L’odio del leghista: “Speriamo casa di Zinga si infetti”

“Speriamo che anche casa di Zingaretti sia bella infetta”. Il commento, alquanto sgradevole, si sarebbe potuto perdere tra le migliaia di insulti gratuiti scritti ogni giorno sui social network. Ieri però questo “augurio” al segretario del Pd è stato sottoscritto da Daniele Giannini, che nella vita è consigliere regionale della Lega nel Lazio, di cui Nicola Zingaretti è governatore.

Sotto a un post su Facebook che spiegava le necessarie precauzioni da prendere in casa per evitare il contagio, qualcuno ha infatti risposto a Zingaretti auspicandone l’infezione e Giannini ha talmente gradito il commento da lasciare un “Mi piace”.

Quando però il Partito democratico ha chiesto le dimissioni – o quantomeno le scuse – da Giannini, il leghista è caduto dalle nuvole: “Casa infetta? È Zingaretti che ha per primo accusato i cittadini di avere il virus dentro casa. Un’accusa assurda fatta per gettare la colpa di questo disastro sanitario sui cittadini”.

Nessun pentimento allora, in barba anche al ruolo istituzionale ricoperto da Giannini, che in Regione fa parte dell’Ufficio di presidenza. E così, nel silenzio del suo partito – che né si dissocia né gli chiede passi indietro – il consigliere si sente libero di proseguire la propria crociata contro il governatore, minimizzando il tutto: “Ora Zingaretti vuol fare la vittima per un like? Sono il primo a toglierlo, ma voglio ancora sapere tutto sulle mascherine, il caso Palamara, i dati sui tamponi, la chiusura del Forlanini, gli spritz”.

La sintesi della giornata arriva allora da Bruno Astorre, segretario del Pd laziale: “Dare il peggio di sé su Internet è facile, basta un like. Per il consigliere regionale della Lega, Daniele Giannini, novello leone da tastiera, non resta che un pollice verso”.

Morte Yusuf, Agrigento apre un’inchiesta

Sarà un’inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica di Agrigento a chiarire le circostanze del naufragio di mercoledì scorso in acque libiche, circa 30 miglia a Nord delle coste di Sabratha in cui hanno perso la vita sei migranti, fra cui il piccolo Yusuf, un neonato di 6 mesi originario della Guinea seppellito ieri a Lampedusa. L’inchiesta è a carico di ignoti e le ipotesi di reato, al momento, sono naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ieri è stato ultimato l’imbarco di un altro gruppo di migranti, ospiti dell’hotspot, sulla nave quarantena Azzurra dove, dopo giorni e giorni di operazioni di trasferimento, si è arrivati a complessive 650 persone. All’hotspot restano ora 690 migranti.

L’inchiesta è finalizzata anche ad accertare eventuali ritardi nei soccorsi, dopo l’allarme lanciato dalla Open Arms che è intervenuta in acque libiche. Oltre al cadavere del piccolo Yusuf, che è stato trasferito a Lampedusa insieme alla giovane madre che si trova adesso nel Centro di prima accoglienza dell’isola, i corpi delle altre cinque vittime sono stati portati dalla Open Arms a Trapani.

Ieri è cominciato il trasferimento di tutte le persone soccorse da Open Arms su nave quarantena: “Finalmente finisce la loro odissea in mare. Che l’Europa garantisca loro una vita libera e serena, quella che ciascun essere umano ha diritto di avere”, si legge in un tweet di Open Arms. E nella notte, 199 migranti tra cui 28 donne e 31 bambini, sono stati riportati in Libia dalla locale Guardia costiera, twitta l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) sottolineando come “la Libia non sia un porto sicuro per il ritorno”.

Sbarchi senza sosta in questi giorni, tanto che ieri la ministra degli Interni Luciana Lamorgese aveva parlato al consiglio della Ue per gli Affari interni, sottolineando come i Paesi di primo ingresso siano troppo gravati rispetto agli altri.

Strage Moby Prince, l’ultima prescrizione. Nessun risarcimento ai familiari delle vittime

Nessuna giustizia e niente risarcimenti per i familiari delle 140 vittime del Moby Prince, il traghetto che il 10 aprile 1991 entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo al largo del porto di Livorno. È tutto prescritto. Il Tribunale civile di Firenze ha respinto la richiesta di risarcimento dei familiari delle vittime contro il Ministero dei Trasporti e della Difesa sulla base delle nuove verità emerse nel 2018 dalla commissione d’inchiesta che aveva portato alla riapertura delle indagini. “Il diritto risarcitorio deve ritenersi prescritto – scrive il giudice – per il decorso di due anni dei termini dalla data della sentenza della Corte di Appello divenuta irrevocabile” il 5 febbraio 1998 con l’assoluzione dei marinai della Capitaneria di porto. Il giudice, diversamente dal caso Ustica, ha respinto la richiesta anche perché non ha ritenuto “nuove” le verità della commissione d’inchiesta. Ma non la pensano allo stesso modo i pm che hanno riaperto le indagini dopo trent’anni: ma anche qui, a meno che non sia ipotizzato il reato di strage, tutto cadrà in prescrizione.

