I leghisti “osservatori Osce”, ma pro-Trump: “Non è finita, ignorate la Cnn che pare Rai3”

E sì che appena messo piede su suolo americano si erano fatti pure la foto porta fortuna con Nigel Farage, che Donald Trump ha voluto accanto a sé nei comizi finali tanto per aggiungere un po’ di benzina sul fuoco. Ma né il leader dell’Ukip né Paolo Grimoldi e Luigi Augussori della Lega sembrano aver portato bene al tycoon. Nonostante almeno i due parlamentari salviniani fossero lì per rappresentare Camera e Senato nella missione di monitoraggio dell’Osce, Usa2020. “Buongiorno amici, oggi sono a Washington per il monitoraggio elezioni Usa con il leader del Brexit Party: il grande Nigel Farage” è il post entusiasta di Grimoldi del 31 ottobre. Che tra un cheese e un pollicione all’insù proprio come piace fare all’amico Donald (“GoDonaldGo”) raccatta una valanga di like e di commenti tutti di buon auspicio per Trump: “buona fortuna, speriamo che vinca. Ma voi vigilate”, c’è pure un “Forza Tramp” con la “a”, tutto fa brodo. Grimoldi si esalta pure nel post successivo in cui si fa immortalare di fronte alla staccionata della Casa Bianca dove i supporter del presidente lo invitano a resistere contro l’assalto di Biden che i media danno per favorito. “Alla Casa Bianca in attesa del monitoraggio di elezioni che probabilmente riserveranno sorprese. Stay tuned!” scrive il leghista prima di partire per San Diego dopo una due giorni di addestramento al monitoraggio nella Capitale. Augussori nel frattanto ha raggiunto Saint Luis in Missouri a cui ha chiesto di essere assegnato ché nel Midwest c’è una comunità di conterranei con cui mantiene i rapporti, come racconta al quotidiano Il cittadino di Lodi che gli dedica un’articolessa. Pure lui posta foto ricordo dalle Americhe: Washington around midnight, Farage, senza dimenticare Sant’Ambrogio d’Oltreoceano segno della devozione dei connazionali lombardi sbarcati a St. Louis già da fine 800. Ma poi viene anche il momento di scrivere la sua parte di relazione per l’Osce. “In nessun seggio ho assistito a fenomeni intimidatori da parte dei sostenitori repubblicani o presenza di soggetti armati come paventato dai media nazionali e internazionali”. Senza perdere la speranza anche quando dalle urne comincia a delinearsi il risultato che premia il candidato dem. “L’elezione del presidente è un procedimento lungo che si concluderà il 14 dicembre con il voto del collegio del Grandi Elettori: c’è un ampio lasso di tempo nel quale può essere data risposta alle contestazioni ed ai legittimi ricorsi. Non sono certo le proiezioni fatte dalla Cnn (l’equivalente nella nostrana Rai3) a determinare l’ufficialità del risultato”.

Eni, nuovo avviso di garanzia per Descalzi. Ora si aprirà il telefonino del suo coindagato

La Procura di Milano ha inviato un avviso di garanzia all’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, nel prosieguo dell’inchiesta sul presunto complotto ordito per danneggiare l’indagine sul giacimento nigeriano Opl 245. Parliamo del processo in cui lo stesso Descalzi è imputato per corruzione internazionale per la maxi-tangente da 1,2 miliardi di euro versata da Eni, secondo l’accusa, per l’acquisto del giacimento nigeriano. Nell’inchiesta sul falso complotto, come rivelato dal Fatto Quotidiano giorni fa, è già indagato il numero 2 dell’Eni, Claudio Granata, con l’accusa di induzione a rendere falsa testimonianza in associazione con altri. L’avviso di garanzia inviato a Descalzi, fa sapere Eni, è “stato notificato per lo svolgimento di accertamenti tecnici non ripetibili” e quindi a sua tutela per consentire la “partecipazione a tali accertamenti, attualmente in corso, attraverso la nomina di un difensore e di consulenti tecnici”. L’accertamento in questione riguarda l’estrazione della copia forense di un telefono cellulare di Vincenzo Armanna – coimputato di Descalzi nel processo su Opl 245 e anch’egli indagato nel fascicolo sul presunto complotto – acquisito dalla Procura di Milano nei primi giorni di novembre.

