Polo, zoom e tablet: B. fa la muta come un rettile

Berlusconi è una figura dell’i-Ching, l’antico libro oracolare cinese: lui ogni volta viene attraversato da eventi catastrofici come un albero da un fulmine e ne esce rigenerato.

Se dal punto di vista clinico l’infezione da Coronavirus per lui è stata una disgrazia (e ne abbiamo scritto, qui, con sincera solidarietà), dal punto di vista politico è stata un toccasana. Ora egli è, in quanto toccato dal fulmine, caricato della responsabilità di collaborare col governo per portarci fuori dalla tragedia (il suo genere d’elezione, insieme al vaudeville). Del resto chi avrebbe mai avuto il coraggio di (far) pubblicare foto di sé stesso mentre suona il pianoforte per gli ospiti di una Rsa (pena comminata, a lui e agli anziani, in luogo della galera), riuscendo a farla diventare un’immagine pop del martirio, metaforica, se non metafisica? È successo tutto d’un lampo. Berlusconi “accoglie l’appello di Mattarella”, e ci pare di esser finiti in un buco nero, una distorsione spazio-temporale, ricordando che la pretesa di una grazia (“Dissi a Napolitano: lei ha il dovere morale di assegnare la grazia motu proprio”) e l’accusa di aver tramato per un colpo di Stato ai suoi danni non impedirono allo stesso Napolitano di rivolgersi a lui nella penombra della Sala del Ventaglio chiamandolo “Interlocutore Significativo” perché serviva il suo voto alle “riforme” di Renzi, e sembra un secolo fa.

Le foto di oggi lo ritraggono al lavoro a una scrivania di marmo, chino sui dossier, davanti a device Apple ultimo modello (un’esplosione di segni, roba che Roland Barthes stramazzerebbe al suolo in overdose): la polo e i pantaloni blu da star hollywoodiana in convalescenza, i capelli più castano scuro di un tempo, l’abbronzatura da pensionato a Haiti (era abbronzato anche all’uscita dal San Raffaele, dove il professor Zangrillo ha dovuto curarlo da un virus clinicamente morto, ma in lui presente con carica singolarmente alta, “anche questa mi è toccata”). “Ho partecipato via Zoom alla riunione del Comitato di presidenza di Forza Italia”, twitta. È la nuova pelle. Rettile, fa la muta. Lo prendono tutti sul serio, tutti credono all’abluzione sanatoria della malattia sulla quale, c’è da dire, lui s’è sempre mostrato prudente, ritirandosi in quarantena in Costa Azzurra prima, imponendo tampone negativo ai visitatori in Sardegna poi, mentre il suo medico incitava a “vivere più di prima” e i suoi due alleati chiamavano le masse alle adunate oceaniche di droplet in piazza.

Inizia lui, il 15 novembre, intervistato sul Corriere: “La situazione non è mai stata così grave”; voterà lo scostamento di Bilancio, a “condizione di indennizzi immediati” e altri soldi; Trump ha avuto “atteggiamenti inappropriati” (il mondo è fuori sesto: lui oggi in confronto a Trump è Mariele Ventre). Gli risponde il giorno dopo Bettini, lo Spirito Santo del Pd, in un articolo a propria firma che pare un discorso di Churchill, in cui ne accoglie l’apertura, trattandosi di “superare ogni prudenza o valutazione di opportunità” (e omette la decenza, ma è l’ora più buia). Com’era ovvio, spunta fuori Renzi: “La maggioranza si può allargare”, sentenzia Mister 2,9%, “l’apertura di Berlusconi va bene”, e si inventa la favola di due fronti in Forza Italia, uno del Nazareno e uno filo leghista, uno merkeliano e uno lepeniano, cioè scolla quello che è stato sempre incollato e aderente al renzismo, e l’impressione è che ora che Verdini è momentaneamente impossibilitato questi due debbano fare tutto da soli, ricucire tutto uno storytelling di responsabilità nazionale, e non si capisce chi dei due sia all’opposizione (entrambi invocano il Mes, per incaprettare Conte e il M5S).

