Ma mi faccia il piacere

Processo alle invenzioni. “Travaglio cambia idea su Berlusconi: ‘Non è un mafioso, è un padre della Patria’” (Frank Cimini, Riformista, 13.11). Questo non sta per niente bene.

La prevalenza del cretino. “Nella sua follia da camicia di forza, Travaglio dà dei cretini ai critici del Gov. Esempio raro nelle democrazie occidentali, più che diffuso nei regimi. Siamo al Suslov style, o meglio banana style. Dal leccaculismo a Conte, ad apostrofare o criminalizzare il dissenso: triste fine” (Augusto Minzolini, Twitter, 13.11). Mi sa che questo si candida al titolo mondiale.

Scassese. “Proroga dell’emergenza o proroga dell’impotenza? O peggio ancora proroga dell’incapacità? Emergenza non c’è… In questa situazione, dichiarare uno stato di emergenza è eccessivo, non serve per fronteggiare questa situazione, serve soltanto perché all’interno della macchina statale c’è un’impotenza nell’affrontare i problemi ordinari. In Italia abbiamo sempre bisogno di dichiarare un’emergenza per fare cose ordinarie” (Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, Omnibus, 5.10). “’In vista del Natale, le raccomandazioni non bastano, servono norme chiare e buon senso’: il suggerimento di Sabino Cassese al governo” (Messaggero, 14.1). Ma questo ancora parla?

Lo Statista. “Quei pm spero siano in malafede” (Matteo Renzi, leader e senatore Iv, Il Dubbio, 10.11). Ci vuole proprio tutti come lui.

San Totò Martire. “I miei anni di dolore in carcere. Ora lavoro a una Dc nuova. Oggi vorrei costruire ponti materiali e simbolici” (Totò Cuffaro, condannato definitivo a 7 anni per favoreggiamento alla mafia, Riformista, 14.11). Grazie, come se avessimo accettato.

Ritmi. “Le Regioni di destra vengono punite e quelle di sinistra no. Bloccano la Lombardia e non la Campania. Il pistolero De Luca dov’è finito? Dice che la Campania è in emergenza e poi è zona gialla. Non so ‘sti logaritmi dove li prendono” (Flavio Briatore, La Zanzara, Radio 24, 5.11). Per lui gli algoritmi sono ritmi delle alghe.

Specie animali. “Ho dato disposizione di convocare i rappresentanti dei 2.450 veterinari in Veneto per fare i tamponi. L’uomo è un mammifero, tutti i mammiferi hanno sette vertebre cervicali, allattano il nascituro, che siano dei volatili, o dei pesci: il delfino è un mammifero, il pipistrello è un mammifero, ad esempio…” (Luca Zaia, Lega, presidente Regione Veneto, 3.11). Persino il governatore è un mammifero.

Forchettoni. “Stavolta non buttiamo via i soldi dell’Europa” (Roberto Formigoni, condannato definitivo a 5 anni e 10 mesi per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e al finanziamento illecito per 6.6 milioni di euro di tangenti, Libero, 9.11). Giusto: diamoli a lui.

Estrazioni del Lotto. “Inarrestabile crollo di Conte. Cosa rivela questo sondaggio. Il premier viene bocciato: la gestione dell’emergenza Coronavirus gli ha fatto perdere consenso. E gli italiani non vogliono il governo giallorosso” (il Giornale, 31.10). “Giuseppe Conte, il sondaggio di Cartabianca: dpcm, crollo del gradimento in sette giorni” (Libero, 4.11). “Il premier perde ancora consensi. Gli italiani si stanno infuriando… Quando la gente si sente tradita ti viene a prendere sotto casa” (Alessandra Ghisleri, sondaggista, intervista a Libero, 9.11). “Sondaggi politici Ipsos: Conte, il gradimento risale al 60% (+1%), poi Speranza al 38% e Meloni al 35%” (Messaggero, 13.11). Alessa’, magna tranquilla.

Dal produttore al consumatore. “Blair: ‘Sconfitto Trump, ora la nuova sfida è al populismo di sinistra’” (Repubblica, 13.11). Quello che ha creato lui.

Le pazze risate. “Trump ha perso, ma il trumpismo ha vinto. Donald dovreste farlo Papa. Ora l’Italia voti e cacci questi intrallazzatori” (Edward Luttwak, politologo, La Verità, 9.11). Mo’ me lo segno.

Il titolo della settimana/1. “Ne ammazza più l’auto che il coronavirus” (Libero, 15.11). Come nel film Johnny Stecchino: “Il problema è il traffico”.

Il titolo della settimana/2. “30mila intellettuali contro il governo” (Libero, 13.11). Solo 30mila intellettuali? Ma non saranno un po’ pochini?

Il titolo della settimana/3. “Il processo a Mimmo Lucano rivela solo l’attacco politico. Delle accuse all’ex sindaco di Riace avversato da Lega e Cinque stelle resta zero” (Domani, 12.11). Le famigerate toghe gialloverdi.

Il titolo della settimana/4. “Dai pm giustizia a orologeria per il destino di Autostrade. Arresti usati illegalmente per condizionare la trattativa del governo con Aspi” (Piero Sansonetti, il Giornale, 13.11). Uahahahahahahah.

I titoli della settimana/5. “Non svuotare le carceri è folle: Rita Bernardini digiuna” (Riformista, 13.11). “Emergenza Covid. Scarcerare 20 mila persone subito è l’unica soluzione” (Sansonetti, ibidem, 14.11). Geniale: noi per non contagiarci stiamo dentro, loro per non contagiarsi vanno fuori.

Sinner, la racchetta magica d’Italia vince il primo Atp

Uno così, nel tennis italiano maschile, negli ultimi 40 anni non si era mai visto. Jannik Sinner, 19 anni e tre mesi, ha vinto ieri a Sofia il primo torneo Atp della sua carriera. Ha sofferto più del previsto, per almeno due motivi. Il primo è l’avversario, Pospisil, 30enne canadese 74 al mondo ma con un passato da 25, bel talento e gran servizio, ottimo doppista e troppi infortuni a sabotarne il cammino. Il secondo motivo è stato un blackout che ha cortocircuitato l’altoatesino nel secondo set. Avanti 6-4 1-0 e servizio, di colpo si è spento. Ogni tanto gli capita, per esempio a Colonia con Simon. Ceduta la seconda frazione 6-3, il terzo set si è chiuso al tie-break. Lì Sinner è tornato mostruosamente maturo. E ha dominato. Proprio in quanto sofferta, la vittoria è risultata più epica. E questi cali, in lui rarissimi, hanno rivelato un Sinner meno “Borg” del solito. E dunque ancora più tifabile.

