Passa l’emendamento pro-Mediaset (che fa litigare Berlusconi e Salvini)

L’emendamento pro- Berlusconi presentato dai giallorosa martedì sera al decreto Covid in Senato (e anticipato ieri dal Fatto) ha mandato in fibrillazione il centrodestra. Il testo – formalmente presentato dalla relatrice dem Valeria Valente, ma prodotto al Mise di Stefano Patuanelli con l’avallo del collega Roberto Gualtieri e del premier Giuseppe Conte – concede in sostanza qualche mese di tempo (fino a giugno) a Mediaset per risolvere la guerra finanziaria e legale coi francesi di Vivendi.

Il favore al Biscione potrebbe però garantire al governo un’opposizione non proprio al coltello di Forza Italia, specie al Senato dove i numeri ballano. Uno scenario a cui crede evidentemente anche la Lega, tanto che ieri in commissione Affari costituzionali ha votato contro l’emendamento facendo andare fuori dalla grazia di dio l’ex Caimano: nel pomeriggio è scesa a più miti consigli annunciando l’astensione in aula. Il danno, però, era fatto: la minaccia agli affari di Berlusconi, a cui il governo ha teso invece la mano, non sarà dimenticata dall’interessato.

Per capire, serve un breve riassunto. A fine 2016 Vivendi era arrivata quasi al 30% di Mediaset con la quale aveva in corso un contenzioso legale sul rifiuto francese di comprare la decotta pay tv dei Berlusconi. I legali italiani obiettarono che la quota rilevante che Vivendi deteneva in Tim (primo socio col 23,9%) rendeva illegittima la sua presenza in Mediaset per i divieti della legge Gasparri (no a commistioni tra tlc, tv ed editoria): nel 2017 l’Agcom diede ragione a Berlusconi e il 19,19% delle azioni Mediaset francesi finì in un trust. In sostanza, Vivendi non conta nulla in una società di cui possiede quasi un terzo e con la quale ha contenziosi legali in mezza Europa. A inizio settembre, però, una sentenza della Corte di Giustizia Ue – innescata da una richiesta del Tar – ha stabilito che quel vincolo antitrust è irragionevole e contrario al diritto comunitario: il 16 dicembre il Tar si appresta dunque a restituire le sue azioni a Vivendi.

È qui che arriva l’emendamento approvato ieri sera. In sostanza, si prevede che nelle more della riforma della Gasparri – necessaria dopo la bocciatura della Corte Ue – si concede all’Autorità per le comunicazioni – l’Agcom rinnovata in estate e nella quale B. ha ancora un discreto potere – la possibilità di avviare un’istruttoria della durata massima di sei mesi quando movimenti azionari siano in grado di “determinare un’influenza notevole” su imprese dei settori regolati appunto dalla Gasparri. La formula è abbastanza vaga da permettere all’Agcom di bloccare tutto per sei mesi, rinviando a giugno il redde rationem e dando una boccata d’ossigeno al Biscione.

È evidente – il business di Mediaset (la tv generalista) è un mercato decotto – che B. dovrà scendere a patti con la media company di Vincent Bolloré, ma vuole farlo da una posizione di forza e il suo peso politico – e l’emendamento scritto da Patuanelli – gliene forniscono un po’. Per questo ieri mattina Berlusconi è impazzito al voto contrario della Lega in commissione.

Per capire il clima di ieri mattina, basti citare il senatore di Forza Italia Andrea Cangini: “La Lega ha appena votato contro la norma che difende le aziende nazionali di telecomunicazioni da scalate straniere. Matteo Salvini, evidentemente, ha cambiato slogan: da prima gli italiani a prima i francesi”. L’incazzatura da Arcore è arrivata dritta al capo leghista che infatti ha cambiato linea: in aula astensione. Per chiarire l’equivoco è intervenuto lui stesso: “Non credo all’inciucio Berlusconi-maggioranza. Ne ho parlato direttamente con Berlusconi. Mediaset è una grande azienda italiana. Pongo un problema di merito: serve tutelare la concorrenza in un mercato come l’informazione, serve dare certezza nel settore. Ma serve farlo con una riforma organica fatta in trasparenza. Gli emendamenti che arrivano alle 10 di sera non sono il modo migliore”. Ma a Silvio bastano per il momento.

