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Vaticano Mistero di Instagram: il Papa mette “mi piace” alla foto di una modella seminuda

Annunciamo il mistero dell’Instagram di Papa Francesco. Da più di una settima si cerca di fare luce sullo scandalo del sacro cuoricino: chi è stato a mettere “mi piace” a una modella brasiliana col sedere di fuori dall’account ufficiale del pontefice? L’ipotesi più suggestiva – purtroppo improbabile – è che sia stato Francesco in persona. Bergoglio è un progressista, un innovatore dei costumi ecclesiastici. Ci piace immaginarlo mentre “scrolla” selvaggiamente il suo feed di Instagram e piazza qualche “like” tattico alle foto delle ragazze avvenenti. Più probabile che sia stato un social media manager guardone e distratto, anche se non è esclusa la possibilità che fosse addirittura un hacker. Fatto sta che in Vaticano si brancola ancora nel buio. A marzo Francesco festeggerà i suoi primi 5 anni su Instagram. Si era presentato così: “Inizio un nuovo cammino, in Instagram, per percorrere con voi la via della misericordia e della tenerezza di Dio”. Ma le strade del Signore, come noto, sono infinite.

 

Lazio Si tatua Anna Frank con la maglietta della Roma Ora rischia: la Digos indaga per istigazione all’odio razziale

C’è solo una cosa peggiore di un imbecille: un imbecille operoso. L’ultima manifestazione della stupidità assoluta è il video di un tifoso della Lazio – si presume – che mostra la sua impresa: si è tatuato il disegno di Anna Frank con la maglia della Roma. Per comprendere la demenza diabolica del gesto, bisogna descriverne il contesto: i gruppi parafascisti delle tifoserie della Capitale si scherniscono da anni con la parola “ebreo”, come se fosse un insulto. Pochi anni fa fecero scandalo gli adesivi incollati dai laziali allo stadio Olimpico, con la Frank – appunto – in divisa giallorossa. Stavolta un idiota è riuscito a fare di più, come racconta Repubblica Roma: si è tatuato il volto della ragazzina vittima del nazismo in versione romanista, ha fatto un video per celebrare la prodezza e l’ha fatto girare in qualche chat per vantarsene. La clip è finita tra le mani della Digos, che ora indaga per risalire all’identità del beota. Rischia di essere incriminato per istigazione all’odio razziale.

 

Modena Da Novi a Carpi per bersi un mojito: “In quel bar è più buono”. Lo fermano i carabinieri: 533 euro di multa

Non è la prima volta che un uomo dalle discutibili capacità di giudizio si compromette nel nome di un mojito. Il precedente illustre del Papeete Beach lo conoscete tutti, qui parliamo invece di un fatto molto più modesto. Lo racconta la Gazzetta di Modena: “Una pattuglia dei carabinieri di Carpi ha fermato un 50enne residente a Novi che, a bordo della propria auto, aveva raggiunto il centro di Carpi, violando così il divieto di mobilità. L’uomo ha cercato di giustificarsi sostenendo di aver raggiunto il comune carpigiano perché nei bar del centro venivano somministrati drink alcolici di migliore qualità. La ‘giustificazione’ non è tuttavia risultata soddisfacente e all’uomo è stata comminata la sanzione di 400 euro, aumentata di un terzo perché contestata a bordo di un’auto”. Il nostro eroe si è fatto 20 chilometri in macchina durante la pandemia per andarsi a bere un mojito dal suo barista di fiducia. Costo della spedizione (esclusa benzina): 533 euro. È pronto per guidare la Lega.

 

Milano Va a comprare la cocaina travestito da donna ma lo ferma la polizia: ora è indagato per spaccio

Modalità Carnevale di Rio: un milanese è andato dalla sua spacciatrice a comprare cocaina vestito da donna. Una bella parrucca lunga, occhiali da sole e mascherina. Per non farsi riconoscere, per solidarietà femminile o forse solo perché gli piace travestirsi. Quale che sia il motivo, non è andata bene: la polizia era appostata all’interno del palazzo e ha fermato entrambi, come scrive Repubblica Milano. La dealer è stata arrestata, il consumatore in parrucca è indagato in stato di libertà. Il cambio di genere non ha portato fortuna al 30enne milanese, che cercava la massima riservatezza e invece è entrato a gamba tesa nelle notizie di cronaca locale. “A lui è stato trovato addosso un ‘pezzo’ intero di cocaina, ancora da lavorare, dal peso di 20 grammi, appena comperato: l’ipotesi è che sia un rivenditore”. A casa della spacciatrice invece i poliziotti hanno scovato 70 grammi di hashish e altri 87,5 grammi di cocaina.

 

Ragusa Una capra vede la sua immagine riflessa e sfonda a testate la vetrina di un supermercato

Immaginate la seguente notizia come fosse un servizio di Superquark natura decantato da Piero Angela. Il testo invece è una meravigliosa agenzia dell’Ansa: “Una capra vendendo la propria immagine riflessa sui vetri stamane ha sfondato le vetrate di un supermercato lungo la strada provinciale che collega Vittoria a Santa Croce Camerina (Ragusa, ndr). L’animale, probabilmente allontanatosi da un gregge, a più riprese, ha colpito i vetri sulla facciata laterale del supermercato. L’episodio si è verificato intorno alle 6: è scattato l’allarme ed il responsabile del supermercato si è recato nel punto vendita di via Salvo D’Acquisto. Alla vista dei vetri divelti, ha pensato alla possibilità di un furto. Poi ha visto poco distante l’animale che si allontanava dall’ampio parcheggio del supermercato e si è reso conto che probabilmente era accaduto qualcosa di diverso. Sono intervenuti i vigili del fuoco, i vigili urbani e la Polizia”.

 

Francia La radio Rfi pubblica (per errore) i necrologi di Pele, la Regina Elisabetta, Eastwood, Raul Castro e altri

Piovono coccodrilli. La radio francese Rfi ha pubblicato sul suo sito, tutti insieme, i necrologi per le morti di Pelè, della Regina Elisabetta, di Jimmy Carter, Clint Eastwood, Ali Khamenei, Alain Delon, Raul Castro e tanti altri ancora. Personaggi molto famosi e altrettanto vivi, almeno per adesso, sperando che finisca in fretta il 2020. Si è trattato ovviamente di un errore tecnico: i coccodrilli sono articoli “freddi” – è il caso di dirlo – pronti per essere pubblicati quando scompare un personaggio importante. È molto opportuno che restino nei cassetti delle redazioni e che siano tirati fuori solo al momento fatale: non un secondo prima. Invece nella sede di Rfi qualcuno deve aver pigiato il tasto sbagliato. Con un micidiale effetto macabro e comico insieme. “RFI si scusa per la pubblicazione involontaria di diversi necrologi sul proprio sito – hanno scritto i francesi su Twitter –. I nostri team tecnici sono mobilitati per correggere questo grave bug”. Nel frattempo a un sacco di persone sono fischiate le orecchie, per non dire altro.

