Molti vaccini, ma troppi dubbi

I vaccini che dovrebbero salvarci (?) dal Covid-19 sono solamente negli annunci e i loro effetti nelle Borse. Non è stato un buon segno che proprio alti dirigenti di Pfizer, dopo l’annuncio dei risultati entusiasmanti del farmaco prodotto dalla loro azienda, ne abbiano venduto le azioni. Hanno fatto bene, visto che Moderna ha dichiarato di aver pronto il suo, più efficace e senza la necessità della catena del freddo.

A parte questi eventi finanziari, null’altro di concreto. Le decine di vaccini che si stanno studiando si fondano su due tecniche. Quelli proteici, che inducono la risposta anticorpale, metodica già in uso da tempo con successo. Nuovi sono i vaccini composti da frammenti di Rna o di Dna che inducono le cellule a sintetizzare una proteina simile a quella verso che si vuole combattere.

Su questa nuova tecnica, in molti ci siamo pronunciati, inducendo alla cautela. Già nel 2010 la Food and Drug Administration, in tempi non sospetti, invitava a condurre approfonditi studi per dimostrare l’assenza di effetti collaterali. Il 6 novembre 2020 ancora la Fda ha pubblicato un secondo importante lavoro in cui si conferma un notevole interesse alla terapia genica, ma nello stesso tempo, non si nascondono gli effetti collaterali dell’impiego di materiale genico ancora non del tutto conosciuto. La terapia genica potrebbe modificare il Dna del paziente e i virus inattivati, utilizzati come vettori, potrebbero diventare attivi nei decenni successivi. Pertanto la Fda raccomanda di allungare i tempi di osservazione e di sottoporre i pazienti a rischio di neoplasie a un test di replicazione virale e di sviluppo oncologico per 20 anni per prevenire l’insorgenza anche di malattie auto-immuni. Questi tempi possono essere accelerati, ampliando il numero di volontari trattati? No. La Natura ha i suoi tempi. La replicazione del materiale genetico è un fenomeno non accelerabile. Le mutazioni possono avvenire molto lentamente, alcune eliminate nel tempo, altre conservate e aggiunte ad altre.

Una volta innescato (terapia genica) non è possibile fermarlo, né evidenziarlo in tempi stretti. La tollerabilità che si sta indagando nei vaccini in studio è quella acuta, immediata, non può garantire su effetti a lungo termine. Meglio attendere conferme a lungo termine e, a breve, vaccini meno innovativi ma più conosciuti.

 

Dire “no no no”: il vero talento della Ravetto

Se anche non dovesse produrre conseguenze epocali nella politica italiana, il trasferimento di Laura Ravetto (più altri due) da Forza Italia alla Lega ha se non altro il merito di averci detto una parola definitiva sul mistero delle testoline televisive che fanno no, no, no. Leggiamo infatti sul Corriere della Sera

che agli esordi sul piccolo schermo, la battagliera avvocata di Cuneo avrebbe potuto fare molto di più, secondo il giudizio inappellabile del presidente-padrone nonché suo mentore: “L’ho richiamata perché non scuote la testa quando parlano i comunisti”, l’avrebbe strigliata Berlusconi. Al che la parlamentare novella avrebbe replicato: “Non so se scuoterò la testa, perché così mi è più facile scuotere l’avversario”. Frase comprensibilmente contorta, in ogni caso meglio non contraddire il datore di lavoro. Eppure rivelatrice di come e perché l’arrembante Caimano avesse escogitato un possibile uso mediatico della testa, sostitutivo della precipua funzione per cui essa è stata creata, quella cioè di contenere il cervello. Personalmente, insieme a Ruby Rubacuori proclamata in Parlamento nipote di Mubarak con entusiasmo travolgente dalla falange forzista, ritengo lo scuotimento di capocce, “quando parlano i comunisti”, lo stigma di quel ventennio di cui oggi a sinistra qualcuno sente perfino nostalgia. Nella mia classifica di oltraggi corporali ritengo insuperabili i no, no, no sapientemente ritmati da Daniela Santanchè, mentre per restare in tema non mi convincono le smorfiette di Daniele Capezzone (ma sarebbe come paragonare Martufello a Totò).