Incassato l’emendamento Mediaset nel decreto Covid (durante una pandemia nessuna azienda straniera può insidiare aziende che appartengono a gente che ti deve votare le leggi con cui si decide come usare i soldi dell’Europa), Berlusconi imbastisce attorno a sé questa nuova placenta, che lo restituisce alla Patria in veste di suo salvatore, anzi di “energia migliore” (Bettini), che “serve al Paese” (Gori). Telefona in tv a Fazio tipo Woytjla a Vespa, poi plana in ispirito come la Pentecoste sul Maurizio Costanzo Show, dove c’è un assembramento di suoi sostenitori tra dipendenti e beneficiati, e dice: “Noi siamo i soli portatori in Italia dei grandi principi sui quali si basa la nostra civiltà occidentale” (corruzione, appropriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio, per tacer dell’etica, e della politica vanzinesca e feudale); poi benedice: “Questa è una malattia che si può sconfiggere, non perdete mai la speranza e la voglia di vivere!”, e al teatro Parioli scroscia l’applauso, e il Paese lo invoca, e tutti aprono a lui e lui apre a tutti, e fossimo in lui compreremmo tutti i vaccini della Pfizer e li somministreremmo gratis agli italiani in fila sotto la madonnina del San Raffaele, in via Olgettina.

 

Bruno Vespa nel frigo, vibratori sul mare e la lezione di Nabokov

E ora, per la serie “La tua cena è nel cane addio”, la posta della settimana.

Caro Daniele, scusa se ne approfitto, non ho una domanda per te, ma per la persona che ha spalmato di colla il sedile dell’autobus su cui mi sono seduto l’altro giorno. Che poi sono dovuto tornare a casa a notte fonda senza pantaloni. La domanda è: ti dispiacerebbe venire a casa mia a spiegarlo a mia moglie, che non ci crede? Ci sarebbe ovviamente una lauta ricompensa. Grazie (Giovanni Manetti, Firenze).

Caro Daniele, mia moglie adora la precisione. Io invece non disdegno l’approssimazione. Tu? (Piero Cappuccio, Ravello). Nabokov invitava a scrivere “con la passione dello scienziato e la precisione dell’artista,” un paradosso che vale per tutta la grande arte. Ai comuni mortali, invece, troppa precisione sopprime la fantasia, e con la fantasia la felicità. Del resto, le cose più importanti non si possono misurare con precisione: l’adolescente che attende una ragazza al primo appuntamento, all’ombra di un odoroso viale di tigli, vive un quarto d’ora che è momentaneo ed eterno. Per fortuna esistono le città inondate dal sole – Napoli, Marsiglia, Valencia, Rio de Janeiro, Buenos Aires – dove le persone non hanno perso il senso della sfumatura, cioè di quella imprecisione che ti permette di non essere schiavo di un orologio o di un telefono, di fantasticare su una donna appena entrata nel bar, di andare senza itinerario fra la folla, di goderti l’avventura; città dove, se arrivi in ritardo di 15 minuti, sei ancora in anticipo di mezz’ora. Anche i grandi scienziati conoscono il valore dell’approssimazione. A un ricevimento, una signora tormentava Einstein con domande a raffica. “Secondo lei, l’uomo un giorno andrà sulla luna?”. “Non lo so”. “Crede che nel sistema solare qualche pianeta sia abitato?”. “Non lo so”. “Crede che l’anima sopravviva dopo la morte?”. “Non lo so”. “Ma se a tutte le domande mi risponde ‘non lo so’, a che cosa le serve essere un grande scienziato?”. E Einstein: “Mi serve a rispondere ‘non lo so’”.