Domani Sinner sarà 37 al mondo. A inizio stagione, falcidiata come tutto dal Covid, era 78. Il ragazzo è poco appariscente e caratterialmente non trascinante, ma dotato di un talento smisurato. Prima di cominciare (tardi) col tennis, Jannik voleva essere un campione di sci. E probabilmente lo sarebbe stato, perché sembra costruito unicamente di talento e ambizione.

Sofia pare “solo” il primo titolo di una lunga serie. Già adesso Sinner vale i top ten e probabilmente i top 5. Lo ribadiscono tanti suoi scalpi (Zverev, Tsitisipas, Goffin) e quel primo set addirittura spavaldo al Roland Garros contro Nadal. Di fatto se la gioca già contro chiunque e dà la sensazione di poter vincere sempre. Anche quando non gioca benissimo (a Sofia non è mai stato veramente “deluxe”). Anche quando la condizione fisica lo limita (da settimane combatte con le vesciche).

Jannik Sinner è nato fenomeno, si allena da fenomeno e lo attende (sfighe a parte) una carriera straordinaria. Ha ancora enormi margini di miglioramento: nel servizio, nel gioco di volo, nella muscolatura. Possono fermarlo giusto infortuni, meteoriti di malasorte e improvvise sbornie emotive (ma non sembra il tipo). Gioca come un veterano, pensa da campione e sgobba come un mediano che finge di non sapere d’esser nato predestinato. A tratti è così devastante che pare assemblato in laboratorio. Meno bello dell’altro golden boy Musetti, ma enormemente più solido. E quindi molto più vincente. Sinner è permeato di una costante arroganza tecnica disumana. Vive, gioca e pensa da dittatore. Non gli interessa altro che il dominio. Non ha nulla dell’italiano indolente e umorale, genialoide ma incazzoso (alla Canè, alla Fognini). Ed è la punta di diamante di un tennis maschile che sta vivendo un’inusuale grandeur: lui, Berrettini, Fognini (Fabio ha ancora qualcosa da dare) Musetti, Sonego, si spera Nardi. E molti altri giocatori da fascia 50-100. La quaresima è stata lunghissima, ma il vento è cambiato.

D’ora in poi tutti parleranno di Sinner. La diretta su Rai2 di ieri (gli appassionati veri hanno ovviamente guardato Supertennis) è emblematica di un cambio di atteggiamento del mondo mainstream. Jannik ha tutto per essere quel che in passato sono stati Tomba, Pantani, Rossi e Pellegrini: eccellenze così accecanti da far dimenticare persino ai media nostrani il calciocentrismo.

Quelli – come chi vi scrive – che ripetono da almeno due anni quanto Jannik fosse (sia) spaventosamente forte proveranno ora un po’ di fastidio, nei confronti di chi adesso salirà sul carro del vincitore. Dettagli: godiamoci questo campione, sperando che il suo bravissimo allenatore Riccardo Piatti continui a proteggerlo.

Per tutti coloro che attendevano da decenni l’epifania azzurra nel tennis, Sinner è una sorta di agognato redentore, il cui unico difetto in campo pare essere il look. A guardarlo sembra Rosso Malpelo, più ancora Pippi Calzelunghe. Ma il suo braccio è maglio. E la sua testa granito. Egli non gioca, bensì divelle. Una meraviglia.

Che coppia Elton e Bernie: “La musica è come il sesso: quando scopri di esser bravo, fai boom”

Bernie Taupin (70 anni) ed Elton John (73) sono insieme da 53 anni. Connubio leggendario della musica d’autore come Lennon-McCartney, Jagger-Richards e Mogol-Battisti, rappresentano una delle più riuscite alchimie del pop globale. Scrissero le prime canzoni senza nemmeno conoscersi. Jewel box, appena pubblicato, contiene 148 canzoni, sessanta delle quali inedite: “Ascoltando di nuovo queste tracce perdute da tempo”, commenta Elton, “trovo difficile comprendere quanto io e Bernie fossimo prolifici”.

I primi due dischi sono una selezione dei brani preferiti dell’artista, i successivi tre contengono le rarità del periodo 1965-1971, composte e registrate prima che Elton firmasse un contratto; tra queste la prima vera canzone firmata dalla coppia Taupin-John, Scarecrow del 1967 (“Ascoltavamo Beatles e Procol Harum e pensavamo di fare canzoni solo per altri artisti all’epoca”). Il sesto e settimo album raccolgono i retro dei 45 giri dal 1976 al 2005, per la prima volta in digitale. Chiude il box l’ottavo album, intitolato E questo sono io, con i pezzi citati nella sua recente autobiografia.

Con la pandemia Elton John ha dovuto rimandare il suo tour Farewell Yellow Brick Road – già sold out – e ha deciso di lavorare al box insieme a Bernie Taupin. “Non ero sicuro all’inizio”, ha dichiarato Taupin. “Ho pensato che potevo essere imbarazzato dall’ingenuità dei primissimi lavori, ma poi si sente che siamo pronti a esplodere e non c’è modo di trattenerci. È un po’ come il sesso. Una volta scoperto quanto puoi diventare bravo, è una specie di boom”.

Le gemme sono Monkey Suit, con le sonorità glam di Jean Genie e Starman di Bowie, e Tartan Coloured Lady, un richiamo a Sgt. Peppers dei Beatles. Breakdown Blues è l’anticamera della riuscita collaborazione con John Lennon (Whatever Gets You Thru The Night); Sing Me No Sad Song incorpora i germi di Don’t Go Breaking My Heart del 1976 e Sad Songs (Say So much) del 1984. Conquer The Sun è notturna e delicata con una melodia simile a Daniel.

