna passarci, per capire. E lo dice una che ci ha sempre creduto, senza bisogno di toccare con mano. Non ne avrei avuto bisogno, io.

Maria

 

Basterebbe leggere le testimonianze di chi ha vissuto questo dramma, per capire. Eppure sembra non basti. Ambulanze inseguite, mascherine tolte in segno di sfida, virologi dalla rassicurazione facile hanno contribuito a creare questo strano clima in cui c’è chi muore e chi oltraggia i morti, mentre il mondo aspetta il vaccino. Speriamo che questa brutta coda si esaurisca presto.

 

Tutti in video da casa: il vero show sono gli sfondi tristissimi

Gentile Selvaggia, leggo molto volentieri, ogni volta che ne ho la possibilità, i suoi articoli. Mi piacciono il suo modo di scrivere, l’ironia e l’autoironia che ci mette. Non so se già se n’è occupata (se sì mi è sfuggito) ma qui c’è un’urgenza che si somma a tutte le altre. Parlo degli sfondi che si vedono in tv quando i vari personaggi, giornalisti, medici, scienziati, virologi e politici si collegano per un servizio, un’intervista o un’opinione. Io credo ci sia del materiale non solo per scrivere un articolo ma forse per un trattato di sociologia.

Si vede di tutto. Un tizio una volta si è collegato dalla camera da letto: sullo sfondo il materasso con il classico quadro della Madonna che aveva anche mia nonna, librerie di ogni tipo e fattura, con i libri messi in mille modi diversi. Quelli che proprio non riesco a capire sono coloro che mettono i volumi al contrario, non dalla parte del dorso…. ma se devi cercare un libro come fai? Conti le pagine? È la prova definitiva che ce l’hai lì, in bella mostra, solo a prendere la polvere e non li hai mai aperti in vita tua. Sottotetti, mansarde e sottoscala… si è visto di tutto. A mio parere, in tutti questi mesi, il più triste di tutti è stato Antonio Tajani pare che Berlusconi l’abbia chiuso dentro il ripostiglio delle scope, perché quando si collega “on air” lo sfondo è così triste da sembra il giardino di una Rsa. Mi fa così pena, Tajani, che forse alle prossime elezioni lo voto.

L’altro giorno un tizio aveva sullo sfondo una credenza e dentro si vedeva una bottiglia di Biancosarti, che per me non lo producono neanche più; bisognerebbe avvertirlo che se lo beve lo ricoverano di sicuro, altro che Covid. Io la invito a prendere in considerazione questa idea, per me lei è la persona giusta per scriverne. Che poi in effetti se mi giro e guardo il mio sfondo… oh mamma!!! Pensi a quante ne devono vedere i prof. con i ragazzi in Dad, e viceversa, ovviamente. Grazie per l’attenzione e buono sfondo a tutti!

Adriano

 

Stanotte non ho dormito al pensiero di chi fosse l’ospite col Biancosarti di qualche decennio fa nella vetrinetta. Forse ci stiamo per liberare di un’epidemia e c’è un uomo, da qualche parte, che ha una bomba biologica in casa. Mi faccia sapere al più presto, la prego.

 

Aborto. I vescovi Usa vogliono negare a Biden la comunione. In Italia, Andreotti continuò a farla

La notizia è tanto sorprendente quanto clamorosa, arrivata nei giorni scorsi: un gruppo di lavoro dei vescovi americani deciderà se negare o no la comunione al nuovo presidente Joe Biden – democratico nonché secondo cattolico alla Casa Bianca dopo John Kennedy – per le sue posizioni “abortiste”.

Ad annunciarlo il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti: l’arcivescovo di Los Angeles José Gomez, messicano naturalizzato americano e proveniente dall’Opus Dei. È l’estrema frontiera del clericalismo di destra, che alle presidenziali degli Usa ha sostenuto Donald Trump come alfiere dei pro-life. In materia c’è già un precedente che risale al novembre di un anno fa: un parroco della Carolina del Sud si rifiutò di dare l’ostia al credente Biden, in fila per riceverla. Ma la decisione di Gomez è un unicum ché da capo dei vescovi Usa alimenta un inedito scontro tra fede e politica sul sacramento istituito da Cristo nell’ultima cena del Giovedì Santo, prima della sua Passione e Morte.