Rimembranze apparentemente futili ma utili se servissero a dare una scossa, questa volta benefica, a quanti non ricordano, o preferiscono non ricordare la vergogna di un ventennio e dei suoi bavagli. A coloro che oggi nella maggioranza di governo, con la speranza di puntellare la maggioranza di governo, tentano di rivalutare la figura dell’ex Cavaliere come modello di mitezza e probità, rammentiamo tre nomi: Biagi, Santoro e Luttazzi. Cacciati dalla Rai con l’editto di Sofia, e del disonore. Quanto alla Ravetto ne comprendiamo la ritrosia all’ipotesi di trasformare il no, no, no in un sì, sì, sì “quando parlano i comunisti”. Massì Laura, meglio un mojito (e una candidatura sicura).

Arriva il Ristori 3. Ma a ottobre è riesplosa la Cig

La strategia dei piccoli passi, anzi dei piccoli scostamenti, continua a essere quella preferita dal ministero dell’Economia e questo nonostante alcuni dati non proprio rassicuranti in arrivo dall’economia quella vera: i consumi sono ovviamente tornati a crollare, da settembre anche i numeri della manifattura non sono buoni ed è di ieri la notizia dell’esplosione delle ore di cassa integrazione “Covid” autorizzate ad ottobre, cioè ancor prima dei provvedimenti che hanno richiuso l’Italia in queste ultime settimane.

Insomma è assai più di un’ipotesi che il crollo della ricchezza prodotta in Italia sarà più grande del previsto, specie nel 2021 per l’effetto trascinamento di questa seconda crisi indotta dal Covid-19 e dalla misure per contenerlo. Nonostante questo Roberto Gualtieri e la sua squadra continuano nella politica dei piccoli passi e dell’attenzione a numeri di un bilancio scritti comunque sulla sabbia, come successe d’altronde anche all’inizio della pandemia. Mentre andiamo in stampa, il consiglio dei ministri sta per riunirsi per approvare il terzo decreto Ristori per le chiusure decise dal governo mentre i primi due sono all’inizio del passaggio parlamentare. La dimensione di questo intervento, che dovrebbe tener conto del fatto che mezza Italia è più è ormai zona rossa, dovrebbe arrivare a circa 7,5 miliardi di euro: senza però che questo faccia aumentare il deficit del 2020, ha spiegato il ministro, perché si tratta in parte di soldi non spesi e in parte di entrate fiscali in eccesso rispetto al previsto.

La settimana prossima il Parlamento dovrà autorizzare questo scostamento che non rappresenta però maggior deficit rispetto al 10,8% stimato dal governo per quest’anno: il permesso riguarda appunto circa 6 miliardi di maggiori entrate garantite dal rimbalzo del Pil tra luglio e settembre, mentre altri 1,4 miliardi sono soldi non spesi dei precedenti decreti anti-crisi. Dovrebbero impedire che queste nuove chiusure si traducano in un’ondata di fallimenti che metta in ginocchio tanto il bilancio pubblico che le banche via sofferenze. “All’inizio del nuovo anno – ha spiegato ieri Roberto Gualtieri – a seconda della situazione economica e sanitaria, faremo un ultimo scostamento per concludere questa fase di aiuti che saranno modulati proporzionalmente alla situazione dell’economia”. L’ipotesi è che si aggiri sui 20 miliardi di euro portando il totale degli interventi post-Covid a 120 miliardi, a spanne circa il 7% del Pil: uno sforzo che non ha impedito, come appena rilevato dall’Ocse, un crollo dei redditi in Italia più che doppio rispetto a paesi europei paragonabili.

Parlando di caduta del reddito, vanno approfonditi i dati della Cassa integrazione comunicati ieri dall’Inps: nel periodo compreso tra il 1° aprile ed il 31 ottobre scorso l’Istituto sostiene di aver autorizzato 3,388 miliardi, 330 milioni delle quali – il 10% circa del totale – nel solo mese di ottobre, che ha fatto segnare un aumento del 38,1% rispetto a settembre. Quanto ai ritardi nei pagamenti, Inps sostiene di averli quasi azzerati: questa settimana risultavano pagati 6,6 milioni di lavoratori in tutto (3,5 milioni direttamente dall’Inps, gli altri col sistema degli anticipi dell’impresa). Di fatto, quanto al pagamento diretto risultano inevase circa 93mila domande, mentre sono 6.047 i lavoratori che non hanno ricevuto ancora il primo assegno.