 

Russia Due piloti di linea sotto indagine per aver cambiato tragitto di viaggio in modo da disegnare un pene sul radar

Due piloti di una compagnia aerea russa sono finiti sotto indagine perché avrebbero deviato il proprio tragitto in modo da disegnare sui radar il profilo di un pene stilizzato. Proprio così: hanno disegnato un pisello in cielo. La forma inequivocabile del pene si mostra nel suo splendore osservando la scia dei loro viaggi sui monitor usati per tracciare i voli. I due eroi sono piloti della Pobeda Airlines e ha quanto pare la traiettoria fallica avrebbe un preciso significato politico: volevano mandare un messaggio di solidarietà a Artem Dzyuba, il capitano della nazionale di calcio della Russia, escluso dalle convocazioni dopo uno spiacevole scandaletto personale. Dzyuba ha visto accrescere rapidamente la sua fama a causa di un video diventato virale nel quale l’attaccante russo si masturba di fronte alla telecamera. L’allenatore della Russia Stanislav Cherchesov l’ha escluso dalle convocazioni per evitare “eccessi di tensione” (ha detto proprio così). I piloti della Pobeda invece non gli hanno fatto mancare la propria vicinanza.

Il “pacco” dell’emiro: l’ospedale Covid-19 è un capannone vuoto

Doveva essere un luxury hospital “chiavi in mano”, il mega ospedale da campo donato ad aprile all’Italia, per la pandemia Covid-19, dall’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani, proprietario del Psg, di banche, compagnie aeree nonché organizzatore dei prossimi Mondiali 2022. Per il momento ci sono solo capannoni vuoti, un tendone usato pieno di buchi e altre quattro tendostrutture, ancora in fase di istallazione. Per non parlare dei materiali: lettini, materassi e brande fatiscenti, alcune scheggiate, arrugginite e inservibili; mascherine, guanti, occhiali, tute protettive e ventilatori polmonari – rigorosamente made in Cina – imballati e accatastati in un magazzino affittato dalla Regione. È arrivato tutto ad aprile con i boeing della Qatar Emiri Air Force che li hanno scaricati a Verona e a Pratica di Mare. “Materiale importante – spiegava all’epoca il ministro degli esteri Luigi Di Maio – per costruire strutture dedicate liberando gli ospedali Covid”. L’ambasciata di Doha annunciava: “Un primo ospedale da 5200 mq e un secondo da 4 mila, per una capacità di 1.000 posti letto per entrambi, dotati di moderni dispositivi tecnici e attrezzature per il trattamento delle persone con coronavirus”.

La prima struttura destinata a Schiavonia (Padova), montata a tempo di record, sarebbe già in funzione, ma mancano le attrezzature per completarla. L’altra era per Policoro (Matera), 17 mila abitanti, dove però, temendo l’effetto lazzaretto, qualcuno ha storto il naso. La Regione ha così diviso le tendostrutture: tre a Potenza, due a Matera. Per le installazioni ha stanziato 469 mila euro. I lavori, iniziati a maggio, non sono ancora terminati. “Sembrano capannoni per l’Oktoberfest – dice Mario Polese (Iv) vicepresidente del consiglio regionale -. Quello del Qatar è stato un ‘pacco’ più che un dono”. “Gli annunci in pompa magna possono diventare boomerang – commenta Giovanni Perrino (M5S), della commissione sanità regionale – si parlava di apparecchiature di alta tecnologia, ma siamo in zona arancione e per ora non si vede nulla”.

La possibilità di accogliere 300 pazienti a Potenza e 200 a Matera resta utopia. Eppure il governatore Vito Bardi ha ribadito qualche giorno fa: “Gli ospedali da campo saranno protetti e sicuri, e potranno ospitare fino a 50 pazienti Covid”. “Si parla di degenza asintomatici e paucisintomatici, ma perché una persona, che potrebbe curarsi a casa dovrebbe decidere di stare sotto una tenda?”, critica Polese: “È stato uno spreco enorme, se si pensa ai 100 mila euro rendicontati, ai 400 mila utilizzati per mettere in piedi la struttura e agli altri 250 mila euro che serviranno per completarla”.

Ma c’è anche un altro problema. Potenza, con i suoi 819 metri d’altitudine, è il capoluogo di regione più alto d’Italia, con frequenti raffiche di vento e neve. “La tenda che presenta usure sarà smontata e utilizzata per funzioni logistiche e non mediche – precisa Guido Loperte della protezione civile –, per le altre saranno fatti degli interventi di rafforzamento strutturale”. Ci vorranno, si stima, altri 2 milioni di euro per completare l’opera.

“L’assegnazione alla Basilicata – racconta Ugo Albano, responsabile operativo protezione civile – è arrivata con una telefonata dalla sede nazionale, dicendo che in 48 ore ci avrebbero consegnato il materiale”. A quel punto è stata una lotta contro il tempo per scegliere dove depositare le strutture.

La regione ha scelto i capannoni dell’Efab, Ente Fiera Autonomo Basilicata. Il contratto di locazione è siglato con la BSI Srls, costituita a febbraio 2020 con appena 500 euro di capitale sociale, e che risulta affidataria della struttura Efab da parte di Basilicata Fiere Srl. Il canone mensile è di 5 mila euro per tre mesi, e la “proroga per ulteriori 2 mesi”, nel caso in cui non fossero completate tutte le operazioni. Il deposito è dentro il polo fieristico, ma l’entrata è quella di una discoteca al momento chiusa.

Uno accanto all’altro, troviamo anche i ventilatori polmonari ancora imballati, che potrebbero fare comodo in questa nuova ondata. In fila anche scatoloni chiusi e ammassati con mascherine, guanti, occhiali e tute con cappuccio. Ne apriamo qualcuno, hanno il marchio Kingstar, azienda di Wuhan nella provincia di Hubei. Le indicazioni solo in cinese e non c’è il marchio CE. “I ventilatori polmonari sono fermi perché sono stati dedicati all’ospedale – spiega Albano -, con il resto del materiale stiamo già rifornendo le aziende ospedaliere in caso di mancanza dei dpi”.