In Italia nemmeno la Cei militante e interventista del cardinale Camillo Ruini arrivò a tanto, pur inoculando dosi massicce di clericalismo nei due poli della Seconda Repubblica (era la stagione dei teocon) per spazzare via l’odiata laicità dello Stato. Ma l’Italia è anche il Paese in cui la normativa sull’aborto venne sottoscritta da politici tutti cattolici e democristiani. Era il 1978 e la legge numero 194 del 22 maggio venne firmata dal capo dello Stato Giovanni Leone, dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti e dai ministri Tina Anselmi, Francesco Bonifacio, Tommaso Morlino e Filippo Maria Pandolfi. Era il governo Andreotti IV, monocolore dc che nacque nella tragica e dolorosa mattinata del 16 marzo, quando le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro e uccisero i cinque uomini della sua scorta.

Lustri dopo, nel 2001 al Meeting ciellino di Rimini, il Belzebù delle tenebre democristiane rivelò: “La giornata più nera della mia vita è stata quella in cui ho firmato la legge sull’aborto”. E un anno fa, Serena Andreotti, figlia del Divo Giulio, andò oltre: “Mio padre si pentì della legge sull’aborto”. In realtà, il politico dc venne mosso da una laica e cinica ragion di partito, più che di Stato, come annotò nei suoi diari: “Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge (lo ha fatto anche Leone per la firma) ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi appena dopo aver cominciato a turare le falle, ma oltre a subire la legge sull’aborto la Dc perderebbe anche la presidenza e sarebbe davvero più grave”. Come hanno osservato in anni recenti i cattolici italiani pro-life, Andreotti riteneva la perdita del potere “più grave” di una “legge omicidiaria”.

Ovviamente la scelta dei vescovi americani ha reso ancora più lacerante la divisione negli Stati Uniti tra clericali di destra e cattolici bergogliani (lo stesso Francesco si è congratulato con Biden dopo la vittoria). Per lo scrittore conservatore Rod Dreher, l’autore della famosa Opzione Benedetto intervistato ieri dalla Lettura del Corsera, “c’è uno scisma di fatto nella Chiesa americana e continuerà a crescere” con la presidenza di Biden, liberale dal cattolicesimo “cerimoniale”.

 

Salviamo la Torre di Pasolini dal consumismo dei musei

“Casale ottimo stato, Soriano nel Cimino, 800mila euro. Il breve sentiero, circondato da una vigorosa vegetazione, arriva al grande piazzale di circa 12.000 mq sul quale insistono le mura di cinta dell’antico Castello con l’alta Torre di Chia delimitanti l’intera proprietà. Dalla parte opposta, l’altra piccola Torre e la dimora pasoliniana che si compone di un blocco centrale – l’abitazione – e di una dépendance con una superficie totale coperta di circa 185 mq. Lo stato conservativo è ottimo, si presenta ristrutturato e già pronto per essere abitato”. È con queste parole che Immobiliare.it mette in vendita la torre medioevale della Tuscia nei pressi della quale Pier Paolo Pasolini aveva girato alcune scene del film Il Vangelo secondo Matteo (1964), e che così cantava poco dopo: “Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, / che io vorrei essere scrittore di musica, / vivere con degli strumenti / dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, / nel paesaggio più bello del mondo, / dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta / innocenza di querce, colli, acque e botri”.

