C’era una volta una bambina figlia di due genitori particolari, “mamma, alla fine degli anni Cinquanta, indossava i pantaloni di mio padre legati in vita con lo spago, non le interessavano i giudizi altrui. Papà era attore, tanta fantasia, meno certezze. E una nota passione per i casinò”.
C’era una volta un’adolescente che a quindici anni è stata “sollevata” dalla luce del Piper, una luce in grado di farla galleggiare sulle teste e i cuori dei suoi coetanei. Chi ha vissuto quel periodo ricorda che in tanti frequentavano il locale solo per vederla danzare, compreso Luigi Tenco. “Di lui non mi accorgevo”. Tanto da ricevere in dote una canzone dalle Orme: “Ed è lì sulla pedana. E lì ballavi un po’, sognavi un po’. E i riflettori su di te. Ti davano mille colori. Ma tu non guardavi mai la gente”.
C’era una volta una ragazza regina della televisione, attrice, incarcerata dalla sua stessa immagine e dal clamore (“I paparazzi mi seguivano dappertutto, anche in camera da letto”). Amori. Lotte. Addii. Politici. Gossip. Con Franco Califano e Adriano Panatta sulle copertine. “Eppure mi sentivo come Alice nel Paese delle meraviglie”.
C’è oggi una signora, Mita Medici, che ripensa alla sua vita e sorride, e mentre sorride ha nella mano sinistra un copione teatrale (“prima o poi riapriranno”) e nella destra una zappa per dare un presente e un futuro all’orto.
I suoi genitori.
Mamma di una bellezza fuori dal comune, ma senza alcun desiderio di utilizzarla come arma nei confronti dell’esistenza; una donna libera sia nelle apparenze sia nella sostanza, ma pronta al matrimonio pur di andare via dalla famiglia d’origine; papà era un celebre attore, Franco Silva, un uomo che abbinava estro, percorsi suoi, a principi saldissimi: era pur sempre il figlio di un generale dell’esercito.
Che vuol dire ‘percorsi suoi’?
Andavamo in giro per l’Italia, ci fermavamo in riva al mare con le coperte e dormivamo sulla spiaggia; poi aveva una passione smodata per i casinò: sono andata così tante volte a Sanremo da conoscere a memoria l’Aurelia. (Sorride) Però era iscritto al Pci: il partito era un’altra parte fondamentale della sua esistenza.
E lei?
Affascinata dai miei, erano una coppia pazzesca: quando uscivamo mi meravigliavo dell’ammirazione delle persone, si giravano tutti; poi in casa arrivavano i grandi del periodo, da Pietro Germi a Vittorio Gassman.
Il suo spazio tra loro?
Ho l’immagine di me piccolissima, forse avevo tre o quattro anni, al centro dell’attenzione mentre recitavo qualcosa e gli altri ridevano; quel percorso si è poi interrotto quando avevo sei anni, i miei si sono lasciati, e papà ha allentato il legame con noi.
Il vero riflettore è arrivato con il Piper…
Lì eravamo tutti amici, coinvolti in una piccola o grande rivoluzione contro i ‘matusa’; da noi veniva il mondo, avevamo fame di quel mondo, di conoscenza. Chi arrivava a Roma, dopo aver visitato il Colosseo, cercava di entrare nel locale.
Chi era il mondo?
Dai Pink Floyd a Hendrix…
Patty Pravo racconta del celebre spinello con Hendrix.
È vero, ma non c’ero; non è una questione di canna, qualcuna l’ho fumata, ma la droga non era centrale nel mio percorso; (sorride) avevo solo quindici anni, e potevo finire malissimo, mi ha salvato l’educazione familiare e una certa solidità economica.
Articolo 1 della sua educazione…
Io e mia sorella eravamo responsabili delle nostre azioni. Dovevamo risponderne. E questo mi ha protetta in ogni situazione.
Esempio.