Mostriamo le foto ad alcuni infermieri e medici di Matera. Lo stupore è immenso. “Sembrano lettini e materassi già usati e mandati da noi per essere smaltiti, non possono essere utilizzati per ospedali da campo – dice Giovanni Sciannarella, segretario Fials Matera -. Se i dpi sono conformi e in buono stato ci possono servire. Qui c’è chi, in assenza dei calzari, ha usato i sacchi della spazzatura”.

E c’è un altro dubbio: chi ci lavorerà? Nel progetto iniziale si ipotizzava la presenza di 100 medici e 400 infermieri. Qualche settimana fa l’Azienda Sanitaria di Matera ha chiamato in servizio gli infermieri, con contratto a sei mesi, da una graduatoria di 1.421 idonei. Hanno risposto solo in 4. L’Asm ha quindi inviato altre 400 convocazioni. “Preferiscono andare in altre aziende, come la vicina Puglia, dove i contratti arrivano anche a 36 mesi – spiega Marco Bigherati, segretario aziendale Fials Matera -. Sono stati fatti errori di valutazione, anche da parte del ministro Speranza che ha scelto la Basilicata per questi tendoni, vista la grave carenza di personale nella nostra regione che il ministro dovrebbe conoscere bene”.

Azzolina: “Studenti anche alle superiori in aula a dicembre”

Non c’è più dubbio su come la pensino gli scienziati del Comitato Tecnico Scientifico sull’istruzione: le scuole – hanno messo nero su bianco nel verbale redatto dopo l’incontro con l’Oms voluto dalla ministra Azzolina per fare il punto sulla situazione in Europa – devono essere le ultime a chiudere in caso di lockdown e le prime a riaprire. All’incontro, che tra dati e numeri ha di fatto confermato che l’età scolare non sembra presentare elementi di accelerazione della diffusione del virus, erano presenti il coordinatore del Cts Agostino Miozzo, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, il presidente della Società italiana di pediatria Alberto Villani e Sergio Iavicoli dell’Inail.

Nel testo si fa riferimento alle conseguenze “devastanti” delle chiusure scolastiche sugli alunni ma anche su tutta la società. Si consiglia che siano provvedimenti da prendere come ultima alternativa e che anche in quel caso siano temporanei e solo locali, per i casi in cui l’epidemia non possa essere gestita con diverso approccio. Via dunque qualsiasi chiusura “pro-attiva” in favore di misure che siano “solo reattive”. Tradotto: non ci si deve ricorrere per evitare un problema sanitario o il suo aggravarsi o un ipotetica complicazione bensì solo in caso di una situazione effettivamente critica e fuori controllo. Che però per definizione dovrebbe essere dimostrata, visto che sono in ballo equilibri importantissimi. Gli altri punti su cui insiste il comitato sono sanitario e socioeconomico: l’impatto negativo di questa situazione sulla salute degli studenti mette a rischio il “benessere affettivo e sociale, che si ripercuote negativamente sullo sviluppo del contesto socioeconomico”. Si pone l’accento sulla necessità di garantire l’accesso equo a tutti gli studenti, e soprattutto ai ragazzi con bisogni speciali, agli eventi, alle risorse e ai materiali didattici da remoto con tecnologie appropriate.

Una presa di posizione netta, insomma, che arriva nel momento in cui anche all’interno del governo e soprattutto nel Pd si inizia a parlare di rimandare la riapertura delle scuole superiori al 7 gennaio e non allo scadere del Dpcm, a dicembre. Ieri la ministra Azzolina ha smentito un articolo di Repubblica in cui lo si dava praticamente per deciso: “È falso che al ministero dell’Istruzione si dia ormai per scontato che anche a dicembre tutti gli studenti resteranno a casa – ha scritto su Facebook – L’unica cosa per me scontata è che siano tutti d’accordo, e che tutti collaborino, per riportare quanto prima in classe studentesse e studenti che al momento stanno facendo didattica digitale a distanza”. Resta ferma sull’idea che non sia ammissibile ipotizzare qualsiasi alleggerimento delle restrizioni per le attività commerciali e sociali senza contemplare anche quello della scuola o, peggio, ipotizzando di continuare a tenerla chiusa. La ministra della Famiglia, Elena Bonetti, ha addirittura ipotizzato che si possa riaprire riportando almeno il 50 per cento degli studenti in presenza. Il tema è sul tavolo: si vedrà nelle prossime ore come intenderanno “brandirlo” le varie forze politiche.

Spostamenti tra regioni sì, ma vacanze sulla neve no

La seconda ondata della pandemia in Italia sarebbe ormai vicina al picco, a rivelarlo è il numero ancora drammatico, ma in calo dei decessi: ieri 562, venerdì 692. Il Cts invoca “controlli e sanzioni per lo shopping di Natale”, altrimenti tutto sarà vano e avremo la terza ondata, come ribadisce anche l’Oms. Ma serviranno quindici giorni per capire se saranno possibili allentamenti natalizi e spostamenti fra le regioni, intanto da Palazzo Chigi avvertono: “No alle vacanze sulla neve”. Calano i nuovi casi, ma anche i tamponi, mentre continua la pressione su terapie intensive e ospedali.

I numeri in calo la media

Sono stati 28.337 i nuovi casi di coronavirus registrati dalla Protezione civile, rispetto ai 34.767 di sabato, a fronte però di 48mila tamponi in meno: 188.747 contro 237.225. E torna a crescere la variazione dei ricoveri: 216 nelle ultime 24 ore (34.279 totali), 43 in terapia intensiva (3.801 totali), rispetto a 106 e 10 di sabato. La Lombardia sempre tristemente in testa alla classifica dei nuovi casi, 5.094, 165 i decessi, seguita da Campania (+3.217), Veneto (+2.956), Emilia Romagna (+2.665) e Piemonte (+2.641). Sono stati 535 nella provincia di Bolzano, dove si è conclusa la tre giorni di screening di massa cominciata venerdì. Raggiunto l’obiettivo di sottoporre a diagnosi circa il 70% della popolazione, 537mila abitanti, da cui è emerso un tasso di positività di circa l’1%.