Il telefono di Armanna, ex funzionario Eni, è stato acquisito dopo la pubblicazione di alcune chat telefoniche sul Fatto del 1° novembre. Dopo la pubblicazione, il procuratore aggiunto Laura Pedio e il pm Paolo Storari hanno chiesto al Fatto di depositare le chat pubblicate e poi hanno disposto il sequestro del telefono di Armanna. Ora potranno verificare se si tratta di chat autentiche o false ai fini dell’indagine. Secondo i messaggi che Armanna ha mostrato al Fatto, Granata, nel giugno del 2013, dopo il suo licenziamento, lo avrebbe invitato a far contattare dal suo legale un avvocato che gli avrebbe precedentemente indicato. Nella chat – che la Procura di Milano analizzerà per valutarne l’autenticità – si discute del licenziamento di Armanna e della sua futura possibilità di rientrare in Eni od ottenere incarichi presso altre società. Granata invita Armanna a “non fare mosse avventate” e asserisce che “Eni può certamente distruggere chiunque in Italia”. Eni ha negato l’esistenza delle chat: “Descalzi e Granata smentiscono categoricamente di avere mai intrattenuto con Armanna le conversazioni riportate nello scambio”. E ancora: “Granata – come gli altri attuali dirigenti di Eni coinvolti – ribadisce la totale estraneità alle accuse formulate”.

“Etihad, la promessa di Di Maio: il governo non sarà parte civile”

Il governo italiano, in “gesto di amicizia” nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, rinuncerà a costituirsi parte civile nel procedimento penale su Alitalia-Etihad che si è concluso a Civitavecchia. Ad annunciarlo, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, è stato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, negli incontri dell’8 e 9 novembre con il suo omologo degli “emiratini” Abdallah bin Zayed Al Nahyan. Di Maio smentisce al Fatto di aver preso questo impegno. La notizia è però contenuta in un documento ufficiale: un cablo non classificato, dell’ambasciata italiana ad Abu Dhabi, a firma dell’ambasciatore Nicola Lener e protocollata, l’11 novembre scorso, con il numero 1.682. Oggetto: “Visita dell’onorevole ministro negli Eau. Quarta sessione del dialogo strategico”. Un documento inviato a tutte le ambasciate, da quella croata a Zagabria fino all’Algeria, inclusa la Direzione generale degli affari politici del ministero degli Esteri.

Leggiamo cosa riporta il cablo in questione. L’esordio riguarda i preliminari della “quarta sessione del dialogo strategico bilaterale”, a partire dalla cena offerta dallo sceicco Abdallah bin Zayed Al Nayan “nel pieno rispetto dei protocolli Covid-19 qui vigenti” durante la quale il ministro Di Maio ha “incontrato il ministro dell’Economia Abdullah Al Marri, il ministro della Tolleranza e Commissario generale degli Eau per Expo2020 Duibai, lo sceicco Nahyan bin Mubarak Al Nayan e la ministra di Stato per la Cooperazione internazionale e direttore generale della società Expo2020 Reem Al Hashimi”. “Su tali incontri – scrive l’ambasciatore – riferisco a parte”. All’interno del punto 2 del documento riporta poi il dialogo sulla vicenda Alitalia-Etihad.

“È stato quindi affrontato – si legge nel cablo – il delicato dossier Alitalia, su quale come noto, i due ministri avevano avuto una conversazione nei giorni scorsi, dopo che l’omologo emiratino aveva indirizzato all’on. ministro una preoccupata lettera, alla luce delle possibili conseguenze sui manager di Etihad del procedimento penale aperto nel nostro paese”.

Il 20 febbraio scorso, infatti, la Procura di Civitavecchia ha notificato agli indagati l’avviso di conclusione dell’indagine – si contano 22 indagati – accusati di concorso in bancarotta fraudolenta di Alitalia. Tra gli indagati illustri – da Luca Cordero di Montezemolo a Roberto Colaninno, da Jean Pierre Mustier a Corrado Gatti ed Enrico Laghi – figura anche James Hogan, consigliere del cda di Alitalia e amministratore delegato di Etihad. E anche altri manager legati alla compagnia araba come Mark Ball Cramer e Duncan Naysmith.

“Non sarà una rivoluzione ma una evoluzione, vogliamo rendere Alitalia più sexy” aveva annunciato James Hogan nel 2014 quando, per il salvataggio di Alitalia, Etihad mise in cantiere un investimento complessivo di 1,758 miliardi di euro. Ad Abu Dhabi non è parsa molto sexy, però, la prospettiva di vedere i suoi manager finire sotto processo. E torniamo così all’incontro tra Di Maio e lo sceicco Abdallah bin Zayed Al Nayan. Ad accompagnarli c’erano il capo di gabinetto Ettore Sequi, il direttore generale per gli affari politici Sebastiano Cardi, il capo della segreteria particolare Cristina Belotti. Riguardo le “conseguenze” del “procedimento in corso nel nostro paese” sui “manager Etihad” il cablo spiega che “il ministro Di Maio, nel far presente che in base al nostro ordinamento il governo non può interferire in un procedimento giudiziario in corso, ha indicato di aver chiesto al commissario unico di Alitalia, Leogrande (Giuseppe, ndr), di costituire un gruppo negoziale per definire le questioni contrattuali pendenti con la controparte e di aver invitato le autorità emiratine, attraverso una lettera indirizzata all’ambasciata a Roma, a fare altrettanto”.