Ti è mai successo qualcosa di memorabile durante una vacanza? (Noemi Corridori, Grosseto). Come a tutti, anche a me in estate piace percorrere l’autostrada che conduce verso il cielo blu e i profumi della Costa Azzurra. Una volta, a Nizza, entro in un sexy-shop di lusso e noto una gigantesca esposizione di vibratori. Grandi, piccoli; semplici, bizzarri; bianchi, oro, coloratissimi. Scaffali e scaffali di vibratori. “Dovete venderne parecchi”, dico al commesso. E lui: “No, non molti. Ma avrebbe dovuto vedere la commessa che c’era prima di me. Lei sì che sapeva vendere vibratori”.

Voglio raccontarti un fatto strano che mi è capitato l’altra notte. Dunque. Era mezzanotte, mio marito stava dormendo, vado in cucina in punta di piedi per uno spuntino, apro il frigo con cautela in modo da non fare rumore, guardo dentro e c’era Bruno Vespa con in mano il suo ultimo libro. Stavo sognando? (Catia Telesca, Potenza). No.

L’esperienza sessuale più sconvolgente che ti è capitata? (Luca Gastaldi, Tortona). Una volta una ragazza ha avuto le mestruazioni mentre ci stavamo dando dentro. Questo non mi ha fermato, ma quando abbiamo acceso la luce la camera da letto sembrava una scena di Csi.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi! (lettere@ilfattoquotidiano.it)

 

Kamala Harris. Basta il simbolo per cambiare la vita delle donne?

 

Buongiorno, mi chiamo Stefania, ho 66 anni e sono molto arrabbiata con Salvatore Cannavò per l’articolo di qualche giorno fa su Kamala Harris. Potrebbe essere importante sapere le posizioni e il passato della nuova vicepresidentessa americana, ma personalmente avrei voluto leggere che la Harris ha fatto anche un appello alle bambine del suo Paese e del mondo: “Sono la prima ma non sarò l’unica e la sola nel futuro”. Questo è il messaggio che le giovani donne devono ascoltare: mi chiedo se Cannavò abbia dimenticato gli ideali di eguaglianza che il mondo di sinistra dovrebbe sempre perorare.

Stefania Morando

 

Cara Stefania,non ho dimenticato nulla, ci mancherebbe. E nell’introduzione di quell’articolo dedicato a Kamala Harris, ripercorrendone le principali iniziative politiche come Procuratrice generale, ricordavo proprio quanto sia importante, sul piano simbolico, avere immagini come quelle di Harris, esempi forti di un protagonismo femminile di cui sono un convinto sostenitore. A condizione che questa simbologia non venga utilizzata per mascherare la continuità o, peggio, per coprire politiche che poi con il futuro delle giovani donne non c’entrano nulla. Si chiama “blackwashing”, pratica utilizzata da tempo che, certamente, risente dell’impatto che hanno grandi movimenti di massa, ma non ne costituisce la naturale prosecuzione. Del resto, la presidenza di Hillary Clinton, a parte averci risparmiato il brutto spettacolo offerto da Donald Trump, avrebbe davvero costituito una inversione di tendenza? Sul piano della comunità afroamericana, poi, l’esempio più esplicito è rappresentato da un uomo, Barack Obama. Chi può negare la forza simbolica, storica, della sua elezione? Eppure, cosa è cambiato per la popolazione afroamericana durante la sua presidenza? Le delusioni fanno più male delle illusioni e lasciano conseguenze dolorose come l’intera storia della sinistra può facilmente dimostrare. Kamala Harris rappresenta una bella novità, ma deve dimostrarci che può cambiare davvero la vita delle donne, di quelle giovani, di quelle colpite dal razzismo. In virtù di quegli ideali che lei richiamava, io mi auguro fortemente che lo faccia.