L’esperto“c’è una frenata”

È ancora drammatico il numero dei decessi: 562. Erano stati 692 sabato. Il fisico Alessandro Amici rileva: “Non siamo ancora ai 20 giorni dall’introduzione delle zone rosse del 6 novembre, ma siamo sufficientemente vicini per iniziare a sperare che il numero di decessi particolarmente basso – rispetto ai giorni precedenti – registrato domenica non sia solo una fluttuazione. Il dato particolarmente buono di tre giorni fa è stato seguito da due numeri in crescita, quindi si è trattato solo di una fluttuazione o al limite di un leggero rallentamento. Da ieri, però, siamo più vicini al momento in cui mi aspetto di vedere i segni di aver raggiunto il picco nei decessi giornalieri. Un altro indicatore positivo è che anche per i decessi della sola Lombardia la media è molto al di sotto dalla curva dei giorni precedenti. C’è un terzo dato positivo: anche se non credo che il numero dei nuovi casi riportati nelle ultime due settimane sia confrontabile con i dati del mese scorso, il fatto che da quattro giorni la media stia scendendo può essere il segnale che la diffusione dell’epidemia stia davvero diminuendo. La mia interpretazione è che il picco reale, è meno “largo e appiattito” e più alto di quello che appare dalla curva dei nuovi casi, ma probabilmente c’è stato proprio in questi giorni. La conferma deve venire dai dati dei decessi e mi aspetterei che arrivasse nei prossimi 3-5 giorni”. Ci credono a Palazzo Chigi, tanto che in serata arriva il commento: “Il sistema di misure restrittive che il governo ha voluto introdurre, nello scetticismo generale, inizia a dare i suoi frutti. I segnali di contenimento del contagio iniziano a manifestarsi con sempre maggiore chiarezza. La strategia messa in atto per fronteggiare questa seconda ondata sta funzionando. Non è il momento di cantare vittoria. Il virus continua a circolare e continuerà ancora a circolare nei prossimi mesi. Ma questo sistema ci consente di intervenire in modo circoscritto, senza imporre sacrifici anche economici ingiustificati”.

Il governo decisioni

Mentre l’Oms invita l’Europa ad attrezzarsi per una prevedibile terza ondata, Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico spiega: “Dobbiamo valutare l’andamento della curva nelle prossime due settimane; per evitare l’assembramento da shopping ci vorrà monitoraggio e sanzioni rigorose. Se non a gennaio saremo alle prese con la terza ondata”. Palazzo Chigi annuncia: “Stiamo lavorando ad una iniziativa europea, per prevenire le consuete vacanze sulla neve, che attirando appassionati degli sport sciistici e dei soggiorni in montagna farebbero il paio con le vacanze spensierate, con serate in discoteca, della scorsa estate”. E il ministro Roberto Speranza anticipa a Chetempochefa su Rai3: “Vaccino anti-Covid da fine gennaio alle fasce deboli su base volontaria”.

Parla Fico. “Amo Napoli, sarei felice di esserne il sindaco”

“Mi piacerebbe fare il sindaco di Napoli, amo la mia città, amo tutto di Napoli. Ha questo grande animo popolare che guarda al futuro e resiste alla globalizzazione spinta, è una città straordinaria e va valorizzata”. Parole del presidente della Camera Roberto Fico, ospite di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più, su Rai3. “Il sindaco di Napoli ha un peso e un onere enorme – ha aggiunto Fico, rimandando il discorso, eventualmente, al futuro –. Io ora sto facendo una cosa molto importante come il Presidente della Camera”.

Nel corso dell’intervista il Cinque Stelle ha anche commentato il caso che riguarda il suo collega Nicola Morra: “Spero che in Rai ammettano che è un grande sbaglio – riferendosi alla censura di Morra, escluso dal programma Titolo V –. È assolutamente grave, gravissimo che il presidente dell’Antimafia sia invitato, entri in camerino per andare in trasmissione e gli dicano, ‘no, non puoi’. Non sta né in cielo né in terra”.

Fico ha poi rilanciato il messaggio di Sergio Mattarella, l’invito a maggioranza e opposizione a collaborare nella gestione della crisi Covid: “Credo che sia molto giusto il discorso del presidente della Repubblica in un momento così difficile. Durante la pandemia le classi politiche devono mostrarsi più che mai disposte alla condivisione, dobbiamo cercare l’unità nazionale, abbassare le polemiche e andare insieme”.

“Mediaset, una norma giusta. Ora antitrust sulla pubblicità”

Ministro Stefano Patuanelli, perché avete deciso di aiutare Mediaset nello scontro con Vivendi con una norma ad hoc?

Non siamo andati incontro a Mediaset. Quella norma è giusta e serve per colmare il vuoto normativo seguito alla sentenza della Corte di giustizia Ue, che ha stabilito che i limiti all’incrocio tra media e Tlc per un operatore non devono essere fissati rigidamente. È una normativa momentanea che da all’Agcom, un’autorità indipendente, il potere di decidere sull’incrocio e sul pluralismo dell’informazione.

La prima beneficiaria è però Mediaset, che potrà trattare una pace con Vivendi da una posizione di forza.

È un effetto indiretto, ma non la ratio della norma. La norma è generale, in futuro potrà riguardare aziende diverse. Io contesto da sempre quando la politica fa norme ad aziendam ma non è neanche corretto farle contra aziendam. Ad ogni modo, l’Agcom potrebbe dire che non ci sono problemi per Vivendi.

Si rincorrono voci di un negoziato con emissari del mondo berlusconiano, come Gianni Letta o Fedele Confalonieri.

Ho incontrato Confalonieri una sola volta per 20 minuti, Letta due volte in occasioni istituzionali e non abbiamo discusso di questi temi. Non ho mai contrattato con Fininvest questa norma, né lo ha fatto la sottosegretaria Mirella Liuzzi, che ha la delega in materia.

Può escludere che lo abbiano fatto altri del governo o della sua maggioranza?

Non posso escludere quello che fanno gli altri, ma la decisione su quella norma è mia.

Palazzo Chigi era informato?

Che ci fosse una regia collegiale è evidente.

Lei ha detto di averlo studiato col ministro Gualtieri. È stato costretto a chiarirlo, si dice, dopo le pressioni del Pd…

Sulle pressioni del Pd mi permetta di sorridere. L’emendamento è stato presentato al decreto Covid da una relatrice del Pd, io ho ritenuto di chiarire che non è stata una sua iniziativa. Me ne assumo la responsabilità.

La norma dà un potere enorme all’Agcom, i cui nuovi vertici non sono certo ostili a Mediaset.

Preferisco che sia un’Autorità indipendente a decidere piuttosto che la politica. È comunque una norma temporanea in attesa di una riforma della legge Gasparri.

L’abnorme concentrazione televisiva e pubblicitaria in mano a un imprenditore-politico ha creato non pochi problemi al pluralismo. Interverrete?

È prematuro dirlo, ma esiste un problema di concentrazione che va affrontato, non solo degli operatori tradizionali. Oggi i sistemi sono integrati, produzione di contenuti e rete su cui viaggiano sono spesso in mano agli stessi gruppi. Penso agli “over the top”: va regolato il modo in cui impatta sul mercato la forte concentrazione in mano a colossi come Amazon, Facebook o Google, che hanno il 75% del mercato pubblicitario. È un problema di pluralismo, anche dell’informazione.