Non troverete le hit come Candle In The Wind – singolo più venduto nella storia della musica –, per una precisa scelta dell’artista: “Se non suoni le hit, la gente s’incazza. Se fai i pezzi nuovi, va in bagno. Ma quando finirò questo tour mondiale, se suonerò ancora, canterò ciò che amo davvero”. E non ci sono collaborazioni con altri artisti: per le interpretazioni bisogna andare a ripescare Two Rooms del 1991, l’eccellente raccolta di tributi con Kate Bush, The Beach Boys e l’incantevole versione di Sting di Come Down In Time. Elton offre infine “i consigli per gli acquisti” del pop contemporaneo: “Dua Lipa è stata molto intelligente nel mettere fuori qualcosa di cui le persone avevano bisogno. Anche Chromatica di Lady Gaga, What’s Your Pleasure? di Jessie Ware e Roisin Machine di Roisin Murphy sono meravigliosi, gioiosi”.

Ci sarà ancora un album scritto da Taupin-John? “Al momento non mi sento davvero motivato a scrivere canzoni. Ma ci sono brani che mi ha mandato Bernie e ci potrei lavorare…”.

“Le fughe dai paparazzi, le attenzioni di De Niro e il casinò con mio padre”

C’era una volta una bambina figlia di due genitori particolari, “mamma, alla fine degli anni Cinquanta, indossava i pantaloni di mio padre legati in vita con lo spago, non le interessavano i giudizi altrui. Papà era attore, tanta fantasia, meno certezze. E una nota passione per i casinò”.

C’era una volta un’adolescente che a quindici anni è stata “sollevata” dalla luce del Piper, una luce in grado di farla galleggiare sulle teste e i cuori dei suoi coetanei. Chi ha vissuto quel periodo ricorda che in tanti frequentavano il locale solo per vederla danzare, compreso Luigi Tenco. “Di lui non mi accorgevo”. Tanto da ricevere in dote una canzone dalle Orme: “Ed è lì sulla pedana. E lì ballavi un po’, sognavi un po’. E i riflettori su di te. Ti davano mille colori. Ma tu non guardavi mai la gente”.

C’era una volta una ragazza regina della televisione, attrice, incarcerata dalla sua stessa immagine e dal clamore (“I paparazzi mi seguivano dappertutto, anche in camera da letto”). Amori. Lotte. Addii. Politici. Gossip. Con Franco Califano e Adriano Panatta sulle copertine. “Eppure mi sentivo come Alice nel Paese delle meraviglie”.

C’è oggi una signora, Mita Medici, che ripensa alla sua vita e sorride, e mentre sorride ha nella mano sinistra un copione teatrale (“prima o poi riapriranno”) e nella destra una zappa per dare un presente e un futuro all’orto.

I suoi genitori.

Mamma di una bellezza fuori dal comune, ma senza alcun desiderio di utilizzarla come arma nei confronti dell’esistenza; una donna libera sia nelle apparenze sia nella sostanza, ma pronta al matrimonio pur di andare via dalla famiglia d’origine; papà era un celebre attore, Franco Silva, un uomo che abbinava estro, percorsi suoi, a principi saldissimi: era pur sempre il figlio di un generale dell’esercito.

Che vuol dire ‘percorsi suoi’?

Andavamo in giro per l’Italia, ci fermavamo in riva al mare con le coperte e dormivamo sulla spiaggia; poi aveva una passione smodata per i casinò: sono andata così tante volte a Sanremo da conoscere a memoria l’Aurelia. (Sorride) Però era iscritto al Pci: il partito era un’altra parte fondamentale della sua esistenza.

E lei?

Affascinata dai miei, erano una coppia pazzesca: quando uscivamo mi meravigliavo dell’ammirazione delle persone, si giravano tutti; poi in casa arrivavano i grandi del periodo, da Pietro Germi a Vittorio Gassman.

Il suo spazio tra loro?

Ho l’immagine di me piccolissima, forse avevo tre o quattro anni, al centro dell’attenzione mentre recitavo qualcosa e gli altri ridevano; quel percorso si è poi interrotto quando avevo sei anni, i miei si sono lasciati, e papà ha allentato il legame con noi.

Il vero riflettore è arrivato con il Piper…

Lì eravamo tutti amici, coinvolti in una piccola o grande rivoluzione contro i ‘matusa’; da noi veniva il mondo, avevamo fame di quel mondo, di conoscenza. Chi arrivava a Roma, dopo aver visitato il Colosseo, cercava di entrare nel locale.

Chi era il mondo?

Dai Pink Floyd a Hendrix…

Patty Pravo racconta del celebre spinello con Hendrix.

È vero, ma non c’ero; non è una questione di canna, qualcuna l’ho fumata, ma la droga non era centrale nel mio percorso; (sorride) avevo solo quindici anni, e potevo finire malissimo, mi ha salvato l’educazione familiare e una certa solidità economica.

Articolo 1 della sua educazione…

Io e mia sorella eravamo responsabili delle nostre azioni. Dovevamo risponderne. E questo mi ha protetta in ogni situazione.

Esempio.

Avevo sedici anni, Paolo Spinola venne al Piper, mi vide ballare e decise: ‘La voglio nel mio film (L’estate)’. Inizialmente rifiutai: ‘Non ho tempo, devo studiare, poi voglio ascoltare Radio Lussemburgo, e ho gli appuntamenti nel locale…’. Per convincermi, prima andarono da mia madre e poi mi consegnarono la sceneggiatura. E io: ‘I dialoghi sono sbagliati, noi ragazzi non parliamo così’. Risposta: ‘Può riscrivere la sua parte’.

Era in competizione con la Pravo?

No, ogni tanto ci vediamo ancora; lei, a quel tempo, per noi era la provinciale arrivata da Venezia, presa sotto l’ala protettiva di Crocetta e Bornigia (proprietari del Piper, ndr).

Renato Zero racconta delle vostre ‘vasche’ a piazza Navona, insieme anche alla Bertè, per cercare registi e proporsi.

Davvero? Certe situazioni non le ricordo più, ma ha sicuramente ragione.

Era ambiziosa?

Forse è un mio difetto, ma non tanto.

Quelli intorno a lei?