Forza Italia vuol scrivere la manovra, Zinga applaude

La commentano come “la notizia del giorno” al Nazareno l’esortazione del vice presidente di Forza Italia, Antonio Tajani alla maggioranza, a scrivere la legge di bilancio insieme “con doppio relatore”. A lanciare l’idea era stato qualche giorno fa Silvio Berlusconi. Ma il tweet di Tajani arriva in un momento topico: la Lega ha appena votato in Commissione in Senato contro l’emendamento pro-Mediaset. La spaccatura del centrodestra sembra un fatto. Poi in Aula il Carroccio si asterrà, ma nel frattempo Nicola Zingaretti celebra quella che considera la vittoria della linea del Pd di apertura all’opposizione. Più tardi al Tg3 commenta: “Credo che sia una buona proposta, da valutare e accogliere coinvolgendo tutte le opposizioni”. Ancora: “Su questa sfida è bene che tutti abbiano l’opportunità di cimentarsi nella differenza dei ruoli, ma per il bene dell’Italia”. Cosa significa nel concreto è tutto da vedere. Davvero la maggioranza è pronta a concedere a Fi un relatore? I dubbi ce li ha lo stesso Tajani, che aspetta una proposta formale. E il segretario del Pd sa che la scelta finale tocca al governo. Al Mef non aprono ma neanche chiudono all’ipotesi: i voti di Forza Italia servono per lo scostamento di bilancio che arriva in Senato tra il 25 e il 27 novembre.

Al netto della questione specifica, dal Nazareno ieri si sottolinea l’inizio di un percorso, il gradimento di un aiuto prezioso da parte di Forza Italia. Con commenti che sanno anche di excusatio non petita: “Il governo non c’entra, è un altro livello. Non si tratta di larghe intese”. Lo scenario in questa fase non si può neanche evocare, data la gravità dell’emergenza Covid, ma al rimpasto molti nella maggioranza continuano a pensare, magari spostandolo in avanti, dopo Natale. Consapevoli anche del fatto che da lì si possono aprire conseguenze imprevedibili. Resta poi da vedere quanto dentro FI prevarrà la linea moderata, quella pro-dialogo che ha visto Berlusconi smarcarsi dalle posizioni di Salvini e Meloni anche su Biden.

Nel frattempo, Paolo Gentiloni, Commissario Ue agli Affari economici, mette sul piatto le difficoltà economiche di tutta Europa. L’Ue discuterà nei prossimi mesi se prorogare la validità della clausola generale di salvaguardia, che sospende gli obblighi previsti dal patto di stabilità, oltre la fine del 2021, dice al Financial Times. Ribadendo: “La clausola rimarrà in vigore per tutto il 2021. Ma questo non significa che sarà disattivata a partire dal primo gennaio 2022”. Le ultime previsioni dell’esecutivo comunitario disegnano un 2022 in cui non si tornerà ai livelli pre-crisi. Secondo le stime di Bruxelles, nel 2020 l’economia del Continente si contrarrà del 7,8%, per poi rimbalzare nel 2021 del 4,2% e nel 2022 del 3%. Spagna e Italia dovrebbero essere i Paesi che saranno più distanti dalle loro soglie pre-crisi. Per disattivare la clausola che sospende il Patto la condizione dovrebbe essere che il Pil torni ai livelli pre-pandemia. Per la decisione ufficiale si aspetta la primavera.

Rai, in Vigilanza Gualtieri dà lo sfratto al Cda

Quasi un avviso di sfratto, quello che ieri Roberto Gualtieri ha rifilato al vertice Rai. Così almeno è stato inteso a Viale Mazzini dove, mentre il ministro dell’Economia si accomodava in Vigilanza, andava in scena un Cda in cui si sono nominati il nuovo direttore di Rai Fiction, Maria Pia Ammirati, e quello dei Nuovi Format, Pierluigi Colantoni. Due nomi vicini ai dem che “evidentemente non hanno accontentato gli appetiti del Pd”, si nota ai piani alti.

Ma torniamo a Gualtieri, le cui parole – il Tesoro è il maggiore azionista – pesano come macigni. Secondo il ministro “l’azienda deve risanarsi, con cambiamenti radicali, missione che vorremmo poter affidare ai nuovi vertici che s’insedieranno entro le scadenze previste”. Ma intanto “non bisogna sprecare il tempo che resta all’attuale Cda per lavorare a un ripensamento dell’azienda, anche sul modello di governance”. Gualtieri delinea poi la necessità di “un nuovo management individuato tra le persone di più alto livello per lavorare al meglio e in autonomia”. Come a dire: chi c’è adesso non va. E il presidente della Vigilanza Barachini (Fi) ci mette il carico parlando di “discontinuità”.