Mail Box

 

41 bis, ci scrive Mancini, pentito della “Magliana”

Alla fine degli anni settanta, primi anni ottanta, gli anni delle Brigate Rosse, della guerriglia sulle strade, delle carceri speciali, i diritti dei detenuti erano stati rasi al suolo. Poi iniziò a circolare una voce: “A Potenza ce sta un giudice di sorveglianza dal nome strano che non permette abusi sui detenuti”. Una fiammella di speranza in un posto dove, citando Pino Daniele, “ ’A speranza è semp’ sola”. Henry John Woodcock era quel nome strano, un nome talmente “strano” che una volta rimasto nella memoria, non lo dimentichi più, e infatti io personalmente non l’ho mai dimenticato. Da criminale ieri e “pentito” oggi, sento il bisogno e il dovere dire la mia: il 41-bis oggi, come l’articolo 90 ieri, è la tortura e stortura messa in atto da un Paese democratico per costringere i reclusi a pentirsi, molto somigliante al mantou ripieno di carne e fagioli con cui i carcerieri dei campi di rieducazione cinesi premiano i prigionieri che collaborano con il regime. Un “pentimento” in cattività può nascondere delle insidie perché il fatto di non avere la forza di sopportare una detenzione dura, pur di non ritornarci, può spingere a una collaborazione ad libitum con annessi e connessi.

Per quanto riguarda il mio, di “pentimento”, esso è maturato fuori, dopo avere scontato undici anni tra carceri duri e soft, e con l’imminente nascita di mia figlia.

Soltanto la lungimiranza e l’umanità possono sconfiggere il male, non certo una girata di chiave in più al blindato, le lenzuola grezze e ringhiate di paura. Grazie per l’ospitalità e lunga vita al Fatto Quotidiano.

Antonio Nino Mancini

 

Leggo “Il Fatto” perché è un giornale valoroso

Giorni fa un signore che compra il giornale nella mia stessa edicola mi dice: “scusi, posso farle una domanda?”. Io naturalmente rispondo affermativamente. Ecco la domanda: “Lei che è conosciuta come una persona colta e a modo, perché legge Il Fatto?”. Ho risposto: “perché la penso come Manzoni, è un giornale ‘vergin di servo encomio e di codardo oltraggio’”.

Giuseppe Trippanera

 

Due semplici domande per Castellucci e soci

Se avessi l’occasione di incontrare gli alti vertici della profittevole ditta Castellucci & C., rivolgerei loro due semplici domande: E adesso come state? C’era bisogno? La considerazione finale, onestamente, la eviterei.

Diego Merigo

 

Mi chiedo come sarebbe stato il ritorno alla lira

Come sarebbe oggi la situazione nel nostro Paese se, prima del Covid, fossimo usciti dall’Unione europea e fossimo tornati alla nostra liretta come proposto da illustri politici ed economisti?

Lucio Cestaro

 

De Luca sfida Di Maio ma non vuole confronti

Possibile mai sentire un arrogante come Vincenzo De Luca che sfida Di Maio in un duello televisivo, quando il “buon” governatore parla sempre e solo su Facebook, evitando qualunque confronto?

Domenico Musto

 

Protezione alle aziende di B., ma non a Parmalat

Come mai è stato approvata una sorta di “golden power” nei confronti del settore tlc al fine di proteggere le aziende di B. e non venne fatta dallo stesso ai suoi tempi nei confronti del settore lattiero-caseario, così che i francesi si poterono portare via la Parmalat? Forse il fatto spiega l’atteggiamento “collaborativo” che ha B. nei confronti del governo.

Aldo Abbazia

 

Come si stabiliscono le zone rosse?

Ho condiviso fino ad ora le misure sanitarie del governo. Ritengo, però, che gli ultimi provvedimenti non siano proporzionati alle situazioni del Paese. Considerare Lazio, Liguria, ecc., territori a minor rischio pandemico e inserire tra le zone rosse la Calabria – la cui percentuale dei contagi, il 4/11 scorso, era meno della metà di quella della Campania – suscita non poche perplessità. Sembra che nella definizione delle aree a rischio abbia inciso anche il peso politico di ciascuna regione. Quello della Calabria è pari a zero: viene considerata una vera e propria “colonia”, commissariata da anni dal governo senza alcun risultato sostanziale, eppure idonea a curare con successo i malati di Bergamo.

