Contrordine Pd: addio mes e cancellare il debito

Così,senza neanche un avviso. Il Mes? Anticaglia, roba che non va più bene: “Dobbiamo prendere atto che quello strumento è ormai è anacronistico. Oggi quale paese con il Recovery, l’allentamento del Patto di Stabilità, Sure ed Eurobond si avvarrà del Mes? Nessuno”, ci spiega il presidente Pd dell’Europarlamento David Sassoli. Questo benedetto Mes, anzi, va portato subito sotto la Commissione e sottoposto alle normali regole Ue: “Lasciare nel congelatore 400 miliardi sarebbe intollerabile”. Si potrebbe pensare: sarà un folle solitario. Macché. Questo è Enrico Letta: “Noi abbiamo fatto una proposta con l’istituto Delors: è assurdo che ci siano 400 miliardi bloccati, si trasformi il Mes e lo si porti dentro la Commissione”. Ma chi sarà stato a incaponirsi con questo strumento anacronistico? Mah. E che dire del debito? “Cancellare quello contratto post-Covid è un’idea interessante” (ancora Sassoli). Ora capace che il Pd ci spiega che gli spread sono influenzati dalla Bce e non dagli zero virgola di deficit… Davvero questo virus ha una straordinaria varietà di sintomi.

Firenze, lo stadio va demolito (stracciando la Costituzione)

“Wembley è stato distrutto, lo Yankee Stadium è stato distrutto. E ora sono ancora lì, più belli di prima. Però se distruggere è un termine troppo forte, allora potrei usare demolire. Anzi, meglio: rifare. Ecco, rifarò il Franchi”. Sta tutto in questa brutale dichiarazione di Rocco Comisso, il padrone della Fiorentina, il destino dello Stadio Artemio Franchi di Firenze, progettato nel 1930 da Pier Luigi Nervi: uno dei principali monumenti dell’architettura del Novecento, presente in ogni manuale di storia dell’arte e sulle pagine del passaporto di ogni italiano, accanto a monumenti come Castel Del Monte o il Colosseo. Ma come si può distruggere, demolire, rifare un monumento nazionale? Si può: perché un articolo di legge (votato da Pd, Italia Viva e Lega; con l’opposizione dei Cinque Stelle e col parere negativo del Mibact di Dario Franceschini) ha spogliato gli impianti sportivi italiani delle tutele del Codice dei Beni Culturali, i famosi vincoli.

È una legge “ad stadium”, perché è stata voluta da Matteo Renzi e dal Pd fiorentino proprio per (contro, per meglio dire…) lo stadio della Fiorentina. In concreto, cosa avverrà ora? L’idea che prende corpo nelle riunioni che si susseguono a Firenze è di “salvare” le celeberrime scale elicoidali e la Torre di Maratona: espiantandole dal corpo, destinato alle ruspe (che non risparmierebbero la celeberrima pensilina a sbalzo), e rimontandole chissà dove. Del resto, è la leggina “ad stadium” a garantire il “rispetto dei soli specifici elementi strutturali, architettonici o visuali di cui sia strettamente necessaria a fini testimoniali la conservazione”. Il Consiglio Superiore dei Beni Culturali (massimo organo tecnico scientifico del Mibact) ha stigmatizzato con forza questa ipocrisia, ricordando che “il valore testimoniale di un bene culturale difficilmente si può preservare estrapolandone alcuni elementi e distruggendo l’insieme (…). Tornando all’esempio dello stadio comunale di Firenze, si ricorda che tutta la letteratura specifica riconosce a questa opera il merito di aver contribuito a formare la cultura del progetto in Italia e nel mondo, grazie alla definizione della forma architettonica complessiva, al calcolo ingegneristico e alla sperimentazione delle potenzialità plastiche del cemento armato”.

Esaminando altri aspetti della legge, lo stesso Consiglio ha notato che “la norma subordina la tutela e la conservazione dei beni culturali, considerate ‘recessive’, a interessi economici e a istanze del mondo sportivo, che definisce ‘prevalenti’”: una subordinazione clamorosamente incostituzionale. Continua il Consiglio Superiore: “È soprattutto sotto quest’ultimo profilo che si deve dubitare della legittimità costituzionale di una simile norma, per violazione dell’art. 9, comma 2, della Costituzione”. Appare dunque evidente che quando questa legge scellerata sarà portata davanti alla Corte Costituzionale sarà, con ogni probabilità, cassata: ma – è la domanda – ciò avverrà prima o dopo che il capolavoro di Nervi sia fatto a brani, devastato, cancellato?

A spingere per bruciare le tappe, non è il mondo del calcio inteso come sport. La Soprintendenza di Firenze aveva spiegato, ben prima della spallata legislativa, che il Franchi poteva ben essere modificato per diventare più sicuro, ed anche più capiente. Ma il vero punto sono i 50.000 mq di negozi che la proprietà della Fiorentina vuole costruire dove ora sorge lo Stadio. Simbolicamente, un’opera d’arte sarà sostituita da un nuovo clamoroso centro commerciale: e proprio a Firenze, e alla faccia della retorica della bellezza sventolata ogni giorno dal sindaco Dario Nardella.

