The Donald è sconfitto, ma il “trumpismo” resta

Liquidata la presidenza Trump, ma con molte apprensioni per quelli che saranno i suoi velenosi colpi di coda, è più che opportuno riflettere sul trumpismo. Donald Trump è il produttore del trumpismo oppure a produrre Trump e la sua presidenza è stato un grosso onnicomprensivo grumo di elementi già presenti nella politica e nella società Usa? Settantun milioni di elettori, nove milioni più del 2016, segnalano che Trump non era un marziano, un misterioso ittito (che occupa l’Egitto/Casa Bianca senza lasciare nessuna traccia), un fenomeno (sì, nel doppio significato) passeggero. Esistono alcuni elementi del “credo americano”, come identificati dal grande sociologo politico Seymour M. Lipset, che costituiscono lo zoccolo duro del trumpismo: l’individualismo, il populismo e il laissez-faire che interpreto e preciso come insofferenza alle regole – per esempio, a quelle che servono a limitare i contagi da Covid. A questi è più che necessario aggiungere un elemento ricorrente: l’aggressione alla politica che si fa a Washington (swamp/palude nella terminologia di Trump) e un elemento sottovalutato e rimosso (anche viceversa): il razzismo. Con tutti i suoi molti pregi, il movimento Black Lives Matter non può non apparire come una risposta di mobilitazione importante, ma tardiva. Le uccisioni di uomini e donne di colore continuano e misure per porre fine alla “brutalità” della polizia sono, da un lato, inadeguate, dall’altro, contrastate da Trump, ma anche dal trumpismo profondo.

La critica sferzante, di stampo populista, alla politica di Washington ha radici profondissime che probabilmente non saranno mai estirpate del tutto. La sua versione contemporanea, che non è stata sufficientemente contrastata, trovò espressione nella famosa frase del presidente repubblicano Ronald Reagan: “Il governo non è la soluzione; il governo è il problema”. Il terreno favorevole all’innesto e alla espansione del trumpismo è stato abbondantemente concimato dal Tea Party Movement e dagli evangelici. Il primo ha, da un lato, formulato una concezione estrema della libertà individuale per ottenere uno Stato minimo che, naturalmente, non deve in nessun modo intervenire nelle dinamiche sociali, per chiarire: né affirmative action né riforma sanitaria. Dall’altro, ha usato della sua disciplina e del suo potere di ricatto sia nelle primarie repubblicane sia nei collegi uninominali per spostare a destra, radicalizzare il Partito Repubblicano nel suo complesso. Dal canto loro, le potenti e ricche confessioni religiose evangeliche hanno provveduto a finanziare le campagne elettorali di un molto grande numero di candidati ottenendone in cambio i loro voti al Congresso, non da ultimo per la conferma dei giudici nominati da Trump. Nominati a vita questi giudici sono in grado di garantire per almeno trent’anni che nella Corte ci sarà una maggioranza conservatrice misogina, indifferente alle diseguaglianze dei neri, contraria a politiche sociali. Le molte centinaia di giudici federali nominati da Trump (molti altri probabilmente riuscirà a nominarne nella frenesia dei suoi ultimi giorni alla Casa Bianca) faranno il resto del lavoro, cioè perpetueranno il trumpismo.

Da idee diffuse nel vasto campo trumpista sono discese le politiche di Trump: ambiente, commercio, sanità. Soltanto in parte, però, politiche diverse a opera del presidente Biden saranno in grado di incidere sul nucleo forte, sul core del trumpismo. Non è soltanto che nella sua lunga carriera politica Biden non ha proceduto a particolari innovazioni. Ė Che, come gli hanno rimproverato i suoi avversari politici nelle primarie, a cominciare proprio dalla sua vicepresidente Kamala Harris, la moderazione spesso finiva per mantenere lo status quo o per fare qualche piccolo passo inadeguato, come per quel che riguarda la condizione dei neri e, in parte, delle donne. Non voglio arrivare fino a sostenere che in Biden si annida una componente di trumpismo soft. Sono, però, convinto che non pochi cittadini-elettori democratici pensino che l’individualismo è ottima cosa, che il governo non deve svolgere troppe azioni troppo incisive, che una volta eletti i rappresentanti non si occupano più di gente come loro. Questi sono timori condivisi anche dai commentatori Usa progressisti (ad esempio, gli eccellenti collaboratori della Brookings Brief). Da parte mia, non vedo neppure fra gli intellettuali più autorevoli l’inizio di una riflessione su una cultura politica che travolga trumpismo e trumpisti dando una nuova anima agli Usa.