E poi arriva il punto più caldo del cablo: “Egli ha anche fatto presente che, quale gesto di amicizia nei confronti degli Eau, il governo rinuncerà a costituirsi parte civile nel processo penale”. E ancora: “Abdallah ha ringraziato per l’apertura manifestata dall’on. ministro, auspicando che la questione possa evolversi ‘in un modo che possiamo controllare’, perché altrimenti essa rischia di produrre un impatto su future decisioni emiratine di investimento nel nostro Paese. ‘Ricordo – ha aggiunto – che fu il governo italiano a chiederci di entrare in Alitalia’. Sul punto è intervenuto anche il ministro Ali Sayegh, che ha indicato, senza elaborare oltre, che ‘nel sistema italiano ci sono precedenti di soluzioni di analoghe questioni nel settore dell’aviazione civile’, insistendo che il partenariato tra Alitalia ed Etihad è stato reso possibile da un’intesa tra i due governi e augurandosi che possano esservi sviluppi positivi entro l’anno”. Di Maio al Fatto smentisce di aver assunto questo impegno. Fonti della Farnesina spiegano che la proposta di non costituirsi parte civile è stata invece avanzata dagli Emirati arabi uniti (Eau) e non da Di Maio. Quando facciamo notare che la notizia in nostro possesso è stata trascritta in una fonte ufficiale – il cablo in questione – la Farnesina, attraverso fonti diplomatiche, conferma l’esistenza e il contenuto del cablo. “Evidentemente – precisa la Farnesina – l’ambasciatore non ha ben compreso quanto si sono riportate le parti”. Deve aver frainteso quindi anche il ringraziamento del ministro Abdallah bin Zayed Al Nayhan. Il punto è che, anche alla Farnesina, non devono aver ben compreso qualcosa: il contenuto del cablo. Dall’11 novembre a oggi non ci risultano altri cablo sulla questione con errata corrige annessi.

La poltrona che scotta. Chi si siede lì squarcia il velo della malasanità

Diciotto ospedali chiusi in Calabria negli ultimi dieci anni. Cinque ospedali finanziati e mai realizzati. Due Asp su cinque sciolte per infiltrazioni mafiose. Bilanci non approvati e debiti fuori controllo per centinaia di milioni. Un piano di rientro che dura dal 2010 con la conseguenza di un blocco delle assunzioni e un turnover inesistente: chi va in pensione, in sostanza, non viene sostituito. E poi c’è l’emigrazione sanitaria. Prima della pandemia chi poteva andava a curarsi nel Nord Italia e la Regione Calabria pagava circa 330 milioni di euro all’anno con cui sostanzialmente finanziava il sistema sanitario lombardo, veneto ed emiliano. Da sempre mangiatoia della peggiore politica, la sanità in Calabria sta manifestando tutte le sue fragilità con l’emergenza Covid. Non è solo una questione di posti letto di terapia intensiva. C’è molto di più. A queste latitudini manca tutto: medici, rianimatori, anestesisti e infermieri. Assieme ai cittadini, sono le vittime di un piano di rientro che la Regione e i vari governi non sono mai riusciti a superare perché non hanno affrontato i veri problemi del sistema sanitario in Calabria, terra dove ‘ndrangheta e sanità è da sempre un binomio imprescindibile da prima dell’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Fortugno nel 2005. Sullo sfondo di quel delitto politico-mafioso, infatti, c’era appunto il mondo della sanità.

Molti misteri su come funzionano gli ospedali e le Asp calabresi potrebbero essere svelati se il ministero dell’Interno e il governo decidessero di desecretare la relazione della commissione di accesso all’Asp di Reggio Calabria, sciolta per mafia nel febbraio 2019. Lì ci sono i nomi, o almeno una parte, dei responsabili del disastro che, dopo la rinuncia dell’ex rettore Eugenio Gaudio, il nuovo commissario ad acta dovrà affrontare. Si potrebbe capire a chi venivano dati gli appalti prorogati, senza una gara pubblica e quali erano le ditte che, “per motivi d’urgenza”, non presentavano nemmeno il certificato antimafia. Si potrebbero scoprire chi sono gli imprenditori e le case farmaceutiche che per anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo, mandando all’incasso sempre le stesse fatture milionarie, confidando sul fatto che l’Asp di Reggio non aveva una contabilità e, quindi, non era in grado di dimostrare che quei soldi erano stati già pagati. denaro pubblico nelle tasche dei privati: il perché succedesse così lo ha scoperto il medico e scrittore Santo Gioffré. Nominato commissario, infatti, cinque anni fa si era accorto che le casse dell’Asp erano un pozzo dove mangiavano tutti. Un giorno si è rivolto ai pm dopo aver bloccato un pagamento di 6 milioni di euro a una clinica che lo aveva già incassato sette anni prima. “Chi viene qua si deve fare il segno della croce”. Per Gioffré “non si può chiedere al governo di appianare i debiti se non si ricostruisce il pregresso”. Secondo l’ex commissario ad acta Massimo Scura adesso “serve una nuova squadra per calcolare il debito delle Asp. Non c’è un’informatizzazione del sistema sanitario che doveva essere gestita dalla Regione”. Stando a una relazione consegnata ai commissari prefettizi dall’ex dg Giacomino Brancati, l’Ufficio economico finanziario dell’Asp è stato retto per anni da dirigenti amministrativi “privi di competenze specifiche”.