Assisi è la vera anti-Davos (per questo nessuno ne parla)

Ecco due fotogrammi in contemporanea dal nostro pianeta malato: oggi i capi delle grandi potenze si riuniscono nel G-20 patrocinato dall’Arabia Saudita, roccaforte del capitalismo finanziario che fa a meno della democrazia; e intanto si conclude ad Assisi quello che potremmo definire un vero e proprio controvertice mondiale, intitolato “L’economia di Francesco”, cui partecipano duemila giovani economisti, sindacalisti, imprenditori under 35.

A Riad, sotto l’egida del dispotico re Salman, si confrontano i governanti di 20 nazioni, una sola delle quali situata nel continente più povero (il Sud Africa). Ad Assisi invece si esprimono la visione alternativa e le rappresentanze sociali di 120 paesi, in prima fila quelli penalizzati dall’iniqua distribuzione della ricchezza globale. Colpisce ma non stupisce il disinteresse manifestato dai media nei confronti dell’appuntamento di Assisi. Lo concluderà stasera papa Francesco e vi hanno preso parte alcuni fra i pensatori più autorevoli del nostro tempo, di cui evidentemente dispiace l’avvertimento: gli squilibri del sistema economico mondiale non reggeranno ancora a lungo lo strapotere del capitalismo finanziario, l’esplosione delle disuguaglianze sociali, il dissennato avvelenamento e surriscaldamento del pianeta.

La contrapposizione dei due fotogrammi non potrebbe essere più evidente. Dopo l’esperienza dei forum sociali inaugurati nel 2002 a Porto Alegre e del movimento no-global, è venuta consolidandosi una visione teorica alternativa che sembra trovare, singolarmente, nel capo della Chiesa cattolica il suo inedito riferimento aggregatore. Scherzando, ma non troppo, potremmo dire che Assisi si offre come la risposta più compiuta alle varie Davos, Aspen, Cernobbio, cioè alle sedi in cui il sistema di relazioni del neoliberismo cerca rammendi provvisori alla sua insostenibilità. Deve essere per questo che Assisi non viene presa sul serio da chi continua a credere che stiamo vivendo solo una crisi di passaggio, e che le attuali regole del mercato siano intangibili.

Curioso assistere a un confronto in cui è il Papa a dover sfidare i dogmi del pensiero dominante. Si è già tirato addosso l’accusa di essere un comunista sovversivo per il solo fatto di aver chiarito che “la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata”. Nella sua recente enciclica, “Fratelli tutti”, ha precisato il concetto: “Sempre, insieme al diritto alla proprietà privata, c’è il prioritario e precedente diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra e, pertanto, il diritto di tutti al loro uso”. Questa è l’insopportabile violazione del dogma: che la proprietà privata possa venir subordinata alla destinazione universale dei beni, spettante a tutti, cioè anche ai poveri.

Il direttore scientifico dell’appuntamento di Assisi è un italiano, lo storico dell’economia sociale Luigino Bruni, appassionato studioso delle esperienze di mutualismo cooperativo e comunitario dal Medioevo ai giorni nostri. La “rivalutazione della cura” all’interno della società e dell’economia è la leva proposta per modellare il futuro. Così, inaugurando i lavori, il cardinale ghanese Peter Turkson se l’è presa direttamente con i neoliberisti e ha proposto il passaggio da “un’economia indirizzata al profitto che deriva dalla speculazione” a “un’economia sociale che investa nelle persone creando posti di lavoro e garantendo formazione”. Seguito dall’economista Jeffrey Sachs che definisce ormai insostenibile il modello statunitense di pompare denaro nel sistema. E dal premio Nobel del Bangladesh, Muhammad Yunus, secondo cui “è preferibile un Pil più piccolo ma con minore concentrazione della ricchezza”. Nel diffondere la pratica del microcredito, ha raccontato Yunus, “abbiamo fatto il contrario del sistema bancario: loro si rivolgono ai ricchi, noi ai poveri; loro ai maschi, noi alle donne; loro alle città, noi alle campagne. E funziona!”.