Molti 5Stelle sostengono che la misura non è un favore a Berlusconi ma a tutela di un’impresa italiana. Vivendi ha scritto una lettera di fuoco al governo, minacciando ricorsi.

Proteggere un’azienda italiana è giusto. Per me è un valore, lo vediamo quando in Francia ci vanno le aziende italiane. Vorrei vedere cosa succederebbe se un’azienda italiana si permettesse di scrivere al governo francese ciò che Vivendì ha scritto al governo italiano.

La norma sembra il preludio a un’opposizione meno dura di Forza Italia. I segnali di dialogo con Berlusconi si moltiplicano. Non è una sconfessione della vostra storia?

Il Paese ha davanti sfide da affrontare nel modo più unitario possibile. L’atteggiamento della Lega e di Fratelli d’Italia è diverso da quello di Forza Italia. Nessuna preclusione, un dialogo è possibile ma la maggioranza è questa e non va cambiata. E non cambierà per questa norma.

Il gruppo di Vincent Bolloré è primo azionista di Tim, quindi è essenziale per creare l’operatore unico della rete con dentro anche Cdp a cui punta il governo. Perché esporsi alla ritorsione francesi?

Bolloré è un grande imprenditore, capisce l’importanza della rete unica anche per Vivendi, non credo vorrà sabotarla per ripicca, chi fa impresa capisce ciò che conta. Vogliamo lavorare con loro in Tim. L’italianità di un’azienda si vede da dove opera. Tim è italiana.

Il governo come vedrebbe un ingresso di Mediaset in Tim?

Non ci sono preclusioni, ma penso sia prematuro.

Vivendi si è mossa in Mediaset e Tim sperando di integrare produzione di contenuti e reti che li trasportano per sfidare i grandi colossi. Una specie di Netflix europea. Pensa che lo Stato debba giocare un ruolo, visto che Cdp ha il 10% di Tim?

Credo sia giusto, specie se coinvolge infrastrutture che devono avere una presenza e una governance pubbliche. Pur avendone il 10%, Cdp non ha nemmeno un esponente nel cda di Tim.

Sulla rete unica il progetto arranca, Tim dovrebbe fondere la sua rete con Open Fiber ma Enel, che ha il 50%, non è così convinta di vendere e Bruxelles ha dubbi sulla sua neutralità, visto che Tim avrà la maggioranza.

Oggi c’è un cda importante di Enel, sono certo che la società e l’ad Francesco Starace siano consapevoli di quanto sia importante il progetto che stiamo realizzando.

Ma mi faccia

Il sensale. “Melania vuole lasciare Donald? Fonti vicine alla coppia presidenziale mi dicono che il gossip è completamente privo di fondamento” (Matteo Salvini, segretario Lega, Un giorno da pecora, Radio1, 10.11). Non so voi, ma io i Trump li vedo maluccio. Manca solo la benedizione di Fassino.

Draghi e draghetti. “Governo Draghi nel 2021” (Renato Brunetta, deputato FI, Repubblica, 22.11). Ci parla lui.

Orgoglio e pregiudizio. “C’è pregiudizio sui calabresi. Non siamo tutti ‘ndranghetisti” (Nino Spirlì, presidente reggente Regione Calabria, La Stampa, 19.11). Vero: certa gente la ‘ndrangheta la scarta.

Parole sante. “Rimpianti? Uno solo, forse. Non essermi levato di torno, e per sempre, subito dopo la sconfitta al referendum” (Matteo Renzi, segretario Italia Viva, Sette-Corriere della sera, 20.11). Ma sei sempre in tempo.

Un americano a Roma. “Avevo tre offerte di lavoro dagli Usa, avevo già optato per una. Poi tutto lo stato maggiore del Pd mi convinse” (Renzi, ibidem). A me m’ha bloccato la malattia. Se io mi trovo in questo suolo è perché è il babbo che lo vuole, sennò a quest’ora io sarei a Broadway e non in questo zozzo letamaio!

AAA cercasi palo. “La novità è che oggi si sta ampliando il numero delle persone disponibili a riconoscere a Berlusconi un ruolo importante. Sta all’intelligenza delle forze di governo e del presidente del Consiglio dare segnali concreti: non tappeti rossi, ma disponibilità a lavorare insieme” (Giorgio Gori, Pd, sindaco di Bergamo, La Stampa, 19.11). Serve qualcuno che gli tenga il sacco.

Energie migliori. “Il segnale di Forza Italia va raccolto subito. Chiamare al governo le energie migliori” (Goffredo Bettini, Pd, Corriere della sera, 16.11). Possibilmente prima che ce le arrestino tutte.

Bongiorno giustizia/1. “Sarà la Bongiorno a incastrare Grillo e il figlio. Da quandoassiste una delle ragazze che avrebbero subìto violenza i 5Sstelle tremano” (Pietro Senaldi, Libero, 22.11). E da quando riuscì a far dichiarare Andreotti colpevole di mafia fino al 1980, i suoi clienti pregano.

Bongiorno giustizia/2. “Sono positiva al Covid: Bonafede non ha protetto noi frequentatori dei tribunali, non ha fatto nulla per evitare che chi – pur con mascherina – è costretto nelle aule, senza ricambio d’aria e spesso senza finestre, si ammalasse” (Giulia Bongiorno, senatrice Lega, 20.11). Covid governo ladro.

L’emerito. “La pioggia di misure non aiuta” (Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta, Corriere della sera, 20.11). A proposito, emerito: com’era quella dello stato di emergenza senza più emergenza?

Fake news. “Recovery, allarme Ue sul ritardo dell’Italia. Restano 45 giorni per la presentazione dei progetti di rilancio dell’economia” (Claudio Tito, Repubblica, 19.11). Ora, posto che i progetti vanno presentati a gennaio, siamo a novembre e nessun Paese Ue ha presentato un progetto, delle due l’una: o l’Italia è in ritardo, o Repubblica è in anticipo.

Er Più. “I grillini governano senza trasparenza. La Azzolina che nasconde i dati del suo concorso. Bonafede che ha liquidato Di Matteo e scarcerato i boss. Patuanelli che incontra Castellucci con una senatrice ex assistente di volo e quindi esperta di Alitalia. La Castelli che andrebbe bene per dare ripetizioni serali a ragioneria. Un gaffeur come Di Stefano. Di Maio che inciucia, rinnega, si accoda, piazza i suoi uomini” (Gianluigi Paragone, senatore ex M5S, ora leader di Italexit, La Verità, 16.11). E dimentica la più bella: quei dementi hanno fatto eleggere addirittura Paragone.

