L’affresco di quarant’anni di vita, attività, successi, crimini e peccati dell’ormai spretato cardinale americano Theodore McCarrick non deve interessare solo per comprendere i segreti della sua ascesa (e caduta) all’interno della Chiesa e delle gerarchie cattoliche. Perchè il cosiddetto “McCarrick report”, ordinato da Papa Francesco alla fine del 2018, è una miniera di fatti utili a comprendere il suo ruolo nel soft power non solo del Vaticano, ma anche degli Stati Uniti d’America.
Ne emerge un ritratto dell’ex arcivescovo di Washington come di un prelato che letteralmente “sussurrava ai presidenti” degli Usa e che ha agito in nome e per conto del Dipartimento di Stato per decenni su almeno quattro scenari mondiali di prima grandezza: Cina, Medio Oriente, Africa, Cuba (dove ebbe un ruolo chiave nella normalizzazione dei rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti, anche se lui schermendosi affermò di essersi limitato a fare il “postino” di Obama).
Con sullo sfondo anche il dialogo con l’Islam.
È stato un “agente”, nel senso più alto del termine, e questo certamente potrebbe aver contribuito a farlo rimanere fuori dai radar per i suoi reati sessuali. Parafrasando la celebre frase di James Bond, lo “zio Ted” – così si faceva chiamare dai suoi “nipoti” che in realtà erano le sue vittime – avrebbe potuto presentarsi così: “Il mio nome è Ted, zio Ted”. Simpatico, intelligentissimo, con un’enorme capacità di lavoro, e un vero globetrotter. La lista dei suoi viaggi all’estero riportata dal Rapporto è impressionante. Anche se non fu mai un diplomatico della Santa Sede, vi si legge ancora. E lui stesso si definiva in proposito “un dilettante”.
Ma, tanto per fare un esempio, nel 2014 il Washington Post descrisse il viaggio di McCarrick nella Repubblica Centraficana, come una “State Department mission”. E ciò avvenne dopo che la prima accusa circostanziata e firmata da una sua vittima (citato nel Rapporto come Prete 3) era stata presentata (2013) nei tribunali americani e portata a conoscenza della “ambasciata” vaticana, senza che venisse mai investigata dall’allora Nunzio apostolico a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò. Chissà perché.
Solo leggendo gli archivi d’Oltreoceano su McCarrick si potrà capire “chi, attraverso di lui, ha usato chi” (tra Vaticano e Stati Uniti). Ma molto probabilmente ciò non avverrà tanto presto.
La telefonata di Biden. Nel Rapporto McCarrick viene citata integralmente una lettera inviata il 19.1. 2009 – il giorno prima dell’insediamento dell’amministrazione Obama – dallo zio Ted al Cardinale Re. Re, allora prefetto della Congregazione dei vescovi (oggi è il Decano del Sacro Collegio), nel 2008 gli aveva imposto per iscritto, su disposizione di Benedetto XVI, l’obbligo di mantenere una vita riservata. “Ho ricevuto una serie di richieste dal subentrante governo degli Stati Uniti a partecipare a eventi pubblici. Li ho rifiutati tutti (…) Ho pertanto respinto richieste dell’Ufficio del Presidente eletto perché fossi presente a determinati momenti di preghiera e svolgessi un ruolo nel National Prayer Service. Il disappunto per la mia indisponibilità è stato evidenziato da una telefonata personale del Vice Presidente eletto, il Senatore Joseph Biden. Credo di aver gestito ciò senza perdere un amico per la Chiesa o per me stesso, ma è molto difficile”. Subito dopo McCarrick aggiunge una notazione significativa, tra parentesi: “(Cara Eminenza, è così interessante che la mia reputazione tra così tanti miei fratelli vescovi e tra i capi di governo, che hanno accesso alle agenzie investigative, rimanga ancora così alta, che mi vogliono presente alle loro funzioni, mentre la Chiesa sembra non volere avere alcuna fiducia in me)”. Da notare, l’aggettivo “interessante”.
Fbi e Kgb. Già a metà degli anni Ottanta il profilo in ascesa di McCarrick attirò l’attenzione dell’Fbi e persino del Kgb. Un agente sovietico, che godeva di copertura diplomatica come vicecapo della missione all’Onu per l’Urss, lo avvicinò, e per questo l’Fbi chiese a McCarrick di operare come agente di controspionaggio. Sebbene egli ritenesse che fosse meglio rifiutare, l’Fbi insistette, contattandolo nuovamente. Nel gennaio 1985, il Nunzio Pio Laghi ritenne che McCarrick “non avrebbe dovuto essere negativo” riguardo alla possibilità di servire come risorsa dell’Fbi. Non è chiaro, tuttavia, se l’ex cardinale alla fine abbia accettato la proposta Fbi e nessun documento indica ulteriori contatti con l’agente del Kgb. In un’intervista condotta per il Rapporto e lì riportata, l’ex direttore dell’Fbi, Louis Freeh, pur non avendo familiarità personale con l’episodio, ha affermato che McCarrick sarebbe stato “un obiettivo di altissimo valore per tutti i servizi [di intelligence], ma in particolare quelli russi a quel tempo”.
Bush e il dialogo Cina-Vaticano. Nel 2001 l’amministrazione Bush coinvolse un entusiasta McCarrick (che lo considerava coerente con l’approccio sul tema di Giovanni Paolo II) nel cosiddetto “progetto Cina”, il cui scopo era quello di far in modo che la Repubblica Popolare e la Santa Sede stabilissero relazioni diplomatiche formali, vent’anni prima del recente e più limitato accordo sulla nomina dei vescovi, firmato e rinnovato sotto Papa Francesco. Da lì iniziarono viaggi regolari di McCarrick in Cina, ripresi più di recente sotto Papa Francesco. Come in passato, i viaggi avvenivano con passaporto statunitense, e sono stati sempre riferiti in comunicazioni scritte e incontri in Vaticano e con il Papa. Il 30.9.2015, Ted scrisse a Francesco: “Con l’aiuto di Dio, prima che Egli mi chiamerà a Sé, aiuterò a portarLe la Cina e il grande sogno di Matteo Ricci inizierà a essere realizzato ancora una volta”. In un’altra lettera al Pontefice (8.3.2016), McCarrick riferì sulle sue attività in Cina e sul dialogo interreligioso con l’Islam. Lo stesso giorno mandò una lettera anche al segretario di Stato Pietro Parolin, esprimendo la propria gratitudine per il loro recente incontro: “Io tengo in grande considerazione le Sue istruzioni sulla questione della Cina e il Suo interesse per il lavoro dei nuovi canali arabi”. Leggasi, gli sciiti.