Sulla stessa lunghezza d’onda l’ecologista indiana Vandana Shiva e una maratona di testimonianze di esperienze di base da ogni continente. Soluzioni radicali che oggi appaiono le più realistiche. E stasera anche a Riad arriverà direttamente la voce di Francesco.

A22, il super regalo al Trentino Alto Adige

Forse è destino che lo Stato non riesca proprio a non fare regali quando decide la sorte delle concessioni autostradali. L’ultimo in arrivo riguarda la A22 Autobrennero, 314 chilometri che collegano Modena al passo alpino. È la tratta più redditizia (e tra le più care) d’Italia, viaggia a circa 400 milioni di ricavi annui e 70-80 milioni di profitti. La sua storia è quella di un lungo ricatto ai danni dello Stato, che alla fine ha deciso di regalarla ai suoi azionisti pubblici, che in questi anni hanno portato a casa profitti stellari, circa 300 milioni dal solo 2014, da quando cioè la concessione è scaduta.

In manovra il ministero delle Infrastrutture guidato da Paola De Micheli ha infatti inserito una norma che permette ai soci pubblici della A22 di liquidare quelli privati e tenersi la nuova concessione allungata a 30 anni dallo Stato evitando di fare una gara europea. L’Autobrennero infatti è per l’84% in mano a Enti locali, soprattutto del Trentino Alto Adige (Regione delle due Province autonome di Trento e Bolzano). C’è poi un 14% in mano ai privati (4,2% Autostrade dei Benetton; Condotte; Banco Bpm; e la veneta Cis). Ai tempi di Graziano Delrio al ministero delle Infrastrutture, grazie agli ottimi rapporti degli altoatesini con i dem, i soci pubblici ottennero una nuova proroga di 30 anni della concessione senza gara. Bruxelles ha dato l’ok, a patto che diventi al 100% pubblica attraverso una società in house. Serve quindi fare uscire i privati, che però hanno chiesto una cifra spropositata, 150 milioni, mentre la Corte dei conti ha fatto sapere che non si può andare oltre i 70. Dove trovare i soldi? Il rischio è quello di una beffa.

Dal 1997, grazie a una norma della Finanziaria del governo Prodi, sull’Autobrennero gli automobilisti devono pagare infatti un super pedaggio contenente una specie di tassa ad hoc che avrebbe dovuto finanziare la costruzione del tunnel ferroviario del Brennero. Questo “fondo ferroviario”, accantonato anno dopo anno in esenzione fiscale, oggi vale quasi 700 milioni. Nel ’97, però, si sono dimenticati di dire di chi fosse la proprietà del fondo e la società si è rifiutata di sbloccarlo sostenendo che erano soldi suoi (seppure vincolati) in attesa di ottenere il rinnovo della concessione. Un ricatto allo Stato, che peraltro – proprio grazie all’obbligo di accantonare questi fondi – ha concesso ai signori dell’Autobrennero una prima proroga, gratuita, dal 2005 al 2014.

Nei mesi scorsi, i soci pubblici avevano perfino pensato di attingere al fondo per liquidare quelli privati. Uno scempio che per fortuna pare evitato. La misura introdotta dalla manovra ora impone di versare allo Stato il fondo Brennero, ma – badate bene – non tutto insieme, bensì in 18 comode rate annuali, lasciando così sempre aperta la possibilità di tornare indietro. I senatori altoatesini, d’altronde, sono spesso utili per puntellare le maggioranze a Roma, specie la traballante giallorosa.

Insomma, lo Stato invece di riprendersi una concessione scaduta la regala, senza gara, a Enti locali che non ci hanno quasi mai messo un euro e a cui già garantisce una condizione di privilegio fiscale. Restano da trovare i soldi per liquidare i soci privati. Nel frattempo a fine 2019 gli azionisti si sono distribuiti un dividendo straordinario di 64 milioni; poi a maggio 2020, in piena pandemia, hanno rilanciato con altri 35 milioni.