Amedeo Toraldo

In pace. “Unità nelle cose necessarie, libertà in quelle dubbie, carità in tutte”

Come si vive nella chiesa la diversità di opinione su questioni non proprio centrali della fede cristiana? Con comprensione reciproca e tolleranza, risponde l’apostolo Paolo in Romani: “Tutti dovremo presentarci davanti a Dio, per essere giudicati da lui… Ognuno di noi dovrà quindi render conto… Smettiamo allora di giudicarci a vicenda”. L’apostolo deve insistere nella sua argomentazione perché sapeva che i suoi interlocutori avrebbero faticato ad accettarlo. Non abbiamo nessuna difficoltà a crederlo: ci è ben nota l’attitudine umana all’incomprensione e al giudizio affrettato, specie in questo tempo in cui i social media consentono facilmente di diffondere le peggiori sciocchezze e falsità suscitando inutili contrapposizioni, intolleranza e odio.

Però, che sia proprio l’apostolo Paolo a parlare di tolleranza può stupire chi conosca un po’ i suoi scritti. Nella prima parte della lettera ai Romani, infatti, egli proclama l’evangelo con estrema intransigenza, contrapponendolo ad altre vie di salvezza del suo tempo. E nella sua lettera ai Galati arriva a dichiarare: “Chiunque vi annuncia un evangelo diverso da quello che avete ricevuto sia maledetto”. Ma poi, in modo sorprendente, troviamo parole come: “Ma tu perché giudichi tuo fratello?” (Romani), “smettiamo di giudicarci a vicenda”. Perché? Perché Paolo ha capito che nelle questioni di fede bisogna concentrarsi sull’essenziale, come ha insegnato Gesù (“Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello”, Matteo). Il resto può essere lasciato a una varietà di posizioni. Certo, nell’ambito di quel patto fondatore che è alla base di ogni comunità umana, civile e religiosa, nell’ambito cioè di una condivisione reale dei valori di fondo della fede e del comportamento personale e collettivo. E poi perché Paolo ha capito che non si può anticipare il giudizio di Dio pretendendo che equivalga ai nostri giudizi (“Tutti dovremo presentarci davanti a Dio, per essere giudicati da lui”).

È relativismo questo? È la tanto temuta incertezza dottrinale che minerebbe la solidità del cristianesimo di oggi? Come si spiega, allora, che l’unica domanda, l’unica, che Gesù Risorto pone a Pietro (l’apostolo che l’aveva tradito nel momento più buio del venerdì di Pasqua) quando lo ritrova sulle rive del lago di Galilea sia: “Pietro mi ami tu?” (Giovanni). Glielo chiede tre volte, perché per tre volte Pietro lo ha rinnegato in quella tragica notte. “Mi ami tu?” alla fine è la sola cosa che conta, da cui tutto discende. Se ami Gesù, lo ascolti, lo segui e lui ti guiderà, e ti farà conoscere altri fratelli e altre sorelle, magari diversi da te, come lo sono i nostri fratelli e sorelle carnali, ma tutti appartenenti alla stessa grande famiglia di Dio. In questo quadro “familiare”, possiamo anche criticarci, distinguerci, ma sempre con rispetto, senza pregiudizi e odio.

Questo principio si trova sintetizzato in una frase, erroneamente attribuita a Sant’Agostino ma che è invece di un teologo luterano, Peter Meiderlin, il quale scrisse in un suo testo del 1626 in cui invitava alla pace nella chiesa e tra teologi: “Unità nelle cose necessarie, libertà in quelle dubbie, carità in tutte”. Parole che si trovano oggi nel motto di alcune chiese protestanti (la Chiesa Morava e la Chiesa presbiteriana Usa, per esempio) ma che purtroppo hanno dovuto attendere il Novecento per iniziare a essere messe in pratica per costruire la fraternità cristiana e la fraternità umana. C’è ancora molta strada da fare. Nel cuore delle istituzioni e nel cuore delle persone.

*Già moderatore della Tavola Valdese

 

Agente McCarrick, l’ultimo spretato

L’affresco di quarant’anni di vita, attività, successi, crimini e peccati dell’ormai spretato cardinale americano Theodore McCarrick non deve interessare solo per comprendere i segreti della sua ascesa (e caduta) all’interno della Chiesa e delle gerarchie cattoliche. Perchè il cosiddetto “McCarrick report”, ordinato da Papa Francesco alla fine del 2018, è una miniera di fatti utili a comprendere il suo ruolo nel soft power non solo del Vaticano, ma anche degli Stati Uniti d’America.