La società e gli allievi dei “fratelli baroni”, tra atenei e ministeri

Due fratelli improvvisamente entrano nella tornata di nomine del Governo. Il più grande è Eugenio Gaudio, classe 1956, rettore dal 2014 e fino a pochi giorni fa dell’Università La Sapienza di Roma, già presidente della Conferenza dei presidi delle facoltà di Medicina e direttore del Dipartimento di anatomia della Sapienza. Il fratello è più giovane di un anno è Carlo Gaudio, ordinario di cardiologia alla Sapienza e direttore dell’unità Operativa di Cardiologia al Policlinico Umberto I.

Sono figli di Domenico Gaudio, avvocato e senatore Dc negli anni 70 del precedente secolo, nato a Mendicino (Cosenza). Mentre un terzo fratello, Roberto Gaudio, è professore e direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile all’Unical.

Mentre Eugenio rinunciava al posto di commissario all’emergenza sanità in Calabria, Carlo Gaudio era nominato presidente del Crea. Il professore, ex consigliere dell’Aifa, la scorsa settimana è stato proposto dal ministro Teresa Bellanova come presidente del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.

La nomina è passata in Consiglio dei ministri e ora si attende il parere, non vincolante, delle commissioni parlamentari. Ieri circolava tra alcuni parlamentari M5s un video pubblicato su internet di un convegno del dicembre 2018. Il programma della “Tavola rotonda” prevedeva la presentazione del libro di Gaudio: “La Zattera – Regole per Vivere in Armonia’” alla biblioteca Casanatense. Gli oratori, tutti con cartellino in vista sul tavolo, erano annunciati: “Mario Alì, Accademia Belle Arti; Marco Cardinali, Teologo; Alessandro El Motassime studente V anno di Medicina; Lucia Marchi, direttore della Biblioteca. Modera: Maria Rosaria Gianni, TG1”.

Lo studente oggi 29enne è Alessandro El Motassime, figlio della ministra di Italia Viva Teresa Bellanova, allora semplice senatrice del Pd. Alla fine dell’incontro per pochi minuti il giovane dice: “Sono uno studente di Medicina e ho l’onore di essere allievo del professor Gaudio e spesso ci siamo confrontati con il professor Gaudio sulle tematiche del libro e leggerlo per me è stato un viaggio, una ricerca, uno stimolo”. Il video potrebbe far nascere il dubbio che la ministra possa essere stata influenzata in qualche modo dal rapporto del figlio con il prof. nella sua valutazione di Gaudio in rapporto alla trentina di candidati concorrenti dopo la ‘call’ del ministero per il posto di presidente Crea. Gaudio però nega: “Era il 2018 quando è stato uno dei miei tanti studenti. La mia conoscenza con il ministro e la proposta di nomina al Crea non ha nulla a che fare con lui. Io era già subcommissario al Crea”. Ed era stato nominato da un Governo nel quale il Pd e la Bellanova non contavano e non c’erano. Anche la ministra Bellanova fa sapere al Fatto: “Non ha avuto frequentazioni di nessuna natura con il professor Gaudio se non quelle prettamente istituzionali”.

Il momento è tormentato per i fratelli Gaudio. Ieri Eugenio ha rinunciato al posto di Commissario perché, “mia moglie non ha intenzione di trasferirsi a Catanzaro”. La moglie si chiama Ida Cavalcanti ed è amministratrice di una società con sede a Roma: Laboratorio diagnostico Marcello Malpighi, una Srl che gestisce un piccolo laboratorio accreditato con la Regione Lazio che fattura 235 mila euro l’anno e che da qualche mese fa anche i test sierologici in convenzione.

Anche Eugenio Gaudio è socio con il 12,5 per cento, il fratello Carlo aveva una piccolissima quota fino al 1995. I soci attuali sono Guglielmo Soda, i fratelli Guido e Maria Carpino e Pietro Familiari con il 25 per cento a testa. Il 37enne Pietro Familiari è stato chiamato come ricercatore a tempo determinato del Dipartimento di Neuroscienze umane con una delibera del 25 febbraio del 2020 del Cda della Sapienza, presieduto da Eugenio Gaudio. La delibera pubblicata sul web è firmata (senza autografo) anche da Eugenio Gaudio, che è socio di Familiari nella società dal 2006 quando Familiari compra le quote da una signora 80enne. Anche se non è stato Gaudio a proporre l’incarico, anche se Familiari aveva vinto una selezione nel 2018 ed era stato proposto il 16 dicembre del 2019 dal Dipartimento di Neuroscienze diretto dal professor Berardelli, la delibera con la firma del rettore-socio sembra poco elegante.