Alcuni da morire; (ci pensa) tra lavoro e vita ho sempre scelto la vita, e questo mi ha un po’ bloccato la carriera.

Tipo?

Nel 1978 ho preso l’aereo per gli Stati Uniti, in Italia giravano soprattutto film alla Giovannona Coscialunga. Non mi interessavano.

Le hanno offerto ruoli sexy?

Giusto per Emmanuelle: ho rifiutato senza rimpianti, non mi apparteneva.

Gli Stati Uniti.

Attenzione: per me non era la prima volta; (sorride) dopo aver vinto Miss Teenager, a 15 anni sono partita per Los Angeles e per rappresentare l’Italia al concorso internazionale.

Da sola?

Mamma non poteva, così mi affiancarono una giornalista a me sconosciuta; in California eravamo recluse nell’hotel, l’organizzazione aveva la responsabilità di un vasto gruppo di minorenni; allora sono fuggita, mi sono inoltrata nella città e ritrovata davanti a un campo recintato, colmo di persone, una nuvola di fumo ad avvolgerli. Sul palco c’era un tizio con i capelli lunghi. Un pazzo scatenato. Era Jim Morrison.

E…

Dopo un po’ ho sentito un tipo prendermi per la collottola e riportarmi in hotel.

Torniamo al 1978.

Ho frequentato l’Actor’s Studio sia di Los Angeles che di New York; proprio a New York, in un party, mi sono ritrovata in mezzo al Gotha del momento, da Al Pacino a De Niro: ogni volta che suonava il campanello e si apriva la porta, mi ritrovavo davanti a un pezzo importante di cinema; De Niro tempo dopo mi ha chiamato mentre vivevo a Los Angeles, ma ero fidanzata e avevo capito le sue intenzioni.

Ricorda Panatta: ‘Coppola e Al Pacino incitarono me e Mita a convivere’.

È vero, con Adriano già cercavamo casa, poi c’è stato qualche casino ed è finita; (sorride) in quell’età l’amore è frenetico: io ero innamorata di Gigi Riva, mentre lui già usciva con Loredana Bertè. Una sera, mentre ero in albergo durante una tournée, tentavo di sistemare l’antenna del mio baracchino; a un certo punto mi affaccio e dalla finestra li vedo insieme.

Dolore.

No, li ho semplicemente salutati, così ho esplicitato l’evidenza; (cambia tono e discorso) con Coppola avevo costruito un bel rapporto, ero al suo fianco mentre sceglieva il cast del Padrino. Ho tentato di strappare il ruolo di Apollonia (la moglie di Al Pacino, ndr), ma preferì, giustamente, Simonetta Stefanelli.

È un rimpianto?

No, ma ho spesso la sensazione di essermi trovata davanti a molte sliding doors.

La prima che le viene in mente?

Grazie a un agente statunitense giravo alcune pubblicità in Messico, con cachet altissimi: ogni volta rientravo a Los Angeles con i guadagni nascosti ovunque; in una pausa torno in Italia per salutare mia madre, con la promessa di altri progetti importanti. All’improvviso, però, l’agente scompare, non rispondeva più; chiedo a un amico di andare a controllare: era stato ucciso in una rapina. Da lì ho chiuso con l’esperienza estera, e nel 1980 sono definitivamente tornata.

Gossip: era circondata.

I paparazzi mi inseguivano, sempre: una volta ne ho beccato uno davanti alla finestra della camera da letto, mentre cercava di pizzicarmi con un amico.

Reazione?

Chi stava con me aveva un certo cipiglio, a momenti lo buttava di sotto; (pausa) comunque qualche volta il gossip mi ha allontanato gli uomini: non ne potevano più.

Non tutti erano come Califano…

Con Franco ci siamo conosciuti nel 1969 e siamo andati subito a convivere: uno scandalo per quei tempi, ero minorenne; (ride) nel primo appuntamento l’ho portato a vedere un film di Walt Disney su Paperino.

Eravate i vicini di Arbore…

Che divertimento, era un condominio particolare: al primo piano vivevano Mal e i Primitives, al secondo Renzo e Alberto Durante, al terzo io e Franco, al quarto Shel Shapiro, all’attico Enzo Maiorca; lì accadeva di tutto, si viveva nella tipica condivisione dell’epoca, compreso scambiarci il cibo dalle finestre attraverso un cestino, magari al grido ‘passame er sale!’.

Renato Zero da ragazzo.

Siamo coetanei, nati a un mese di distanza; (cambia tono) era un vulcano, con l’esigenza di esprimere se stesso ma con alla base una grande solidità, una grande sicurezza.

Come veniva trattato?

Per i capelli lunghi qualche schiaffo per strada lo ha preso, ma era sostenuto dalla maggior parte delle persone, perché in quegli anni c’era una grande voglia di sperimentare.

A vent’anni come ha vissuto la fama?

Ogni tanto mi scocciavo, mi fermavano in continuazione, con mia sorella che mi aiutava a capire: ‘Sono persone che ti vogliono bene’. E aveva ragione. Ma allora programmi come Canzonissima venivano visti da milioni di spettatori.

Con lei Pippo Baudo. Lui è mai stato giovane?

(Ride) Non credo, forse in alcuni momenti; noi due eravamo agli opposti, nelle primissime puntate ci siamo scontrati, soprattutto per il suo presenzialismo. Scocciata, domandavo ai responsabili del programma: ‘Ma che mi avete chiamato a fare? C’è sempre lui’; (ci pensa) già allora Pippo viveva per la tv e ora che è un po’ fuori mi domando come fa.

Difficoltà per la sua bellezza?

In alcune occasioni, ma sono sempre riuscita a controllare la situazione.

Che rapporto ha con il suo corpo?

Buono. Il mare è la mia vita, però amo la natura, vado spesso in campagna, zappo, pianto: è la mia palestra.

Il romanzo della sua vita?

Sono una giallista e Delitto e castigo è il massimo; però nella vita ho letto di tutto, casa era piena di libri: è fondamentale per un giusto imprinting e una coscienza critica.

Del passato, chi le manca?