Parole, quelle di Gualtieri, che confermano le voci secondo cui Zingaretti vorrebbe sfrattare Fabrizio Salini in fretta: subito dopo l’approvazione del bilancio, a maggio, o addirittura prima. Ed è già partito il toto-sostituti: Nicola Claudio, Paolo Del Brocco, Roberto Sergio o Andrea Sassano. Gualtieri ha però risposto al grido d’allarme di Salini sui conti: la Rai avrà il 5% in più dal canone, circa 85 milioni l’anno.

Serie C, per gli arbitri la Figc non prevede il tampone: “Così sono a rischio contagio”

Tamponi su tamponi, migliaia di euro spesi dai club, rigidi protocolli per salvare la stagione. Per poi scoprire che alla domenica la persona meno controllata, e più a rischio, è quella che dovrebbe far rispettare le regole: l’arbitro. In campo infatti non ci vanno solo i 22 giocatori, super monitorati dalle società, ma anche i direttori di gara. Che in Serie C in alcuni casi non fanno un tampone da 2 mesi. E magari si contagiano tra loro.

Il protocollo è praticamente lo stesso della Serie A, con mezzi un po’ diversi: test a tutto il gruppo squadra 48 ore prima della gara, in caso di una positività va ripetuto ai negativi dopo due giorni. Così dall’inizio del campionato pur di giocare un club ha speso circa 30 mila euro; la proiezione a fine stagione arriva a quasi 200 mila, su budget limitati. Un salasso. Immaginate la sorpresa dei dirigenti nel sapere che lo stesso non fanno gli arbitri, come ha scoperto il Fatto. Eppure nel protocollo Figc del 28 settembre è scritto chiaramente che “le presenti previsioni si applicano anche agli arbitri”. Ma se la Serie C è un campionato professionistico, lo stesso non vale per i fischietti. Così per loro i controlli si sono limitati a un tampone, effettuato durante il raduno precampionato di Sportilia a inizio settembre, più un test sierologico al mese. Ad alcuni di loro sarà capitato di fare altri esami, per esigenza o iniziativa personale, ma c’è anche chi non si testa da settimane. Dietro questa anomalia c’è un’oggettiva difficoltà logistica: per gli arbitri non esiste un “gruppo squadra” come per i calciatori, arrivano da tutte le parti d’Italia e in Serie C sono tantissimi, circa 120 a giornata. Poi c’è il problema dei costi: la Figc se n’è fatta carico, ma per uno screening rigoroso per tutta la stagione bisogna preventivare almeno mezzo milione di euro.

Un arbitro però non rischia di meno in Serie C. Da inizio campionato hanno contratto il Covid 4 direttori e 6 assistenti. E pare che più di un membro della stessa quaterna di una gara recente sia risultato positivo nei giorni successivi, circostanza che rende probabile che il contagio si sia diffuso proprio in quell’occasione. Sono ragazzi che arbitrano per passione e poche centinaia di euro. E poi, nonostante i contatti siano limitati, nessuno può escludere che un ufficiale possa trasmettere il virus alle squadre. “Le difficoltà sono tante, stiamo facendo il possibile per tutelare i nostri arbitri”, assicura il n.1 dell’Aia, Marcello Nicchi. Forse non abbastanza, se dopo l’interessamento del Fatto ai fischietti è arrivata la comunicazione che dalla prossima settimana sarà obbligatorio fare il tampone in qualsiasi centro, anche non convenzionato. Sperando non ci siano più arbitri di Serie A e Serie C, almeno nei controlli.

Genova, vittoria dei 500 operai in corteo: Arcelor ritira le 250 lettere di sospensione

Hanno vinto loro. Hanno vinto gli oltre 500 lavoratori Arcelor Mittal di Genova che ieri hanno sfilato in città nel corteo organizzato dalla Fiom dopo la decisione dell’azienda di inviare agli operai 250 lettere di sospensione dal lavoro. L’incontro in prefettura tra azienda e sindacati si è concluso con il ritiro da parte di Arcelor di tutte le lettere e la fine di scioperi e blocchi a varchi avviati dai lavoratori. Luigi Guadagno, l’operaio licenziato per aver denigrato il direttore su Whatsapp, è stato reintegrato: per lui solo tre giorni di sospensione. Nulla da fare per ora per gli altri due colleghi, licenziati per aver arredato e gestito la cosiddetta sala relax: “Per loro l’azienda non ha voluto fare passi indietro visto che c’è una denuncia in corso – ha spiegato il segretario genovese del sindacato, Bruno Manganaro –, ma come Fiom li difenderemo con i nostri legali”. In ogni caso “questo è un risultato dei lavoratori dell’Ilva che hanno scioperato e sono scesi in piazza per difendere il lavoro”. Ed “è una vittoria anche per i lavoratori di Leonardo, Fincantieri, Ansaldo energia e di tutte le fabbriche che hanno manifestato con noi”.