 

Monopattini. Le regole ci sono: ora vanno solo fatte rispettare

Vedo sfrecciare tanti monopattini elettrici che viaggiano non solo nella sede stradale, ma su marciapiedi e su quanto possa essere percorribile, praticamente senza alcun rispetto di nessuna regola. Idem per le bici elettriche cui, tolto un blocco al motore, viaggiano a una velocità ben superiore ai 30 km orari consentiti, oserei dire come un motorino. Ebbene, poiché tutti viaggiano senza casco, senza targa, senza regole, se c’è un incidente, chi si accolla i costi delle cure? Ma hanno un motore sì o no? Come vengono classificati? E se ci fosse una multa da elevare, magari perché correndo hanno le cuffiette per ascoltare la musica o telefonare, come si fa? Oppure viaggiano sul monopattino padre e figlio piccolo naturalmente tutti senza nessuna protezione? Tutte cose diventate quasi normali nelle nostre strade. Invece di dare incentivi per mezzi fuori controllo e magari importati/cinesi, non sarebbe meglio regolamentarli e magari togliere la patente dell’auto a chi non rispetta nulla, niente e nessuno, mettendo a rischio non solo la propria incolumità, ma anche quella degli altri? Non è il caso di regolamentare questo pericoloso fenomeno? Poi, le batterie elettriche, al momento non inquinano. Ma poi, esauste, come si smaltiscono? E chi paga?

Adriano Cesaro

 

Gentile Cesaro, bando alle ciance e vado subito con le risposte. Da marzo sono entrate in vigore le nuove norme che regolano la circolazione dei monopattini elettrici, che sono stati equiparati alle biciclette. Le regole prevedono che i monopattini possano circolare sulle strade urbane con un limite di 50 km orari e sulle piste ciclabili parallele alle strade extraurbane, ma con un loro limite di velocità: non devono superare i 25 km/h quando circolano sulla carreggiata delle strade e i 6 km/h nelle aree pedonali. Il casco va indossato solo dai conducenti minorenni (si guidano solo dai 14 anni in su). Tutti devono avere l’uso libero delle braccia e reggere il manubrio con entrambe le mani. Dal tramonto si deve indossare il giubbotto catarifrangente. Ultima nota dolente: la batteria al litio è riciclabile, ma solo se viene smaltita nel modo giusto. Affinché non avvengano gli incidenti serve massima attenzione da parte dei conducenti e severi controlli da parte della polizia stradale che può emettere multe assai salate.

Patrizia De Rubertis

Mail box

Regioni, tanti disastri e aumento del deficit

Ma cosa devono fare ancora le Regioni per meritare l’estinzione? La pandemia è stata la cartina di tornasole del loro clamoroso fallimento: soldi stanziati e mai spesi, disorganizzazione dei pronti soccorso, ritardi nel veicolare le richieste di cassa integrazione, sterili bracci di ferro con l’esecutivo… In tempi ordinari, del resto, non hanno mai brillato per capacità amministrativa, di gestione e di progettazione. Contribuiscono ad allargare il deficit pubblico senza essere nemmeno in grado di avvantaggiarsi dei fondi europei dedicati allo sviluppo.

Carmelo Sant’Angelo

 

Smettiamola di dire che il Dpcm è “oscuro”

Titola il giornalone di Sambuca Molinari: “Ma si possono invitare gli amici a casa? Tutti i punti ancora oscuri del decreto”.

Risposta: “Se sei ciuccio sì. Se sei responsabile no. Ti dobbiamo proprio dire tutto? A te che protesti perché ti togliamo la libertà? Ricorda: quella di pensare è la più importante”.