Salvatore Cannavò

Mail box

 

 

L’esistenza non è soltanto quella biologica

Da quando è stata dichiarata questa emergenza, sono state prese misure restrittive della libertà personale, “motivate” dal “superiore” interesse alla salute, bene da tutelare. Premesso che chi scrive ritiene tale sospensione delle libertà sbagliata, c’è però un errore concettuale di fondo: l’errore sta nel vedere la vita umana solo come mero “bios”, come mera esistenza biologica. La vita umana non è solo “bios”, è tanto altro. La vita umana è relazioni sociali, relazioni interpersonali… dimensioni queste che sono state “sospese” per tutelare la mera “salute” del bios. Mi domando, ha senso tutto questo?

Marco Scarponi

 

Caro Marco, tutto giusto. Ma senza “bios” non ci sono relazioni sociali e interpersonali.

M. Trav.

 

Per me, Forza Italia e Pd sono legati da tempo

Rimango sempre sorpreso quando il direttore Marco Travaglio, che stimo moltissimo, si sorprende per le aperture del Pd a B. Io non mi sono mai sorpreso, anzi non avevo dubbi in proposito, dato che sono sempre stato convinto che i veri interessi da difendere erano e sono sempre stati reciproci checché ne pensino gli ingenui. Il Pd attuale non è diverso dal Pd di Renzi né da quello precedente.

Michele Lenti

 

Caro Michele, non mi meravigliano le aperture del Pd a B. Mi meraviglia il masochismo di tanti leader Pd che si sono fatti divorare e digerire dal Caimano e non hanno insegnato nulla ai loro successori.

M. Trav.

 

Occhio a non confondere “polpo” e “polipo”

Sottolineo come a mio avviso il titolo dell’articolo su Di Mare dovesse riportare il termine “polpo” e non “polipo”. Invito, se non fosse chiara la differenza tra i due animali, a documentarsi a riguardo – ad esempio, io non mangerei mai un’insalata di “polipo” e patate!

Giovanna Piccardo

 

Grazie al “Fatto” per la poesia e il coraggio

Mentre tramonta un sole limpido ma tristissimo, dalla mia stanza dove virus di vario genere, vite orrende di vario genere mi legano dentro, non resisto dalla voglia di dirvi: grazie. La lettura del nostro giornale, la poesia ed il coraggio che vi trovo anche parlando di morte o di ladri, rende la mia vita possibile. Non siete utili, siete indispensabili. Leggendovi sento che possiamo farcela, non a vincere il Covid, ma a lasciare questa vita molto meglio di come l’ho trovata. Avanti così.

Daniele Mantovani

 

Non sono sempre d’accordo con Fini

Caro Massimo Fini, finito di leggere oggi il suo articolo, mi sono sentita scombussolata come quando si scende dal “calcinculo”. Poi, due brevi e chiare righe del direttore Travaglio mi hanno rimessa in carreggiata: meno male, sospiro di sollievo! Naturalmente continuerò a leggerla con piacere, anche se alla conclusione dei suoi articoli, quasi mai sono d’accordo.

Ileana

 

Gentile Ileana, si fidi più di Travaglio che di me. Però continui a leggermi perché il confronto fra opinioni diverse è, non lo dicono sempre? “arricchente”.

Mai comunque essere completamente d’accordo con chiunque. Un cordiale saluto.

Massimo Fini

 

Un editoriale brillante: una boccata d’ossigeno

Ho appena finito di leggere l’editoriale di Marco Travaglio (“Cuore di mamma”) sulla Casellati. Posso ringraziarvi per il semplice e solo fatto di esistere? Siete una vitale boccata d’ossigeno e aria pura in un vergognoso mare di servilismo, pessima informazione e cialtronaggine editoriale. Sono edicolante, vi leggo e… vi vendo. Non aggiungo “continuate così” perché so che lo farete sempre, per voi e per noi.

Nicola Giorla

 

Non se ne può più dei Commissari regionali

Caro Travaglio, mi devo scusare con lei per aver indotto a pubblicare una mia lettera riguardante la necessità di commissionare la gestione della sanità di alcune regioni. Visto il continuo pasticcio nella scelta dei commissari in Calabria, devo ammettere di aver sbagliato completamente. Mi cospargo il capo di cenere.