Gaudium magnum. “Perchè non voglio più fare il commissario alla Sanità in Calabria? Motivi personali e familiari me lo impediscono. Mia moglie non ha intenzione di trasferirsi a Catanzaro. Non ho intenzione di aprire una crisi familiare” (Eugenio Gaudio, rettore uscente dell’Università La Sapienza di Roma, Repubblica, 17.11). Un “tengo famiglia” alla rovescia.

Calabria Saudita. “Ma che cazz! Ma cosa c’entra Gino Strada? La Calabria è una Regione dell’Italia, non abbiamo bisogno di medici missionari africani, vergogna! La Calabria non è l’Afghanistan, non siamo uno Stato del quarto mondo, dovranno passare sul mio corpo!” (Spirlì, presidente reggente della Calabria, La zanzara, Radio24, 11-3). Infatti Gino Strada è nato a Sesto San Giovanni (Milano), a metà strada tra l’Africa e l’Afghanistan.

Papa Donald I. “Se gli italiani potessero, dovrebbero collocare Trump al posto del Papa. Dico sul serio. Dovreste prendere Trump, metterlo su un aereo e installarlo in Vaticano. Le sue idee vi tornerebbero molto utili” (Edward Luttwak, politologo, La Verità, 9.11). Ecco chi ha messo il like alla foto della modella osé dall’account Instagram del Papa.

Il titolo della settimana. “I parlamentari azzurri: ‘Non ci saranno più fughe’” (il Giornale, 21.11). Poi comprano una vocale.

Kylie meglio di Madonna: è lei la regina della disco e delle classifiche, sempre in vetta da trent’anni

Confessions On A Dance Floor di Madonna nacque dopo l’ascolto di un brano dance del produttore Stuart Price, Man With Guitar: la Ciccone decise di assoldarlo subito dopo per creare Hung Up e Get Together. È stato l’ultimo capitolo della carriera di Madonna a essere rilevante. Nel 2013 saranno i Daft Punk a riportare l’iconica mirror ball al centro della scena musicale, grazie alla collaborazione con Giorgio Moroder – l’inventore di Donna Summer e del suono di I Feel Love – e Nile Rodgers, che con il sodale Bernard Edward creò gli Chic e gran parte delle perle della Discomusic.

L’elenco degli artisti con un album dal sound danzereccio nel 2020 è ingente: Dua Lipa, Jessie Ware, Róisín Murphy e Lady Gaga. Kylie Minogue qualitativamente ha fatto di più e meglio di tutte, diventando anche autrice e persino fonica, dovendo incidere da sola in un piccolo studio a casa sua durante il lockdown le tracce del nuovo album appena uscito. “Quando ero piccola, io e i miei fratelli ballavamo i Bee Gees, Olivia Newton-John e gli Abba: mi immaginavo una di loro, Agnetha”, confessa Kylie. “La discomusic era un modo per poter ballare e svagarsi dai propri problemi e dolori. Alcune delle più belle canzoni dance sono dichiarazioni di forza, quindi c’è una correlazione con l’oggi e quello che stiamo vivendo. Una strobosfera ti permette di vedere la luce nell’oscurità”. Il risultato è una serie di numeri uno in tutto il globo per l’ennesima volta, tanto da eguagliare Madonna nel Regno Unito e di centrare un record del quale è detentrice assoluta: unica artista ad avere un album al primo posto per cinque decadi di seguito. Oltre cinquantamila copie vendute come non se ne vedevano da tempo, molto più remunerative dello streaming, comprate da boomer in attesa di tornare a bere un drink sulle spiagge di Ibiza.

Ma non è sempre stato rose e fiori: nel 2005 le fu diagnosticato un tumore al seno, interruppe il tour e si fermò per oltre un anno prima della completa guarigione. Artista poliedrica, attrice cinematografica, ideatrice di profumi e designer di lingerie, la Minogue è tornata alle origini dopo la svolta country di Golden di due anni fa e dal concerto a Glastonbury che ha conquistato un altro record: la performance più seguita in tv di tutti i tempi. Si parte con Magic, gioiellino pop costruito sulla voce sensuale e nello stesso tempo ancestrale dell’artista australiana. Miss A Thing inizia con un intrigante suono compresso e un refrain sexy con tanto di archi Anni 70. Monday Blues ha una chitarrina irresistibile e scimmiotta le Spice Girls, mentre i vocoder di Supernova evocano i Rockets. Il videoclip di Say Something rimanda agli effetti speciali della tv Anni 80: Kylie vi appare avvolta nella carta stagnola. Dance Floor Darling è la traccia più raffinata, con un assolo degno di George Clinton. Nei testi, l’artista cita il celebre Studio 54 e I Will Survive di Gloria Gaynor quale antidoto alla pandemia. L’interprete di Can’t Get You Out Of My Head sceglie il dancefloor per rivitalizzarci e ammaliare, una sorta di distrazione di massa: “Balla come se nessuno ti stesse guardando, le emozioni più profonde si scatenano. Scappa con me stanotte, vieni a ballare per me: cadrò ai tuoi piedi”. Come resisterle?

Che bellezza Saint-Just, “Arcangelo della morte”

Non mi metto a fare la storia della Rivoluzione francese. Altrimenti direi: “Leggete il Gaxotte e incominciate da lì”. Una constatazione mi pare obbligatoria. Proviamo a guardare i ritratti dei suoi protagonisti, a cominciare da Robespierre. Hanno tutti una tabe fisica: chi gobbo, chi ex prete con tutte le stigmate, chi obeso…

Ce n’è uno solo veramente bello, Louis-Antoine de Saint-Just, detronizzato per il suo appoggio a Robespierre, a ventisei anni, il 9 Termidoro (27 luglio) del 1794 e ghigliottinato, con Robespierre, il giorno successivo. Ma André Malraux dice “è la sua bellezza a nascere dalla leggenda”, ossia dal martirio e dalla fedeltà. Egli è peraltro il più amato dei rivoluzionarî dagli uomini dell’estrema destra francese: caso limite Drieu La Rochelle, non indenne lo stesso Camus, che non era di destra né di sinistra.

Una delle scrittrici che amo, Marguerite Yourcenar, sostiene che non potesse essere casto, giacché la carne va sempre soddisfatta. Fosse così semplice. Basta ricordare l’affermazione di Nietzsche, nella Genealogia della Morale: esser l’ascetismo la forma suprema di volontà di potenza. Infatti era soprannominato “l’Arcangelo della Morte”.