Melquiades

 

La mia brutta esperienza in un pronto soccorso

Ho portato mio fratello al pronto soccorso di un grande gruppo ospedaliero privato, convenzionato con il pubblico, situato in un comune limitrofo alla zona sud-ovest di Milano. All’ingresso nessun pre-triage, atto a separare i pazienti Covid positivi (davvero numerosi) dagli altri no-Covid. Nell’attesa di essere visitati, questi pazienti hanno amenamente convissuto nella stessa sala per molte ore. Per quanto riguarda mio fratello: accettazione alle 14.03; ingresso in pronto soccorso alle 18.15; dimissione alle 19.42. Medici e infermieri, in numero insufficiente a fronteggiare l’affollamento, si prodigavano al massimo ma in affanno. Se questa è l’eccellenza della Sanità lombarda, non mi sento di dire che andrà tutto bene.

Rita Gesuele

 

Anche Joe Biden deve starsene a casa per Toti?

Chissà se il neo presidente degli Stati Uniti d’America, il democratico cattolico Joe Biden, ha già ricevuto tra la sua posta la lettera beneaugurale da parte del governatore della Liguria, Giovanni Toti, di starsene riguardato in casa per la fragilità dei suoi 78 anni?

Stefano Masino

 

L’ossimoro “Forza Italia è un partito moderato”

Il sillogismo di chi definisce Forza Italia come il partito dei moderati non ha fondamento: prima premessa, Berlusconi, Dell’Utri, Previti e Verdini, fondatori o esponenti di primo piano, appartengono a tale partito; seconda, costoro sono pregiudicati. Conclusione: FI è il partito dei moderati. In realtà si tratta di un ossimoro. Ma se, per assurdo, fosse valida quella logica, come si potrà definire un partito di estremisti? Per mantenere le giuste proporzioni, dovrà essere costituito solo da coloro che hanno ammazzato il padre e la madre.

Marcello Burattini

 

Chiudere archivi e biblioteche è assurdo

Non ha veramente senso aver chiuso biblioteche e archivi di Stato. Sono posti ormai controllatissimi, con un tracciamento capillare. Avevo prenotato a settembre un periodo di ricerca in Archivio dal 9 al 22 novembre. Venerdì mi arriva l’email che l’archivio chiude. Che rosicata.

Giampiero Brunelli

 

DIRITTO DI REPLICA

In relazione all’articolo dal titolo “Quell’incontro con il n. 2 di Zinga, nuove conferme”, pubblicato sabato su Il Fatto Quotidiano a firma di Vincenzo Bisbiglia, precisiamo che i presunti rapporti con esponenti della criminalità sono destituiti di ogni fondamento. L’attenzione massima sui temi della legalità è una costante del mio impegno istituzionale ed è sotto gli occhi di tutti. Venendo ai fatti citati, sono certo di essermi comportato sempre in modo corretto. L’articolo fa riferimento all’affitto di una Smart e a tal proposito posso affermare di non avere mai avuto in uso o in possesso un’auto di questo genere e, a maggiore ragione, di non averla avuta in prestito da chicchessia. Anche rispetto alla supposta richiesta di favori da parte mia si tratta di millanterie senza alcun fondamento. Rispetto all’incontro di cui si parla, posso escludere con assoluta certezza di avere avuto rapporti diretti con la persona menzionata, al di là della eventualità di averla incrociata in contesti pubblici o istituzionali come è possibile per chi riveste un ruolo pubblico, ma non associo il nome ad alcun volto a me noto e non ho intrattenuto alcun rapporto di alcun tipo, né di consuetudine, né di altro genere. I miei legali sono al lavoro per valutare ogni azione a tutela della mia reputazione.

Daniele Leodori, vicepresidente Regione Lazio

 

Prendiamo atto della sua precisazione, tra l’altro molto utile nella ricostruzione dei fatti. Per quanto ci riguarda, ci siamo attenuti agli atti dell’inchiesta, specificando la sua estraneità all’indagine.

Vin. Bis.

 

I NOSTRI ERRORI

Ieri a pagina 12 abbiamo pubblicato la foto di Roberto D’Alimonte anziché quella di Guido Carli: ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori.