Claudio Trevisan

 

Le grasse risate scatenate dal “Cuore di mamma”

Caro direttore, smettila di scrivere editoriali sulla seconda carica dello Stato. Sto soffocando dalle risate, e ricordati che qui in Veneto si dice: “con Rovigo, non m’intrigo”, altro che vaudeville. Si spera che il giudice conosca il detto. Ferma restando la libertà di satira.

Stefano Grandesso

 

Complimenti a Vauro per la vignetta su Strada

Mi rallegra un titolo da conservare per sempre, quello inventato da Vauro per Gino Strada su Il Fatto Quotidiano: “Un pazzo sano di mente” e mi aumenta la stima che già porto per entrambi.

Franco Paone

 

I nostri errori

Ieri abbiamo pubblicato la lettera “Il sostegno di Strada può rivelarsi essenziale” a firma di Pietro Volpi, quando invece ne è autore Giuseppe Mazzei. Ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori.

Fq

Ma Bonomi sa almeno governare un giornale?

La redazione del Sole 24 Ore ha votato la sfiducia al direttore Fabio Tamburini: 97 a 16. Una sconfessione plateale in una vicenda un po’ surreale.

A fronte della protesta del Cdr contro le “otto pagine e gli undici articoli firmati da alti esponenti della Confindustria”, compreso il presidente dell’associazione industriali Carlo Bonomi, giudicate dall’organismo sindacale “una pericolosa deriva”, il direttore Tamburini rispondeva con una laconica e inusuale risposta: “Chi mi conosce sa che i firmatari del comunicato dovrebbero provare qualche vergogna”. Tutti a chiedersi perché “vergogna” fino a quando qualche voce interna non ha fatto sapere che Tamburini ha da tempo problemi con l’editore e che i redattori avrebbero dovuto evitare di metterlo ulteriormente in imbarazzo.

Voci. I fatti dicono che Confindustria ha redarguito i rappresentanti sindacali e offerto pieno appoggio al direttore. Ma la vicenda non è una primizia. Il Sole ha già visto sfiduciare altri due direttori: Gianni Riotta e poi Roberto Napoletano autore del caso delle copie gonfiate.

Allora, come diceva il tale, la domanda sorge spontanea: ma come fa a dispensare ricette e direttive per il governo del Paese uno che non riesce nemmeno a governare il giornale di cui è editore?

La strana teoria di Bongiorno sul contagio

Dicesi “azzeccagarbugli” – parafrasando la Treccani – un “vile leguleio” che distorce la realtà con “pretesti di ogni sorta”. Definizione che calza come la scarpetta di Cenerentola alle curiose argomentazioni dell’ex ministra della Giustizia, l’avvocatessa leghista Giulia Bongiorno.

La quale sostiene di essersi presa il Covid non perché il virus è subdolo e può capitare a tutti, né perché ha dimenticato di osservare le dovute cautele sanitarie. No: la colpa è di Alfonso Bonafede, l’attuale Guardasigilli. “Non solo non ha protetto noi che lavoriamo in tribunale durante la prima ondata di Covid-19 – sostiene la Bongiorno – ma non ci protegge nemmeno adesso. Avrebbe avuto tutto il tempo di approntare le strategie e le risorse necessarie per metterci in condizione di lavorare in sicurezza”. Per la Bongiorno non ha nessuna responsabilità, nemmeno morale, il leader del suo partito: quel signore spiritoso che negava la seconda ondata, si rifiutava di indossare la mascherina al Senato, faceva valanghe di selfie a bocca scoperta con giovani e anziani. No, la responsabilità è di Bonafede in persona, che stava a pensare ai guai dei Cinque Stelle invece di misurare la distanza tra gli avvocati e i pm.