In realtà, Saint-Just era un enigma. Affrontato nel bellissimo libro di Stenio Solinas: Saint-Just. La vertigine della Rivoluzione (Neri Pozza, Vicenza). La sua crudeltà, la sua ansia a che gli altri salissero i gradini del patibolo, il disprezzo verso la natura umana accompagnato da un finto amore per l’Uomo, non nasceva da secondi fini, quali che fossero: era una missione attuante un desiderio soterico (verso la Patria), nascente da una insensata lettura degli Antichi, da Livio a Cicerone, a Plutarco. Tale desiderio soterico, psichicamente di carattere ossessivo, comporta quale parva res il sacrificio di sé.

Il 9 Termidoro gli tolsero con insulti e grida la parola: egli restò immobile e insensibile al suo seggio. Per cinque ore, mentre quelli bestialmente berciavano. Dopo la notte di detenzione salì sulla carretta con la stessa fredda eleganza del giorno prima. Può darsi che in cuor suo desse ragione ai suoi assassini: forse possedevano un senso della Patria che a lui sfuggiva. Così era stato fra i promotori di un atto infame: la condanna a morte di Luigi XVI, “perché chi regna non può esser innocente.”

Altro enigma: un uomo di così alti, e confusi, ideali, possedeva qualità pratiche – legislative, amministratrici, militari – che nessuno avrebbe in lui supposte. Combattette, riorganizzò armate quasi disperse sul fronte del Nord: egli, che cavalcava magnificamente ma che non aveva mai svolto il servizio militare.

C’è, in questo libro di Solinas una grande lezione sul “guazzabuglio del cuore umano”. Per il suo stile così agile nel raccontare fatti molto complicati, e per la profondità che dietro v’è nascosta, questo Saint-Just potrebbe portare la firma di Stefan Zweig: il quale, onnisciente com’era, conosceva tutti i segreti e gli orrori della Rivoluzione. Consiglierei di legger parallelamente la sua straordinaria biografia di Maria Antonietta.

 

Te li do io i…cinepanettoni

Cinismo da set: “Subito dopo l’uragano Katrina convincemmo un operatore, appena atterrato in Florida, che per carenza di posti doveva condividere la stanza con una persona. ‘A un tizio è capitata una bella bionda’. In realtà, superata la soglia, si trovò davanti un lottatore di wrestling totalmente nudo. Impallidì. Non sapeva che era una comparsa”.

Scaramanzia da set: “Aurelio De Laurentiis volle girare a Madrid gli interni di Natale sul Nilo, solo perché il precedente in Spagna era andato bene”.

Imprevisti da set: “Per Natale in crociera erano tutti distrutti dalla stanchezza: passavano la notte a giocare al casinò. Qualcuno si è rovinato”.

Liturgia da set: “Quando giri un film corale, c’è sempre la vittima designata: in Pompieri Lino Banfi venne massacrato”.

Egocentrismi da set: “ In Christmas in love Anna Maria Barbera, in arte Sconsolata, fermò le riprese perché Ronn Moss non la guardava con i veri occhi dell’amore”.

Rapporti non solo da set: “Con Villaggio ho condiviso anni; la sua maschera era talmente forte che bastava impostare la scena, poi ci pensava lui”.

Deriso, a volte evitato, annualmente criticato, dal pubblico osannato: Neri Parenti rappresenta un’ampia fetta di cinema, uno spicchio che varia a seconda che la prospettiva sia meramente economica, artistica, sociale o professionale. Ma c’è un dato: i suoi film hanno rappresentato un appuntamento atteso da migliaia di fan, per anni è stato il “veglione” del post-pranzo del 25 dicembre. E nel 2020 oltre ad arrivare sulle piattaforme con Natale su Marte, ha pubblicato un libro (Due palle… di Natale), in cui svela i retroscena dei set, tra scherzi, invidie, carte da gioco, debiti e amici.

Però uno dei primi capitoli è su Pompieri

Per spiegare la liturgia di un film corale, che ha un percorso a sé e prevede dinamiche come l’esigenza di individuare la vittima. In quel caso, Banfi.

Cosa gli capitò?

Gli altri protagonisti della pellicola erano Paolo Villaggio, Gigi e Andrea, Massimo Boldi, Christian De Sica e Ricky Tognazzi. Nessun letterato. Ma ogni notte studiavano vocaboli improbabili e sul set li piazzavano a caso. ‘Ma come Lino, non sai cosa significa irrefragabile?’; o per indicare un bicchiere d’acqua pieno il termine era ‘onusto’.

Banfi in crisi.

Distrutto. Poi all’improvviso citavano I fratelli Karamazov, e Dostoevskij appellato fraternamente Fëdor; (sorride) non solo, a quei tempi il cellulare era raro, difficile da ottenere, e caro. Villaggio ne sfoggiava uno. Un giorno Lino, soddisfatto, chiama Paolo: ‘Sono in macchina con il mio telefonino’. E Villaggio: ‘Anche io sono in auto, ma non ti posso parlare perché sono sull’altra linea…’.

Di Villaggio parla solo bene.

Il cinismo si racconta da vivi.

Però.

Sotto tale aspetto io e Paolo eravamo uguali. Lui era solo più cattivo di me; (sorride) aveva un agente, Mario De Simone, uno schiavo: gli telefonava a qualunque ora, e a qualunque ora doveva dimostrare una certa prontezza.

Esempio.

Paolo, in casa, aveva un antifurto collegato all’appartamento di Mario, e il poveretto abitava dall’altra parte della città. Tutte le sere, apposta o meno, si scordava di toglierlo. E dopo dieci minuti, si palesava Mario, in pigiama, con sopra il cappotto. Un giorno, Mario, mi ha confessato il lato tragico: ‘Quando sento l’allarme spesso sono vestito: indosso il pigiama nel vago tentativo di intenerire Paolo’. A Villaggio non gliene importava niente.

Implacabile.

L’unico vezzo di De Simone era di acquistare un palchetto durante gli Internazionali di tennis. Paolo accendeva la televisione e quando si accorgeva della presenza sugli spalti di Mario, felice dietro i giocatori, lo chiamava al cellulare: ‘Venga, è un’emergenza’. Paolo godeva nel vedere il suo agente, trafelato, alzarsi e correre via.

Non si è mai ribellato.

Prima di Paolo, Mario seguiva solo attoretti, mentre Villaggio era stato cacciato dalle agenzie a causa di ritardi e bizze. Un cliente pessimo. Nel loro incontro ognuno ha coperto le assenza dell’altro, e Mario era disposto a tutto: una volta si è fatto sparare.