Ne emerge un ritratto dell’ex arcivescovo di Washington come di un prelato che letteralmente “sussurrava ai presidenti” degli Usa e che ha agito in nome e per conto del Dipartimento di Stato per decenni su almeno quattro scenari mondiali di prima grandezza: Cina, Medio Oriente, Africa, Cuba (dove ebbe un ruolo chiave nella normalizzazione dei rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti, anche se lui schermendosi affermò di essersi limitato a fare il “postino” di Obama).

Con sullo sfondo anche il dialogo con l’Islam.

È stato un “agente”, nel senso più alto del termine, e questo certamente potrebbe aver contribuito a farlo rimanere fuori dai radar per i suoi reati sessuali. Parafrasando la celebre frase di James Bond, lo “zio Ted” – così si faceva chiamare dai suoi “nipoti” che in realtà erano le sue vittime – avrebbe potuto presentarsi così: “Il mio nome è Ted, zio Ted”. Simpatico, intelligentissimo, con un’enorme capacità di lavoro, e un vero globetrotter. La lista dei suoi viaggi all’estero riportata dal Rapporto è impressionante. Anche se non fu mai un diplomatico della Santa Sede, vi si legge ancora. E lui stesso si definiva in proposito “un dilettante”.

Ma, tanto per fare un esempio, nel 2014 il Washington Post descrisse il viaggio di McCarrick nella Repubblica Centraficana, come una “State Department mission”. E ciò avvenne dopo che la prima accusa circostanziata e firmata da una sua vittima (citato nel Rapporto come Prete 3) era stata presentata (2013) nei tribunali americani e portata a conoscenza della “ambasciata” vaticana, senza che venisse mai investigata dall’allora Nunzio apostolico a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò. Chissà perché.

Solo leggendo gli archivi d’Oltreoceano su McCarrick si potrà capire “chi, attraverso di lui, ha usato chi” (tra Vaticano e Stati Uniti). Ma molto probabilmente ciò non avverrà tanto presto.

La telefonata di Biden. Nel Rapporto McCarrick viene citata integralmente una lettera inviata il 19.1. 2009 – il giorno prima dell’insediamento dell’amministrazione Obama – dallo zio Ted al Cardinale Re. Re, allora prefetto della Congregazione dei vescovi (oggi è il Decano del Sacro Collegio), nel 2008 gli aveva imposto per iscritto, su disposizione di Benedetto XVI, l’obbligo di mantenere una vita riservata. “Ho ricevuto una serie di richieste dal subentrante governo degli Stati Uniti a partecipare a eventi pubblici. Li ho rifiutati tutti (…) Ho pertanto respinto richieste dell’Ufficio del Presidente eletto perché fossi presente a determinati momenti di preghiera e svolgessi un ruolo nel National Prayer Service. Il disappunto per la mia indisponibilità è stato evidenziato da una telefonata personale del Vice Presidente eletto, il Senatore Joseph Biden. Credo di aver gestito ciò senza perdere un amico per la Chiesa o per me stesso, ma è molto difficile”. Subito dopo McCarrick aggiunge una notazione significativa, tra parentesi: “(Cara Eminenza, è così interessante che la mia reputazione tra così tanti miei fratelli vescovi e tra i capi di governo, che hanno accesso alle agenzie investigative, rimanga ancora così alta, che mi vogliono presente alle loro funzioni, mentre la Chiesa sembra non volere avere alcuna fiducia in me)”. Da notare, l’aggettivo “interessante”.

Fbi e Kgb. Già a metà degli anni Ottanta il profilo in ascesa di McCarrick attirò l’attenzione dell’Fbi e persino del Kgb. Un agente sovietico, che godeva di copertura diplomatica come vicecapo della missione all’Onu per l’Urss, lo avvicinò, e per questo l’Fbi chiese a McCarrick di operare come agente di controspionaggio. Sebbene egli ritenesse che fosse meglio rifiutare, l’Fbi insistette, contattandolo nuovamente. Nel gennaio 1985, il Nunzio Pio Laghi ritenne che McCarrick “non avrebbe dovuto essere negativo” riguardo alla possibilità di servire come risorsa dell’Fbi. Non è chiaro, tuttavia, se l’ex cardinale alla fine abbia accettato la proposta Fbi e nessun documento indica ulteriori contatti con l’agente del Kgb. In un’intervista condotta per il Rapporto e lì riportata, l’ex direttore dell’Fbi, Louis Freeh, pur non avendo familiarità personale con l’episodio, ha affermato che McCarrick sarebbe stato “un obiettivo di altissimo valore per tutti i servizi [di intelligence], ma in particolare quelli russi a quel tempo”.