Debito, la Bce schiaffeggia Sassoli

Mentre a Roma va in onda il cecchinaggio contro il governo Conte sui presunti ritardi del piano per il Next Generation Eu (vedi articolo in alto) a Bruxelles, anzi nello spazio indefinito delle riunioni online, si prende tempo sul medesimo fondo. Ieri pomeriggio era convocato il vertice virtuale tra i capi di Stato e di governo, chiamati a discutere di Covid, ma anche del veto posto da Polonia e Ungheria, a cui poi si è aggiunta la Slovenia, sul Recovery Fund. Veto motivato dalle clausole relative allo “stato di diritto” inserite dalla Commissione tra i criteri per accedere ai fondi.

Il giro di tavolo è durato però solo 16 minuti. Dopo le introduzioni del presidente formale del Consiglio, Charles Michel e della presidente di turno della Ue, la tedesca Angela Merkel, che ha ribadito la necessità assoluta di giungere a un accordo, il leader ungherese Viktor Orban ha preso la parola per spiegare la posizione del proprio paese. Un veto a garanzia delle prerogative nazionali, la sua versione, mentre il resto d’Europa lo interpella sulla tutela dei diritti fondamentali.

Ma a quanto abbiamo appreso non c’è stata alcuna burrasca né fuochi di artificio. Un incontro “riuscito”, spiega un diplomatico, per evitare il fallimento. Interventi brevi, di rito, tutti finalizzati a mantenere le proprie posizioni ma anche a evitare di far fallire il negoziato che continua tra le quinte. Probabilmente se ne riparla al vertice del 10 e 11 dicembre. A tenere banco sul piano europeo è invece la questione del debito. Volente o nolente David Sassoli, con la proposta di “cancellare” una parte del debito sovrano, ha messo in evidenza un dibattito che è serio tanto che Christine Lagarde, la presidente della Bce, nella conferenza stampa del giovedì è dovuta intervenire per ribadire che la “cancellazione del debito non è prevista dai Trattati. Punto”. Modo elegante per chiudere una discussione prontamente ripreso dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, secondo cui l’unico modo per cancellare il debito è puntare sulla “crescita”. Bravo. Ma se, dopo una catastrofe come quella del 2020 e dopo un periodo lungo di stagnazione, non cresci? Questo Gualtieri non lo spiega e nemmeno lo spiega il plotone di esecuzione che si è messo contro Sassoli evidentemente reso di lesa maestà.

L’altro ieri lo aveva malmenato – in punta di penna, ovvio – Carlo Cottarelli su Repubblica, ieri Lorenzo Bini Smaghi con una articolessa del Foglio. Tutti in campo come se in fondo le parole del presidente dell’Europarlamento somigliassero a quelle del bambino che nella famosa fiaba grida: “Il re è nudo”.

Recovery, nessun ritardo: “Non esiste un caso in Ue”

Salta sulla sedia Enzo Amendola, ministro degli Affari europei, quando legge l’apertura di Repubblica che parla di “allarme” Ue per “i ritardi” dell’Italia nella presentazione del Recovery plan. Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, abbozza una risata incredula. Mentre Giuseppe Conte, all’Assemblea dell’Anci, prende la questione di petto: “È stata pubblicata con grande evidenza su un quotidiano una fake news: l’Italia in ritardo sul piano di resilienza. Quella notizia non viene neppure da Bruxelles, è stata inventata di sana pianta”. Poi racconta il modo di procedere dell’esecutivo: “Lavoriamo già con la Commissione, settimanalmente, per la definizione dei progetti. Ieri sera (mercoledì ndr) sino alle 11 abbiamo avuto una riunione interna per definire la struttura normativa che consenta di garantire che il piano abbia rapida attuazione”. Presenti Conte, Amendola e Gualtieri.