Nei giorni scorsi l’avvocato di Marco Nervi – nipote di Pier Luigi e presidente dell’associazione Pier Luigi Nervi Research and Knowledge Management Project Asbl – ha inviato una diffida al Comune di Firenze e alla Fiorentina (rappresentata dall’avvocato Giulio Napolitano) in cui si conferma che “la conversione dell’Artemio Franchi in uno stadio più capiente potrebbe anche soddisfare le esigenze di ‘trasformazione consapevole’ (…) purché operata in base ad un progetto lineare che ottimizzi il ripristino dell’Opera senza mutarne l’originaria struttura”, ma si avverte che “invece tutte le modifiche all’Opera che ne alterino la percezione e che, conseguentemente risultino di pregiudizio alla reputazione e alla stima sociale dei suoi artefici saranno considerate inaccettabili dal mio assistito che intende proteggere l’integrità dell’Opera opponendosi, sin d’ora mio tramite, a tutte le abusive modificazioni e alterazioni che, ove realizzate, risulterebbero essere anche veri e propri atti a danno dell’opera stessa”.

Già 2200 persone hanno firmato la petizione per salvare il Franchi lanciata, su change.org, da uno storico americano dell’architettura. E, alla Manifattura Tabacchi di Firenze, si prepara una mostra sull’opera di Nervi. La battaglia, culturale e legale, è appena cominciata.

La sai l’ultima?

 

Bologna Positivo al Covid va a casa dell’amante. Lei chiama la polizia, che lo riporta dalla moglie

E c’è ancora chi va a vedere i film di Vanzina invece di leggere i giornali. La notizia più bella della settimana somiglia a una sceneggiatura molto prevedibile, una trama che pare scritta per un cinepanettone ambientato ai tempi della pandemia. Un incontenibile uomo di Castel Maggiore (Bologna) – positivo tanto al Covid quanto alla satiriasi – ha ignorato qualsiasi cautela, è evaso dal suo isolamento domestico e si è presentato davanti all’appartamento della sua amante. La quale, sapendolo contagioso, si è giustamente rifiutata di farlo entrare e l’ha lasciato ad aspettare fuori dalla porta. L’uomo, totalmente invasato, ha continuato a bussare finché lei non ha chiamato i carabinieri. L’epilogo per l’uomo è il peggiore che si possa immaginare: si beccherà una multa e una denuncia e soprattutto, nel frattempo, è stato riportato a casa sua. Dove sarà costretto a trascorrere il resto della quarantena in compagnia della moglie.

 

Camera Il sindacalista di polizia Tiani mostra in Commissione il suo ciondolo anti-Covid. Poi è costretto a dare le dimissioni
Uno dei momenti più alti nella lotta senza quartiere alla pandemia è stata senza dubbio l’ostensione del ciondolo anti Covid del sindacalista di polizia Giuseppe Tiani. Il segretario nazionale del Siap, audito in commissione Affari Costituzionali alla Camera dei deputati, è entrato simultaneamente nella leggenda e nel ridicolo mostrando all’Italia il suo personale rimedio contro la pandemia: un grosso ciondolo argentato da portare al collo, che scaccia il virus come l’aglio con i vampiri. Da buon sindacalista, ha annunciato che il ciondolo potrebbe essere dato in dotazione ai poliziotti per non venire contagiati. Il nostro non era solo segretario del Siap ma pure presidente del consiglio di amministrazione di InnovaPuglia, l’agenzia pubblica che gestisce gli appalti sanitari regionali (nominato da Michele Emiliano). Dopo la “gogna mediatica” che si è abbattuta su di lui per il medaglione anti Covid – di cui si è molto rammaricato e sorpreso – ha rassegnato le dimissioni dalla carica pubblica.

 

Senato Il geologo Tozzi interviene in un convegno e alle sue spalle appare una donna completamente nuda
Durante il lockdown ne abbiamo viste di tutti i colori: gente che si addormenta o che partecipa alla videoconferenza in mutande, convinta che la telecamera sia spenta; un parlamentare brasiliano si è fatto beccare mentre palpeggiava la compagna (e poi si è dimesso). Mancava il nudo integrale, ma abbiamo rimediato. La cornice (virtuale) è quella del Senato della Repubblica. Il protagonista è Mario Tozzi, geologo ipermediatico con fama di latin lover (che sembra voglia mantenere viva). Tozzi stava partecipando al convegno “Cartografia geologica: stato di avanzamento e prospettive future”. Tema non proprio sexy, che il nostro eroe ha riscattato a modo suo. Durante l’intervento – a cui si è presentato con l’aria stropicciata e i capelli in disordine di chi si è svegliato da poco – alle sue spalle è comparsa (per un lunghissimo istante) una donna nuda. Un attimo e via, è scomparsa subito all’occhio della webcam. Mentre Tozzi continuava a parlare di cartografia geologica come se nulla fosse.

 

Torino Nel pacco del postino c’era la droga: arrestato un 24enne che faceva consegne stupefacenti
Mai sottovalutare la prevedibilità della stupidità. Un postino di 24 anni si è fatto beccare a vendere droga… via posta. Il ragazzo era dipendente di una ditta privata incaricata delle consegne per conto di diversi uffici postali. I carabinieri lo hanno sorpreso durante alcuni controlli anti Covid a Trana (Torino). Hanno notato un comportamento sospetto, l’hanno perquisito e poi hanno effettuato un controllo domiciliare. In casa sua – scrive l’Ansa – “hanno trovato 100 grammi di marijuana, un bilancino di precisione, un quaderno contenente appunti e la contabilità riconducibili all’attività di spaccio e una scacciacani priva di tappo rosso con relative 19 munizioni. Parte dello stupefacente è stato trovato in alcuni barattoli, mentre circa 25 grammi sono stati trovati già sigillati all’interno di un plico postale pronto per essere spedito ad un acquirente”. Sembrava un metodo tanto efficiente.