Calabria, Gaudio si ritira. Conte: “Errori anche miei Emergency in ospedali”

I commissari cadono uno dopo l’altro, come nei Dieci piccoli indiani. Ma Gino Strada, possibile salvatore non della patria, ma almeno della sanità calabrese, riesce ancora a trattenersi: “Non ho ricevuto nessuna proposta formale, comunicherò le mie decisioni attraverso i canali ufficiali se ci sarà qualcosa di reale e concreto da comunicare. Mi sembra che la situazione sia già abbastanza difficile per i cittadini calabresi senza che diventi anche grottesca”. Però nel grottesco il governo ci è già finito con tutti e due i piedi. Perché dopo le dimissioni di Saverio Cotticelli e l’addio a tempo di record del suo sostituto, Giuseppe Zuccatelli, ieri si è fatto da parte anche Eugenio Gaudio, poche ore dopo essere stato nominato commissario della Sanità in Calabria. Un passo di lato spiegato così a repubblica.it: “Mia moglie non ha intenzione di trasferirsi a Catanzaro, non voglio aprire una crisi familiare”.

Così poche ore dopo è tutto da rifare. E non è solo questione di affetti familiari. Gaudio è rimasto impressionato dalle reazioni contrarie alla sua nomina anche da molti 5Stelle, acuite dal fatto che sia tuttora indagato. Ora si riparte dal rimprovero pubblico di Strada: nonostante tutto, ancora disponibile. Per questo ieri pomeriggio ha reagito con un post, dopo che alcune agenzie avevano parlato di un suo no al ruolo commissario. Non ha voluto concedere alibi. Però non può sopportare all’infinito. Raccontano che otto giorni fa, nella prima telefonata al fondatore di Emergency, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte gli avesse promesso ragguagli sull’incarico in tempi rapidissimi: “Domani farò il punto in una riunione e poi la richiamerò”. Strada voleva garanzie di poter lavorare in piena libertà, portando in Calabria il suo staff di Emergency. Ci sono stati successivi contatti. Ma una proposta con i confini netti dell’incarico non sarebbe mai arrivata. Così il capo delegazione del M5S, Alfonso Bonafede, sbotta: “I ministri del Movimento fin qui hanno accolto le indicazioni dei competenti dicasteri. Però il tempo è scaduto: occorre procedere senza ulteriori passi falsi, iniziando dal definire i compiti di chi, come Strada, ha manifestato la disponibilità”.

Un avviso rivolto innanzitutto al ministro della Salute, Roberto Speranza: in difficoltà, anche perché Zuccatelli era stata una sua scelta. In serata però il Fatto parla con Giuseppe Conte, netto: “Mi assumo la responsabilità per tutte le designazioni finora fatte in Calabria, da quella di Gaudio fino a quella di Cotticelli. Io gestisco tanti dossier, e non posso controllarli tutti nel dettaglio”. Cosa non ha funzionato con Zuccatelli? “Aveva un’assoluta esperienza nel campo. Ma i video emersi, assieme a dichiarazioni inappropriate, hanno creato una ferità nella comunità calabrese”. Tutto ciò ha creato problemi con Speranza? “Assolutamente no, il processo decisionale si è sviluppato nel pieno confronto con tutti i ministri coinvolti”. E ora? Si va su Strada? “Sono stato io per primo a contattarlo, due domeniche fa, ritenendo che potesse offrire un contributo, vista la sua esperienza nelle strutture ospedaliere in fase emergenziale. Non gli ho mai offerto la posizione di commissario alla Sanità, non ritenendo che fosse interessato a trasferirsi e a occuparsi dell’obiettivo che è proprio di un commissario, ossia riparare una voragine nei conti finanziari e occuparsi a tempo pieno di organizzazione finanziaria”. Va bene. Ma ora? “Ci siamo lasciati con un suo impegno a consultare anche i suoi collaboratori di Emergency. Ieri (lunedì, ndr) l’ho sentito più volte, e non mi ha mai detto di voler far il commissario. Ci siamo sentiti anche stasera, ed è stato proficuo il confronto anche con la Protezione Civile. Emergency già da domani (oggi, ndr) sarà operativa in Calabria con ospedali di campo e aiuterà a realizzare Covid hotel”. E il nuovo commissario? “Ora avvertiamo la forte responsabilità dopo i passi falsi compiuti. Nessuno può ritenere che la sanità possa recuperare con la nomina di una persona giusta, ma un commissario di elevata caratura potrà dare servizi efficienti ai cittadini”.

Conte non fa nomi. Ma circola quello di Federico D’Andrea: calabrese di 61 anni, avvocato e revisore dei conti, attualmente nel Cda della società Multiservizi A2A e presidente dell’Amsa, azienda milanese della nettezza urbana. Già ufficiale della Guardia di finanza, ha collaborato con il pool di Mani Pulite. Fino a ieri sera non sarebbe stato contattato.