Fq

Il papa: “amo la bachata e allora Prendo lezioni dalla suora cubana”

Eugenio Scalfari si è inventato l’intervista con il Papa. Almeno così fa sapere la Sala Stampa vaticana, che con un comunicato diffuso poco dopo le 15 ha smentito il contenuto di quanto riportato questa mattina su Repubblica (Il Foglio, 29 marzo 2018)

L’ennesima intervista di Scalfari a Bergoglio. Alcuni giorni fa ho parlato al telefono con papa Francesco. Conoscendo il tentativo in atto di screditarlo, gli ho chiesto subito con quale reazione interiore stava osservando le mosse dei suoi oppositori. Li manderebbe all’inferno? BERGOGLIO: “Sono alti prelati: sanno bene che l’inferno è un’invenzione per tenervi buoni. D’altra parte, come potrebbe esistere l’inferno, se neppure Dio esiste?” Cosa?!? “Va’ là, che hai capito bene. Comunque, la vera nobiltà si dimostra nell’accogliere il rovesciamento della sorte. Che gli auguro toto corde”. Altre cose che odia? “Le prove costumi per scegliere la pianeta da indossare alle funzioni: ce le ho tre volte alla settimana. Si devono decidere modelli, colori, capire cosa stringere o no, mettere o togliere brillantini, cucire, ricucire, riprovare. Dietro c’è la fatica delle sarte, che va rispettata; ma, fosse per me, mi piacerebbe indicare col dito e dire quella sì, quella no, e basta”. Come passa il suo tempo libero? “Pilates, danza, e la mia nuova passione: la kick boxing”. Le piace ballare? “Vado matto per la bachata. Prendo lezioni dalla suora cubana, una ex miss Universo, che con il suo merengue convertì Castro”. Pilates, danza e kick boxing. Per iniziare una giornata così, che colazione le serve? “Una frittata di soli bianchi d’uovo con noci, caffè e una fetta di pane. Oppure uno yogurt di capra, con la papaya e le fragole”. Oltre all’attività fisica, cosa le piace fare nel tempo libero? “La sera mi rilasso. Ascolto musica, leggo un libro, guardo un film. Adoro Fred Bongusto, Elena Ferrante e Almodovar. Pedro è completamente pazzo!”. La sera cucina volentieri o detesta spignattare? “Per cucinare ci vuole tempo e io ne ho poco. Sia lodato Glovo!”. Sempre sia lodato. Quali virtù le riconoscono il suo portinaio, i negozianti di fiducia, i suoi più stretti collaboratori? “La sincerità, che a volte è scomoda. Io sono sempre stato allergico alle bugie fin da piccolo. Aspetti, che verifichiamo (al Segretario di Stato) Che altre doti ho?” CARD. PAROLIN: “Jorge sembra un despota, invece è autoironico. Fare l’aperitivo con lui è divertentissimo”. È vero che ha intenzione di andare in pensione come Ratzinger? “Non ci penso proprio: se c’è una cosa che amo è quella di andare all’altare a dire messa. Quando si apre la porta della sagrestia, ancora sento il battito del cuore, è bellissimo. E prima di salire all’altare mi spruzzo sempre un po’ di profumo: Green Irish Water di Creed”. Il suo rito. “È una forma di rispetto, è come se quel tocco finale mi rendesse perfetto”. Guidare la Chiesa è un po’ sedurre. Le è mai successo che una donna si innamorasse di lei? “Su Twitter qualcuna si è lanciata in vistosi apprezzamenti”. Cosa la attrae in una donna? “Mi attrae subito la bellezza fisica. Poi dev’essere intrigante, veloce di testa, deve farmi ridere”. E cosa la respinge? “La presunzione. Quella gliela smonto in tre minuti: sono un gesuita, ne sappiamo una più del diavolo”. Che non esiste. “Esatto”. Come vivrebbe una relazione? “Eviterei come la peste la convivenza. Stare lontani è il segreto di un’unione felice”. C’è una donna che vorrebbe invitare in Vaticano per una cenetta? B: “Barbara D’Urso. Ma so che è più impegnata di me”.

Ultim’ora. Impossibile seppellire Gigi Proietti. La sua tomba è stata occupata da Costanzo.

 

Ecco un nuovo scudo. Gli onorevoli vogliono diventare intoccabili

L’ emergenza Covid morde, ma al Senato fanno più paura le denunce. E la voglia matta di assicurarsi l’immunità pur di continuare a sproloquiare sui social. Dove, come si lagna Simone Pillon della Lega, bisogna potersi difendere. “Attualmente la politica è sottoposta a una continua pressione. Ciascun parlamentare viene spesso insultato, in molti casi la sua libertà viene messa a dura prova da aggressioni mediatiche, a volte organizzate” spiega il senatore che, con buona pace dei toni alimentati dalla bestia salviniana, pare intimorito.