Google ti analizza (e registra anche il mini-lockdown)

Il Covid-19 e i contagi, la paura e la crisi, ma anche le restrizioni in campo da inizio ottobre: gli effetti di tutto questo sugli spostamenti e le attività dei cittadini sono ben rappresentati dagli utilissimi dati raccolti e elaborati anonimamente da Google tra le cronologie degli spostamenti (che permette anche di evidenziare i cambiamenti di abitudini). È stato così possibile sapere che per quanto riguarda la frequentazione dei bar e dei centri commerciali, ad esempio, al 6 novembre si era già registrata una riduzione del 40 per cento rispetto al periodo pre Covid, con una parabola discendente già a partire dalla fine di settembre. Stessa sorte per tutto quello che riguarda il “tempo libero”, dai parchi a tema, ai musei, alle biblioteche e i cinema. Viene poi rilevato ciò che è accaduto ai supermercati, ai magazzini per prodotti alimentari, mercati agricoli, negozi di specialità gastronomiche, parafarmacie e farmacie. In questo caso, l’andamento del grafico è altalenante e si ferma a un -8 per cento che, però, se si guarda all’andamento nei giorni precedenti, è molto probabile risalga. Calano del 15 per cento, e in modo continuativo, gli spostamenti per i parchi nazionali, le spiagge pubbliche, le aree cani, le piazze e i giardini pubblici. Ovviamente, il valore di riferimento è relativo alla media di un dato giorno della settimana per il periodo di cinque settimane che va dal 3 gennaio al 6 febbraio 2020. Dunque la situazione prima dell’emergenza.

Anche il trasporto pubblico è meno frequentato nelle ultime settimane. Il traffico nelle stazioni ferroviarie, della metropolitana e degli autobus si è ridotto in media del 45 per cento e calano gli spostamenti verso i luoghi di lavoro con un -30 per cento. Neanche a dirlo, la conseguenza principale è che si sta a casa: e infatti aumentano del 15 per cento gli spostamenti verso i luoghi residenziali.

L’analisi delle regioni vede un fortissimo tonfo in Valle d’Aosta (dove si può anche immaginare che il campione sia minore dato che minore è il numero degli abitanti): – 75 per cento retail e tempo libero; -35 per cento alimentari farmacie; -67 per cento stazioni e trasporto pubblico; -38 per cento luogo di lavoro; +22 per cento zone residenziali. Nei parchi, la percentuale positiva di fine settembre è diventata molto negativa: -47 per cento, con ripercussioni intuitivamente legate al settore del turismo.

Il dato generale è ovviamente coerente con quello che accade nel dettaglio delle regioni. Le regioni della zona rossa hanno più che dimezzato gli spostamenti per le attività legate al tempo libero: Calabria (-57%), Lombardia (-64%), Piemonte (-61%). Trentino Alto Adige (-49%). Appena sotto la media Puglia e Sicilia (-39%) poi Campania (-37%), Lazio (-32%), Toscana e Umbria (-30%), Basilicata (-29%), Molise e Veneto (-28%), Marche (-27%), Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Liguria (-26%), Sardegna (-24%). Risultano diminuiti più della media nazionale anche altri tipi di spostamento. In luoghi come spiagge, parchi e giardini pubblici si ha un -36 per cento in Calabria, -41 in Lombardia e in Piemonte.

Guardando oltre confine, si nota che in Francia la riduzione nella prima categoria è stata molto più marcata con un -62 per cento insieme alla riduzione dei trasporti a -61% (mentre le altre percentuali sono in linea con l’Italia). In Spagna il calo delle attività nel tempo libero è stato del 48 per cento (molto ridotta quella della frequentazione dei parchi) così come in Germania dove, però, gli spostamenti per i posti di lavoro sono diminuiti solo del 17 per cento, quelli per i parchi e le aree aperte sono invece aumentati del 61 per cento.