Nel 1970 gli riuscì, infine, di comprarla, e nelle quiete amata delle sue stanze egli scrisse i fulminanti articoli raccolti nelle Lettere Luterane, e il suo ultimo capolavoro, Petrolio. Cinquant’anni dopo, i costi di manutenzione hanno infine costretto gli eredi, che invano avevano provato a intraprendere altre strade, a mettere in vendita la Torre. Di fronte al fatto compiuto, tutte le istituzioni, fin qui interpellate senza esito, sembrano essersi svegliate. Giovedì scorso, il presidente del Lazio Nicola Zingaretti ha diffuso una nota in cui si legge che “dopo aver appreso della volontà della famiglia di Pier Paolo Pasolini di mettere in vendita la Torre di Chia a Soriano nel Cimino per l’insostenibilità dei costi di gestione, ci siamo attivati avviando un percorso di interlocuzione con il Mibact per la salvaguardia e la tutela del sito. (…) Ringraziamo il ministero per l’attenzione che sta dedicando alla vicenda e ribadiamo il nostro interesse a collaborare e sostenere ogni progetto di valorizzazione che si vorrà mettere in campo”. Che Regione e Mibact si siano messi in moto è un’ottima notizia, e c’è da sperare che presto la Torre di Chia sia un bene pubblico. Quel che, tuttavia, desta qualche preoccupazione è proprio il “progetto di valorizzazione” cui allude Zingaretti.

Nell’agosto del 1975, proprio lì Pasolini scrisse che “aver governato male significa dunque non aver saputo far sì che i beni superflui fossero un fatto (come oggettivamente dovrebbe essere) positivo: ma che, al contrario, fossero un fatto corruttore, di selvaggia distruzione di valori, di deterioramento antropologico, ecologico, civile”. E l’anno prima aveva scritto la celeberrima pagina che culminava nell’asciutta presa di coscienza che “se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la ‘società dei consumi’ ha bene realizzato il fascismo”.

Ebbene, è molto triste doverlo riconoscere, ma gli ultimi anni hanno visto una decisiva accelerazione nell’allineamento del (cattivo) governo del patrimonio culturale rispetto al totalitarismo del consumo e della mercificazione. Oggi la ‘valorizzazione’ dei musei è esattamente il processo che riduce – anche lì, anche nella cultura – i cittadini a clienti, le donne e gli uomini a destinatari di un marketing, ad acquirenti di una cultura che non è più liberazione, ma invece proprio un fattore di “deterioramento antropologico e civile”. Immaginare che anche quella casa – quelle mure antiche che hanno visto lo sprigionarsi, e il fissarsi su carta, dei pensieri più ribelli, più felicemente sovversivi e più profetici dell’Italia del secondo Novecento – possa diventare un “museo” come si intende oggi, e cioè non un luogo di ricerca e di condivisione della conoscenza, ma un’esposizione di oggetti preceduta da una biglietteria e seguita da un bookshop (rigorosamente detto in inglese, per non dispiacere agli stakeholders): immaginare tutto questo fa venire i brividi lungo la schiena.

E, allora, cosa farne? Come restituire questo luogo alla collettività? Credo che una destinazione felice potrebbe essere quella di “casa” per scrittori, poeti, registi “contro”: artisti privi di mezzi, e in contrasto col potere dei loro paesi; in contrasto col sistema. Una commissione, libera dalla politica, potrebbe selezionare ogni anno uno di costoro, permettendogli di abitare e scrivere in quel luogo, magnifico per storia e natura, in cui ancora aleggia un grande spirito profetico.

Più che dell’ennesimo “museo”, credo che il “progresso spirituale della società” di cui parla la Costituzione (art. 4) abbia bisogno di voci, scritti, poesie, film eretici come quelli di Pasolini.

Se la Torre di Chia ci aiutasse ad averne ancora, sarebbe “nostra” anche senza poterla visitare. Anche senza trasformarla nell’ennesima attrazione turistica.