È convinto, e non solo lui, che lo scudo dell’insindacabilità accordato dall’articolo 68 della Costituzione agli eletti sia troppo blando, almeno per come è stato interpretato fin qui seguendo le indicazioni della Corte costituzionale: per essere coperte dalla prerogativa dell’insindacabilità, le dichiarazioni rese fuori dall’aula (extra moenia) dal parlamentare abbiano un nesso funzionale con l’esercizio dei suoi compiti. Paletti stretti, per questo c’è chi vuole allargarli: anche per consentire ai senatori di pugnare non esattamente a colpi di fioretto, su Twitter o su Facebook, domani sera si aprirà un dibattito sull’articolo 68 di fronte alla Giunta per le autorizzazione a procedere di Palazzo Madama. Presieduta da Maurizio Gasparri, già colonnello di An oggi ras di Forza Italia in Vigilanza Rai, re delle invettive al vetriolo. A cui è andata bene, almeno con Roberto Saviano, su cui aveva picchiato duro nel 2017 per via dell’ospitata dello scrittore da Fabio Fazio. Gasparri aveva vergato qualche tweet dei suoi: “Ma @fabfazio che prende milioni dei cittadini, è un verme o ricorderà a #Saviano che è pregiudicato?”. La Giunta per le autorizzazioni a procedere lo aveva graziato riconoscendogli lo scudo dell’insindacabilità di fronte ai giudici del Tribunale di Roma.

Già nel 2015 Gasparri aveva preso di petto le due cooperanti rapite in Siria, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rilasciate dopo una lunga trattativa. Le ragazze lo avevano querelato dopo un tweet che ha lasciato di stucco tutti: “#VanessaeGreta, sesso con i guerriglieri? E noi paghiamo”.

Adesso a volerlo portare in giudizio è Rosanna Calzolari, il magistrato del Tribunale di sorveglianza di Milano che ha concesso i domiciliari a Domenico Perre, uno dei responsabili del sequestro nel 1997 dell’imprenditrice Alessandra Sgarella. Gasparri aveva rilasciato questa dichiarazione: “Cosa aspetta il Csm per radiarla dalla magistratura? Chiedo pubblicamente che la cacci su due piedi”.

Certo, il senatore azzurro dà più soddisfazione su twitter. “Troll, verme, sterco”, ma pure “demente, imbecille, rifiuto” è il meno che può aspettarsi chi lo critica. “Ruby Rubacuori di chi era nipote?” lo punzecchia Francesco Nacci. “Di tua nonna” lo infilza Gasparri, con eleganza e moderazione. Ma sa essere ancora meno gentile: a un tizio consiglia di disintossicarsi dopo uno scambio di vedute, un altro lo liquida con un “somaro”: sempre meglio di chi si becca del figlio di battitrice di marciapiede.

Ora in Giunta il problema di quanto ci si possa allargare sui social senza rischiare di pagare pegno è molto sentito: un fronte ampio è al lavoro per allargare le maglie dell’articolo 68.

Ma c’è pure chi ci va con i piedi di piombo, come Anna Rossomando del Pd: “Bisogna attenersi allo spirito costituente, questa prerogativa non può essere trasformata in un privilegio né in una immunità”. Anche Pietro Grasso di LeU boccia il “tana liberi tutti”: un ampliamento dell’insindacabilità, con il pretesto delle aggressioni ricevute via social, “oltre che antigiuridico, risulta essere poco dignitoso”.

Giglio magico, guai infiniti: un’altra indagine su Carrai

Sugli esponenti del Giglio magico non c’è soltanto l’inchiesta che riguarda la fondazione Open – considerata dall’accusa “una articolazione di partito” – per presunto finanziamento illecito. La Procura di Firenze, proprio partendo da quest’ultima, ha avviato una nuova indagine condotta dai pm Luca Turco e Antonino Nastasi.

Nuovo fascicolo e nuove accuse che, per esempio, riguardano un altro esponente storico del Giglio magico, Marco Carrai, per il quale è stato disposto nei giorni scorsi un altro sequestro. Il tutto nasce proprio dall’analisi del materiale informatico già sequestrato a Carrai che, evidentemente, ha portato alla scoperta di fatti nuovi e, appunto, nuove ipotesi di reato. Pochi giorni dopo la notifica a Matteo Renzi, Luca Lotti e Maria Elena Boschi di un avviso di garanzia per presunto finanziamento illecito per il quale lo stesso Carrai figura tra gli indagati.