Ricoveri, verso nuove regole. Ma alla Salute ci sono 2 partiti

L’obiettivo è ridurre la pressione sugli ospedali, che aumenta meno di due settimane fa ma ieri ha superato il picco della prima ondata: siamo a 29.444 contro i 29.010 del 4 aprile (e altre 3.081 persone nelle terapie intensive: in 10 giorni possono arrivare alle 4.068 del 3 aprile). Nei reparti di Malattie infettive, Pneumologia e Medicina interna, secondo l’Agenas – l’agenzia del ministero della Salute per i servizi sanitari – undici Regioni al 10 novembre hanno superato il tetto del 40 per cento, oltre il quale gli ospedali non funzionano più (la media è al 52 per cento). Contando i pazienti non Covid, segnalano i medici, molti sono al 100 per cento e più. Oggi si riunisce una commissione insediata dal direttore di Agenas, Domenico Mantoan, che sarà coordinata dal professor Matteo Bassetti, capo dell’Infettivologia del San Martino di Genova. Studierà “criteri di appropriatezza dei ricoveri”, scrive Agenas.

“Gli ospedali sono pieni di pazienti che stanno male, ma nei pronto soccorso arrivano anche persone semplicemente terrorizzate, che hanno chiamato il 118 perché il medico di medicina generale non risponde, perché semplicemente vogliono il tampone o una lastra. Il 20 per cento dei ricoveri ospedalieri sono inappropriati, dobbiamo stabilire dei livelli di saturazione dell’ossigeno e di gravità della malattia sotto i quali si deve deospedalizzare. Con protocolli comuni per tutta Italia, l’ossigeno a casa, percorsi comuni con i medici di medicina generale e la telemedicina possiamo far uscire il 30 per cento di questi pazienti”, dice Bassetti, rispondendo al Fatto nonostante le critiche ricevute per i suoi attacchi estivi agli “allarmisti” e non solo.

Al ministero della Salute ci sono due scuole di pensiero. C’è chi ritiene che tanti ricoveri siano solo “medicina difensiva”, eccessi di prudenza di medici che non vogliono guai; chi pensa invece che gli anziani e i pazienti Covid affetti da patologie come il diabete e l’ipertensione vadano comunque ricoverati e al massimo si possa ridurre il carico del 2-3 per cento. Anche il professor Luca Lorini, primario di Anestesia e Rianimazione al Giovanni XXIII di Bergamo, epicentro della prima ondata, farà parte del gruppo di lavoro di Agenas: “Guarderemo i numeri, in particolare la durata dei ricoveri. Vedo che su mille che arrivano al pronto soccorso 300 vanno via in un giorno, un giorno e mezzo, perché non hanno la febbre, non hanno la Pcr alta, è stata fatta la lastra… Ma si parte da ipotesi e le decisioni si prendono alla fine. E al Nord, al Centro e al Sud le situazioni sono diverse”. Esclude ricoveri “inappropriati” il professor Massimo Andreoni, direttore dell’Infettivologia di Roma Tor Vergata, direttore direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive, altro membro della commissione: “Nei nostri reparti abbiamo il 60 per cento di pazienti che hanno bisogno del casco di ventilazione. E cerchiamo di e non mandarli in terapia intensiva”, osserva, sottolineando che in alcune Regioni ha visto fin troppe resistenze ai ricoveri di anziani.

Quando hanno saputo dell’incarico di Agenas a Bassetti il ministro Roberto Speranza e il commissario Domenico Arcuri hanno storto la bocca, mentre il viceministro Pierpaolo Sileri rivendica l’idea del gruppo di lavoro: “L’avevo chiesto ai primi di settembre”. Mantoan, già capo della Sanità nel Veneto del leghista Luca Zaia, dove a febbraio cercò di impedire al professor Andrea Crisanti di fare i primi test su asintomatici, non risponde al Fatto. Sul tema, intanto, lavora anche il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, membro autorevole del Comitato tecnico scientifico: “Parlare di ricoveri inappropriati significa fare analisi puntuali su un singolo caso. Farei piuttosto un discorso di gestione a livello territoriale/domiciliare per quanto compatibile con le condizioni cliniche” proprio “per ridurre il carico sulle strutture di Pronto soccorso e sui posti letto di area medica. I saturimetri – dice Locatelli – devono diventare come un altro termometro per gestire il più possibile il monitoraggio dei soggetti infetti a domicilio. Fondamentale sarà il ruolo dei medici di medicina generale”. Come si è visto non è un percoso facile. Ma se i ricoveri costano soldi, tagliarli con l’accetta comporta altri costi.

