Se fosse un impasto di semola, questa storia sembrerebbe il frutto a grana grossa di una cattiva setacciatura. Su De Cecco, terzo produttore mondiale di pasta dopo Barilla ed Ebro Foods, non pesano solo le indagini raccontate dal Fatto per l’acquisto di grano francese riportato invece come materia prima pugliese – nonostante l’accordo con l’Antitrust del dicembre scorso che prevede la trasparenza ai consumatori sulla provenienza della materia prima –, ma anche problemi di altra natura. L’azienda che ha sede a Fara San Martino (Chieti) e Pescara è in mano ai tre rami della famiglia del fondatore Giovanni, con le azioni distribuite tra 22 parenti. Nel 2019 il gruppo, con 859 dipendenti, ha prodotto 200mila tonnellate di pasta che ha esportato in 120 Paesi. Dal 1985 la De Cecco produce anche olio, dal 2006 i sughi pronti firmati dallo chef pluristellato Heinz Beck e dal 2012 prodotti da forno. Nei mesi scorsi, per la seconda volta in 12 anni, ha rinviato la quotazione in Borsa. In passato il fondo di private equity Advent aveva condotto una due diligence mirata all’acquisto, poi sfumato, di una quota di minoranza.
Da lungo tempo la De Cecco è teatro di durissimi scontri di governance con l’esodo di dirigenti tra accuse penali, dossieraggi e denunce per mobbing. Come spieghiamo nell’articolo a fianco, sono emerse anche segnalazioni di anomalie nella semestrale 2019 e irregolarità nelle comunicazioni obbligatorie di un minibond. Contattata con largo anticipo su tutti i dettagli di questa inchiesta, la società non ha risposto nel merito, ma il 12 novembre ha inviato una nota degli avvocati Franco Coppi e Marco Spagnuolo in cui lamenta che non le sarebbe stato consentito “né di comprendere l’esatto perimetro delle informazioni richieste né di fornire una lettura diversa” delle domande poste su “circostanze sconosciute” e minaccia azioni legali. Dopo la nostra richiesta, il 13 novembre il presidente Filippo Antonio De Cecco ha trasmesso una lettera aperta ai dipendenti nella quale afferma che “le notizie delle quali si prospetta la pubblicazione sono false e prive di obiettività”. Il giorno dopo è emersa l’indagine della Procura di Chieti per l’ipotesi di reato di frode in commercio sull’acquisto di 4.575 tonnellate di grano importato dalla Francia ma registrato come pugliese. Tre gli avvisi di garanzia: al presidente, al direttore acquisti Mario Aruffo e all’ex responsabile controllo qualità Vincenzo Villani, licenziato a maggio.
Il primo mancato sbarco in Borsa
La famiglia da 134 anni non ha mai mollato la presa ferrea sull’azienda. Il primo progetto di quotazione del dicembre 2007 fu fermato a febbraio 2009. Nel 2008 la fusione delle controllate Molino, Delfin e Prodotti Mediterranei nell’allora controllante La Fara, a sua volta confluita nella nuova capogruppo Fratelli De Cecco, creò plusvalenze da consolidamento per 160 milioni contabilizzati come riserve. Ma la Guardia di Finanza il 25 settembre 2008 contestò la “presunta elusività dell’operazione di fusione inversa per incorporazione dell’ex controllante” per la quale nel 2012 la De Cecco ha pagato 14,1 milioni all’Agenzia delle Entrate. Il 25 febbraio 2009 l’Antitrust ha multato l’azienda per 1,4 milioni, insieme ad altri pastifici e all’Unione industriali pastai per un totale di 12,5 milioni, per un cartello sui prezzi di mercato.
I conti dell’azienda e la spartizione in famiglia
Dal 2008 al 2019 i ricavi consolidati sono cresciuti da 319 a 458 milioni e l’utile da 8,5 a 13,7, mentre i crediti verso clienti sono scesi da 67 a 33. Tra il 2015 e il 2019 la De Cecco ha prodotto utili per 56 milioni, ma i soci ne hanno prelevati 65,7: 11,3 come dividendi, gli altri 54,4 attribuendosi la riserva versamenti in conto futuro aumento di capitale, creata stornando 70,4 milioni nel 2012, della quale a fine 2019 restavano 16 milioni. Nel solo 2018, quando l’azienda sembrava di nuovo fare rotta verso la Borsa, i soci si sono spartiti 24,8 milioni. Nel 2019 il gruppo aveva 192 milioni di debiti con le banche, 36 per l’emissione di obbligazioni e 102 verso fornitori, questi ultimi quadruplicati rispetto al 2008.