Lo Stato verso l’ennesimo favore a Onorato (Moby)

Nonostante sia esposto con lo Stato per centinaia di milioni, l’ennesimo favore al gruppo Moby dell’armatore Vincenzo Onorato sta per essere apparecchiato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Non è una novità. Già a luglio scorso, a ridosso della scadenza del contratto fra lo Stato e la controllata Cin per il servizio di continuità territoriale marittima (73 milioni l’anno dal 2012), il governo aveva deciso per una prima proroga fino a fine febbraio 2020, svincolandola perfino dal placet di Bruxelles, con il rischio quasi certo di una procedura di infrazione. Ora si prepara a fare il bis.

Come noto, Cin è morosa per 115 milioni (oltre a 65 milioni da pagarsi ad aprile) verso la bad company statale Tirrenia in amministrazione straordinaria, residuo del prezzo pagato da Onorato per l’acquisto dell’ex compagnia di bandiera. Quando, tra marzo e aprile, i commissari straordinari hanno ottenuto il sequestro dei conti correnti, i ministeri di Infrastrutture e Sviluppo, spaventati dalla minaccia di Cin di stoppare i collegamenti, invece di imputarle l’indebita interruzione del pubblico servizio, hanno imposto la rinuncia del sequestro a fronte del “riconoscimento” del debito da parte di Cin e dell’ipoteca di secondo grado su navi mai nemmeno finite di pagare.

Nel frattempo la nuova scadenza del 28 febbraio s’è avvicinata, ma il Mit non ha bandito la gara. Il ministero ha avviato gli step preliminari previsti dall’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), cioè l’analisi di mercato che deve confermare l’esigenza di un supporto pubblico al servizio e definirne i contorni. Ma non ha ancora comunicato l’esito all’Authority. Da quando lo farà, Art avrà 45 giorni per verificare. Se così sarà, si dovrà poi redigere il bando, con almeno 110 giorni per la formulazione delle offerte.

Il Mit, che non ha commentato, è quindi già fuori tempo di quasi due mesi e per garantire la continuità territoriale non potrà che allungare ancora il contratto con Cin. La compagnia di Onorato intanto, insieme alla capogruppo Moby, ha ottenuto dal Tribunale di Milano la dilazione al 28 dicembre del termine ultimo per presentare il piano di ristrutturazione del debito, necessario a fronteggiare la crisi innescata dallo sforzo per acquistare Tirrenia nel 2012.

L’operazione si è rivelata presto azzardata, mentre Onorato ha cominciato a finanziare la politica. Prima di Fratelli d’Italia e fondazione Change di Giovanni Toti, fra 2013 e 2016 è toccato alla fondazione Open, la ormai ex cassaforte politica del renzismo (50 mila euro a titolo personale e 100 mila dalla società). Onorato ha anche siglato contratti con la Casaleggio Associati e la Beppe Grillo srl, che gestisce il sito del fondatore del M5s. Onorato è sempre stato un sostenitore dei benefici fiscali per le compagnie di navigazione che impiegano personale italiano e comunitario. Una norma in tal senso è arrivata nel 2017 per mano del renzianissimo senatore Roberto Cociancich.

Ad ogni modo, con Onorato lo Stato è sempre indulgente. Malgrado rischi già evidenti, per dire, nel febbraio 2016 Tirrenia in amministrazione straordinaria – al cui vertice il governo Renzi aveva posto Beniamino Caravita di Toritto, già avvocato dell’armatore – rinunciò alle ipoteche sulle navi, consentendo a Moby e Cin di riprender fiato. Due mesi dopo, Cin bucò la prima rata, ma ci vollero due anni perché Tirrenia in AS scegliesse le vie legali. A fine 2018, poi, non ha eccepito nulla quando Cin ha trasferito a Moby riserve e dividendi per 85 milioni. Né su un’altra operazione avviata dagli Onorato a fine 2017, quando i figli Achille e Alessandro crearono la F.lli Onorato Armatori Srl, che s’accordò con un cantiere tedesco per la realizzazione di due navi poi sub-noleggiate a Moby e da questa a Cin. Analoga operazione è in corso con un cantiere cinese. Insomma Cin, debitrice verso lo Stato di 180 milioni, sta pagando 4 navi che resteranno agli Onorato quale che sia l’esito della procedura concordataria, la cui situazione è incandescente. Quattro mesi di trattative coi titolari di circa 700 milioni di euro di crediti, da febbraio a secco, non sono bastati per un accordo. La proroga di natale potrebbe essere una boccata d’ossigeno.