Rezza: “Forse la curva sta iniziando a scendere”

“C’è una sorta di stabilizzazione nel numero di test positivi, forse una leggera diminuzione”: le parole di Gianni Rezza, direttore generale Prevenzione del ministero della Salute, incutono un minimo di speranza nel giorno in cui l’Italia registra altri 731 morti di Covid, di cui 202 in Lombardia e 100 in Veneto. Molti di più di lunedì (504) ma perfettamente in linea con la stima del fisico Alessandro Amici che ne prevedeva 736: “Il dato conferma il rallentamento della diffusione dell’epidemia identificato ormai cinque giorni fa. Stiamo parlando sempre dell’effetto delle misure di mitigazione ancora timide prese tre settimane fa, a fine ottobre. Sfortunatamente se una curva esponenziale semplicemente rallenta significa che le cose peggiorano più lentamente, assolutamente non significa che le cose migliorino. E il rallentamento non è nemmeno così forte come si poteva sperare”. Per oggi la stima di Amici sui decessi è fissata a 800 circa e domani a 820 circa.

Il bollettino ieri riportava 32.191 nuovi casi, circa 5mila in più rispetto a lunedì ma con un incremento di 56 mila tamponi: si è tornati sopra quota 200mila (208.458) in 24 ore. Sono 3.612 i ricoverati in terapia intensiva (+120 la variazione) e 33.074 nei reparti ordinari (+538 la variazione). La sola Lombardia ieri ha registrato 8.448 nuovi casi, il doppio rispetto a lunedì.

“È una pandemia senza precedenti che lascerà un segno indelebile sul nostro Sistema sanitario nazionale”, ha detto ieri il consigliere del ministro Speranza, Walter Ricciardi: “Quella che stiamo affrontando è una battaglia per la salute. È così perché abbiamo una popolazione anziana e affetta da malattie croniche, perché le risorse sono poche, anzi pochissime, rispetto ai bisogni di salute”.

Intanto sul fronte più atteso, quello del vaccino, l’Europa sta trattando la fornitura di 160 milioni di dosi di vaccino anti Covid con l’americana Moderna – che due giorni fa ha annunciato il 94,5% di efficacia del suo antidoto – e ha dato ieri il via libera al contratto con la società farmaceutica CureVac, con sede in Germania, che prevede l’acquisto iniziale di 225 milioni di dosi per conto di tutti gli Stati membri, più un’opzione per ulteriori 180 milioni. In totale, assieme alle intese con le altre aziende, la Commissione si è assicurata fino ad oggi almeno “1,2 miliardi di dosi”, ha annunciato la presidente Ursula von der Leyen: “A distanza di pochi giorni dalla stipula del contratto con Biontech e Pfizer, sono lieta di annunciare un nuovo accordo con una promettente società europea. Assicureremo un accesso equo a vaccini sicuri, efficaci e a prezzi contenuti, e questo non solo per i cittadini dell’Ue, ma anche per le persone più povere e vulnerabili al mondo”. All’Italia spetteranno 70 milioni di dosi proprio secondo gli accordi stipulati nel Consorzio nato in seno all’Unione europea per gestire gli acquisti e la spartizione dei vaccini tra i singoli Stati.

Moncler a Fontana: ridateci i 10 milioni donati per la Fiera

Moncler Spa ha richiesto indietro i 10 milioni di euro che ad aprile scorso aveva donato per costruire l’Astronave di Guido Bertolaso alla Fiera di Milano. Soldi che aveva versato sul conto corrente intestato a Regione Lombardia. Ed è stato proprio a Regione Lombardia che la società guidata da Remo Ruffini ha inviato il 22 ottobre scorso la richiesta di restituzione. Non certo una cartolina di ringraziamento per l’opera svolta. Con la missiva, infatti, la società rigettava la richiesta ufficiale avanzata da Regione Lombardia di trasformare quella “donazione modale” (cioè vincolata a uno scopo specifico, cioè l’Astronave), permettendo così al Pirellone di poter utilizzare i soldi “per altre iniziative di carattere emergenziale”. Secondo la Regione, infatti, per edificare l’Ospedale erano bastati i 21 milioni raccolti dalla Fondazione Fiera e quindi quei soldi avrebbero potuto prendere un’altra strada. È a questo punto che la società dei piumini ha risposto un gigantesco “no”. E anzi ha preteso la restituzione dell’intera somma. Una storia messa nero su bianco dallo stessa giunta regionale nella delibera n. 3.820 del 9 novembre 2020 con la quale ha sancito la riconsegna dell’assegno: “Regione Lombardia ha chiesto una liberatoria ai donatori che avevano indicato nella causale della donazione l’Ospedale Fiera al fine di poter utilizzare le risorse per altre iniziative di carattere emergenziale”, liberatoria “che Moncler non ha sottoscritto”.