La Regione nega all’associazione Felicita l’accesso a 1.400 allegati

Un frustrante muro di gomma. È quello contro il quale stanno sbattendo l’Associazione delle vittime del Pio Albergo Trivulzio “Felicita” e Il Fatto, che da mesi presentano richieste di accesso agli atti a Regione Lombardia per ottenere i 1.400 allegati – rimasti a tutt’oggi segreti – della relazione dalla “Commissione di verifica gestione emergenza Covid-19 presso il Pio Albergo Trivulzio” del luglio scorso. Una relazione definita da molti “assolutoria” nei confronti dei vertici della Rsa. Richieste alle quali il Pirellone, per bocca del Dg della Direzione generale welfare, Marco Trivelli, ha risposto sempre allo stesso modo. Il 4 novembre, al Fatto: “A scopo cautelativo, prima di dar seguito alla Sua istanza, abbiamo chiesto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano se sussistano motivi di riservatezza relativi alle indagini penali in corso che non consentano l’ostensione della documentazione richiesta”. Una risposta interlocutoria, che frena però la possibilità di sapere cosa sia successo tra marzo e aprile nella Rsa. Alla procura, quindi, l’onere della trasparenza. Ad agosto invece l’Ats Milano aveva negato i documenti a causa di un eccessivo lavoro “per l’amministrazione, tale da compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa e ledere la funzionalità degli uffici coinvolti”.

Così quegli allegati restano preclusi. Nonostante fossero pubblici prima dell’apertura dell’inchiesta (lo erano diventati nel momento in cui è stata divulgata la relazione della Commissione, ottenuta solo grazie a un altro accesso agli atti, sempre di Felicita: una relazione monca, priva degli atti usati per scriverla).

Per il Pirellone, quanti hanno perso un parente si sarebbero dovuti accontentare delle conclusioni scritte da Ats Milano (cioè dall’ente di controllo del Pat), che ha indicato nell’assenteismo dei dipendenti la causa prima dei decessi. Una verità “semplice”, alla quale i parenti si oppongono.

Anche la procura, ad una prima richiesta di Felicita, aveva risposto negativamente. Ma eravamo ad agosto. Ora le indagini sono andate avanti, e forse è giunto il momento per alzare il velo.

L’inchiesta avanza. E i pm attendono ora le consulenze

Quando arrivò il vento cattivo, gli umori più neri soffiavano dal Pio Albergo Trivulzio, la Baggina dei milanesi. Il posto dove tenere al sicuro gli anziani dopo una vita di lavoro si era trasformato in luogo di contagio e di morte. Le bare accatastate nella cappella dei funerali, senza neppure la consolazione di un ultimo saluto dei parenti. Settanta anziani ospiti muoiono a marzo, trenta solo nella prima settimana d’aprile. La drammatica contabilità dei decessi allinea oltre 400 morti da gennaio 2020 alla primavera. Quanti falciati dal Covid-19? Contagiati anche molti dei 1.600 tra medici, infermieri e assistenti sociali che lavorano nelle tre residenze per anziani e nei due centri d’assistenza che fanno capo al Pat.

Il ministro della Salute Roberto Speranza manda gli ispettori a verificare che cosa è successo nel polo geriatrico più importante d’Italia. La Procura di Milano apre un’inchiesta per diffusione colposa d’epidemia e omicidio colposo. La prima di una lunga serie di indagini che riguardano una ventina di strutture, quasi tutte le residenze assistenziali per anziani di Milano e provincia.

Oggi i pm milanesi sono in attesa delle relazioni dei consulenti tecnico-scientifici che permetteranno di concludere le inchieste. La primavera scorsa avevano provveduto a fare le prime iscrizioni nel registro degli indagati per la “strage dei nonni”. Iscritto anche il direttore generale del Trivulzio, Giuseppe Calicchio: ipotesi di reato epidemia colposa e omicidio colposo plurimo.

“Dalle prime informazioni che abbiamo raccolto”, denuncia subito, a caldo, Alessandro Azzoni, portavoce del comitato Giustizia per le vittime del Trivulzio, “sono circa 200 gli anziani al Pat di Milano deceduti da inizio marzo, su 1.000 degenti: 1 ogni 5. E circa 200 sono quelli positivi al coronavirus. Bisogna intervenire immediatamente per salvare le vite dei nostri genitori e nonni. È in gioco la vita di persone fragili e indifese. E il tempo per salvare i nostri cari è ormai scaduto. C’è un silenzio assordante da parte delle istituzioni, a partire dalla Regione, responsabile della gestione sanitaria”.

Il pool di magistrati della Procura di Milano coordinato dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano si mette al lavoro. Raccoglie carte e documenti dentro il Pat e nelle altre strutture per anziani. Raccoglie le delibere della Regione Lombardia dell’8 e del 23 marzo che si proponevano di “alleggerire” gli ospedali lombardi spostando alcuni pazienti Covid non più in fase acuta dentro alcune residenze per anziani. L’assessore regionale al Welfare e salute Giulio Gallera si difende: la Regione non ha mandato alcun paziente Covid al Trivulzio.