Mio padre; lui è stato anche un amico, parlavamo di politica, poi mi è stato vicino in alcuni momenti particolari, nonostante la sua indole a sparire. (Ci pensa) Negli ultimi anni mi veniva a trovare a Milano mentre ero in scena con Ciao Rudy: alla fine dello spettacolo mi proponeva sempre di andare a mangiare a Campione.

Al casinò…

Dopo cena, ovviamente, finivamo al tavolo da gioco, ma con una variante rispetto a lui: nel momento in cui vincevo, prendevo i soldi e me ne andavo.

Un amico rimasto nel cuore.

Enzo Jannacci, uomo meraviglioso, piacevolmente imprevedibile; un pazzo razionalissimo, sostenuto da una grande rettitudine sociale.

Chi è lei?

Ho inciso una canzone intitolata Chi sono; (ci pensa) una donna abbastanza soddisfatta con un ruolo su questa terra. E anche una vecchia Alice nel Paese delle meraviglie.

La candidata che spaventa Mosca

Oggi il Paese più povero d’Europa deciderà chi sarà il suo prossimo presidente: in Moldavia i cittadini sceglieranno tra la filo-europea Maia Sandu, a capo del Pas, Partito Azione e Solidarietà, e l’uomo che è al vertice dello Stato dal 2016, Igor Dodon. Quattro anni fa l’attuale presidente sconfisse con il 52% delle preferenze proprio la candidata che di nuovo, gli dà battaglia al ballottaggio. Da quando ci ha messo piede come deputato nel lontano 2009, Dodon – prima membro del partito comunista, poi socialista, infine indipendente, ma da sempre vicino al Cremlino – non ha mai abbandonato il Parlamento di Chisinau e l’ipotesi che non voglia farlo in nessun caso serpeggia tra avversari e popolazione: la Moldavia, nazione più povera perfino tra le ex Repubbliche sovietiche, rischia per questo uno scenario bielorusso.

Al primo turno lo scorso ottobre ha vinto la donna dell’ovest contro l’uomo dell’est: la Sandu ha ottenuto il 36% dei voti, due punti in più dello sfidante, ma comunque numerose sono state le sue segnalazioni e accuse di falsificazione dei voti alla Cec, Commissione elettorale centrale. Per i brogli elettorali l’opposizione paragona Dodon a un Lukashenko in scala minore, ma è lo stesso presidente a fare spesso riferimento alla Bielorussia per denunciare le “interferenze occidentali” nella sovranità degli Stati dell’est. Se il politico alleato di Mosca fa leva sui cittadini di madrelingua russa e nazionalisti moldavi, la Sandu, – economista laureata ad Harvard, già ministro dell’Istruzione e per pochi mesi premier nel 2019 – ha promesso in campagna elettorale di voler “fermare i clan, per il futuro di tutti i cittadini onesti”, assicurando a liberali e filo-occidentali del Paese l’avvicinamento all’Unione europea e Bruxelles. Per la candidata che promette di riformare il sistema giudiziario e mettere fine all’endemica corruzione nel Paese ha votato la maggioranza dei moldavi emigrati in Europa ed Usa. Poche preferenze sono arrivate per Dodon dai moldavi di Mosca: degli oltre 300mila che vivono nella Federazione solo 5.000 si sono recati alle urne. Per la seconda volta nella storia, oggi voteranno anche i moldavi residenti nello Stato non riconosciuto della Transnistria, ma la Sandu ha già puntato l’indice contro l’avversario: “Organizza e compra voti nella regione separatista, ci sono prove di persone portate ai seggi e pagate per votarlo”. Mentre i candidati si avviano alla sfida finale, circolano informazioni del controspionaggio russo su una rivoluzione a Chisinau: “La vittoria della candidata filo-europea potrebbe condurre a un conflitto interno, che porterebbe il Paese sull’orlo della distruzione” ha riferito Vladimir Dzhabarov, ex generale del Kgb.

Il “Trump del Sauerland” che vuole spaccare la Cdu

La decisione di rimandare il congresso di dicembre della Cdu ha fatto da detonatore, il furore dell’ex rivale di Merkel, Friedrich Merz, ha fatto il resto. E in un attimo l’ingessato partito cristiano-democratico tedesco si è trasformato in un’orda dove volano gli stracci. Tra i sostenitori di Merz e tutti gli altri è in atto “una guerra fratricida”, la definisce il Frankfurter Allgemeine Zeitung, più vicina nello stile agli Usa che alle abitudini teutoniche. E non è un caso che un quotidiano conservatore come Faz abbia etichettato Merz come il “Trump del Sauerland”. Ma torniamo ai fatti: l’attuale leader dimissionaria della Cdu, Annegret Kramp-Karrenbauer, ex delfina della cancelliera Merkel, annuncia che il congresso del partito previsto per il 4 dicembre a Stoccarda davanti a 1.001 delegati è rimandato a data da destinarsi. Il congresso avrebbe dovuto eleggere il presidente della Cdu e quindi incoronare il futuro candidato alla cancelleria nel dopo Merkel. La pandemia si è messa in mezzo. Questa la motivazione ufficiale. Due su tre candidati in lizza la prendono bene: Armin Laschet, attuale governatore del Nord Reno-Westfalia molto vicino a Merkel, e Norbert Röttgen, ex ministro dell’Ambiente nel governo Merkel II e capo della commissione Esteri.