Così, in pochi mesi, l’ad Ruffini è passato dal: “Ho manifestato all’assessore Giulio Gallera la volontà di supportare questo grande progetto (l’Ospedale in Fiera, ndr) sin dal momento in cui è stato ipotizzato e ora che ci sono ragionevoli certezze sulla fattibilità, siamo pronti a sostenerlo. Sono certo che il team della Regione Lombardia, supportato anche dall’esperienza di Guido Bertolaso, possa far diventare al più presto questa grande iniziativa realtà”, pronunciato in aprile: a un “ridatemi tutto” detto pochi giorni fa. Tuttavia, Pirellone e Moncler hanno trovato un accordo per investire insieme in un altro progetto. Questa volta si tratta di un programma di medicina di prossimità e assistenza domiciliare – evidentemente ritenuto da Moncler più utile dell’Astronave per combattere il Covid – dal valore complessivo di 1.999.824 euro. Un vero cambio di paradigma, dalla cattedrale di Bertolaso alla medicina domiciliare. Con quei 2 milioni, comunque, Moncler attrezzerà 13 automezzi di supporto per la diagnostica domiciliare e due camper con postazione radiologica. Il personale, invece, sarà messo a disposizione dalla Ats Milano. In pratica, la società pagherà le dotazioni per 15 Usca, che però a Milano fino a oggi non si sono viste. E infatti molti si chiedono se Ats sarà in grado di fornire i sanitari da mettere su quei 15 mezzi nuovi di zecca, entro i 30 giorni previsti dall’accordo.

Quanti sono i fondi conferiti alla Regione da parte di altri donatori? Anche a loro Regione Lombardia ha chiesto il permesso di indirizzare i soldi avanzati verso altre finalità? Quanti hanno già risposto? Informazioni che a oggi non è dato sapere, perché di quel fondo si conosce pochissimo. Si sa però che le donazioni raccolte ammontano a circa 59 milioni e che 39 milioni sono già confluiti nella “gestione separata” del Pirellone, cioè sono stati incamerati e usati per altri scopi sanitari. Ne avanzano 20, tolti i 10 di Moncler, ne restano altrettanti, ufficialmente congelati. Che fine faranno? Lo si potrà sapere solo tra molti mesi, visto che con la delibera dell’8 maggio 2020 dal titolo “Determinazioni in ordine all’utilizzo delle donazioni pervenute a Regione Lombardia per sostenere l’emergenza epidemiologica”, Fontana ha deciso che la loro rendicontazione dovrà arrivare solo “al termine dello stato di emergenza nazionale deliberato dal Cdm”. Insomma, c’è tempo.

Le Regioni: “Solo 5 parametri”. Ma Speranza: “Rimangono 21”

Qualche margine c’è, almeno sui ristori per le imprese danneggiate dalle misure regionali più restrittive di quelle disposte dal ministro della Salute. Come accade, ad esempio, all’Abruzzo, che si è dato regole da zona rossa quando per il governo è solo arancione, con la differenza che da oggi tutti i negozi sono chiusi e non solo bar e ristoranti. Ma gli ormai famosi 21 parametri del monitoraggio che determina il “colore” delle diverse aree del Paese, per il momento, non cambiano. Le Regioni ne vorrebbero solo cinque. “Il dialogo con le Regioni è sempre aperto. I 21 parametri indicano l’indice di rischio insieme all’Rt e determinano quali misure attuare sui territori”, ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza. Del resto sarebbe anche complicato cambiare in corsa: i dati per il monitoraggio di questa settimana, il cui risultato sarà reso noto venerdì, sono già arrivati al ministero. E sono completi solo fino a 12 giorni fa.

Dalle prime valutazioni Rt, il tasso di riproduzione del virus, scende ancora, avvicinandosi a 1,2 da 1,43 del report della scorsa settimana che lo calcolava fino al 4 novembre (la settimana precedente era a 1,72). Naturalmente le situazioni regionali sono molto diverse tra loro, c’è chi sale e chi scende. Migliora la Lombardia, dichiarata rossa il 5 novembre con la prima ordinanza, ma a Palazzo Chigi come al ministero della Salute non sembrano orientati ad allentare le misure, neppure nelle province di Bergamo e Brescia oggi meno colpite delle altre. Se dipende da Speranza se ne parla quando Rt è sotto 1. Anzi il governo ha mobilitato i suoi esperti per difendere i criteri del monitoraggio, che si basa per altro su solo 15 indicatori obbligatori. A chi parla di dati “vecchi” il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, ha spiegato che “alcuni indicatori richiedono del tempo. Ad esempio se vogliamo sapere la differenza di tempo fra l’inizio dei sintomi e la diagnosi o conoscere meglio il range di incubazione”. E Stefano Merler, epidemiologo della Fondazione Kessler che collabora con l’Iss, ha replicato a chi ritiene “incerto” il valore di Rt: “Le stime dell’Rt –­ha detto – sono tutto tranne che incerte. Le forchette delle varie Regioni non sono grandi”. E ha spiegato come si calcola Rt a partire dalle infezioni confermate giorno per giorno e perché si escludono gli asintomatici, “il cui numero dipende dalla capacità di fare testing e contact tracing”.