“Non esiste un caso Italia a Bruxelles”, è il messaggio che il trio direttamente impegnato sul dossier ci tiene a far passare. Il supporto arriva dalla Commissione. Lo staff di Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici, twitta un brano della conferenza stampa di mercoledì con Valdis Dombrovskis in cui negava qualsiasi “irritazione” sui tempi della presentazione dei Piani. A chiarire a che punto sono i lavori è lo stesso Amendola: “A fine mese ci sarà un’altra riunione del Comitato interministeriale per gli Affari europei. Poi invieremo nuovi documenti al Parlamento”. Le linee guida sono state sottoposte alle Camere a metà ottobre. Il ministro nega anche problemi di rivalità: “Conte ha la conduzione, Gualtieri con il Mef e la Ragioneria di Stato ragiona sulle risorse, io coordino i lavori”.

Sono due giorni che in Italia il Recovery plan è tornato al centro della discussione. Da quando Marco Buti, capo di gabinetto di Paolo Gentiloni, ha scritto un lungo documento (di cui ha dato notizia il Corriere della Sera) in cui esprimeva preoccupazione non tanto sui tempi, ma sulle oggettive difficoltà amministrative legate alla sua gestione. Arrivando a raccomandare “una cabina di regia”. Che costruire il piano di riforme sia un’impresa complessa e spendere le risorse pure, non è un mistero. L’esecutivo sta già lavorando a una struttura di governance. Spiega Amendola: “Si sta ragionando su 4 capitoli. Governance, progetto, criteri di impatto e visione generale. Ogni settimana facciamo il punto con lo staff della Commissione”.

Ecco cosa diceva Gentiloni mercoledì: “Non credo che ci sia una irritazione o una delusione della Commissione sui tempi della presentazione del piano. Siamo in una fase in cui solo 6 o 7 paesi hanno presentato in forma molto iniziale i loro piani. Noi incoraggiamo i paesi a presentarli in una forma preliminare, perché questo aiuta il dialogo tra i governi e gli uffici della Commissione per risolvere i problemi”. Tra i grandi Paesi che hanno presentato delle bozze di piano ci sono Francia e Spagna, chiariscono fonti europee. “Linee guida”, sintetizza Amendola. Peraltro, la presentazione è fissata a metà gennaio e dunque per ora non esiste neanche lo strumento per l’invio ufficiale dei piani. Dalla Commissione chiariscono che lo stato di avanzamento è molto eterogeneo: per alcuni paesi esiste della documentazione più dettagliata, per altri ancora niente. Ma parole come “allarme” o “irritazione” non caratterizzano lo stato d’animo a Bruxelles. Senza contare che adesso il vero problema è superare il veto di Polonia e Ungheria, che rischia di bloccare tutto.

Nessun problema neanche a Roma? Ancora Amendola: “Abbiamo fatto due decreti Ristori e una legge di Bilancio nelle ultime due settimane”. Quando è arrivata la seconda ondata Covid, molti tecnici si sono trovati impegnati su altre priorità. Ma i ministeri stanno lavorando. Al netto delle difficoltà reali, l’impressione è che il Recovery sia diventato un terreno di scontro politico come il Mes, sul quale misurare insofferenze. Magari proprio da parte di settori del Pd che vedrebbero bene cambiamenti al governo.