“L’Italia del terremoto, la solidarietà e il mare di bare giù dai monti”

Le strade segnalate in modo approssimativo, i paesi perduti all’occhio. L’Italia impiegò sette giorni per capire il disastro di quello che sarà ricordato come il terremoto dell’Irpinia. In alcuni paesini i soldati, armati solo di vanghe, arrivarono agli inizi di dicembre come turisti disorientati. 2.914 morti e 8.848 feriti: questa la contabilità ufficiale che sappiamo essere inesatta e per grave difetto. Ci accontentiamo di queste cifre che restano sorde alla visione orribile di paesi bombardati, svuotati, sepolti. E di un mare di bare. “Bare che scendevano dalle montagne e non finivano più, allineate ai bordi delle strade, ammassate e in attesa di raccogliere il mondo intero”. È il ricordo della regista Antonietta De Lillo, allora appena 20enne, fotografa appassionata e sconvolta i cui scatti, alcuni dei quali sono su questa pagina, saranno esposti, Covid permettendo, al Mann, il museo di Napoli, nel prossimo gennaio.

Duecentomila, trecentomila, quattrocentomila gli sfollati. Prima le tende, poi i prefabbricati. Troppi i corpi che attesero invano la mano del soccorso medico. Morti che avrebbero segnalato al Paese l’urgenza di dotarsi di un sistema di protezione civile che infatti avremmo ritrovato attivo ed efficiente nelle successive e numerose catastrofi naturali. La solidarietà si spense quando si accesero le luci sugli sprechi, e furono denunciate le ruberie post terremoto, le aziende che succhiavano miliardi di lire senza fare nulla. Intermediarie della finanza pubblica, insieme e appassionatamente al banchetto della grande torta: 55mila miliardi di lire il conto, parziale, di quanto costò il terremoto.

Emirati Arabi. Patto con Israele: si mangia kosher anche a Dubai

Nel cuore di Dubai, al piano terra del lussuoso Hotel Armani del Burj Khalifa, il ristorante “Kaf” ha aperto i suoi battenti appena due giorni dopo che Emirati Arabi Uniti e Israele avevano firmato gli accordi di Abramo, gettando le basi per le relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Ciò che rende unico “Kaf” nel panorama dei ristoranti di Dubai è certamente il suo menù: è il primo ristorante kosher ad aprire sulle rive del Golfo Persico. Non c’è dubbio che dalle nuove relazioni diplomatiche fra Israele e Eau, ci si aspetti molto. Ancor prima che l’inchiostro sui protocolli si asciugasse, i due Paesi hanno intrapreso collaborazioni nel campo della finanza, della medicina, dello sport e della cultura. Fino a poco tempo fa, in pochi sapevano che gli Emirati Arabi Uniti ospitano una piccola comunità di ebrei. Ci sono anche tre sinagoghe: due a Dubai e una terza ad Abu Dhabi che ha appena aperto i battenti. Ora gli ebrei del Golfo stanno uscendo dall’ombra mentre gli Emirati Arabi Uniti aprono le braccia a Israele e si aspettano migliaia di suoi turisti.

Certo sotto la sua patina di modernità – le donne straniere vagano per le strade indisturbate in pantaloncini corti, quest’anno è stata lanciata una missione su Marte – resta il fatto che gli Emirati Arabi Uniti sono uno stato di polizia in cui gli oppositori della casa reale sono puniti senza pietà e un mare di telecamere di sicurezza controlla ogni mossa. E questo potrebbe essere un deterrente per un turismo di massa.

Resta poi da vedere se la gente degli Emirati viaggerà in Israele nella stessa quantità di persone che ci si aspetta arrivi dalla Terrasanta. Gli accordi di Abramo consentono 112 voli settimanali.

Il Khaleej Times, con sede a Dubai, scrive che i tour operator locali si aspettano richieste considerevoli sia da cittadini degli Emirati che da stranieri desiderosi di visitare la Moschea al Aqsa a Gerusalemme. L’India, che ha 173 milioni di cittadini musulmani, ha ottimi rapporti con Israele. Ma Pakistan, Bangladesh e Indonesia – il paese musulmano più popoloso al mondo – non consentono ai propri cittadini di viaggiare in Israele.