Bush e il dialogo Cina-Vaticano. Nel 2001 l’amministrazione Bush coinvolse un entusiasta McCarrick (che lo considerava coerente con l’approccio sul tema di Giovanni Paolo II) nel cosiddetto “progetto Cina”, il cui scopo era quello di far in modo che la Repubblica Popolare e la Santa Sede stabilissero relazioni diplomatiche formali, vent’anni prima del recente e più limitato accordo sulla nomina dei vescovi, firmato e rinnovato sotto Papa Francesco. Da lì iniziarono viaggi regolari di McCarrick in Cina, ripresi più di recente sotto Papa Francesco. Come in passato, i viaggi avvenivano con passaporto statunitense, e sono stati sempre riferiti in comunicazioni scritte e incontri in Vaticano e con il Papa. Il 30.9.2015, Ted scrisse a Francesco: “Con l’aiuto di Dio, prima che Egli mi chiamerà a Sé, aiuterò a portarLe la Cina e il grande sogno di Matteo Ricci inizierà a essere realizzato ancora una volta”. In un’altra lettera al Pontefice (8.3.2016), McCarrick riferì sulle sue attività in Cina e sul dialogo interreligioso con l’Islam. Lo stesso giorno mandò una lettera anche al segretario di Stato Pietro Parolin, esprimendo la propria gratitudine per il loro recente incontro: “Io tengo in grande considerazione le Sue istruzioni sulla questione della Cina e il Suo interesse per il lavoro dei nuovi canali arabi”. Leggasi, gli sciiti.

 

Nel Mediterraneo milioni di tonnellate di plastica a mollo

In Italia – Secondo il Cnr-Isac, con 0,8 °C sotto media ottobre 2020 a scala nazionale è stato fresco come non si vedeva dal 2003 (curiosamente era l’anno dell’epocale calura estiva). Gli eventi freddi sono sempre più rari, e novembre si è già riallineato all’anomala tendenza calda di questi tempi con 3 °C di troppo nella prima metà del mese al Nord. Nell’ultima settimana nulla di rilevante è accaduto sotto l’anticiclone “Scott” proteso dalla Russia fino a noi. Atmosfera stagnante, nebbiosa e inquinata nelle pianure del Settentrione e nelle conche interne della penisola; soleggiato sulle Alpi ancora spoglie di neve fino a 2.500 metri, addensamenti a tratti al Centro-Sud, ma piogge modeste solo su Levante ligure e alta Toscana giovedì-venerdì per aria umida dal mare (al più 20-40 mm). Niente gelo notturno – e non ne è in vista – temperature massime fino a 23 °C nei giorni scorsi a Napoli, Trapani e Cagliari, da 3 a 6 °C sopra media. Nebbie a parte, un’estate di San Martino fin troppo estiva.

Nel mondo – Poche volte si parla delle sorprendenti anomalie climatiche in zone quasi disabitate come le isole artiche. I ricercatori della Stazione “Dirigibile Italia” a Ny Ålesund (Svalbard, Norvegia, 79° Nord) comunicano che mercoledì 11 la temperatura è salita a 7,3 °C (12 °C sopra media) e insieme a una pioggia intensa ha fuso tutta la neve al suolo. Il Norsk Polarinstitutt conferma l’eccezionalità: 9,4 °C al Reindalspasset, a 150 km dalla base scientifica italiana, temperatura più elevata in novembre in tutto l’arcipelago delle Svalbard in 110 anni di misure. Negli ultimi giorni nuovi primati di caldo per il mese anche in Svezia (16,6 °C alle isole Åland), Canada orientale (22,4 °C a Montreal, 23,0 °C a Toronto, 25,1 °C nella provincia del New Brunswick), Midwest (27,8 °C a Madison, Minnesota), Marocco (34,0 °C a Melilla), alle Maldive (33,4 °C) e nell’Amazzonia boliviana (41,3 °C). Giovedì, allagando la Florida, l’uragano tropicale “Eta” ha concluso il suo tortuoso tragitto tra Caraibi, America Centrale e Golfo del Messico, lasciando un tragico bilancio di 165 vittime e oltre cento dispersi per lo più in Guatemala e Honduras. Nel frattempo tra le Canarie e le Azzorre nasceva “Theta”: in pieno oceano non ha fatto danni, ma essendo la ventinovesima tempesta tropicale dell’anno nel Nord Atlantico, porta il 2020 a superare il record di episodi del 2005 (28 tempeste). E nel Mar dei Caraibi già si è formata “Iota”, numero trenta di una stagione eccezionale! Le Filippine sono tra i Paesi più massacrati dai tifoni: subito dopo il distruttivo “Goni” di inizio novembre sono transitati “Etau”, poi approdato con alluvioni in Vietnam (fino a 858 mm di pioggia), e “Vamco”, con raffiche di vento a quasi 200 km/h e almeno 37 vittime. Inondazioni anche in Uganda, Zimbabwe, Repubblica del Congo, Somalia, Indonesia, Nuova Zelanda e Creta (250 mm di pioggia il 10 novembre, decine di salvataggi). Il rapporto The Mediterranean Mare Plasticum dell’International Union for Conservation of Nature dice che oltre un milione di tonnellate di plastica si sono accumulate finora nel Mediterraneo e, dei trentatré Paesi che vi si affacciano, l’Italia è seconda dopo l’Egitto tra i maggiori contributori con 34 mila tonnellate/anno. Solo un miglioramento della gestione dei rifiuti e dei comportamenti individuali e la messa al bando di prodotti usa-e-getta potranno attenuare questa piaga per la salute degli ecosistemi e anche umana. Lo scrittore Jonathan Franzen nel suo pamphlet E se smettessimo di fingere? Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica (Einaudi) invita a prendere atto che solo rendendoci conto di essere già in piena emergenza climatica potremo prepararci ad affrontarla.

