L’emendamento pro- Berlusconi presentato dai giallorosa martedì sera al decreto Covid in Senato (e anticipato ieri dal Fatto) ha mandato in fibrillazione il centrodestra. Il testo – formalmente presentato dalla relatrice dem Valeria Valente, ma prodotto al Mise di Stefano Patuanelli con l’avallo del collega Roberto Gualtieri e del premier Giuseppe Conte – concede in sostanza qualche mese di tempo (fino a giugno) a Mediaset per risolvere la guerra finanziaria e legale coi francesi di Vivendi.
Il favore al Biscione potrebbe però garantire al governo un’opposizione non proprio al coltello di Forza Italia, specie al Senato dove i numeri ballano. Uno scenario a cui crede evidentemente anche la Lega, tanto che ieri in commissione Affari costituzionali ha votato contro l’emendamento facendo andare fuori dalla grazia di dio l’ex Caimano: nel pomeriggio è scesa a più miti consigli annunciando l’astensione in aula. Il danno, però, era fatto: la minaccia agli affari di Berlusconi, a cui il governo ha teso invece la mano, non sarà dimenticata dall’interessato.
Per capire, serve un breve riassunto. A fine 2016 Vivendi era arrivata quasi al 30% di Mediaset con la quale aveva in corso un contenzioso legale sul rifiuto francese di comprare la decotta pay tv dei Berlusconi. I legali italiani obiettarono che la quota rilevante che Vivendi deteneva in Tim (primo socio col 23,9%) rendeva illegittima la sua presenza in Mediaset per i divieti della legge Gasparri (no a commistioni tra tlc, tv ed editoria): nel 2017 l’Agcom diede ragione a Berlusconi e il 19,19% delle azioni Mediaset francesi finì in un trust. In sostanza, Vivendi non conta nulla in una società di cui possiede quasi un terzo e con la quale ha contenziosi legali in mezza Europa. A inizio settembre, però, una sentenza della Corte di Giustizia Ue – innescata da una richiesta del Tar – ha stabilito che quel vincolo antitrust è irragionevole e contrario al diritto comunitario: il 16 dicembre il Tar si appresta dunque a restituire le sue azioni a Vivendi.
È qui che arriva l’emendamento approvato ieri sera. In sostanza, si prevede che nelle more della riforma della Gasparri – necessaria dopo la bocciatura della Corte Ue – si concede all’Autorità per le comunicazioni – l’Agcom rinnovata in estate e nella quale B. ha ancora un discreto potere – la possibilità di avviare un’istruttoria della durata massima di sei mesi quando movimenti azionari siano in grado di “determinare un’influenza notevole” su imprese dei settori regolati appunto dalla Gasparri. La formula è abbastanza vaga da permettere all’Agcom di bloccare tutto per sei mesi, rinviando a giugno il redde rationem e dando una boccata d’ossigeno al Biscione.
È evidente – il business di Mediaset (la tv generalista) è un mercato decotto – che B. dovrà scendere a patti con la media company di Vincent Bolloré, ma vuole farlo da una posizione di forza e il suo peso politico – e l’emendamento scritto da Patuanelli – gliene forniscono un po’. Per questo ieri mattina Berlusconi è impazzito al voto contrario della Lega in commissione.
Per capire il clima di ieri mattina, basti citare il senatore di Forza Italia Andrea Cangini: “La Lega ha appena votato contro la norma che difende le aziende nazionali di telecomunicazioni da scalate straniere. Matteo Salvini, evidentemente, ha cambiato slogan: da prima gli italiani a prima i francesi”. L’incazzatura da Arcore è arrivata dritta al capo leghista che infatti ha cambiato linea: in aula astensione. Per chiarire l’equivoco è intervenuto lui stesso: “Non credo all’inciucio Berlusconi-maggioranza. Ne ho parlato direttamente con Berlusconi. Mediaset è una grande azienda italiana. Pongo un problema di merito: serve tutelare la concorrenza in un mercato come l’informazione, serve dare certezza nel settore. Ma serve farlo con una riforma organica fatta in trasparenza. Gli emendamenti che arrivano alle 10 di sera non sono il modo migliore”. Ma a Silvio bastano per il momento.