La seconda mancata quotazione
Da anni a Fara il monarca assoluto è il 76enne presidente operativo Filippo Antonio De Cecco. Il suo stile di gestione emerge da un’email interna inviata il 28 giugno 2016 a tutti i dirigenti nella quale stabiliva che “qualsiasi informazione richiesta a ciascuno di voi per relative aree di competenza” dal presidente dell’organo di vigilanza 231 “dovrà essere prodromicamente autorizzata per iscritto dal sottoscritto”. Secondo la legge, l’organismo 231 è una struttura societaria di controllo i cui compiti non possono essere messi preventivamente in discussione da nessuno. A maggio 2018, quando l’entrata in Borsa sembrava vicina, la De Cecco assunse come amministratore delegato Francesco Fattori, manager di lungo corso in multinazionali alimentari. Fattori avrebbe dovuto prendere le redini del gruppo, ma si scontrò con forti resistenze. Il primo aprile 2019 alcuni soci chiesero la convocazione del consiglio di amministrazione per togliere le deleghe al presidente. La sua reazione fu immediata: il 9 aprile Filippo Antonio, il fratello Giuseppe Adolfo e Giuseppe Alfredo De Cecco denunciarono per rivelazione di segreto aziendale Fattori (il quale, contattato, preferisce non commentare). Il giorno dopo la Procura di Pescara fece scattare a suo carico perquisizioni personali, locali e informatiche. Fattori fu licenziato. Dal 2018 dalla De Cecco sono usciti per dimissioni o licenziamento 15 dirigenti, quasi tutta la prima e buona parte della seconda linea, oltre a una ventina di altri funzionari. Il Fatto ha contattato tutti i dirigenti usciti, parlando con alcuni di loro che però non vogliono apparire. Con il licenziamento dell’amministratore delegato Fattori, partiva la purga interna: secondo quanto scritto dall’azienda nelle contestazioni contro un dipendente, Fattori si sarebbe avvalso della “segreta collaborazione di soggetti interni”. Durante la cena aziendale del Natale scorso, il presidente Filippo Antonio De Cecco in un discorso ha affermato: “Abbiamo affrontato l’anno senza la ‘banda Fattori’: tutti fuori. Volevano mandare a casa me, a casa ci stanno loro. Lui è indagato. Insieme a lui ci sono altri personaggi che facevano parte del gruppo dirigente, anche loro sono indagati”.
Battaglia sulla gestione. In cda arriva Gianni Letta
La famiglia dei soci è spaccata in due. Il 22 gennaio scorso, i due ad Saturnino e Giuseppe Aristide De Cecco, unici membri del Cda insieme al presidente, si sono dimessi da consiglieri. In una lettera aperta ai dipendenti hanno scritto che “i cambiamenti nell’organizzazione aziendale” e “l’assenza di un flusso informativo adeguato dal presidente non ci consentono di proseguire nel mandato. Le numerose attività del presidente, in assenza di condivisione e informazione del cda anche sull’organizzazione aziendale, hanno contribuito all’alterazione, allo stato attuale irreversibile, degli equilibri di gestione”. All’assemblea del marzo scorso, dopo aver acquisito la proprietà del 4% e il 4,59% in usufrutto con diritto di voto da Giuseppe Adolfo, Filippo Antonio si è presentato come socio di maggioranza relativa con il 23,59%. Insieme a lui, Giuseppe Adolfo e Giuseppe Alfredo nel nuovo cda sono entrati Annunziata De Cecco, Eugenio Ronco Municchi e il dirigente Adriano Consalvi. Poi tre esterni: l’eminenza forzista, l’abruzzese Gianni Letta, Mario Boselli, presidente onorario della Camera nazionale della moda, e Bruno Pavesi, ex consigliere delegato dell’Università Bocconi.
Dossieraggi e cimici
Ma le tensioni sono di lunga data. Già nel maggio del 2006 l’agenzia investigativa Tony Ponzi riceveva dal “committente presidente Filippo Antonio De Cecco” l’incarico a svolgere indagini private, costate 120mila euro e condotte tra giugno e luglio. Una riguardava la vita privata del vicepresidente Giuseppe Aristide De Cecco. Un’altra, non connessa alla prima, la vita privata di una dipendente del ristorante Le Paillotes, di proprietà del presidente, e di suo marito. Da allora il clima non pare cambiato: il 4 marzo scorso il quotidiano Il Centro di Pescara ha riferito la scoperta di una microspia nell’ufficio di Filippo Antonio De Cecco. Ogni mulino vuole la sua acqua.