Nel fascicolo su Open, Carrai era stato inquadrato proprio per il suo ruolo di presunta cerniera tra la fondazione e il mondo dell’imprenditoria e della finanza. E l’intero fascicolo iniziale nasce proprio dall’analisi dei finanziamenti disposti da una serie di imprenditori alla fondazione che, secondo l’accusa, rappresentava quindi una sorta di cassaforte a disposizione del Giglio magico nel periodo di massimo splendore di Renzi.

Il difensore di Carrai, l’avvocato milanese Massimo Dinoia, ha chiesto un rinvio dell’udienza al Tribunale del Riesame, prevista per ieri, proprio per avere la possibilità di leggere il nuovo deposito di atti. Udienza fissata proprio dopo che la Corte di Cassazione si era espressa duramente sui precedenti sequestri. Scrive la Cassazione: “È necessario non solo dar conto di erogazioni o contribuzioni in favore del partito rivenienti dall’ente formalmente esterno al partito, ma anche del fatto che la reale funzione di esso, al di là di quanto in apparenza desumibile dalla cornice statutaria, possa dirsi corrispondente a quella di uno strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti, in assenza di una sua effettiva diversa operatività”.

Questa la posizione della Cassazione, proprio in seguito ai ricorsi presentati dall’avvocato di Carrai, Massimo Dinoia, in merito alle accuse che riguardano il flusso di finanziamenti legati alla Open. Ma adesso per Carrai s’è aperto un nuovo fronte con nuove ipotesi di reato.

Poliziotta sospesa per il tatuaggio, lo ha pure la nuova vicecapo: “La norma va cancellata”

“Di sicuro quella grandissima donna e ottima poliziotta ci darà una mano”. È raggiante Arianna Virgolino, l’agente della Stradale sospesa a tempo indeterminato – a tutt’oggi non ha mai ricevuto un licenziamento ufficiale – per la cicatrice dovuta a un tatuaggio rimosso da un polso. A farle tornare il sorriso, la nomina del prefetto Maria Luisa Pellizzari a vicecapo della Polizia. Un po’ perché è la prima donna a sedere su quella poltrona, un po’ perché il prefetto Pellizzari ha un sinuoso geco tatuato sul polso sinistro. “La sua nomina è il segnale che qualcosa sta cambiando, perché dimostra come un tatuaggio, in sé, non faccia un poliziotto buono o un poliziotto cattivo”. La speranza dell’ex agente – la quale è stata sospesa un anno esatto prima della nomina di Pellizzari – è che la norma che vieta l’accesso ai ranghi della Polizia di persone con un tatuaggio visibile, sia cancellata. Un blocco che ha tagliato le gambe a decine di aspiranti poliziotti e che è stato oggetto di ricorsi a Tar e Consiglio di Stato, che ha deciso con una giurisprudenza ondivaga, a volte accogliendo, a volte bocciando, come raccontato dal Fatto. Lei, per esempio, vinse in primo grado il ricorso contro la sua sospensione perché il Tar riconobbe ininfluente quel segno. Sottolineando come, oltretutto, l’aspirante agente si fosse sottoposta a dure sedute di chirurgia laser per rimuovere il vecchio disegno. Il ministero degli Interni si appellò e il Consiglio di Stato accolse l’appello. A differenza di altri casi, nei quali aveva respinto i ricorsi del ministero. “Leggendo le varie ordinanze è emerso che i contenziosi rigettati venivano redatti tutti dallo stesso giudice, Paolo Troiano, che però a inizio 2020, è stato spostato dalla IV alla I Sezione…”. In questo modo, però, sottolinea Virgolino “alcuni miei colleghi con casi analoghi si sono salvati, altri, come me, invece no…”. la Virgolino ha anche denunciato che, a presiedere la IV Sezione del Consiglio di Stato (quella che le aveva dato torto), era il giudice Antonino Anastasi, il quale era stato membro esaminatore di un precedente concorso della Polizia, “per la qualifica di primo dirigente”. Un conflitto di interessi, secondo l’agente. Ma, al di là delle sentenze, per Virgolino è proprio la norma a dover essere messa in discussione: “È una norma arcaica, come dimostra la carriera eccezionale della nostra vice capa. Se come è scritto nella mia sentenza, il mio polso con una cicatrice recherebbe “grave nocumento al corpo”, mi chiedo quanti agenti tatuati vi siano oggi in servizio che insultano la divisa”. Virgolino, né licenziata né in servizio, ora si aspetta risposte. Sarà molto difficile negarle il reintegro, visto il geco del Prefetto.