Avevo sedici anni, Paolo Spinola venne al Piper, mi vide ballare e decise: ‘La voglio nel mio film (L’estate)’. Inizialmente rifiutai: ‘Non ho tempo, devo studiare, poi voglio ascoltare Radio Lussemburgo, e ho gli appuntamenti nel locale…’. Per convincermi, prima andarono da mia madre e poi mi consegnarono la sceneggiatura. E io: ‘I dialoghi sono sbagliati, noi ragazzi non parliamo così’. Risposta: ‘Può riscrivere la sua parte’.
Era in competizione con la Pravo?
No, ogni tanto ci vediamo ancora; lei, a quel tempo, per noi era la provinciale arrivata da Venezia, presa sotto l’ala protettiva di Crocetta e Bornigia (proprietari del Piper, ndr).
Renato Zero racconta delle vostre ‘vasche’ a piazza Navona, insieme anche alla Bertè, per cercare registi e proporsi.
Davvero? Certe situazioni non le ricordo più, ma ha sicuramente ragione.
Era ambiziosa?
Forse è un mio difetto, ma non tanto.
Quelli intorno a lei?
Alcuni da morire; (ci pensa) tra lavoro e vita ho sempre scelto la vita, e questo mi ha un po’ bloccato la carriera.
Tipo?
Nel 1978 ho preso l’aereo per gli Stati Uniti, in Italia giravano soprattutto film alla Giovannona Coscialunga. Non mi interessavano.
Le hanno offerto ruoli sexy?
Giusto per Emmanuelle: ho rifiutato senza rimpianti, non mi apparteneva.
Gli Stati Uniti.
Attenzione: per me non era la prima volta; (sorride) dopo aver vinto Miss Teenager, a 15 anni sono partita per Los Angeles e per rappresentare l’Italia al concorso internazionale.
Da sola?
Mamma non poteva, così mi affiancarono una giornalista a me sconosciuta; in California eravamo recluse nell’hotel, l’organizzazione aveva la responsabilità di un vasto gruppo di minorenni; allora sono fuggita, mi sono inoltrata nella città e ritrovata davanti a un campo recintato, colmo di persone, una nuvola di fumo ad avvolgerli. Sul palco c’era un tizio con i capelli lunghi. Un pazzo scatenato. Era Jim Morrison.
E…
Dopo un po’ ho sentito un tipo prendermi per la collottola e riportarmi in hotel.
Torniamo al 1978.
Ho frequentato l’Actor’s Studio sia di Los Angeles che di New York; proprio a New York, in un party, mi sono ritrovata in mezzo al Gotha del momento, da Al Pacino a De Niro: ogni volta che suonava il campanello e si apriva la porta, mi ritrovavo davanti a un pezzo importante di cinema; De Niro tempo dopo mi ha chiamato mentre vivevo a Los Angeles, ma ero fidanzata e avevo capito le sue intenzioni.
Ricorda Panatta: ‘Coppola e Al Pacino incitarono me e Mita a convivere’.
È vero, con Adriano già cercavamo casa, poi c’è stato qualche casino ed è finita; (sorride) in quell’età l’amore è frenetico: io ero innamorata di Gigi Riva, mentre lui già usciva con Loredana Bertè. Una sera, mentre ero in albergo durante una tournée, tentavo di sistemare l’antenna del mio baracchino; a un certo punto mi affaccio e dalla finestra li vedo insieme.
Dolore.
No, li ho semplicemente salutati, così ho esplicitato l’evidenza; (cambia tono e discorso) con Coppola avevo costruito un bel rapporto, ero al suo fianco mentre sceglieva il cast del Padrino. Ho tentato di strappare il ruolo di Apollonia (la moglie di Al Pacino, ndr), ma preferì, giustamente, Simonetta Stefanelli.
È un rimpianto?
No, ma ho spesso la sensazione di essermi trovata davanti a molte sliding doors.
La prima che le viene in mente?
Grazie a un agente statunitense giravo alcune pubblicità in Messico, con cachet altissimi: ogni volta rientravo a Los Angeles con i guadagni nascosti ovunque; in una pausa torno in Italia per salutare mia madre, con la promessa di altri progetti importanti. All’improvviso, però, l’agente scompare, non rispondeva più; chiedo a un amico di andare a controllare: era stato ucciso in una rapina. Da lì ho chiuso con l’esperienza estera, e nel 1980 sono definitivamente tornata.