 

Varese Poliziotto ferito a colpi di Nutella durante un’operazione di sfratto
Sarà l’olio di palma, saranno i grassi saturi: si sa che la Nutella è tanto buona ma non è la base di una dieta salutare. E fa sicuramente più male se ti tirano il barattolo in testa. È quello che è successo a un poliziotto di Varese durante un’operazione di sfratto. Il fatto risale al 2015 ma il processo è appena iniziato. Lo racconta il sito prealpina.it: gli imputati sono un uomo e una donna ucraini, marito e moglie, che dopo essere stati cacciati da un appartamento perché non pagavano l’affitto, erano riusciti a rientrare nell’abitazione per occuparla definitivamente. Il proprietario dell’immobile aveva quindi chiamato la polizia per risolvere la situazione. I due occupanti, per nulla persuasi con le buone maniere, si sono barricati aggredendo i poliziotti. E l’amazzone abusiva, per difendere il marito dall’arresto, aveva tirato fuori un barattolo di Nutella dalla cucina e l’aveva lanciato sulla nuca di uno degli agenti. La consistenza della crema al cacao e nocciole è costata al poliziotto una prognosi di 10 giorni. Alla donna una denuncia per lesioni.

 

Sora Gli dicono che il nonno è morto, vanno in ospedale e lo trovano che fa colazione nel letto del reparto
Una storia che farebbe ridere se non mettesse i brividi per lo stato di confusione e disagio che si vive negli ospedali italiani, soprattutto in questo periodo. Una famiglia va a dare l’ultimo saluto al nonno morto: se n’è andato poche ore prima, gliel’hanno comunicato i carabinieri svegliandoli nel cuore della notte. E invece, arrivati in ospedale, lo trovano vivo, vegeto e anche di ottimo appetito mentre fa colazione nel letto del reparto. Succede a Sora, in Ciociaria. La famiglia aveva già attivato il servizio di onoranze funebri, si stava preparando l’affissione dei manifesti luttuari nelle strade del paese, ma il pover’uomo – che avrà fatto ogni sorta di scongiuro – era vivo. Ricoverato, ma vivo. Si sono accorti dell’equivoco proprio attraverso l’agenzia che preparava il funerale, quando gli ha mostrato la foto del defunto adagiato nella bara. Solo che c’era qualcosa di strano: non era lui, ma un altra persona. L’amato congiunto in quel momento stava facendo colazione, alla faccia di chi gli vuole male.

 

Helsinki Per le scimmie dello zoo il rumore del traffico è meglio della musica zen
Le scimmie dello zoo di Helsinki preferiscono il rumore del traffico alla musica zen e ai rumori naturali. È il risultato di una preziosa ricerca dell’univesità finlandese sul comportamento dei primati. All’interno della gabbia delle scimmie allo zoo Korkeasaari era stata piazzata una galleria con diversi sensori audio che riproducevano ognuno un suono differente. Così i quadrumani potevano decidere se andarsi a riposare nella zona che riproduceva i rumori cittadini – traffico, clacson, immaginiamo pure qualche insulto tra automobilisti – oppure mettersi ascoltare rumori naturali come quello di un temporale, o ancora musica zen o musica da discoteca. I ricercatori erano convinti che le scimmie avrebbero prediletto i rilassanti suoni della natura. Al contrario, pare abbiano scelto in massa di ascoltare il traffico, con grande disappunto degli scienziati. Anche i primati hanno sogni borghesi, come comprare un trilocale al primo piano con affaccio su Viale Trastevere.

“La grande fuga dalle città: è libertà o un effetto ottico?”

Riassumendo professore: in città rimarranno solo gli sfigati. Chi può si allontanerà: campagne, paesi.

“La sintesi estremizza ma non bara”.

Con Antonello Petrillo, che studia i fenomeni sociali e li allinea nel loro spazio e nel loro tempo, ci interroghiamo su questo fuggi fuggi da Covid.

Di “secessione delle élites” ha parlato Bauman molto prima che la pandemia facesse da miccia esplosiva.

Negli anni novanta abbiamo conosciuto la delocalizzazione dei mezzi di produzione, oggi tocca alle persone.

Fenomeno con un enorme impatto sulla nostra vita, sulle condizioni di lavoro, sui livelli stessi di democrazia.

Prima erano i ricconi a scegliere di gestire i loro affari da lontano. Isole incantate, castelli.

Oggi la piramide si abbassa. Lascia il luogo fisico anche chi è solo benestante e può permettersi di valutare dove abitare.

Non finirà con la pandemia questa migrazione del ceto medio alto dalle città alla campagna.

Non solo la classe benestante ma chiunque potrà tenderà a scegliere dove vivere, e gli sembrerà enorme la fortuna.

I centri storici si svuoteranno, i paesi si riempiranno.

Ma chi se ne avvantaggerà? È giusto fermarci a riflettere.

Gode chi scappa o chi resta?

Chi resta ubbidirà alla sua condizione sociale. Chi lascia subirà l’effetto ottico della libertà.

L’effetto ottico.

L’uomo è un animale sociale. Vive se ha relazioni. In casa, con lo smart working, sarà parte di quell’insieme di solitudini che vedranno ampliate le loro capacità di lavoro e ridotte tutte le altre. Si avrà una percezione alterata del proprio ruolo, un deficit della capacità di risposta sindacale se i ritmi, la qualità, la densità dell’impegno saranno superiori a ciò che stabilisce il contratto di lavoro. Lo smart working nasce decenni fa e amplia a dismisura la nostra disponibilità di tempo.