Posto alla Uefa: il n.1 Figc Gravina sceglie… Gravina

Quando il n.1 della Federcalcio Gabriele Gravina ha dovuto scegliere chi rappresenterà il pallone italiano in Europa, si è guardato intorno e ha trovato solo due persone candidabili. Il suo vice Cosimo Sibilia, con cui i rapporti sono ormai ai minimi termini, più interessato ai suoi Dilettanti che agli esteri. E il capo della Serie A, Paolo Dal Pino, manager solo prestato al pallone. Niente da fare. Poi ha guardato in uno specchio e ha visto un signore distinto, bella presenza e una rete sempre più fitta di contatti coi poteri forti. E non ha avuto dubbi: “Mi fido solo di me stesso e delle mie capacità”, si è detto risoluto. Così Gravina ha candidato Gravina per un posto nell’esecutivo Uefa, a 150mila euro lordi di stipendio. Ma si può salire fino a 250mila l’anno, se si diventa vicepresidenti, come lo è stato Michele Uva. Gravina era il profilo migliore per succedergli ma c’è un problema: l’elezione Uefa si intreccia con quella Figc, 2 e 15 marzo. Gravina si presenterà in Europa da presidente uscente ma non ancora rieletto, con la spada di Damocle di un voto molto incerto contro Sibilia: questo potrebbe indebolirlo. Si è anche parlato di anticipare l’urna nazionale a febbraio, ma se Gravina perdesse la candidatura italiana decadrebbe. Quindi tenterà il doppio colpo: prima la Uefa, poi la Figc, con la possibilità di assicurarsi un prezioso paracadute in Europa. Il consiglio federale ha approvato all’unanimità, ma a rimetterci rischia di essere l’Italia, che per questa tempistica potrebbe non avere un rappresentante (oppure averne uno espressione della vecchia governance). Sarebbe stato meglio anticipare le elezioni Figc, in modo che a scegliere il candidato fosse il nuovo consiglio. Ma le candidature scadevano a gennaio, e da statuto la Figc non avrebbe potuto votare prima del 31 dicembre (anche se tante Federazioni lo hanno fatto). Così, secondo Gravina, per Gravina candidare Gravina era l’unica soluzione. Non gli resta che farsi gli auguri.

Lazio, sgomberata la sede degli Irriducibili. Sequestrata anche la panchina di “Diabolik”

Ieri mattina a Roma è stata sgomberata la sede in via Amulio occupata da anni dagli Irriducibili, ora Ultras Lazio. Nei locali di proprietà dell’Inail, gli ultras biancocelesti conservavano anche la panchina sulla quale venne ucciso Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, il 7 agosto del 2019. Gli amici di Piscitelli l’avevano presa dal Parco degli Acquedotti e portata lì, in attesa di poter un giorno avere giustizia per il loro capo. La polizia ha sgomberato i locali, riconsegnandoli all’Inail. “Da quella sede prendevano le mosse le azioni criminose di Piscitelli”, scrive in una nota l’Anpi di Roma. Soddisfatta la sindaca Virginia Raggi che sui social ribadisce: “Una cosa deve essere chiara: a Roma non c’è spazio per violenze e prepotenze. Ringraziamo le forze dell’ordine per l’operazione”. A fine ottobre si era tornati a parlare dei locali di via Amulio in seguito alle indagini della Digos in merito agli scontri avvenuti in piazza del Popolo contro le restrizioni anti-Covid del governo. Alcuni dei manifestanti, tra cui esponenti dell’estrema destra, erano stati visti darsi appuntamento nei pressi della storica sede degli ultras.