Ieri la Conferenza delle Regioni ha scritto ai ministri delle Autonomie regionali e della Salute, Francesco Boccia e Speranza, per chiedere un “incontro urgente”. Vorrebbero solo cinque parametri, come ha spiegato Giovanni Toti, presidente della Liguria e vicepresidente della Conferenza: il rapporto positivi-tamponi, Rt, il tasso di occupazione dei posti letto, numero e tipologia di figure professionali dedicate al contact tracing, con la richiesta, per quest’ultimo punto, di “adeguate risorse” anche per la gestione dei Covid hotel. Poi ci sono i test antigenici, che alcune Regioni inseriscono nel bollettino alterando con lo screening rapido il rapporto positivi-tamponi: le Regioni vogliono eliminare il molecolare di conferma per i positivi, che richiede tempo e risorse. E alla Salute c’è una certa disponibilità, anche perché i test antigenici migliori danno un certo numero di falsi negativi, ma pochissimi falsi positivi. Sui parametri c’e meno spazio. Si può discutere, ha detto Boccia, della “ponderazione di alcuni parametri rispetto ad altri”, ma senza “uscire dall’oggettività dei dati per entrare nella discrezionalità della politica”. Mentre Toti chiede “condivisione”. È chiaro che le decisioni su zone rosse, arancioni e gialle non sono del tutto automatiche, una ponderazione più precisa è possibile, ma il numero dei focolai, i positivi tracciati, i casi non riconducibili a catene di trasmissione note sono essenziali. Per non dire della data di inizio sintomi, indispensabile per calcolare Rt.

Le migliori energie

Come se non bastassero le figuracce del governo sui commissari alla sanità in Calabria, alcune menti eccelse della maggioranza lavorano alacremente per sputtanarlo vieppiù con l’innesto di Forza Italia. Finora non s’è capito bene a che serva l’operazione, visto che la maggioranza, sia pur risicata al Senato, non è mai andata sotto e visto che c’è solo una coalizione più spaccata dei giallorosa: il centrodestra. A chi serve, invece, è chiarissimo: a B., che nelle urne ormai sfugge ai radar, ma nei palazzi continua a contare come ai (suoi) bei tempi grazie alla potenza di fuoco dei suoi media, dei suoi soldi e delle sue varie affiliazioni. Infatti ha appena incassato una scandalosa norma per salvare l’“italianità di Mediaset”, come se i francesi di Vivendi potessero essere peggio di un tizio che fa contemporaneamente il leader politico e l’editore di tv, giornali e libri. Perciò il grande Franco Cordero lo paragonava al caimano: perché, nei momenti critici, si inabissa sotto il pelo dell’acqua per fingersi morto o apparire mansueto e inoffensivo, pronto al momento giusto a spalancare le fauci e fare un sol boccone di chiunque si avvicini. Il cimitero della politica è lastricato delle lapidi dei presunti leader di centrosinistra che avevano avuto la brillante idea di dialogare con lui e di centrodestra che si erano illusi di succedergli. Vittorio Cecchi Gori, che ebbe la malaugurata idea di fare società con lui e ancora ne paga le conseguenze, ripete spesso che “Berlusconi, se gli dai un dito, ti si prende il culo”.

I nuovi pretendenti sono Zingaretti e soprattutto il suo ideologo Bettini, convinto che, imbarcando FI nella maggioranza (o nel governo, non s’è ben capito), arriveranno “le energie migliori”, ovviamente “consapevoli e democratiche”. È un peccato che non faccia nomi. Delle “energie migliori” – a parte il noto pregiudicato plurimputato pluriprescritto piduista finanziatore della mafia corruttore frodatore fiscale autore di 60 leggi ad personam e responsabile delle più scandalose epurazioni mai viste – c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma forse Gasparri, Brunetta, Letta, Casellati, Gelmini, Minetti, Tremonti, Schifani, Ghedini, Longo, Lunardi, Scajola, Alfano, Miccichè, Bertolaso e Giggino ’a Purpetta, per citare solo la prima fila, possono bastare. Senza contare Dell’Utri, Previti, Verdini, Cosentino, Cuffaro, Galan e Romani, purtroppo impediti a partecipare in quanto pregiudicati o addirittura detenuti, e Matacena, tristemente esule a Dubai. E senza profanare il Pantheon dei padri nobili: Mangano, Bontate, Gelli, Carboni, Craxi, Squillante e Metta. Poi naturalmente ci sono anche le “energie peggiori”. Ma quelle preferiamo non immaginarle neppure. Paura.