Saremo a casa, in famiglia.

Ecco l’effetto ottico. Più a casa, più in famiglia, ma anche più al lavoro, più connessi. Ed essendo più soli, più indifesi. Questa condizione avvantaggia il capitale di sicuro.

Un attimo, cambio penna, ho finito l’inchiostro.

Inizi a ragionare sul suo inchiostro. Prima la penna e tutti gli strumenti del suo lavoro, quelli basici (cancelleria, stampante eccetera) li trovava in redazione. Adesso li acquista lei. Moltiplichi per “n” unità. E poi moltiplichi l’energia che lei consuma e che l’azienda risparmia. Lo spazio che lei occupa e che l’azienda riduce.

Ma io vivo dove voglio, scelgo il luogo eletto.

Le parrà di scegliere. Ma dimentica che le città sono luoghi di libertà e di crescita culturale. Il teatro, il cinema, la piazza, l’incontro con gli altri, il confronto con gli altri. La politica. I canali ideologici sono scomparsi, le restano i social, capisce?

Lei allora perché ha scelto la campagna?

Per il medesimo impulso: vivo in tranquillità, tra i miei boschi irpini. Lontano dal pericolo del virus e anche dal casino metropolitano. Ma lo smart working, che mi permette di vivere dove ho scelto, mi allontana dall’università, dai miei studenti e dai miei colleghi. L’università è anzitutto un grande centro di distribuzione culturale, di smistamento e infusione delle competenze. Un luogo dove si studia e dove capita persino di innamorarsi. Ma di più: le mie lezioni, come quelle di decine di centinaia, di migliaia di colleghi, sono riversate nella rete, in un certo senso spossessate dalla proprietà intellettuale, in vario modo in futuro commerciabili, monetizzabili. Da chi?

Ma l’Italia interna, della quale fino a ieri abbiamo detto che sta per scomparire, godrà il beneficio di questa migrazione.

Territori finora marginali troveranno una vita nuova. Ma i nuovi inquilini di queste campagne alimenteranno sempre più lavori a basso reddito: i corrieri, i servizi domestici, l’asporto. Chi non fa smart working dovrà pedalare, fare su e giù in bici, in moto o col camion. E chi è in smart resterà immobile. Ricco ma fermo nel giardino di casa.

Mercato nero dell’ossigeno, ora parte l’inchiesta dei Nas

Basilicata e Campania al sud, Piemonte e Valle D’Aosta al nord, sono le regioni messe peggio. Ma ormai le bombole di ossigeno, tanto preziose per i pazienti positivi al Covid che non hanno trovato spazio in ospedale, scarseggiano ovunque. Così, mentre si moltiplicano gli appelli a riportare in farmacia i contenitori vuoti, torna a farsi largo l’ombra del “mercato nero”. Tanto che la faccenda ha creato l’interessamento dei carabinieri del Nas. I Nuclei antisofisticazioni, a quanto apprende Il Fatto, avvieranno da oggi verifiche dettagliate sull’intera filiera nelle principali città, dalla produzione dei contenitori alle aziende che li riempiono con l’ossigeno gassoso, fino alle farmacie e agli utilizzatori finali. L’intento è capire se dietro la carenza di bombole si nasconda la criminalità, un sistema ben organizzato di truffe oppure semplicemente “sciatteria” e disinformazione da parte di pazienti e negozianti.

Secondo Federfarma, in tutta Italia si stimano siano state immesse sul mercato circa 50.000 bombole d’ossigeno gassoso. Non sono tante, considerando che ci sono oltre 700.000 positivi al virus. A questi vanno aggiunte le persone che soffrono di difficoltà respiratorie per via dell’influenza stagionale o di altre patologie e che in tempi normali sarebbero state ricoverate in ospedale. Il problema è che le poche bombole disponibili spesso non tornano neanche indietro e se ne perde traccia. “Dobbiamo sensibilizzare la popolazione a riportare indietro i contenitori – spiega Andrea Mandelli, deputato di Forza Italia e presidente dell’Ordine nazionale dei farmacisti –. Le bombole non vanno né buttate né, peggio, vendute. Sono di proprietà del produttore: si devono restituire al farmacista, che poi chiamerà la società per la sanificazione e il riempimento”.