Lo spione del sequestro Abu Omar sempre salvato dal segreto di Stato

È l’agente meno segreto d’Italia. La sua foto è comparsa sui giornali e le tv di tutto il mondo mentre, volto contratto, giubbotto nero di pelle, aiuta la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, ferita, a scendere dall’aereo che l’aveva riportata a Roma dopo il rapimento in Iraq. Era il 5 marzo 2005. Marco Mancini era il capo della Divisione controspionaggio del Sismi (il servizio di sicurezza militare). Carabiniere dell’antiterrorismo di Carlo Alberto dalla Chiesa, era poi rapidamente diventato il braccio operativo del direttore del Sismi, il generale Nicolò Pollari.

Un anno dopo, il 5 luglio 2006, le sue foto scattate a Ciampino tornano a fare il giro del mondo: Mancini viene arrestato con l’accusa di concorso in sequestro di persona. I pm della Procura di Milano Armando Spataro e Ferdinando Pomarici lo accusano di aver aiutato gli americani della Cia a rapire un imam egiziano chiamato Abu Omar, prelevato in pieno giorno a Milano il 17 febbraio 2003 e portato al Cairo, dove viene interrogato e torturato per mesi. È una delle tante extraordinary rendition realizzate nel mondo dall’amministrazione Usa dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre. È l’unica che viene perseguita e giudicata, in nome del principio che la legge è uguale per tutti e che “lo Stato”, dice Spataro, “non può comportarsi come l’Anonima sequestri”. Con un’indagine da film americano, i pm milanesi individuano e fanno processare 26 agenti della Cia entrati in azione a Milano e trovano prove del coinvolgimento, almeno nella fase preparatoria, del Sismi di Pollari e Mancini. Gli americani sono condannati, gli italiani sono salvati dal segreto di Stato: non luogo a procedere in primo grado e in appello. Si oppone la Cassazione: il segreto di Stato non può mai coprire un fatto-reato. Così il nuovo processo d’appello, nel 2013, condanna Mancini a 9 anni e Pollari a 10. Ma intanto il segreto di Stato è confermato dai governi che si succedono (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), che sollevano conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale contro pm e giudici. La sentenza della Consulta, nel 2014, estende il segreto di Stato ai documenti del processo Abu Omar, sostenendo che copre non un fatto-reato, ma gli assetti interni dei servizi e i loro rapporti con la Cia. La Cassazione prende atto e annulla le condanne a Mancini, Pollari e altri tre agenti del Sismi: improcessabili per segreto di Stato.

Sarà la Corte europea di Strasburgo, nel 2016, a stabilire che così l’Italia ha violato cinque diritti umani sanciti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.

Alla porta di Mancini, la Procura suona due volte: lo fa arrestare di nuovo il 12 dicembre 2006, accusandolo questa volta di essere coinvolto nei dossieraggi illegali realizzati dalla struttura di security della Pirelli-Telecom Italia, diretta da un suo vecchio amico, Giuliano Tavaroli, collega ai tempi eroici dell’antiterrorismo. Secondo i pm, i due avevano messo in piedi una sorta di servizio segreto parallelo, pubblico-privato, che spiava e raccoglieva materiale riservato su centinaia di persone, imprenditori, politici, calciatori. Ma per lui scatta di nuovo il segreto di Stato: sui rapporti tra Sismi e Telecom.

La sua storia più delicata riguarda proprio il rapimento di Giuliana Sgrena, accanto a cui Mancini ha messo la sua faccia per sempre. La va ad accogliere sulla pista di Ciampino perché deve sostituire il collega Nicola Calipari, il dirigente del Sismi ucciso il 4 marzo 2005 da un soldato americano a un posto di blocco mentre stava accompagnando la giornalista all’aeroporto di Baghdad per riportarla in Italia. La vedova, Rosa Calipari, sostiene in un libro che suo marito potrebbe essere rimasto vittima di un conflitto interno al Sismi. Descrive la direzione di Pollari e Mancini come “ambigua, che agiva machiavellicamente su due linee strategiche opposte e alla fine contrapposte, un gioco che costerà la vita a Nicola”. Calipari era a favore della trattativa con i rapitori, a cui erano invece contrari gli americani; Mancini, da sempre vicino agli americani, era favorevole al blitz militare. Tutto dimenticato. Ora per Mancini potrebbe essere la vigilia di un grande ritorno in campo.