Lady De Luca rischia il processo: torrente deviato sotto al “monumento” al compagno

Sotto piazza della Libertà e il Crescent, i monumenti del potere di Vincenzo De Luca, i luoghi simbolo della rivoluzione urbanistica di Salerno, scorre un torrente la cui alluvione nel 1954 causò 318 morti tra la città e la provincia. Si chiama Fusandola e negli ultimi anni è stato imbrigliato e deviato “per esigenze di carattere meramente urbanistiche ed edilizie dell’intervento Fronte del Mare”, scrive l’ingegnere Vincenzo Rago in una consulenza tecnica chiesta dal pm di Salerno Carlo Rinaldi. Mettendo nero su bianco che senza la deviazione del Fusandola, il ciclopico Crescent sulla piazza di mare più grande d’Europa non si poteva edificare.

Per portare in fondo i sogni di gloria e di grandezza, De Luca ha affrontato per il Crescent un lungo processo dal quale nel 2018 è stato assolto in primo grado. Ma gli strascichi giudiziari non sono conclusi, e in un gioco di destini incrociati ora a rischiare un processo è la compagna del governatore, l’architetto Marilena Cantisani. In qualità di dirigente Trasformazioni Edili del Comune di Salerno (dove conobbe l’allora sindaco De Luca), l’architetto ha firmato l’autorizzazione paesaggistica 89/2014 con la quale il consorzio Tekton ha eseguito il pacchetto dei lavori “rifacimento piazza-parcheggio sotterraneo-deviazione Fusandola”. La Procura di Salerno – pm Rinaldi, procuratore capo Giuseppe Borrelli – ritiene questa autorizzazione illegittima perché non corrispondente al dettato del parere vincolante della Soprintendenza, e vuole processare Lady De Luca per falso ideologico e violazione dell’articolo 146 del codice dei beni culturali. Una convinzione maturata dopo un supplemento d’indagini disposto dal Gip che rigettò unarichiesta di archiviazione. L’udienza preliminare è in calendario il 2 dicembre.

Ma la data che forse preoccupa di più il governatore è il 25 novembre. Quel giorno i giudici dell’appello Crescent decideranno se accogliere la richiesta delle parti civili Italia Nostra e Comitato No Crescent, che vogliono far inserire agli atti la consulenza dell’ingegnere Rago, redatta per l’inchiesta Fusandola. In quelle 63 pagine Rago evidenzia le anomalie del progetto approvato – esistono tre versioni diverse del nuovo tracciato del torrente – e il persistente rischio di esondazione dovuto all’insabbiamento della foce del Fusandola. Argomenti che irrobustirebbero le tesi di chi sollecita una condanna di De Luca.

Film commission, Sostegni va ai domiciliari. Sequestrata Porsche comprata coi soldi Lfc