In realtà sono diversi i siti di second hand dove è facile trovare annunci di bombole vuote identiche a quelle della farmacia. Le vendono, illegalmente, a 50-60 euro, ma così servono davvero a poco, perché è davvero difficile riempirle fai-da-te. “È per questo che escludiamo l’interessamento della criminalità organizzata – spiega chi sta indagando sul fenomeno – bensì si può pensare a truffe di diversa natura”. Federfarma Napoli nei giorni scorsi ha denunciato un “mercato parallelo” delle bombole e addirittura di “ricariche”, con un esposto presentato dal presidente Riccardo Iorio. Ieri la stessa Federazione ha reso noto che stanno arrivando altre 200 bombole nel capoluogo campano. Esiste anche un problema di tracciamento. L’ossigeno si vende con prescrizione medica, ma non essendo “bollinabile” come i medicinali normali, molti farmacisti “dimenticano” di registrare i pazienti violando le regole. Eppure, il problema delle bombole si era presentato già nel corso della prima ondata, specie in Lombardia. Come mai in tanti mesi non è stato fatto nulla per migliorare gli approvvigionamenti? Secondo Assogastecnici, emanazione di Federchimica che raggruppa la società di produzione di ossigeno gassoso e liquido, il problema non è il contenuto ma il contenitore. In tutta Italia, ci sono appena due o tre società produttrici di bombole – la bergamasca Tenaris e la friulana Faber le più note – che sono già al loro massimo sforzo, circa 5.000 pezzi al mese. E una bombola dura davvero poco: qualche giorno o anche qualche ora, a una velocità che per uso domestico arriva a toccare anche gli 8 litri al minuto (quelle in commercio contengono 1.200-1500 litri). Per riempirle, al contrario, fra ritiro, sanificazione, ricarica e riconsegna, passa circa una settimana. Le soluzioni all’orizzonte? Poche, per ora. Secondo le associazioni dei farmacisti, bisogna tracciare le bombole e pretendere la restituzione attraverso una vasta campagna informativa. Assogastecnica, invece, ha avviato un’interlocuzione con le regioni per incentivare la creazione delle strutture intermedie fra le cure a domicilio e il ricovero vero e proprio – i Covid Hotel o gli ospedali da campo – affinché vengano ospitati i pazienti che hanno bisogno dell’ausilio dell’ossigeno. Intanto, il ministero della Salute ha appena dato il via libera all’utilizzo dell’ossigeno liquido, soluzione che almeno potrebbe migliorare l’approvvigionamento.

Rsa campana: “Tamponi fuorilegge per gli anziani”

Un’inchiesta di Tpi (online oggi) rivela che un medico campano che lavora con la Asl – oggi indagato per truffa in relazione alla vicenda dei tamponi falsi e di cui il giornale online ha già pubblicato le intercettazioni dei Nas e le testimonianze delle presunte vittime) – è lo stesso uomo che a marzo scorso entrò per conto della Asl Napoli 3 nella Rsa Madonna dell’Arco, all’epoca principale focolaio della Campania (10 morti e 50 positivi), e anche in quel caso fece oltre 100 tamponi senza rispettare i protocolli di sicurezza sanitari (faceva un test ogni due minuti e non si è mai cambiato guanti). Il tutto rischiando di trasformare quel posto pieno di anziani in una bomba epidemiologica, come ora rivelano due nuove testimonianze video di chi quella notte era presente. La Asl – interpellata da Tpi – ammette il fatto, cioè che si trattava del dott. Raffaele Balbi.

Andiamo con ordine. A ottobre 17 persone finiscono sotto indagine dei Nas per aver eseguito in Campania migliaia di test inaffidabili e, in alcuni casi, tamponi falsi, a domicilio e privatamente, da agosto in poi. L’uomo ritenuto dagli inquirenti a capo di questa truffa è Raffaele Balbi, un medico campano che lavora anche con la Asl Napoli 2, come rivelato dall’inchiesta di Amalia De Simone per Tpi grazie a una serie di intercettazioni effettuate dai Nas e alle testimonianze inedite di chi ha subito la presunta truffa.

Ora Tpi ha scoperto anche che il medico, oggi indagato per associazione per delinquere, truffa e altri reati a Napoli in relazione alla vicenda dei tamponi falsi, è lo stesso che nella notte tra il 24 e il 25 marzo entra per conto della Asl Napoli 3 insieme a un infermiere nella Rsa di Madonna dell’Arco, uno fra i principali focolai in Campania, ed esegue oltre 100 test ai pazienti anziani che vi soggiornavano. Fatto, questo, confermato dallo stesso dottor Baldi.

Le testimonianze video di chi quella notte era presente rivelano che i tamponi eseguiti dal medico furono fatti senza rispettare i protocolli sanitari, ossia senza cambiare i guanti e disinfettare le mani tra un tampone e l’altro, misure necessarie al fine di evitare che un positivo possa contagiare gli altri pazienti. Non solo: quei tamponi furono fatti alla velocità di “un test ogni due minuti”, rischiando di comprometterne l’attendibilità.

“Ci sono cose che non mi tornano sull’esecuzione dei tamponi quella notte. Cose che mi sembrarono strane. Il medico inviato dall’Asl per l’esecuzione dei tamponi fece tutto in maniera frettolosa e leggera. Lui non si cambiava mai i guanti e non si disinfettava le mani, e il suo comportamento forse, oltre a mettere a rischio se stesso, ha messo a rischio tutti noi”, spiega il priore del santuario di Madonna Dell’Arco, responsabile della Rsa.

Questa testimonianza e quella di un’assistente sociale della stessa Rsa, così come quella di Balbi, chiamano in ballo direttamente l’Asl Napoli 3, che alle domande di Tpi ha ammesso che a eseguire i tamponi nella Rsa è stato proprio il medico oggi indagato. L’Asl Napoli 3 precisa di aver affidato il servizio dell’esecuzione dei tamponi (anche per il suo stesso personale) a una società esterna, Campania Emergenza Srl, la quale ha incaricato Balbi di entrare nella Rsa.

Il dg della Asl Napoli 3 Gennaro Sosto, intervistato dal direttore di Tpi Giulio Gambino, ha affermato che è necessaria “una verifica maggiore sulle persone che vanno ad eseguire le singole attività, visto che il vulnus si è verificato nel momento in cui è stato di fatto eseguito il tampone, essendo in questo caso andato un soggetto che non era ufficialmente di quella società”: “Non posso escludere” che un caso simile sia capitato anche altre volte.