Villaggio era tremendo.

Crudele con gli autisti, li cambiava in continuazione, e nel momento dell’addio applicava la ‘supercazzola’: gli farfugliava qualcosa e qualche indirizzo, ovviamente incomprensibile. All’ennesimo, inevitabile errore, li guardava con commiserazione e aggiungeva: ‘Sono costretto a mandarla via’.

Nel libro racconta spesso di ‘goliardate’.

Scuola di ladri, metà anni Ottanta, Villaggio era fanatico di cucina giapponese e per pranzo gli arrivava il sushi. Un pomeriggio Boldi e Banfi, incuriositi, gli chiedono com’è, e ottengono un invito. Il giorno dopo ci sediamo a tavola: ogni boccone di sushi era avvolto dalla carta, come delle caramelle. Boldi, ignaro, lo prende e mette in bocca, senza scartarlo. Stavo per avvertirlo, ma sento la mano di Paolo sulla coscia: ‘Non mi rovinare uno dei momenti più belli della mia vita’.

Nel libro spesso parla bene di Boldi.

Ha dimostrato una professionalità rara, ha dato il meglio anche quando la moglie stava per morire o il contratto con Aurelio si era concluso male.

Poco di De Sica…

È meno attaccabile, se la cava sempre: è sempre puntuale, sempre preciso, sa sempre le battute; quando tocca a lui, uno potrebbe non andare sul set, e tornare a scena finita. (Ride) Per le riprese di Natale a Miami scegliamo un albergo nell’entroterra, mentre Christian uno davanti al mare; quando scoppiò l’uragano Katrina, vidi l’impossibile, comprese le auto volare; allora lo chiamo, con il pensiero di ‘chissà cosa sta accadendo da lui’, e invece mi risponde placido: ‘Siete messi così? Io sono seduto al ristorante’. Da lui Katrina non era arrivata.

Avete girato poco prima dell’11 settembre, con gli uragani e altri guai. Però non vi fermavate; sembrate Belushi quando dice: ‘Sono in missione per conto di Dio’.

Per conto di De Laurentiis. Che per lui se la batte con Dio.

Un produttore molto presente.

In Merry Christmas era sempre lì e le maestranze avevano escogitato un trucco per parlarne male, senza il rischio di venir beccati: lo chiamavano ‘Manolo’, e aggiungevano ogni tipo di lamentela o insulto. Fino a quando De Laurentiis si convinse che ‘Manolo’ fosse della troupe e, preoccupato da tante lagne, convocò il direttore di produzione: ‘Questo tipo è dannoso. Licenzialo’.

Gli ha mai detto la verità?

Ora nel libro.

Anche con De Laurentiis vi conoscete da decenni.

Per il primo contratto inserì una clausola: il film è giudicato valido se durante la proiezione scattano tre boati in sala.

Scherza?

No, sono serissimo e da allora assisto a ogni prima proiezione, ho bisogno del riscontro, è fondamentale la verifica: magari dei passaggi che tu ritieni infallibili, poi risultato mediocri, e viceversa.

Con chi andava?

A volte con Boldi, in altre con De Sica, mimetizzati; (sorride) il mio esordio è legato alla fine degli anni Settanta, per John Travolto… da un insolito destino. Io e Carlo Vanzina entrambi seduti su una panchina in centro a Roma, davanti al cinema: lui verificava gli spettatori del suo Figli delle stelle, io ero pronto alla catastrofe per una pellicola assurda. E infatti nella mia sala non c’era nessuno. Dopo un po’ sbuca una comitiva di orientali, vedono il cartellone, confondono Travolto per Travolta, ed entrano. Quell’errore è stata la mia salvezza.

Capitolo Anna Maria Barbera.

Dovevo capire dal messaggio di Pieraccioni.

Cioè?

L’anno precedente Leonardo aveva incassato molto, con nel cast pure Sconsolata. Aurelio per rafforzare la truppa l’aveva strappata alla concorrenza, e Pieraccioni invece di incazzarsi mi aveva scritto: ‘Grazie’.

Quindi…

In Christmas in love fermò le riprese perché secondo lei Ronn Moss non la guardava con reale amore, e non lo poteva tollerare. Ronn non capiva e mi fissava sconcertato, io in inglese provavo a limitare i danni, ma con poco successo. Fino a quando sono stato costretto a parlarne con Aurelio, che è arrivato con il suo elicottero, si è chiuso in una stanza con lei. Quando è uscito, il problema era risolto.

Come?

De Laurentiis prepara contratti enormi e pieni di clausole. Le avrà spiegato, nei dettagli, a cosa andava incontro.

Per anni ha ottenuto attori internazionali alla Danny DeVito…

Anche qui, bravissimo Aurelio: li prendeva per cinque giorni di riprese, e costruiva l’offerta come una sorta di vacanza di lusso: vieni a Capri, andiamo in barca, poi a mangiare il pesce, ci rilassiamo e giriamo. E aggiungeva un punto: nessuna distribuzione negli Stati Uniti.

Con voi Maradona.

Era nel suo periodo più buio, quando aveva problemi di droga ed era circondato da personaggi loschi; accettò solo per soldi e con due patti: avrebbe deciso lui, anche all’improvviso, quando era disponibile, e nessuna scena con il pallone.

Non semplice.

Organizzammo due troupe, 12 ore ognuno. Io in perenne allerta. (Cambia tono) Diego era in parte conscio della sua condizione e si è scusato: gli volevano bene tutti.

I Fichi d’India.

Persone strampalate di una bontà rara; parlano solo varesotto, ma sono padroni di una mimica unica, abili nell’arte di arrangiarsi. Mentre giravamo Natale in India, ognuno di noi si è affidato a loro come interpreti con la gente del luogo.

Chi l’ha sorpresa?

Mi ha divertito Antonio Ricci: in Christmas in love avevamo preso Valerio Staffelli per consegnare il Tapiro a Ronn Moss. All’ultimo quella scena è stata tagliata, così chiamo Ricci per avvertirlo: ‘Lo dici tu a Valerio?’. E lui: ‘Meglio di no’. Antonio non ha resistito allo scherzo di mandarlo in sala, contento e soddisfatto, magari dopo essersi vantato con amici e parenti, per poi scoprire la verità.

Cosa ci vuole per durare tutti questi anni?

In primis il culo. Poi sono capitato nel momento di massima per i cinepanettoni, con bravissimi attori e un produttore che non si è fermato davanti a nessun ostacolo; poi aggiungo talento e professionalità.

Lei chi è?

Lo stacanovista della cazzata.