Una Porsche 356 a Coupé, del 1959. Una delizia per gli appassionati del genere. Ieri il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Milano, su mandato della Procura, ha sequestrato l’auto d’epoca con un decreto d’urgenza. Il proprietario è Fabio Barbarossa, agente di commercio, cognato di Michele Scillieri, il commercialista indagato per concorso in peculato e altri reati nell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission, che coinvolge i due contabili della Lega,eur Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Nella presunta compravendita truccata di un capannone costato 800mila euro all’ente pubblico, di cui quasi 200mila finiti a Di Rubba e Manzoni per comprarsi due ville in un residence sul Lago di Garda, Barbarossa avrebbe avuto un ruolo minore, anche se molto rischioso. Il cognato di Scillieri all’epoca dei fatti era l’amministratore della Andromeda Srl. Secondo i pm è stata la società cartiera usata per traghettare gli 800mila euro dalla fondazione pubblica ai conti privati di Di Rubba, Manzoni, Scillieri e degli altri protagonisti dell’affare. Come il fornitore leghista Francesco Barachetti, agli arresti domiciliari da una settimana con l’accusa di essersi intascato 55 mila euro usati per comprare un appartamento a San Pietroburgo, oltreché 200 mila euro spesi per effettuare i lavori di ristrutturazione al capannone. E come Barbarossa, che dall’affare realizzato tra il 2017 e i 2018 avrebbe invece ottenuto solo 30mila euro. Soldi investiti bene: il commerciante milanese ha comprato per 30mila euro una Porsche da collezionisti che sul mercato oggi ne vale almeno 80mila.

Nella ricostruzione della Procura, a guadagnare la fetta più piccola della truffa alla società della Regione è stato invece Luca Sostegni, arrestato il 15 luglio mentre stava prendendo un aereo per il Brasile, l’unico finito in carcere. Dopo quattro mesi a San Vittore, ieri Sostegni è stato rilasciato. Starà ai domiciliari: la Procura ha accolto l’istanza di scarcerazione presentata dal suo avvocato, Giuseppe Alessandro Pennisi, ma non ha concesso la possibilità di uscire di casa per qualche ora al giorno. Sostegni in questi quattro mesi è stato interrogato diverse volte dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Stefano Civardi. Nel provvedimento di scarcerazione, tra i motivi della decisione, il gip Giulio Fanales cita la “proficua collaborazione fornita dall’indagato allo sviluppo delle indagini”.

“Piazza San Carlo, un anno e 8 mesi per la Appendino”

Chiara Appendino, sindaca di Torino, rischia un’altra condanna dopo quella a sei mesi per falso in atto pubblico nel caso Ream. È di 20 mesi la pena richiesta ieri dal procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo nel corso del processo abbreviato per gli incidenti avvenuti in piazza San Carlo la sera del 3 giugno 2017. Appendino, insieme all’ex capo di gabinetto Paolo Giordana, all’ex questore Angelo Sanna e ad altre due persone, è accusata di disastro, lesioni e omicidio colposo. Quella sera, di fronte al maxi-schermo della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, si radunò una folla di quasi 30mila persone. Il panico suscitato dal gas urticante usato da alcuni rapinatori provocò delle fughe di massa, cadute e calpestamenti: centinaia furono le persone ricoverate e due donne, Erika Pioletti e Marisa D’Amato, hanno perso la vita per le conseguenze delle ferite. L’inchiesta ha fatto emergere le mancanze dell’organizzazione. Per il pm Pacileo la sindaca avrebbe dovuto annullare l’evento. La sentenza è attesa per gennaio.

Violenza sessuale: Grillo jr., il giudizio ora è più vicino

Una festa in discoteca terminata con una violenza sessuale di gruppo. Un’accusa che potrebbe essere aggravata dalla minorata difesa della vittima, una studentessa di 20 anni che agli investigatori ha raccontato di essere finita in quella situazione perché ubriaca. Sono le contestazioni dei pm di Tempio Pausania nei confronti di Ciro Grillo, 20 anni, figlio di Beppe Grillo, e degli amici in vacanza con lui in Sardegna, Francesco Corsiglia, Vittorio Lauria, Edoardo Capitta. I fatti sono avvenuti nella villa del comico a Porto Cervo, nell’estate del 2019. La denuncia era stata presentata una decina di giorni dopo dalla ragazza. Di quella notte esistono anche dei video, ripresi proprio dai ragazzi, e poi sequestrati dai carabinieri. Quei filmati sono al centro di una battaglia legale: per l’accusa sono la dimostrazione dello stupro, avvenuto mentre l’amica della vittima dormiva in un’altra stanza; per la difesa sono invece la prova che si è trattato di un rapporto consenziente. La tesi sostenuta dai quattro amici che ora rischiano di finire a processo.