Il terzo, eterno rivale di Merkel, grida al complotto. “C’è una larga parte dell’establishment del partito che vuole impedire che io diventi presidente della Cdu” dice l’ex presidente del consiglio di Sorveglianza del fondo Blackrock Germania a Die Welt. “Lo sanno tutti che non sono amato a Berlino” dice in tv alla Zdf, alludendo ai vertici della Cdu. Poi passa ad attaccare direttamente l’avversario sostenuto da Merkel: “Ho prove inequivocabili che Laschet ha bisogno di più tempo per migliorare la sua perfomance. Io sono chiaramente avanti in tutti i sondaggi”. In effetti l’ultimo dell’Istituto Forsa vede Merz in vantaggio con il 45% dei voti tra gli elettori del partito, mentre Laschet gode della metà del consenso, con il 24%, e Röttgen il 13%. Si tratta però di elettori e non di delegati. Merz si presenta come “vittima del complotto” e parlando in tv dice che rimandare il congresso “è una decisione contro la volontà della base” del partito. Per il Tagesspiegel Merz diventa “il Boris Johnson della politica tedesca”, per Bild il “Merztyrer” (Merz il martire). Un discorso che fa l’occhiolino anche all’elettorato del partito di destra Alternative für Deutschland (Afd), da sempre convinto di voler abbattere l’establishment politico. Merz, però, non è proprio un politico di primo pelo: dall’1989 al 1994 parlamentare europeo, dal 2000 al 2009 deputato al Bundestag, capogruppo di Cdu-Csu in Parlamento dal 2000 al 2002. La sua ascesa nel partito si interrompe proprio quell’anno: a soffiargli il posto di capogruppo è lei, Angela. Se non è estraneo alla politica, Merz è di sicuro molto lontano dalla cerchia di Merkel, basti pensare che appena due anni fa si candidò al congresso contro la sua candidata, la Kramp-Karrenbauer.

La strategia di Merz è spaccare il partito ma non tutti però concordano con lo stile “divisivo”, speculare e contrario a quello della cancelliera. Proprio questo sarebbe il momento giusto per l’entrata in scena del governatore della Baviera, Markus Söder, presidente dei cristiano-sociali della Csu, il partito regionale da sempre alleato con la Cdu. Söder, che in questa fase di emergenza Covid ha assunto i panni del buon padre di famiglia e ha dalla sua parte un alto consenso tra gli elettori, vanta quello che manca ai tre: il carisma.

“Il codice del silenzio della polizia Usa è come l’omertà della mafia”

Èuna leggenda. A 84 anni, Frank Serpico è ancora l’uomo integro che nel 1971 scatenò un terremoto nel Dipartimento di polizia di New York, rivelandone la corruzione dilagante di fronte alla Commissione Knapp. La polizia non gliela perdonò: durante un’operazione antidroga si prese una pallottola in testa e i suoi colleghi lo lasciarono quasi morire.

Lei era lontano dal tipo di persona ‘legge e ordine’, che di norma entra in polizia e obbedisce. Era indipendente e antiautoritario. Perché ci entrò?

Da ragazzo il mio fumetto preferito era ‘Dick Tracy’. Ero così impressionato da Tracy e dal suo collega Sam Ketchum: erano detective, comunicavano tra loro con le radioline da polso. Volevo essere un detective. Una volta diventato poliziotto, mi sono reso conto presto che i miei studi e la mia esperienza non sarebbero serviti a nulla in un Dipartimento in cui dilagavano nepotismo e corruzione.

È cittadino italiano e il nostro Paese non è esattamente famoso per la sua cultura dell’integrità: è famigerato per mafia e omertà. Cosa l’ha spinta a diventare un whistleblower?

Quello che lei dice è vero, ma l’Italia è anche famosa per la sua grande arte, cultura e musica. Tutte cose che sono fonte di grande interesse e ispirazione. La maggior parte delle persone conosce solo pizza e mafia. Il codice del silenzio della polizia, il ‘blue wall’, è uguale all’omertà della mafia. Io ho solo seguito la mia bussola morale.

Lasciò la polizia nel 1972, come è sopravvissuto economicamente?

Avevo una pensione di invalidità, perché ero stato ferito in servizio. Ho ancora addosso tutti i frammenti del proiettile che mi è esploso in testa.

Ha vissuto molti anni in Europa, perché è tornato negli Usa? Fa una vita frugale, del tutto diversa dalla società materialistica americana…

Non rimpiango questa scelta. Dopo che la mia compagna morì di cancro, valutai di tornare e allora un amico, Ramsey Clark, ex ministro della Giustizia, mi chiamò e mi disse che c’era lavoro da fare a casa. Tornai per fare alcune inchieste. Speravo di pubblicare un mio libro di memorie, trasferendomi in qualche piccolo paese in Italia, poi, però, è arrivato il virus. Ma dovunque mi trovi, il mio sangue e la mia cultura sono italiani.

Entrerebbe di nuovo in polizia?

Sebbene io abbia apprezzato tantissimo il mio servizio e ne senta molto la mancanza, non credo che ci entrerei di nuovo, a meno che non venissero fatte le riforme che avevo cercato.

Quali?

Non avere paura della trasparenza. Trattare tutti coloro che incroci sulla tua strada con dignità, anche quelli che si sono trovati a soccombere ai peggior istinti della vita. La polizia non dovrebbe mai considerarsi giudice, giuria e boia. Far rispettare la legge con discrezione, compassione e imparzialità. Nessun trattamento speciale per i poliziotti che commettono reati che, se commessi dai civili, porterebbero in galera. Proteggere e servire la comunità come una persona che assiste un anziano. È più importante quante persone – soprattutto giovani – proteggi con il tuo esempio e servizio dal rischio di finire in prigione, che quanti arresti fai per reati insignificanti. Rispetta i whistleblower, premiali, proteggili.

La polizia la considera ancora una spia, invece che un whistleblower?

Mettiamola così: non hanno dimenticato né perdonato. E vogliono che quello che mi è successo sia ricordato come avvertimento per tutti gli altri poliziotti. È proprio ciò che vediamo oggi con Black Lives Matter: la polizia ha troppo potere. Invece di mediare, i poliziotti sono diventati ancora più aggressivi e supportano Trump, che ha seminato la discordia e la violenza, invece che la pace e l’armonia.

Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, un giornalista che ha permesso ai whistleblower di rivelare crimini di guerra, Julian Assange, rischia la prigione a vita. Lo supporta?

Moltissimo. Le condizioni sono diventate ancora più estreme sotto Donald Trump.

È contento di finire nella Storia come l’hanno dipinta Sidney Lumet e Al Pacino, o cinquant’anni dopo Serpico è un uomo diverso?