I pm milanesi raccolgono anche le testimonianze degli operatori: “Ci minacciavano se indossavamo le mascherine, perché non dovevamo spaventare i pazienti”, raccontano alcuni infermieri. E ancora: “Spostavano i pazienti da un reparto all’altro, senza aver fatto nemmeno i tamponi”, testimonia un’operatrice sociosanitaria “da 31 anni al Trivulzio”.

I tamponi e le mascherine Ffp2 per tutti arrivano solo dal 16 aprile. Secondo le testimonianze di alcuni dipendenti, già da gennaio furono ricoverati nel reparto di degenza geriatrica del Trivulzio pazienti con polmoniti. Potrebbe essere stato il primo avvio del contagio, non rilevato e poi dilagato dentro il Trivulzio, come in tante altre residenze per anziani.

Saranno le consulenze a permettere ai pm guidati da Tiziana Siciliano di tirare le conclusioni di una indagine che ha bisogno di ancorarsi su dati oggettivi e su parametri scientifici. La squadra di medici e tecnici incaricati dalla Procura di Milano sta lavorando, rallentata nelle ultime settimane dal ritorno dell’emergenza. Quando arriveranno i loro rapporti, incrociati con le testimonianze e i documenti raccolti, l’inchiesta sulla “strage dei nonni” potrà arrivare a conclusione.

È gran repulisti al Pio Albergo Trivulzio

L’invito mi era giunto in diretta televisiva venerdì scorso a Agorà, e subito l’avevo accolto. Collegato dal marciapiede di fronte al Pio Albergo Trivulzio, me lo rivolgeva il professor Fabrizio Pregliasco, supervisore scientifico e di fatto unica voce parlante del più grande polo geriatrico italiano: “La aspettiamo, venga a constatare di persona che la nostra situazione è assai diversa da come viene descritta”.

Un certo stupore me l’ha poi manifestato Giulia Frailich, che ha la mamma in degenza al Trivulzio e che partecipava alla trasmissione in rappresentanza di Felicita, associazione di familiari per i diritti nelle Rsa: “Strano che la facciano entrare, a noi non è mai stato concesso di essere ricevuti dal direttore generale Giuseppe Calicchio, nonostante le numerose richieste, e con lo stesso Pregliasco siamo riusciti a fare solo un incontro a distanza via Zoom”. Cionondimeno l’appuntamento è stato prontamente fissato. Peccato che, proprio mentre stavo arrivando in via Trivulzio mi perveniva il messaggio di Pregliasco: “C’è un cambiamento, la aspetto nel mio ufficio all’Istituto Galeazzi” (del quale è direttore sanitario).

L’accesso alla Baggina tanto cara ai milanesi resta dunque sbarrato, e non è difficile immaginare per volontà di chi. Nonostante le inchieste giudiziarie e amministrative abbiano chiarito che le percentuali di mortalità Covid all’interno del Pio Albergo Trivulzio, per quanto elevate, restino nella media delle altre strutture per anziani dell’area milanese, lì dentro continua a viversi un’atmosfera pesante, da stato d’assedio.

Un clima di terrore

“Un clima di terrore”. La stessa identica espressione viene adoperata da due personalità che non potrei immaginare fra loro più distanti: il settantenne geriatra Luigi Bergamaschini, in pensione dal 1° novembre dopo cinque anni di lavoro al Pat grazie a un protocollo di collaborazione con l’Università Statale; e il cinquantenne tecnico di farmacia Pietro La Grassa, forte di un’anzianità aziendale di 31 anni, coordinatore della Cgil. Non avrei denunciato su Repubblica, nell’aprile scorso, il tentativo di occultare la grave situazione causata dall’esplodere della pandemia nei reparti, se non mi fossero pervenute due testimonianze perfettamente convergenti dal luminare estraneo a qualsivoglia schieramento politico e dal militante sindacale che lì dentro invano tentano di screditare come “testa calda”.

Bergamaschini fu esonerato dal servizio il 3 marzo con una mail di contestazione, dopo che il direttore sanitario Pier Luigi Rossi gli aveva rimproverato di aver disobbedito alla volontà superiore di Calicchio. Sua colpa era di aver consentito al personale di utilizzare le mascherine. Tanto che, dopo la sua estromissione, per alcuni giorni fu imposto di levarle. Solo la minaccia di un’azione legale dell’Università Statale consentì il rientro del geriatra. Contagiato dal Covid, a maggio Bergamaschini trascorse quindici giorni sotto ossigeno e in posizione prona all’ospedale San Paolo. Dopo di che è tornato a curare i suoi malati.

