Il ritorno di Mancini: in ballo la nomina a vice degli 007

In principio era l’Aise, i servizi segreti per l’estero. Ma adesso per lo 007 Marco Mancini, secondo quanto risulta al Fatto, a Palazzo Chigi si sta pensando a una carica diversa. Non più nell’agenzia di informazioni e sicurezza esterna guidata da Giovanni Caravelli. Mancini prossimamente potrebbe essere nominato vicedirettore del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, con a capo Gennaro Vecchione, uomo molto vicino al premier Giuseppe Conte.

Siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma negli ambienti già se ne parla. Mancini, ex Sismi, ad oggi ha già un ruolo al Dis: è capo reparto e si occupa delle risorse finanziarie. Su di lui pesa l’ombra del passato, quando è finito a processo per il caso del rapimento di Abu Omar, ma non è mai stato condannato. Se negli scorsi mesi lo si dava come favorito al ruolo di vice all’Aise, ora pare che si stia pensando a una nomina nel dipartimento dove già lavora.

È da tempo infatti che le quattro caselle delle vicedirezioni di Dis, Aisi e (due) di Aise sono scoperte. In tanti scalpitano per riempirle e anche da dentro il Copasir – il comitato parlamentare che ha proprio il compito di vigilare sull’operato dei servizi – più di uno si chiede quando questi ruoli verranno ricoperti, soprattutto dopo gli attentati a Parigi, Vienna e Nizza. Di certo a oggi la priorità del Paese è gestire una pandemia che ha colpito tutto il mondo. Per questo finora, e probabilmente anche per il futuro, il governo ha deciso di scegliere la linea della continuità di comando, soprattutto in settori così delicati e strategici. È seguendo questo principio che si è decisa a giugno scorso la proroga “tecnica” per un anno del generale Mario Parente a capo dell’Aisi. Lo stesso potrebbe avvenire con Gennaio Vecchione, il cui incarico scade ai primi di dicembre: tuttavia potrebbe restare in carica un altro anno o anche due.

Intanto però bisogna riempire le caselle dei vice. All’Aise sono diversi i candidati alla carica di numero due: Carlo Massagli, consigliere militare di Palazzo Chigi, e Luigi Della Volpe. In corsa nei servizi segreti per l’estero anche il generale Enrico Tedeschi. Tutti uomini provenienti dalla Guardia di finanza.

Poi c’è l’Aisi, l’agenzia per l’interno. Il vicedirettore Valerio Blengini a breve termina l’incarico e va in pensione. I nomi in lista sono quelli di due carabinieri già capi reparto: Carlo De Donno e Massimo Aimola.

Di certo la scelta spetta a Conte. Lo prevede la legge 124 del 2007 sul “sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”, che dà al presidente del Consiglio il potere di nomina e revoca del direttore generale e dei vice di Dis, Aisi e Aise. Ancora poche settimane e si scoprirà l’esito del risiko delle nomine degli 007.

 

E chi lo foraggia ha preso i sussidi per il “Morandi”

È un fatto che il crollo del Ponte Morandi ha messo a disposizione degli amministratori locali liguri fondi pubblici senza precedenti. Mentre la ricostruzione del nuovo viadotto è stata affidata al sindaco di Genova Marco Bucci, Giovanni Toti ha conservato per sé un incarico di importanza fondamentale: quello di commissario all’emergenza. Un ruolo che in alcuni casi gli ha consentito di erogare decine di milioni di euro di fondi governativi o, in altri, di deciderne i criteri. Agli autotrasportatori, ad esempio, sono stati destinati 180 milioni di euro in due anni e mezzo: 20 milioni negli ultimi 4 mesi del 2018, nell’imminenza del post crollo; 80 nel 2019 e altrettanti nel 2020 (anno in cui si è sovrapposta alla prima emergenza la congestione delle autostrade della regione). I rimborsi sono stati assegnati su base forfettaria, come risultato del rapporto tra fondi disponibili e platea di domande degli aventi diritto: 30 euro a viaggio, a prescindere dalla distanza percorsa. La raccolta delle istanze e la verifica dell’idoneità è stata affidata dalla Regione Liguria all’Autorità Portuale, guidata da Paolo Emilio Signorini. La battaglia per i fondi è stata spesso rivendicata da Toti in prima persona. “L’attivazione di questi ulteriori indennizzi rappresenta una boccata di ossigeno per il settore – dichiarava il governatore l’estate scorsa – che, con tutta l’attività legata al porto, è uno dei vettori trainanti dell’economia della nostra regione”.

Potrebbe non stupire, dunque, se tra i sostenitori del leader del Comitato Toti c’è una delle realtà più importanti del settore, la Pittaluga servizi containers, che ha contribuito alla sua campagna con 2.500 euro. Parte di un gruppo radicato nei porti di Vado Ligure, Genova, La Spezia e Livorno, movimenta un milione di tonnellate di merci l’anno. Solo nel 2019 (i dati del 2018 non sono stati resi pubblici) l’azienda ha incassato 757mila euro di sovvenzioni pubbliche.