Non sono assolutamente contento. Penso che Lumet possa essere considerato un grande regista, ma questo non significa che fosse un uomo onesto. Non ha idea di quello che ho sofferto. Si prese il controllo della mia vita e la manipolò. Mi considero uno eclettico. Ero dislessico, i miei insegnanti di religione cristiana mi giudicavano stupido, perché la mia prima lingua era l’italiano e loro non lo capivano. Indossavo i vestiti di seconda mano di mio fratello con le toppe. È vero, ero uno studente mediocre al college e all’università, ma come poliziotto ho capacità linguistiche con l’italiano, l’inglese, lo spagnolo, il francese, il giapponese, e da allora ho aggiunto il danese, il tedesco e studio il russo e l’arabo. Ho recitato a teatro, sono un buon ballerino, un poeta, uno scultore, cucino e mi faccio il mio pane. Ero un essere umano prima, durante e dopo il Dipartimento di polizia di New York e il film. E questa è una responsabilità che io ho preso molto sul serio in tutta la mia vita.

L’esagerazione: eunuchi adulteri e i “soliti” greci

Continuiamo la nostra passeggiata in compagnia dei comici greci e latini. La volta scorsa, prima di essere interrotti dal resto del giornale, abbiamo visto come tratteggiavano i personaggi con trovate iperboliche, in cui non erano secondi a nessuno, a parte se stessi.

L’IPERBOLE

L’iperbole è la figura stilistica che pare comprendere tutta la comicità: in un certo senso, infatti, se la comicità non è esagerata, non è.

Un naso così grosso che Atlante, invitato, si sarebbe rifiutato di portarlo. (Epigr., XIII, 2, 2)

Dasio è bravo a contare chi entra a fare il bagno. A Spatale dalle mammelle enormi ingiunse tre biglietti. E lei pagò. (Epigr., II, 52)

SCIMMIA: Mascalzone, credo che saresti capace di scolarti quattro vendemmie del monte Massico in un’ora. PSEUDOLO: Un’ora scarsa. (Pseud., 1301-04)

TERAPONTIGONO: Ti ridurrò a pezzettini che le formiche potranno trasportare. (Cur., 576)

Potresti eguagliare la cima del colosso sul Palatino, Claudia, se fossi un piede e mezzo più bassa. (Epigr., VIII, 60)

Altre formule iperboliche:

La sequenza intensiva. Sul finale del Miles, Palestrione tesse le lodi di Pirgopolinice dicendo prima che è molto ricco, poi che è molto prolifico, poi che è quasi una divinità.

La somma truccata. ARTOTROGO: Mi ricordo che in un sol giorno ne hai uccisi centocinquanta in Cilicia, cento a Scitolatronia, trenta a Sardi, in Macedonia sessanta. PIRGOPOLINICE: E la somma qual è? ARTOTROGO: Settemila. (Mil., 42-6)

La ripetizione. A volte basta ripetere il concetto per esagerarlo: è talmente grande che non può essere aumentato.

CRISALO: Dell’oro non so nulla, se non che non so nulla. (Bacc., 324)

CREMILO: Non mi convinci neppure se mi convinci. (Plou., 600)

Il fatto trasformato in indizio. SOSIA: Credo davvero di non aver mai visto una notte più lunga di questa, tranne quella in cui rimasi appeso in eterno mentre mi frustavano. (Amph., 279-280)

Se sentirai in uno stabilimento di bagni un applauso, Flacco, sappi che lì c’è il membro di Marone. (Epigr., IX, 33)

La litote iperbolica. ARTOTROGO: Per esempio, quell’elefante in India, con un pugno gli hai rotto il braccio! PIRGOPOLINICE: Il braccio? ARTOTROGO: Volevo dire il femore. PIRGOPOLINICE: Gli ho dato un colpetto. (Mil., 25- 28)

La riduzione iperbolica. Hai il coraggio di chiamare podere quello in cui una piantina di ruta è un bosco di Diana, che una formica consuma in un sol giorno, dove una serpe non può stendersi per il lungo. L’orto non basta a nutrire un solo bruco. (Epigr., XI, 18)

La deduzione, esplicita o implicita, permette di amplificare una cosa tramite un’altra. Quanto sarà grande il Ciclope, se la sua mano, come scrive il poeta, è sorretta da un pino?

LIDO: Vorrei che tuo figlio amministrasse i miei mali, non i miei soldi. FILOSSENO: Perché? LIDO: Perché me li farebbe sparire rapidamente. (Bacc., 465-466)

Se Ligeia ha tanti anni per quanti capelli porta su tutto il capo, ha tre anni. (Epigr., XII, 7)

Mi rimproveri, Veloce, di scrivere epigrammi lunghi. Tu non scrivi nulla: i tuoi sono più brevi. (Epigr., I, 110)

L’analogia. Un’amante magrissima, con una sega sulla schiena. (Epigr., XI, 100)

Zoilo, perché sporchi la tinozza lavandoti il sedere? Se vuoi sporcarla di più, immergici la testa. (Epigr., II, 42)

L’auto-riferimento. Publio la fa dipingere in un quadro, dove la vedrai tanto somigliante quanto neppure lei assomiglia a se stessa. (Epigr., I, 109, 19-20)

L’ordine dei termini può esagerare un carattere, come fa Terenzio con l’avaro Critone:

CRITONE: Ma se vuoi che io, i miei beni, mio figlio siamo salvi… (Heaut., 941)

La reticenza. Per far vedere che non hai segreti con me, Callistrato, mi dici spesso che sei stato inculato. Non sei tanto franco, Callistrato, quanto vorresti farmi credere. Chi confessa tali atti, ne tace parecchi altri. (Epigr., XII, 35)

Il riassunto. DEMEA: Questa è pazzia! Ci prenderemo una moglie senza dote; dentro abbiamo già una suonatrice; una casa che costa un occhio; un giovane debosciato; un vecchio pazzo. Una famiglia così nemmeno la dea Salute potrebbe salvarla, se mai ne avesse voglia. (Adel., 758-62)

Questa tattica è usatissima anche oggi. ELAINE: Quella ragazza ti sta guardando. Vacci a parlare. GEORGE: Elaine, gli uomini calvi senza un lavoro e senza soldi che vivono ancora con i genitori non provano a rimorchiare estranee. (Seinfeld)

Non sapeva che in quello stesso momento studenti di diverse scuole in ogni parte del paese stavano chiedendo ai loro professori: “Chi è questo personaggio a pagina 100? Un ebreo pelato che bacia Madame Bovary?” (Woody Allen, Il caso Kugelmass)

