Si chiude, si chiede di chiudere, si lavora per chiudere e si crede che con l’imposizione della didattica a distanza le chiusure siano a impatto quasi zero e che la preparazione degli alunni non ne risenta. Miopia. Così come l’emergenza sanitaria del Covid-19 rischia di crearne una parallela per gli esami e gli interventi rinviati, allo stesso modo per affrontare la crisi scolastica dovuta all’epidemia si rischia di aggravarne un’altra, l’abbandono scolastico, che riguarda ogni anno almeno 100mila studenti in Italia e che i monitoraggi, complice la crisi in corso, rischiano di non riuscire neanche più a rilevare.
Partiamo da un esempio pratico di ciò che accade nelle scuole in questo momento: anche in quelle in presenza, elementari e medie, ci sono studenti che semplicemente spariscono dai radar o che smettono di frequentare: nelle cinque scuole dell’istituto comprensivo intitolato a “Simonetta Salacone”, una storica e rimpianta dirigente scolastica, del quadrante est di Roma (Centocelle, Torpignattara) in uno degli ultimi incontri è stato rilevato che almeno il 15% dei bambini iscritti non sta frequentando la scuola “per i motivi più diversi legati alla pandemia in corso”. Si va dalle quarantene fiduciarie all’eccesso di precauzione per raffreddori stagionali, alla paranoia dei genitori per il rischio di contagio e la mancanza di sicurezza fino alle più ovvie situazioni di disagio moltiplicate dalla pandemia.
Succede ovunque. “Ci sono bambini che si assentano anche per dieci giorni perché magari hanno un po’ di raffreddore oppure se le mamme scoprono che un parente di uno studente, anche di un’altra classe, è in quarantena” spiega Rosella Elia, che insegna in un piccolo comune delle Marche. E non sempre la didattica a distanza viene attivata. O peggio, alle secondarie, non sempre si riesce a raggiungere tutti gli studenti soprattutto nelle periferie e al sud Italia e nonostante tablet e pc. A Catania, sono stati denunciati 15 genitori di bimbi che frequentavano la primaria per abbandono scolastico mentre in una località limitrofa un 13enne veniva fermato alla guida di un calesse. “Qui è diffusissimo il concetto secondo cui vale la pena uscire da casa solo se si torna dopo aver guadagnato 100 euro”, spiega Rosanna Di Guardo, presidente della Fondazione Cirino La Rosa Onlus, un istituto educativo assistenziale che opera nei quartieri periferici di Librino e San Giorgio. I ragazzi crescono tra “padri che hanno sbagliato”, madri agli arresti domiciliari ma anche semplicemente tra genitori secondo cui dover tenere la mascherina al banco giustifica il tenere i figli a casa o il protestare in piazza. “Se un ragazzino non è fortemente motivato, vocato allo studio o se non ha ancora scoperto i suoi talenti, finisce per essere attratto dal facile guadagno”. Con la pandemia la situazione è ancora più grave: “Le famiglie magari non svegliano neanche i figli per andare a scuola”.
Il Covidnon fa che ingigantire un problema endemico per l’Italia. Lo si vede bene nei numeri del rapporto sull’Istruzione nell’Ue realizzato dalla Commissione: “Il tasso di abbandono scolastico in Italia – si legge – è nuovamente in calo, ma resta tra i più alti dell’Ue, soprattutto al Sud e tra i giovani nati all’estero”. Il dato, pubblicato ieri, riguarda la fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni quindi si concentra su ciò che accade negli ultimi anni delle scuole superiori. Nel 2019 la percentuale di chi non ha concluso gli studi è stata del 13,5%, da contestualizzare però in due direzioni: se da un lato è in calo rispetto al 14,5% dell’anno precedente ed è al di sotto dell’obiettivo nazionale del 16%, dall’altro è ben al di sopra della media europea che sta al 10,2 per cento. “Tra le regioni – si legge ancora – i tassi variano in modo considerevole, dal 9,6% nel Nordest al 16,7% nel Sud”. Sono altissime le percentuali per gli studenti nati all’estero: il 32,5 per cento. Il dettaglio degli under 18 è più drammatico e lo si evince dalle tabelle del ministero dell’Istruzione. Anche in questo caso, sul 2017-2018 il tasso di dispersione era in calo ma la percentuale di abbandono alle scuole medie è stata dell’1,17 per cento, del 3,82 alle scuole superiori. Fuor di percentuale parliamo di quasi 12mila ragazzini che smettono di studiare alle scuole medie, altri 8mila che si perdono nel passaggio dalle medie alle superiori e 100mila nell’arco del quinquennio. Nel grafico che mappa le regioni in base ai due indicatori “Abbandono e Povertà”, Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, convergono nel quadrante in alto a destra, dove ci sono i valori più alti per entrambe le “categorie”.
Tracciare il fenomeno, poi, potrebbe diventare sempre più difficile. Cesare Moreno è il presidente dell’associazione Maestri di Strada che opera nella parte orientale di Napoli, dunque nei quartieri periferici di San Giovanni, Barra e Ponticelli. Spiega che i dati sono media nazionale ma che ci sono zone in cui sono molto più pesanti. “Se li si analizza per tipi di scuola si vede che il tasso più alto è negli istituti tecnici e professionali”. In effetti è così: tassi più contenuti nei licei (1,8 per cento) e maggiori per gli istituti tecnici (4,3 per cento) e i professionali (7,7%). Complice un sistema scolastico che orienta verso determinati istituti alunni demotivati e che credono di non essere all’altezza. Mentre parliamo, due ragazzine vengono a salutarlo. “Con le scuole chiuse proviamo ad aiutarle. Non posso dire loro che studiando troveranno un lavoro e faranno carriera, perché questa sicurezza non c’è. Dico loro che in questo modo migliorano loro stesse e la loro capacità di affrontare i problemi”.
Chiudere le scuole in presenza è perciò “devastante”: “Anche se non lo si vedrà nei numeri, visto che sono tutti promossi e che ci sono difficoltà con la Dad, il tasso di dispersione reale è sicuramente aumentato”. Si chiude, dice, l’unico canale che certe famiglie hanno con lo Stato e dove si costruiscono speranze. E non è un cliché: “Il ragazzo che abbandona la scuola non diventa criminale, ma semplicemente entra a far parte dell’esercito industriale di riserva del lavoro nero”.