La Grassa, a sua volta, mi rivelò il tentativo di far passare le prime morti da Covid per bronchiti e polmoniti stagionali.

Da allora sono passati sette mesi, un’ispezione ministeriale, una commissione di verifica promossa da Regione e Comune, un esposto di 150 familiari, ed è ancora in corso un’inchiesta della Procura per epidemia colposa e omicidio colposo.

Fabrizio Pregliasco, ricevendomi al Galeazzi, manifesta la convinzione che non emergeranno rilevanze penali. Del resto già a maggio, assumendo l’incarico di supervisore, aveva dichiarato che sul Pio Albergo Trivulzio si era fatta della “panna montata”. A cosa si deve, allora, il “clima di terrore” di cui parlano ancora oggi sia La Grassa sia Bergamaschini? Il direttore generale Calicchio ha scelto di trincerarsi nel più assoluto riserbo, in attesa dell’esito delle indagini che lo riguardano. Ma non solo. Se già prima del Covid esasperava la contrapposizione fra dipendenti fedeli e infedeli, adesso sembra aver inaugurato una vera e propria offensiva intimidatoria.

La nuova offensiva

Da settembre ad oggi si contano 120 provvedimenti disciplinari, quasi il doppio di quelli intrapresi nei cinque anni precedenti. Solo a ottobre La Grassa ne ha ricevuti già sei. Viene accusato di aver pubblicato post diffamatori, di essersi abbassato la mascherina per fumare nella piazzetta vicino al bar, di aver gettato un mozzicone appena spento nel corridoio… “Mai vissuta prima d’ora una situazione del genere, in 31 anni di servizio. Piovono accuse per motivazioni futili a scopo ritorsivo. Vengono comminate sospensioni preventive dal lavoro e sanzioni comunque non proporzionate alle imputazioni. L’ex dirigente degli assistenti sociali licenziato per un presunto conflitto d’interessi ha fatto ricorso e ha vinto. Sono colpiti anche primari e medici per vicende risalenti a diversi anni addietro… È come se si volesse approfittare dell’emergenza per una resa dei conti, inducendo chi può alle dimissioni. Senza contare i 46 fisioterapisti già lasciati a casa e i 30 infermieri con contratto a termine che andranno via a dicembre”.

Come se non ne avesse già avute abbastanza, anche il professor Bergamaschini si ritrova, col collega Francesco Riboldi, accusato per rivelazione di segreti d’ufficio (alla segretaria di Calicchio!) e per cartelle cliniche del 2017 compilate in maniera tale da consentire la permanenza in reparto di pazienti che, se dimessi, sarebbero finiti in mezzo a una strada. “Ormai sono in pensione – dice – ma nei confronti di altri medici assistiamo a veri e propri episodi di mobbing”.

Pregliasco sorride imbarazzato di fronte al mio resoconto. Ammette che si sono rafforzati i controlli notturni per verificare che gli addetti non si tolgano la mascherina. Giustifica i metodi accentratori e autoritari di Calicchio con la necessità di porre fine a “una consuetudine di cogestione” che da sempre contraddistingue una megastruttura come il Trivulzio, appesantita da stratificazioni di potere cui non è estranea la lottizzazione politica delle nomine e delle assunzioni.

Il futuro incerto

L’esito però è un clima avvelenato che aggrava una situazione resa difficile dalle precauzioni anti-Covid. Il numero degli ospiti è drasticamente calato, fin quasi a dimezzarsi. Si disperdono molte valide professionalità, come se non bastassero gli elevati tassi di assenteismo ereditati dal passato. Tanto da rendere legittimo un interrogativo: cosa ne sarà del Pio Albergo Trivulzio, in futuro? Sta subendo solo l’esasperato impulso di autotutela del direttore generale sotto inchiesta, o qualcuno sta già predisponendo le condizioni di un drastico ridimensionamento della gloriosa struttura figlia dell’illuminismo lombardo?

La tragedia del Covid impone certamente una revisione strutturale delle politiche di assistenza agli anziani. Gli investitori privati sono pronti ad approfittare della crisi del grande polo geriatrico pubblico, tutto da ripensare. Il suo enorme patrimonio immobiliare fa gola a molti. Ma l’ansia da repulisti non favorisce certo una pianificazione trasparente.