 

Donald, lo “zio matto” che tarda ad andarsene

Qualcuno aveva promesso un soccorso che non è arrivato. Se no, come spiegare il trascinarsi di Donald Trump, ex presidente degli Stati Uniti, nelle stanze della Casa Bianca dove dovrebbe preoccuparsi solo del passaggio delle consegne? Direte che sarà una transizione difficile. Ma solo per lui. Nessuno, in nessun luogo, ha notato anomalie o errori o ha gridato al lupo del broglio.

È vero che l’esclamazione esasperata di Savannah Guthrie, coraggiosa giornalista della Nbc, – “Ma lei non è lo zio matto, è il presidente degli Stati Uniti!” – resta la più efficace descrizione della presidenza di Donald Trump, che ha tentato, a rischio del suo Paese, di raddoppiare. Ma è anche vero che quella di Trump è la follia descritta dalla biologa Barbara Gallavotti quando dice che i “negazionisti sono in buona fede perché in loro interviene qualcosa non tanto dissimile da quello che accade in certe forme di demenza, in cui alcune zone del cervello ricevono informazioni false e le inviano alla parte del cervello incaricata del pensiero razionale, la quale fa degli sforzi per dare un senso a quelle informazioni”. Ma conclude la Gallavotti: “È altrettanto vero che il negazionismo danneggia la nostra esistenza perché ci impedisce di vivere nel mondo reale e dobbiamo fare la fatica di dare senso a cose che non ce l’hanno”.

Certo si può imputare a Trump di avere posto questa fatica sulle spalle degli americani, inventando il muro con il Messico e l’idea folle e crudele di strappare i bambini dalle madri se tentavano di passare il confine americano. Non credo però che sia utile cercare di andare a fondo nella storia dello zio matto. Il peggio lo ha già fatto (smontare e lasciare sul terreno, in pezzi, la democrazia americana non era un compito semplice eppure in buona parte riuscito) e non ci dice niente il comportamento di quelli che sembrano i suoi ultimi giorni, come non ci dice niente l’enorme danno arrecato al mondo dal povero Mussolini quando lo trovano vestito da tedesco su un camion in fuga. Mussolini, nei testi ricostruiti dai biografi e dai registi parla spesso di “accordi non mantenuti”, di “aiuti non arrivati” e di “tradimento”. Io sono in attenta attesa di questa parola da parte di Trump, perché l’impressione che lascia nel suo shakespeariano vagare per la Casa Bianca che dovrà abbandonare, giureresti che attendeva qualcosa che doveva accadere (o nella sezione “brogli” o nella sezione “rivolta di popolo”). Ma non è accaduto. Meglio dire: non ancora. Forse l’immensa dimostrazione popolare di gioia esplosa in tutta l’America appena si è intravista la vittoria di Biden ha cambiato i piani e i progetti o anche solo i fatti esemplari che avrebbero dovuto dare una spinta a Trump inteso come vero vincitore.

Ma la missione affidata a Trump non sembra esaurita. Primo, l’uomo che sembra vagare, forse irrimediabilmente colpito dalla sconfitta, compare venerdì in pieno giorno (raro per gli interventi pubblici importanti, ma utile per arrivare ai telegiornali) e non parla di elezioni. Parla da presidente e annuncia che per merito suo sono già disponibili due vaccini antivirus “pronti alla velocità della luce” (in “due giorni”). Sembra un annuncio festoso per liberare l’America dall’ansia della pandemia a spese del grande personaggio americano, e invece è un clamoroso colpo di scena politico. Primo: arriva prima di Biden il vaccino, non domani, ma subito. Secondo: è opera del suo lavoro stupidamente irriso, perciò nessuno faccia lo spiritoso sul presidente inadeguato. Terzo: chi avrà voglia di discutere sullo sgombero della Casa Bianca se questa Casa Bianca ha il talismano della guarigione in mano?