Contagi ancora alti. Abruzzo e Basilicata chiudono le scuole

A leggere i risultati della ricerca “ Unexpected detection of SARS-CoV-2 antibodies in the prepandemic period in Italy” pubblicata sulla rivista Tumori Journal verrebbe da commentare “altro che paziente uno”. Ovviamente, però, non c’è da fare ironia e mai come in questo caso la prudenza è d’obbligo. Secondo lo studio diretto da Giovanni Apolone e realizzato dall’Istituto Tumori di Milano e dall’Università di Siena, il virus Sars-Cov2 sarebbe in circolazione in Italia da settembre dello scorso anno, ben prima dei due turisti cinesi poi ricoverati allo Spallanzani e di Mattia, appunto il “paziente uno” di Codogno. “Abbiamo studiato la presenza di anticorpi specifici” legati all’insorgenza del coronavirus, ha spiegato il team di sedici scienziati, “in campioni di sangue di 959 individui asintomatici, arruolati in uno studio prospettico di screening del cancro del polmone tra settembre 2019 e marzo 2020 per monitorare data di insorgenza, frequenza e variazioni temporali e geografiche nelle regioni italiane”. Ebbene, anticorpi specifici per Sars-Cov-2 RBD sono stati rilevati in 111 individui su 959 (11,6%), di cui un quindicina già a partire da settembre, con un cluster di casi positivi nella seconda settimana di febbraio e il numero più alto in Lombardia.

Se la ricerca fosse confermata, riscriverebbe la storia della pandemia in Italia. I virologi, però, sono molto cauti: “È veramente difficile pensare che il virus sia così vecchio – ha commentato il direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, ospite ieri de “L’aria di domenica” su La7 –. Serve tempo, a Milano si dice più piano, più adagio”.

Proprio come sembra andare – ma anche qui la prudenza è necessaria – il virus negli ultimi giorni. I dati diffusi ieri ci parlano di 33.979 nuovi positivi, a fronte di poco più di 195mila tamponi. Numeri in calo, entrambi, rispetto alla giornata di sabato, quando i contagi erano stati 37.255 e i test 227mila. Le vittime sono ancora tante, 546, ma in linea con quelle degli ultimi giorni. Anche se pensare che si è superata la soglia dei 45mila morti e dei 700mila attualmente positivi fa impressione. Continuano a crescere, poi, i pazienti che necessitano della terapia intensiva: +116, quando sabato erano stati 76 e venerdì 60. I ricoveri in regime ordinario sono stati, invece, 649: molto al di sotto della media dell’ultimo mese. Il rapporto tra positivi e test è del 17,4%, in aumento di oltre un punto percentuale rispetto a ieri, mentre anche il rapporto tra contagi rilevati e casi testati, che ieri era sceso al 27,5 per cento, oggi torna sopra quota 30 per cento. Le regioni con il maggior numero di positivi si confermano Lombardia (8.060, con 181 morti), Piemonte (3.682) e Campania (3.771).

Ci sono ulteriori misure restrittive in arrivo, invece, per Abruzzo e Basilicata. La prima sta per diventare “zona rossa”: nelle prossime ore il governatore Marco Marsilio firmerà un’ordinanza che prevede, tra l’altro, la chiusura delle scuole e dei centri commerciali. Le misure dovrebbero entrare in vigore tra domani e mercoledì. Il collega lucano Vito Bardi ha già stabilito che da oggi al 3 dicembre chiuderanno le primarie e secondarie di primo grado. Decisioni che arrivano giusto nel giorno in cui la ministra Lucia Azzolina ha sostenuto che “non può esserci un regionalismo della scuola”. Si riferiva proprio alle chiusure già decise da Campania e Calabria.

400 milioni per l’Ilva: accordo vicino con Mittal

Dopo la frettolosa e, alla luce degli esiti, sciagurata privatizzazione degli anni Novanta, lo Stato si prepara a tornare nell’ex Italsider, meglio nota come ex Ilva, oggi “affittata” – in attesa di acquisto – ad ArcelorMittal Italia, filiale locale del colosso dell’acciaio.

L’accordo tra le parti è vicinissimo, sostengono fonti governative e aziendali: ieri Bloomberg ha riportato che il governo italiano, tramite Invitalia, pagherà 400 milioni di euro alla multinazionale per assicurarsi il 50% del gruppo ex Ilva (di cui ArcelorMittal detiene il 94%) con l’idea di salire ulteriormente in futuro. D’altronde, “lo Stato non avrà una partecipazione minoritaria in Ilva”, è quanto Domenico Arcuri – qui in veste di ad di Invitalia – ha promesso ai sindacati in un incontro di qualche giorno fa.

La parte economica di questa telenovela, almeno sotto forma di pre-intesa, dovrebbe concludersi prima del 30 novembre, data entro la quale – come stabilito a marzo – la società francoindiana potrebbe liberarsi dagli impegni presi in Italia pagando mezzo miliardo alla gestione commissariale delle acciaierie (che ne è ancora formalmente proprietaria).

La trattativa prosegue proprio sul prezzo: Mittal si impegnò per 1,8 miliardi nel 2016 (finora però ha tirato fuori 300 milioni e spiccioli), ma “quel prezzo originale – scrive Bloomberg – era soggetto ad aggiustamenti del capitale circolante che non sono mai stati resi pubblici” e dunque le cifre di oggi sono “non direttamente paragonabili all’accordo iniziale”. A quanto risulta al Fatto, 400 milioni è il prezzo massimo a cui potrebbe arrivare, sotto varie forme, la transazione: è appena il caso di ricordare che nel decreto Agosto furono liberati 470 milioni per Invitalia proprio a questo fine. Questi soldi non saranno comunque destinati all’abbattimento del debito di Ilva con le banche: circa mezzo miliardo che sarà saldato dai commissari solo all’atto finale di acquisto da parte di Arcelor.

