Lo Stato laico deve difendersi dall’Islam fondamentalista, come dalla satira fondamentalista. Posizioni queste entrambe estreme perché pongono i propri valori come assoluti e non limitabili, neanche di fronte alla sofferenza altrui. Porsi limiti reciproci di rispetto è l’unica strada per instaurare una convivenza costruttiva tra diverse culture. (Massimo Marnetto, lettera al FQ, 3 novembre 2020)
La satira di Charlie Hebdo non è “fondamentalista”: è satira. In Occidente, la satira ha una tradizione pluri-millenaria, va dall’ironia alla dissacrazione, ed è un diritto: il diritto alla libertà di espressione, che non a caso viene conculcato da totalitarismi, teocrazie e integralismi religiosi. Il limite della satira lo dà la legge: non può diffamare, né essere razzista, né fare apologia di reato. Si può dissentire da un’espressione satirica che ci offende, ma non censurarla, né pretendere che il nostro parametro valga come criterio generale per giudicarla. Sicché bollare la satira di fondamentalismo per paragonarla a quello islamista è un sofisma: la satira non ha valori assoluti, né vuole imporli, essendo anzi una pratica del relativo. Instilla dubbi, ridicolizza pregiudizi, non fa proselitismo, non considera infedele nessuno, non lapida le adultere, non uccide. Il paragone infame serve però ai parrucconi per censurare la satira anti-religiosa in nome del “rispetto dei sentimenti altrui” (l’hanno sostenuto pure Carlo Rovelli e Barbara Spinelli: Paolo Flores d’Arcais, su Micromega, gli ha smontato facilmente il giocattolino). In questo modo, finiscono per fare il gioco dei terroristi islamisti, che se ne fregano della “convivenza costruttiva” e arrivano a uccidere chi non la pensa come loro.
Ci sarà sempre qualcuno disposto a offendersi, pur di censurarti. Proibire la satira sulla religione perché i sentimenti religiosi vanno rispettati? Ma che la fede religiosa sia qualcosa da rispettare lo sostengono i credenti: finché non dimostrano che esiste l’essere invisibile in cui credono, non hanno alcun diritto di fare gli offesi se qualcun altro li percula. Non c’è nulla di “sacro”, di intoccabile nella religione: Aristofane prendeva in giro gli dei della sua epoca, noi quelli della nostra. Altri si appellano al buon gusto, ma la satira non ha niente a che fare col buon gusto. Come ricorda Mel Brooks, la comicità se non è eccessiva non fa ridere. Molti, infine, eviterebbero la satira anti-religiosa per non fomentare l’odio. Ma la satira anti-religiosa non è odio: è solo irriverenza. Se non lo si capisce, non se ne esce.
Ogni religione pensa che le altre siano una superstizione: la satira pensa che siano TUTTE una superstizione. Criticare la fede non è né provocare, né insultare: è fare appello alla razionalità, così necessaria in questi tempi di irrazionalismo integralista. La sensibilità dei credenti è sopravvalutata come lo sarebbe quella dei fan di Star Trek, se pretendessero che il culto di Star Trek fosse qualcosa di sacro. Il credente è colui che ha più bisogno della satira: da solo, fatica a rendersi conto di avere un problema di contatto con il reale, e la sua pretesa di essere rispettato perché crede in un essere invisibile e nei suoi profeti è anacronistica e ridicola. Le religioni non hanno più senso, nel 21° secolo. Vanno accolte nel discorso per ciò che sono: una stramberia rassicurante, retaggio di epoche in cui la religione suppliva la scienza nell’interpretazione dei fenomeni naturali.
(1. Continua)