Vi sono anche conseguenze solo apparentemente minori di questa dichiarazione che era sembrata una scusa per restare in vista. Vi pare che proprio adesso i senatori repubblicani cominceranno a usare gentilezze al partito democratico e al presidente eletto? Vi sembra il momento in cui la Camera dei Rappresentanti diventerà all’improvviso un’oasi di cooperazione? Niente cambia i risultati elettorali, che il mondo comincia a riconoscere. Ma è bene ricordare che Trump è un mago nell’arte del guastare la festa e anzi di appropriarsene, se si riesce a truccare la scena. Bisogna convenire che è stata una clamorosa idea convocare una conferenza stampa senza domande, di pomeriggio, non per parlare di politica e della eventuale sconfitta subita, ma per annunciare: “Vi porto due versioni immediatamente efficaci della miglior cura del virus. Scordatevi le pozioni di Pfizer-Biden”.

Dunque il soccorso è arrivato. Forse non tratterrà lo zio matto alla Casa Bianca, o almeno non subito. Ma è sicuro che creerà un bel po’ di disordine, con qualche arma in giro e qualche nero di troppo, quel tipo di disordini che piacciono alla vera destra.

 

Non c’è Strada nella Sanità calabrese

 

“Ma cosa c’entra Gino Strada? La Calabria è una regione dell’Italia, non abbiamo bisogno di medici missionari africani, non ne abbiamo la necessità. Abbiamo bisogno che in Calabria, dove ci sono fior di professori, si cerchi qui chi si deve occupare della sanità calabrese”.

Antonino Spirlì, presidente facente funzione della Regione Calabria

 

È del tutto naturale che chi muove i fili della sanità calabrese – 3,5 miliardi l’anno, il 75 per cento del bilancio regionale, 20 mila dipendenti – preferisca fare affidamento sui personaggi che fanno la fortuna di Maurizio Crozza piuttosto che su Gino Strada. Perché con un commissario governativo come l’ex generale suonato come un tamburo, e dimissionato (“non so se sono stato drogato”), o come l’irascibile successore, negazionista della mascherina, certi potentati possono stare tranquilli. Non ha torto chi (Marco Bentivogli sul “Foglio”) osserva che “nessuno ha chiesto a Speranza, Boccia, Emiliano la ratio con cui avevano nominato cotanti ‘tecnici’” (senza dimenticare l’esperto pugliese di talismani e cationi). Anche se non si sente la necessità di rimpiangere le lottizzazioni dei bei tempi andati. Le nomine odierne sono, come allora, frutto della “caporalizzazione” dei partiti, con l’unica differenza che i gestori del settore si chiamavano portaborse.

Per tornare alla sanità calabrese, altro discorso riguarda lo Spirlì che – non inganni la sciarpetta bohemien e l’aria pazzerella – ha ben presente il perimetro di fuoco entro il quale muoversi. Messaggio chiave la calabritudine del “si cerchi qui dove abbiamo fior di professori”, del “non abbiamo necessità di medici missionari”. Un sacrosanto orgoglio etnico, e meridionalista mai del resto mortificato da interferenze esterne, visto e considerato che non si conoscono assessori alla Sanità di un certo peso che non fossero espressione della politica regionale. Così come non risultano essere fenomeni importati (molto attivi al contrario nel ramo esportazione) i circoli massonici e la ’ndrangheta, da sempre soggetti appaltanti nei capitoli di spesa greppia, minacce e spolpamento. Senza dimenticare la Calabria dei Francesco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio Regionale assassinato nel 2005 per ordine dei clan che lo consideravano evidentemente un ostacolo. Per non parlare dei tanti amministratori onesti, costretti a subire un calvario di intimidazioni e dimissionamenti. Se questo è il contesto (e lo scontro) non suscita meraviglia che il possibile arrivo di un “medico missionario” come responsabile Covid (nato per giunta a Sesto San Giovanni) generi da quelle parti viva sorpresa e vasta preoccupazione. E che a dar man forte ai vari Spirlì si mobiliti a Reggio Calabria l’estrema destra con manifesti e striscioni contro il fondatore di Emergency. Tutti costoro hanno le loro ragioni a essere assai allarmati da un signore che nei contatti avuti con il premier Conte avrebbe posto come unica condizione non venire a fare “la foglia di fico”. Soprattutto, aggiungiamo noi, per ciò che riguarda le modalità di spesa del pubblico denaro. Certo, per uno che ha fatto il chirurgo nell’inferno afghano certi avvertimenti lasciano il tempo che trovano. Tuttavia, quando abbiamo appreso dal suo entourage che “dopo Conte nessuno si è più fatto sentire” non sapevamo se essere più delusi o più sollevati per lui.