 

“Hold-Up”, il doc sul Covid-19 che scimmiotta le inchieste

Il film Hold-Up di Pierre Barnérias, che tenta di mostrare come la pandemia di Covid-19 sia stata inventata di sana pianta per servire gli interessi dei potenti, è stato visto tre milioni di volte in una settimana. A prima vista il film si presenta come una lunga “inchiesta”, di 2 ore e 40, che analizza il dietro le quinte della pandemia, prendendo in prestito tutti i codici del documentario investigativo, esperti e testimoni che si susseguono davanti alla telecamera, documenti sottolineati in giallo, musica inquietante. In realtà Hold-Up è un perfetto contro-esempio dell’inchiesta giornalistica. Il film trabocca di grossolane manipolazioni e di falsità.

Come già segnalato da Libération, è scorretto suggerire che il lockdown abbia provocato un picco di mortalità, limitandosi a mostrare che l’alto numero di morti è arrivato proprio durante i mesi di chiusura, ma senza tenere conto il periodo di incubazione della malattia, che invece spiega perché il picco viene raggiunto settimane dopo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), diversamente da quanto indica un “esperto” intervistato nel film, non ha mai vietato le autopsie sui pazienti morti di Covid. L’istituzione ha semplicemente messo in guardia sui rischi di contaminazione e ha raccomandato di seguire un protocollo ben preciso. È inoltre falso affermare, come si fa nel film, che prima del Covid non esistevano virus trasmessi dall’animale all’uomo. Secondo l’Oms il 60% delle malattie infettive contratte dall’uomo è di origine animale. Oltre a queste contro-verità facilmente verificabili, Hold-Up si basa anche su affermazioni non supportate da prove. Il farmacista Jean-Bernard Fourtillan sostiene, per esempio, che è l’Institut Pasteur ad aver creato il Covid-19, ma non avanza elementi per dimostrarlo: “Hanno inserito la sequenza del Dna della malaria nel virus H1n1”, dice, riferendosi a un “brevetto depositato nel 2003” al termine di un lavoro “svolto negli anni 90”. Mostra quindi un foglio A4 su cui è scritto: “From Sars Cov1 to Sars Cov2”. Hold-Up suggerisce, insinua, molto di più di quanto afferma. Bill Gates aveva avvertito già nel 2015 del rischio di pandemia e il Covid-19 è apparso qualche anno dopo. Non è strano? L’economista Jacques Attali non aveva forse previsto che Emmanuel Macron sarebbe diventato presidente? Curioso, no? L’agenzia France Presse ha pubblicato la notizia sullo studio di Lancet che ha rimesso in causa l’efficacia dell’idrossiclorochina. E chi è, guarda caso, il capo dell’Afp? Fabrice Fries, ex compagno di studi di Macron all’Ena, l’istituto nazionale d’amministrazione. Ovviamente la maggior parte dei giornali aveva ripreso l’articolo di Lancet.

Come mai Gilead, il laboratorio che produce il remdesivir, il farmaco andato a ruba dopo che l’Oms ha messo al bando l’idrossiclorochina, ha “un nome biblico”? Strano, no? Questo meccanismo instilla il dubbio nella mente dello spettatore, che si convince un po’ alla volta che il puzzle tiene. Per sembrare un vero lavoro investigativo, Hold-Up interroga un gran numero di esperti, tra cui due “premi Nobel” e un “ex ministro della Salute”. Del primo, il chimico Michael Levitt, si riportano osservazioni piuttosto banali: Levitt si chiede se la popolazione potrebbe accettare un secondo lockdown. Il secondo, il biologo Luc Montagnier, espone una delle sue teorie, quella del “teletrasporto del Dna”, che alcuni anni fa lo hanno messo al bando dalla comunità scientifica. L’ex ministro della Salute, Philippe Douste-Blazy, fa dei commenti a favore dell’uso dell’idrossiclorochina per curare i pazienti Covid. A Mediapart Douste-Blazy ha poi spiegato di avere “la sensazione di essere stato manipolato dal regista“. Tra gli “specialisti” chiamati a testimoniare, c’è lo stravagante Olivier Vuillemin, presentato di volta in volta come esperto di “frode scientifica” (ma che non ha pubblicato nulla sull’argomento) e di “metrologia della salute”. Il passaggio del film in cui Vuillemin si sforza di trovare dei legami totalmente incongruenti, usando molti anglicismi, tra internet, il 5G e il Covid, è talmente assurdo da essere diventato virale sul web. Hold-Up sente poi la “psicologa” Nadine Touzeau che, a partire da foto, descrive il profilo psicologico delle persone. “Questa persona è falsa, lo si vede dagli angoli delle labbra”, dice guardando una foto del dottor Laurent Alexandre, cofondatore del sito Doctissimo, ma facendo avanzare poco “l’inchiesta”. La maggior parte degli “esperti” sentiti – anche quando provengono dal mondo medico – non hanno alcuna competenza in materia di virus.