PADRE (al figlio donnaiolo): Scusa. Dimenticavo. Ho tralasciato il golf, la vela, il dormire, il bere e le donne. Sei formidabile. Se io fossi nel settore scansafatiche, ne vorrei dieci come te. (Neil Simon, Come Blow Your Horn)

L’ibridazione amplifica combinando gli elementi in gioco: Sotto il tuo regno non vi saranno più né eunuchi, né adulteri: prima invece – che costumi! – anche l’eunuco era adultero. (Epigr., VI, 2, 5-6)

L’unione. I peli delle tue mascelle sono in parte tagliati, in parte rasi, in parte strappati. Chi potrebbe credere che si tratti di una sola testa? (Epigr., VIII, 47)

La congerie, ovvero l’accumulo di elementi a mo’ di elenco, è un’altra forma iperbolica:

CORO: Quali reni, quale cuore, quali coglioni, quali lombi, quali nervi potrebbero resistere, tesi così fino al mattino, senza fottere? (Lys., 962-66)

(30. Continua)

Porto Genova, fermati ottanta “furbetti” con tamponi falsati

Da Torino a Genova, contagiato dal Covid e disposto al rischio di infettare pur di raggiungere il Marocco. Incurante di mettere a rischio centinaia di persone violando la quarantena, l’uomo – un marocchino di 30 anni residente a Torino – ha falsificato il certificato del tampone (necessario per viaggiare in Marocco) spedito dal Centro antidoping di Orbassano, mettendo sopra alla scritta “positivo” la parola “negativo”. Fermato dalla polizia di frontiera di Genova tre giorni fa, è indagato per falso aggravato e gli viene contestata la violazione del dpcm che impone la quarantena. Ma c’è un aspetto inquietante che emerge dai dati della “polizia del mare”: di casi come il suo ce ne sono molti. Sono già 80, dall’inizio della pandemia, i “furbetti”, diretti in Marocco o in Tunisia, denunciati a Genova per aver violato le norme Covid. Di questi, 20 avevano falsificato il certificato del tampone.

La storia del trentenne di Torino inizia nel quartiere Porta Palazzo, quando l’uomo si rivolge a un’agenzia di viaggi, che gli ricorda, come prevede la normativa in Marocco, che può partire soltanto con in mano un certificato di negatività al Covid. Il tampone viene effettuato al Centro antidoping di Orbassano, dove si rivolgono molti stranieri diretti in Africa. Qui iniziano la mattina presto. L’esito arriva quattro giorni fa: positivo. Ma il marocchino prende un bianchetto e cancella la scritta. Crea il falso negativo e si mette i viaggio per Genova, probabilmente in treno. Arrivato al porto, poco prima di mezzogiorno del 12 novembre, viene fermato dalla task force anti Covid composta da agenti di polizia di frontiera, medici e controllori delle compagnie marittime. Il suo certificato non convince. I sanitari, nel vederlo, sospettano che non sia sano. Il traghetto di Grandi Navi Veloci salpa senza di lui, che viene portato, per accertamenti, alla Asl. La conferma arriva in fretta: è positivo. Scatta subito la denuncia della polizia di frontiera, l’ultima di una lunga serie.

De Cecco, grano francese spacciato per pugliese: indagati i vertici per frode

“Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari”. L’abruzzese De Cecco, terza produttrice di pasta mondiale dietro Barilla ed Ebro Foods, dev’essere stata mandata in confusione dallo scherzoso modo di dire quando il 13 febbraio ha registrato come grano pugliese 4.575 tonnellate di materia prima francese. Ma i Carabinieri del Nas non ci hanno trovato niente da ridere. Così il pm Giuseppe Falasca della Procura di Chieti ha aperto un fascicolo per l’ipotesi di reato di frode in commercio e a luglio ha fatto perquisire gli uffici della De Cecco a Fara San Martino (Chieti), con il sequestro di materiale informatico e di posta elettronica. Tre gli avvisi di garanzia: al 76enne presidente operativo Filippo Antonio De Cecco, da anni monarca assoluto della società, al direttore acquisti Mario Aruffo e all’ex responsabile del controllo qualità Vincenzo Villani, licenziato a maggio. L’indagine è partita da una denuncia contro ignoti sporta il 28 maggio scorso ai Nas di Latina, riguardante l’importazione dalla De Cecco di 4.575 tonnellate di grano registrato come pugliese ma in realtà acquistato dalla società francese Cavac il 2 ottobre 2019, confermato il 19 novembre e fatturato il 31 gennaio. Il dettagliatissimo esposto di 5 pagine contiene molti allegati di particolare rilevanza investigativa. Tra questi spicca un’email datata 29 gennaio dell’ufficio acquisti De Cecco sul “prossimo imbarco di grano francese – Fornitore Cavac”: “Domani verrà caricata nuova nave di grano francese. Ecco i dati necessari per le coperture assicurative: nave M/V Right Step di partenza Les Sables d’Olone, Francia”. Il 30 gennaio un ordine di acquisto della De Cecco parlava di “grano francese”. Il 10 febbraio con un’altra email il direttore acquisti Aruffo, indagato insieme all’ex direttore controllo qualità Villani, scriveva al capo mugnaio, al coordinatore del controllo di gestione e alla segreteria di Filippo Antonio De Cecco: “Il presidente comunica che il grano francese in arrivo a Ortona il 13 febbraio dovrà essere considerato come grano pugliese”. Il 13 febbraio, così, gli uffici aziendali modificavano l’ordine di acquisto del 30 gennaio in “grano pugliese”. Sulle informazioni ai consumatori relative alla materia prima, l’Antitrust il 24 aprile 2019 aveva aperto un procedimento riguardante il packaging della pasta De Cecco. La procedura si era chiusa il 20 dicembre scorso con l’accordo a cambiare le scritte sulla provenienza del grano, indicandone l’origine italiana, californiana e dell’Arizona. Contattata con ampio margine di tempo, la De Cecco non commenta ma ribadisce di aver sempre condotto la sua attività nel pieno rispetto della disciplina normativa e regolamentare, anche a tutela di consumatori e clienti.