L’ennesima “nuova” Ilva – quella con lo Stato in posizione “non minoritaria” rispetto ai soci privati – dovrebbe partire tra febbraio e marzo dell’anno prossimo: per la modifica degli assetti societari serviranno almeno tre mesi.

Insieme alla parte finanziaria, ovviamente, dovrà esserci accordo anche sulla futura governance: l’ex gruppo siderurgico dei Riva dovrà essere guidato secondo strategie delineate in Italia e non all’estero (le operazioni intra-gruppo di ArcelorMittal, eufemizzando, non hanno certo fatto bene alle acciaierie italiane). Perché la multinazionale dovrebbe accettare? Intanto tiene l’acciaieria di Taranto, la più grande d’Europa, lontana dai suoi concorrenti e, cedendo la maggioranza, potrebbe deconsolidare Ilva neutralizzandone gli effetti negativi sul bilancio del gruppo, già provato dalla crisi dell’acciaio.

Cosa manca? La cosa più importante: il piano industriale e, segnatamente, quello per l’impianto di Taranto, particolarmente malmesso dopo decenni di manutenzioni e investimenti non fatti. Quest’anno l’acciaieria pugliese dovrebbe produrre 3,2 milioni di tonnellate in tutto: mai erano state così poche. Il piano, molto generico, previsto negli accordi di marzo prevede invece che a regime, nel 2025, si torni a 8 milioni di tonnellate usando due forni tradizionali e due elettrici e mantenendo intatta l’occupazione: 10.700 persone, 8.200 delle quali a Taranto.

Questo significa due cose: “area a caldo” – cioè la parte industrialmente pregiata, ma anche la più inquinante – funzionante e tanta cassa integrazione per i prossimi quattro anni (oggi al lavoro c’è metà del personale). La “decarbonizzazione” – anche detta “svolta green” – per ora è solo una promessa nel vento pieno di polveri che soffia sul Golfo.

“Ora l’organo collegiale senza più un capo, ma basta personalismi”

Gli oratori a 5Stelle hanno appena finito di parlare, quando il capodelegazione di governo Alfonso Bonafede racconta la sua idea: “Questi Stati generali non devono servire a guardarci l’ombelico, soprattutto in tempi come questi. Dobbiamo dare una prospettiva al Paese: ora in tutta Europa discutono dei nostri temi, dall’ambiente alla digitalizzazione fino alle politiche per i più deboli, ed è ciò che conta”.

Non è surreale un congresso in tempi di pandemia?

In parte lo è. Abbiamo dovuto fare tutto in modo virtuale, è mancato il contatto fisico. Ma devo ringraziare Vito Crimi, i facilitatori e tutti gli organizzatori per come sono andati gli Stati generali. C’è stato un bel confronto.

Da cui è innanzitutto emerso che volete una segreteria, un organo collegiale. Come va costruito?

Sono sempre stato a favore di questa soluzione. Ora serve un organo con una vera collegialità, ossia senza un primus inter pares. Piuttosto, ci può essere un rappresentante legale del Movimento, eletto a rotazione per un lasso di tempo.

Diversi delegati hanno chiesto che non ne facciano parte membri di governo.

Non condivido questa preclusione. Ma sono valutazioni che si faranno più avanti.

Lei entrerebbe?

Sono già abbastanza impegnato come capodelegazione.

Andrà capito anche se ci sarà Alessandro Di Battista, che vi ha posto una serie di condizioni “perché dobbiamo avere garanzie”. Che ne pensa?

Non giudico gli interventi di singoli. Di certo Alessandro, oltre che un amico, è una risorsa.

Lo vorrebbe in segreteria?

Se lui ritiene sì. Vedremo se e come vorrà dare un contributo.

Di Battista su Facebook ha attaccato coloro che “come unica posizione conoscono la genuflessione davanti ai padroni”. Ce l’aveva anche con alcuni di voi?

Non lo so, e non commento.

Sempre lui, Di Battista, chiede che vengono rese note le preferenze date dagli iscritti per scegliere gli oratori. Non pensa che sia un fatto di elementare trasparenza pubblicarle?

Quella di non comunicarle è una scelta fatta in precedenza, nota a tutti. E poi non era un’elezione. Non si può pensare che l’opinione di qualcuno possa pesare più di quella di altri in base ai voti sugli oratori. Quelle sono dinamiche che valgono per i ruoli elettivi.

Anche Davide Casaleggio è stato duro. Non ha partecipato, parlando di “decisioni già acquisite”.

Rispetto la sua posizione, ma non la condivido.

La piattaforma web Rousseau deve passare al Movimento? O ne dovete trovare una nuova?

Rousseau è importantissima per il M5S, ma ci sono state delle criticità. Serve un chiarimento sull’uso di questo strumento.

Casaleggio ha posto il tema dei due mandati, e i delegati al congresso hanno confermato che la regola non si tocca. Per voi big va bene così, tanto si potrà fare con calma…

Guardi, fosse stato per me la questione non sarebbe stata proprio all’ordine del giorno. Per cui…

Magari all’ordine del giorno ci può esserci la stilettata di Luigi Di Maio, secondo cui il M5S “deve cambiare passo nel governo”.