Vengono raccolte le opinioni di un ginecologo, un oncologo, un radiologo e un’ostetrica che, peraltro, parlano raramente del loro settore di competenza. La ginecologa Violaine Guérin afferma, per esempio, di aver saputo da un agente della gendarmeria che molti drammi si sono consumati durante il lockdown: “Sono stata in contatto con un agente della brigata di protezione dei minori, che mi ha detto una cosa terrificante. Visto che non vengono sporte le querele, dal momento che le persone sono chiuse in casa, non si sa nulla di cosa accade in questo periodo, quindi ci sono state tantissime tragedie”. E la voce fuori campo aggiunge: “Le denunce per stupro sarebbero state moltiplicate per tre, secondo un esperto psichiatra della brigata dei minori”. Nel film il farmacista Serge Rader sostiene che gli anziani delle case di riposo sono stati sottoposti a eutanasia e dice di esserne sicuro per una semplice ragione: “L’ho visto con i miei occhi, sono amico di un medico che lavora in tre di questi istituti”. “Non solo non sono stati trasferiti in terapia intensiva – aggiunge –, ma per loro è stata preparata una siringa di Rivotril, con l’ordine di mettere definitivamente fine alle loro vite”. Anche l’ostetrica Nathalie Derivaux interviene sulla presunta politica portata avanti nelle case di riposo, sulla base di quello che le avrebbe raccontato “la cognata che lavora in uno di questi istituti”. Un uomo, presentato come un “ex ufficiale dei servizi segreti”, di cui non viene mai inquadrato il viso, sostiene infine che il Covid è un’invenzione umana perché è quanto gli è stato riferito da “un funzionario dell’Agenzia per la sicurezza nucleare (Asn)”. Più il documentario va avanti e più diventa incoerente. Perché l’“informatico” Bill Gates vorrebbe vaccinare tutta la terra? Che interesse ha? Come spiegare la concomitanza tra sviluppo del 5G e la pandemia? Perché nel libro sulla Cia, con prefazione del giornalista Alexandre Adler, era già prevista, sin dal 2009, un’epidemia in arrivo dalla Cina? Lo spettatore finisce col chiedersi se i governi mondiali abbiano esagerato una “influenzina” o messo in atto un piano segreto per sterminare una parte dell’umanità. Il film denuncia alcuni “potenti” che terrebbero segretamente le redini del complotto: Bill Gates, David Rockefeller, Jacques Attali, ironicamente descritto come un “profeta” nel film a costante sfondo antisemita, da assomigliare a una versione 2.0 dei “Protocolli dei Savi di Sion”. A nessuna di queste personalità chiamate in causa viene proposto di esporre il proprio punto di vista. L’ultima mezz’ora di Hold-Up, come in un gran finale da fuochi d’artificio, riassume la tesi centrale del film: i detentori della governance mondiale, che si ritrovano quasi tutti nel “Berggruen Institute”, hanno inventato la pandemia per sottoporre l’umanità a un “Great Reset”. Tutto allora rientra nel complotto, la criptovaluta, le nanoparticelle, il 5G… “È da far venire le vertigini: come è possibile che degli uomini possano immaginare scenari tanto contorti?”, afferma il regista, senza ironia, in chiusura del film. Sentito dal giornale France-Soir, che ha sostenuto il film sin dall’inizio, il produttore Christophe Cossé spiega di aver voluto lavorare a questo progetto perché il tema della “disinformazione” gli sta particolarmente a cuore. “Dieci anni fa – ha spiegato – ho deciso di perfezionare la mia formazione seguendo un master in psicologia e PNL-Programmazione neuro-linguistica. È lì che ho trovato tutti gli strumenti della manipolazione”.