Giunta in Puglia. Emiliano lascia un posto ai grillini

Dopo settimane di trattative, l’offerta è sul tavolo: il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha lasciato un posto libero nella sua nuova giunta, l’assessorato al Welfare, al M5S. Adesso la palla passa agli iscritti pugliesi che la prossima settimana voteranno su Rousseau se entrare o meno in giunta con il governatore che avrebbe voluto un’alleanza pre-elettorale e anche dopo la rielezione aveva mandato molti segnali ai 5S. “Saranno gli iscritti a decidere, ma c’è un accordo basato sui programmi – dice la consigliera M5S Rosa Barone, in pole per l’assessorato che dovrà andare a una donna – e speriamo che si possa portare a casa qualche buon risultato per la Puglia”. I vertici, Di Maio e Crimi, non sono contrari e dei 5 eletti in consiglio, 4 sono favorevoli a entrare in giunta: solo l’ex candidata Antonella Laricchia, dura e pura vicina a Di Battista, è contraria e in caso di accordo potrebbe addirittura lasciare il Movimento. Ieri Emiliano ha ufficializzato nove dei dieci assessori: oltre all’infettivologo Pier Luigi Lopalco alla Sanità, spicca il nome dell’ex ministro Massimo Bray alla Cultura. Tra gli assessori c’è la dem Anita Maurodinoia, imputata a Bari per corruzione. Ma dallo staff di Emiliano si minimizza: “I fatti risalgono a sette anni fa e non appaiono dotati di un particolare sostegno probatorio”.

Di Battista deciderà dopo le regole

Il documento che riassumerà la linea dettata dagli Stati generali dovrebbe arrivare oggi. Bisogna accelerare per non concedere varchi all’avversario, a quel Davide Casaleggio che ha annunciato per lunedì il piano 2020-2021 per la piattaforma web Rousseau, “una libera iniziativa mai concordata con il M5S” puntualizza subito il reggente Vito Crimi.

Ma a margine dell’ennesimo scontro con Casaleggio junior c’è la battaglia sulle regole, quelle per la votazione della segreteria, perché faranno la differenza nella contesa per scegliere la nuova guida. Ergo, è anche in base a quelle norme che Alessandro Di Battista sceglierà se candidarsi o meno. Combattuto, tra la volontà di restare fuori per poi giocarsi le sue carte da qui a due anni, puntando su un possibile binomio con Giuseppe Conte. Oppure se battersi nella votazione sul web, sperando di costruire una sua maggioranza nel board che sarà il cuore della segreteria. Prima bisognerà capire le regole d’ingaggio, assenti nel documento di sintesi. Il testo preparato da Crimi e dai facilitatori descriverà solo la rotta decisa dai delegati nel congresso. Quindi un M5S con sedi territoriali e una struttura. Deciso a costruire un rapporto diverso con Rousseau, a cui verranno lasciati solo alcuni servizi tramite un contratto se si troverà un accordo. Oppure ripudiata, in favore di una nuova piattaforma. E poi ci sarà l’organo collegiale: una segreteria di 15-17 membri, con dentro un board di 5-7 persone, che prenderà le decisioni. Saranno gli iscritti a sceglierli. Ma vanno decise le regole d’ingaggio, da sottoporre da qui a 10-15 giorni al voto sul web. E va innanzitutto chiarito se si voteranno singoli candidati o squadre. L’ala “governista”, da Luigi Di Maio a Paola Taverna fino a Roberto Fico, spinge per la prima opzione, temendo la vittoria di una squadra trainata da Di Battista. Ma ci sono altri aspetti da definire. Per esempio, se gli scritti potranno esprimere una oppure più preferenze. Ed è chiaro che questa seconda via aprirebbe la porta ad accordi o cordate. Così tutti aspettano. Compreso Di Battista, che in queste ore sente di continuo i parlamentari a lui vicini. “Se mi candidassi, potremmo anche entrare in 3 o in 4” ipotizza. Ossia lui e un’eletta, come Barbara Lezzi. E magari un veterano come Nicola Morra.

Ma l’ex deputato non ha deciso. Teme di restare isolato nella segreteria. E di pregiudicarsi future mosse. Chi si è già mosso invece è Casaleggio, che lunedì lancerà anche un piano di auto-finanziamento per Rousseau per “compensare i gravi e mancati introiti previsti”, cioè i mancati versamenti dei parlamentari. Sotto il post su Facebook compare un commento di Di Battista: “Farò una donazione e grazie”. Poco dopo si aggiunge Lezzi. A ribadire un asse, con il nemico degli altri.