Gossip: era circondata.
I paparazzi mi inseguivano, sempre: una volta ne ho beccato uno davanti alla finestra della camera da letto, mentre cercava di pizzicarmi con un amico.
Reazione?
Chi stava con me aveva un certo cipiglio, a momenti lo buttava di sotto; (pausa) comunque qualche volta il gossip mi ha allontanato gli uomini: non ne potevano più.
Non tutti erano come Califano…
Con Franco ci siamo conosciuti nel 1969 e siamo andati subito a convivere: uno scandalo per quei tempi, ero minorenne; (ride) nel primo appuntamento l’ho portato a vedere un film di Walt Disney su Paperino.
Eravate i vicini di Arbore…
Che divertimento, era un condominio particolare: al primo piano vivevano Mal e i Primitives, al secondo Renzo e Alberto Durante, al terzo io e Franco, al quarto Shel Shapiro, all’attico Enzo Maiorca; lì accadeva di tutto, si viveva nella tipica condivisione dell’epoca, compreso scambiarci il cibo dalle finestre attraverso un cestino, magari al grido ‘passame er sale!’.
Renato Zero da ragazzo.
Siamo coetanei, nati a un mese di distanza; (cambia tono) era un vulcano, con l’esigenza di esprimere se stesso ma con alla base una grande solidità, una grande sicurezza.
Come veniva trattato?
Per i capelli lunghi qualche schiaffo per strada lo ha preso, ma era sostenuto dalla maggior parte delle persone, perché in quegli anni c’era una grande voglia di sperimentare.
A vent’anni come ha vissuto la fama?
Ogni tanto mi scocciavo, mi fermavano in continuazione, con mia sorella che mi aiutava a capire: ‘Sono persone che ti vogliono bene’. E aveva ragione. Ma allora programmi come Canzonissima venivano visti da milioni di spettatori.
Con lei Pippo Baudo. Lui è mai stato giovane?
(Ride) Non credo, forse in alcuni momenti; noi due eravamo agli opposti, nelle primissime puntate ci siamo scontrati, soprattutto per il suo presenzialismo. Scocciata, domandavo ai responsabili del programma: ‘Ma che mi avete chiamato a fare? C’è sempre lui’; (ci pensa) già allora Pippo viveva per la tv e ora che è un po’ fuori mi domando come fa.
Difficoltà per la sua bellezza?
In alcune occasioni, ma sono sempre riuscita a controllare la situazione.
Che rapporto ha con il suo corpo?
Buono. Il mare è la mia vita, però amo la natura, vado spesso in campagna, zappo, pianto: è la mia palestra.
Il romanzo della sua vita?
Sono una giallista e Delitto e castigo è il massimo; però nella vita ho letto di tutto, casa era piena di libri: è fondamentale per un giusto imprinting e una coscienza critica.
Del passato, chi le manca?
Mio padre; lui è stato anche un amico, parlavamo di politica, poi mi è stato vicino in alcuni momenti particolari, nonostante la sua indole a sparire. (Ci pensa) Negli ultimi anni mi veniva a trovare a Milano mentre ero in scena con Ciao Rudy: alla fine dello spettacolo mi proponeva sempre di andare a mangiare a Campione.
Al casinò…
Dopo cena, ovviamente, finivamo al tavolo da gioco, ma con una variante rispetto a lui: nel momento in cui vincevo, prendevo i soldi e me ne andavo.
Un amico rimasto nel cuore.
Enzo Jannacci, uomo meraviglioso, piacevolmente imprevedibile; un pazzo razionalissimo, sostenuto da una grande rettitudine sociale.
Chi è lei?
Ho inciso una canzone intitolata Chi sono; (ci pensa) una donna abbastanza soddisfatta con un ruolo su questa terra. E anche una vecchia Alice nel Paese delle meraviglie.