Traduzione di Luana De Micco

Trump non molla: “Brogli”. E Putin non “saluta” Biden

Ultras del magnate a parte, c’è almeno un’altra persona al mondo, oltre al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, non ancora sicura che Joe Biden abbia vinto le elezioni Usa: è Vladimir Putin. Interfax riferisce che il presidente russo, a margine del G20 virtuale, ha detto: “La Russia è pronta a lavorare con il presidente in cui il popolo americano ha riposto la sua fiducia e rispetta sia Trump che Biden”, ma “per congratularsi aspetta che gli americani risolvano i loro problemi politici interni”.

C’era un pizzico d’ironia, nella frase di Putin: lui in Russia problemi del genere non ne ha mai avuti. Del resto, pure la Cina ci ha messo un po’ a prendere atto dell’esito delle presidenziali statunitensi, uscendo dal riserbo solo quando il risultato, in termini di “grandi elettori”, è stato chiaro: 306 a Biden e 232 a Trump. Trump, al G20, s’è comportato come se lui dovesse essere in carica per i prossimi anni, salvo mollare le riunioni a metà sia sabato che ieri per andare a giocare a golf. Ma anche altri leader, compreso Putin, se ne sono andati prima che il re saudita Salman chiudesse i lavori, passando le consegne della presidenza di turno all’Italia, che gestirà il G20 2021.

Il magnate presidente ha portato al G20 la sua battaglia elettorale: mentre seguiva i lavori, twittava: “Mostreremo brogli ampi e senza precedenti”, riferendosi al voto negli Usa. Nei suoi interventi, s’è auto-elogiato sia sul fronte pandemia che su quello clima, difendendo la decisione di abbandonare gli accordi di Parigi perché “ingiusti”. Le conclusioni del vertice sulla pandemia e sul contrasto all’impatto economico e alle crescenti disparità sono abbastanza generiche da accontentare tutti. Ma l’attenzione di Trump è focalizzata sul “dopo voto”. La sua campagna ha finora incassato solo sconfitte nelle aule di giustizia, l’ultima: un giudice federale della Pennsylvania boccia la richiesta di sospendere la certificazione del risultati nello Stato. Ma i legali del magnate preannunciano appello: una tappa sul percorso che potrebbe condurre alla Corte Suprema, prima dello Stato, poi dell’Unione; e, intanto, chiedono un ulteriore riconteggio in Georgia. E sui social non si arrende: “Perché Biden sta rapidamente formando” il suo team? “I miei investigatori hanno trovato centinaia di migliaia di voti illegali”, ribalterebbero “il risultato in almeno quattro Stati”. Secondo il Washington Post, Trump potrebbe annunciare entro fine anno una sua candidatura per il 2024: intende restare “onnipresente” in politica e nei media.

Fra i repubblicani, c’è chi è insofferente all’ostinazione del presidente a contestare l’esito del voto. E il magnate polemizza con la deputata del Wyoming Liz Cheney, figlia dell’ex potente vicepresidente Dick Cheney, che dice: “Se Trump non può provare le accuse di brogli, allora rispetti il giuramento di preservare, proteggere e difendere la Costituzione”. Il presidente eletto Joe Biden tira dritto e a breve annuncerà i primi nomi dei suoi ministri.