Sono d’accordo con Luigi, nell’ottica in cui questi Stati generali possono proprio darci nuova linfa per essere ancora più determinati. Ma il Movimento sta lavorando bene nel governo.

Però Di Maio è stato critico anche sul caso Autostrade: “Avevo consigliato prudenza dopo l’accordo tanto celebrato, e infatti siamo allo stesso punto”. Pesante, no?

Su questo tema il governo si è mosso nei termini e nei tempi con cui poteva muoversi. I risultati si valutano così.

Il M5S è diviso in due correnti.

Assolutamente no. Ci sono sensibilità diverse, che magari si sono accentuate. Ma questo è sempre successo nel Movimento.

Per questo farete una segreteria tenendo dentro tutti?

L’organo collegiale dovrà tenere conto di tutte le anime. Ma il punto non sono le aree e i personalismi, è la sintesi per un obiettivo comune: a contare sono i fatti. Altrimenti non saremo più i 5Stelle.

Di Maio-Fico vs Di Battista (che entrerà in segreteria)

Parlano cinque minuti a testa. E meno male. Perché sono più che sufficienti a mandare in diretta nazionale la guerra dei mondi. Il Movimento Cinque Stelle che deve ritrovare indirizzo e unità mostra tutte le sue crepe, che adesso hanno un nome e un cognome: Alessandro Di Battista, ormai solo contro tutti, ma troppo pesante e popolare per essere messo da parte. Lui lo sa e per questo alza il tiro. Dice che nella governance che verrà ci vuole stare, ma alle sue condizioni, che ritiene lontanissime dall’ala governista allenata al compromesso. Cita la revoca della concessione ai Benetton, chiede il no alla deroga ai due mandati e a qualsiasi legge elettorale senza preferenze, vuole un comitato di garanzia per le nomine nelle partecipate. Tutte cose che, gli ricorderanno i “big” intervenuti dopo di lui, il M5S sta provando o ha provato a fare. Per dirla con Di Maio, Di Battista guarda solo “la finale” ma si è perso tutte le partite di andata e ritorno.

Ne esce ammaccato, l’autoproclamato custode delle origini: soprattutto dopo che il presidente della Camera Roberto Fico gli mette in conto “cordate, correnti, strategie acchiappalike e personalismi” e gli ricorda che “chi ha usato strategie tipiche della vecchia politica, non può invocare oggi la purezza”. Eppure a Di Battista – contrario alla scissione – non resta che giocarsi questo ruolo, anche per evitare che un suo ingresso in segreteria sembri una “genuflessione al potere”, come quella che pare imputare ai suoi compagni di partito. Lo ha scritto in un post su Facebook ieri mattina, mentre era in corso la sessione conclusiva degli Stati generali: un intervento che non è per niente piaciuto ai 305 delegati riuniti per discutere del nuovo “organo collegiale” che dovrà guidare il Movimento. In compenso, hanno apprezzato la risposta che la deputata Guia Termini ha mandato allo stesso Di Battista: “Ancora non è entrato ufficialmente nel gruppo dei capoccia nonostante ci sia stato fino all’altro ieri e già mi ha rotto i coglioni. Egocentrico cronico vai a fermare Tap in 15 minuti con la sola imposizione delle mani”.

Ma tra i “capoccia” è altamente probabile che Di Battista ci entrerà. E con lui tutti quelli che hanno sempre contato. Difficile che la nuova segreteria risponda a una delle richieste arrivate dalle assemblee: “Fuori i membri del governo”. Più plausibile una nuova versione del direttorio che fu. Cinque o sette persone “operative”, un board, all’interno di un gruppo più ampio che potrà arrivare a 15-17, a rappresentare anime e livelli territoriali. Tutti danno per certe la vicepresidente del Senato Paola Taverna e la sindaca di Torino Chiara Appendino. Ma per marcare Di Battista potrebbero entrare anche Fico (o un suo fedelissimo come il ministro Federico D’Incà) e soprattutto Di Maio. Assieme a qualche altro esponente del governo come Stefano Buffagni, che si è candidato e ieri è salito sul “cavallo Raggi”, scandendo che la sindaca di Roma va difesa: lasciando intendere che non tutti lo stanno facendo. Quanto al rappresentante legale, che dovrà assumere le funzioni un tempo del capo politico, si è deciso che sarà a rotazione, per evitare che il leader uscito dalla porta rientri dalla finestra. I dettagli si avranno tra un paio di settimane, perché va prima cambiato lo statuto. Mentre le votazioni sui nomi, almeno stando alle prime indicazioni, saranno sulle singole persone e non sulla squadra complessiva. Infine, su Casaleggio, escluso un Danilo Toninelli ancora convinto che vada difesa “l’eredità di Gianroberto” e un cenno a “Davide” che arriva senza troppi slanci da Di Maio, c’è ormai il gelo assoluto. Mentre di Grillo, assente, si parla come di qualcuno assai lontano.

Ma non c’è solo la sfida interna. Il ministro degli Esteri ha dedicato buona parte del suo intervento a dire che il M5S “deve contare di più”. Ad aprire la kermesse, ieri, era stato il premier Giuseppe Conte. Che non ha mancato di premere sul tasto delle divergenze, più che su quello delle affinità: “Alcune delle mie decisioni non sono state in linea con le posizioni assunte nella vostra campagna elettorale. Sono i momenti in cui siete apparsi disorientati, in cui si sono create incomprensioni tra di noi”.

Proprio in quel momento, un elicottero volteggiava rumorosamente sul cortile di palazzo Chigi. Come segnale, niente male.