 

Il raccolto miracoloso di Bernard e le strane voglie della vedova Maria

Dai racconti apocrifi di Marivaux. Claude e Bernard, due contadini normanni, si recarono a Pourville per comprare dei semi per i loro campi. Claude, acquistati i suoi, tornò alla taverna dove avevano preso alloggio, cenò, e si fece un buon sonno. Bernard invece passò la serata con dei buontemponi. Il giorno dopo, sulla via di casa, Claude si disse molto contento dei semi che aveva comprato. Bernard invece era perplesso: “Ieri mi sono ubriacato di Calvados, e a quanto pare ho dato tutti i miei soldi a un vecchietto strano, con degli occhi luccicanti e una lunga barba rossa, per due sacchi di semi che mi ha giurato hanno proprietà magiche”. “Quali proprietà?”. “Che ne so? Ero così ubriaco che mi vergogno pure di ripetere le sue bugie”.

Il giorno dopo, Claude seminò il suo campo e Bernard il proprio. Vennero le piogge di primavera e poi il sole caldo di giugno: l’orzo di Claude era uno splendore, ma il raccolto di Bernard fece restare entrambi allibiti. Il suo ettaro sembrava un’enorme distesa di cazzi eretti, le turgide cappelle rosse come papaveri. Bernard scoppiò a piangere, e si strappava i capelli, mentre Claude rideva. “Mi chiedo come farai a venderli, questi, amico mio”. Ma Bernard odiava l’idea di essersi rovinato, e non voleva dargli soddisfazione. Quando il raccolto fu maturo, falciò i fusti, alti 60 cm; incartò cinquanta degli esemplari migliori in fine carta velina; li caricò sul biroccio; li ricoprì con una tela; e si diresse in paese, dove posizionò il suo banchetto all’ingresso di un cimitero. Quando ne uscì una giovane e bella vedova in lacrime, intonò: “Piselloni! Chi li vuole questi bei piselloni?”. La donna in gramaglie non riusciva a credere alle sue orecchie. Disse alla cameriera: “Va’ a vedere se quel contadino è ubriaco. Scopri cosa vende”. La ragazza tornò sbalordita. Arrossendo, disse: “Signora, mi imbarazza dirlo, ma ricordano quello che il macellaio ha fra le gambe”. “E quanto costano?”. “Chiede 100 franchi ciascuno”. “Comprane due. I migliori, mi raccomando”. Quando arrivarono a casa, la vedova non vedeva l’ora di sollevarsi le gonne e provare uno dei piselloni nel posto lasciato vuoto ormai da un mese; ma l’arnese non entrava. Costernata, chiamò la cameriera: “Stupida, ti sei dimenticata di chiedergli le istruzioni. Corri dal contadino, e fattele dare”. Il contadino ricordava che il vecchietto con la barba rossa gli aveva detto che si doveva urlare “No! No!” perché la magia funzionasse. “E c’è anche un’altra parola magica, da dire in caso di un guaio diverso, ma ti costerà altri 100 franchi”. La cameriera tornò con l’informazione.

Chiusa la porta, Maria, deliziata, si sdraiò sul letto, urlò “No! No!” e scoprì che l’inserimento funzionava in modo meraviglioso: entrambi i piselloni sembravano penetrarla con una volontà propria, e funzionavano così egregiamente che presto ne fu esausta; ma adesso, per quanto provasse a tirare, non riusciva più a estrarli. E non si fermavano! “Presto!” ordinò alla cameriera. “Vai a farti dire da quell’imbroglione qual è il segreto”. “Voleva altri 100 franchi”. “Portaglieli subito! Sto morendo!”. Quando tornò, la cameriera la trovò sul letto priva di sensi, la lingua fuori dalla bocca. Subito urlò la parola magica appena comprata: “Brù!”. All’istante, i due piselloni sgusciarono fuori, e la padrona rinvenne. Le fu così grata che gliene regalò uno; ed entrambe vissero per sempre felici e contente, non come quelle donne compiacenti che per la voglia si concedono sull’erba al primo venuto, e se sopraggiungono complicazioni lo fanno sapere a un fesso vantaggiosamente sposabile, che si presta all’estorsione.