Altri aiuti per il post-Morandi sono arrivati sotto altre due forme: erogazioni una tantum, per le imprese che hanno dovuto cessare l’attività per via del disastro; e sgravi fiscali attraverso la creazione di una zona franca urbana. Questa seconda tipologia di intervento è stata gestita dal ministero dello Sviluppo economico, ma a disegnare la platea dei beneficiari è stato ancora una volta Toti, come commissario all’emergenza. Fra i sostenitori della sua corsa elettorale figura tra gli altri l’imprenditore genovese Giovanni Miscioscia, che per la corsa alle regionali ha dato personalmente a Toti 5mila euro. Un passato da editore, prima come fondatore dell’emittente locale Radio Babboleo poi amministratore di Radio Deejay, Miscioscia negli anni 2000 si è dedicato alla creazione di start up. Excantia srl (proprietaria del marchio Winesider, una sorta di cantina digitale) e Radiosa srl (digitalizzazione delle radio) sono nate insieme al Politecnico di Torino. Nel 2019 sono state trasferite nel capoluogo ligure, dove hanno agganciato i 66mila euro di sgravi della zona franca urbana creata con il Decreto Genova. Ancora meglio è andata alla cassaforte immobiliare European Investments Spa (200mila euro di sgravi). Nell’elenco delle donazioni, con 1.000 euro, c’è un nome legato in modo indelebile alla tragedia del 14 agosto 2018: la Ferrometal srl, società che si occupa di raccolta di materiale ferroso. Posizionata sotto al viadotto Polcevera, le sue telecamere hanno ripreso il crollo del viadotto, una prova oggi ritenuta fondamentale. Dopo il crollo è stata aiutata a ricollocarsi e ha ottenuto 164mila euro di sconti fiscali previsti dalla zona franca urbana.

Armatori, gas e cliniche: chi finanzia mr. donazioni

È stato il politico italiano più finanziato dai privati quest’anno. Su Giovanni Toti hanno scommesso parecchie imprese con grandi interessi in regione. Lo dicono i rendiconti del suo comitato elettorale. Da gennaio a settembre, il Comitato Giovanni Toti ha ricevuto 530mila euro dai privati, una cifra che i partiti non riescono a racimolare in un intero anno.

Dopo aver lasciato Forza Italia per fondare Cambiamo, Toti si è ricandidato alla guida della in Liguria a fine settembre e ha fatto il pieno di donazioni da aziende. Molte delle quali interessate, per ovvie ragioni commerciali, alle decisioni del governatore e del suo fedelissimo Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità che gestisce tutti i porti più importanti della Liguria. A partire proprio da quello di Genova, interessato da un piano di rilancio che, varato per contrastare il crollo del Ponte Morandi, dovrebbe portare sullo scalo più di 1 miliardo di euro di investimenti, in buona parte pubblici.

Aponte l’imprenditore italo-Svizzero

Gianluigi Aponte è uno dei più importanti armatori al mondo, patron del gruppo internazionale Msc oltreché che dalla compagnia di navigazione italiana Gnv. Attraverso una delle sue società, la Agenzia Marittima Le Navi, ad agosto di quest’anno l’imprenditore campano con residenza svizzera ha donato 10mila euro a Toti. Spiccioli, per un uomo a cui Forbes attribuisce un patrimonio da 8,7 miliardi di dollari, ma pur sempre utili per la campagna elettorale del governatore. Tanto più che Aponte ha recentemente beneficiato di un generoso contratto pubblico: 1,2 milioni di euro pagati dalla Regione Liguria alla sua Gnv per utilizzare, da metà marzo alla fine di aprile, un traghetto della compagnia come ospedale galleggiante per i positivi al Covid.

Ma tra i finanziatori di Toti c’è anche la concorrenza: la famiglia Grimaldi, attiva sia sul porto di Genova che su quello di Savona, ha donato infatti 13mila euro al comitato elettorale di Toti. Mentre ha scelto di scommettere 50mila euro il Gruppo Messina, che a Genova è di casa: ha in concessione un terminal del porto da oltre 300mila metri quadri e ha appena fatto entrare nel proprio capitale con il 49% delle quote proprio la Msc di Aponte. Altri 5mila euro sono arrivati dalla famiglia di armatori Fratelli Cosulich, e poi da parecchie altre aziende che hanno interessi nello scalo genovese. Scorrendo i rendiconti pubblici si contano 10mila euro dalla C.M.A. Sistemi Antincendio; 10mila dalla Rimorchiatori Riuniti; 40mila euro da aziende della holding Gin (Grandi riparazioni navali) – Officine Meccaniche Navali (15mila), Fonderie San Giorgio (15mila), Ortec (5mila) e Gerolamo Scorza (5mila) – che con la Regione hanno a che fare necessariamente per il rinnovo delle concessioni.

Mense e petrolieri quei 54mila euro prima delle elezioni

Una delle donazioni più generose è arrivata però dalla famiglia Costantino, proprietaria di Europam, un gruppo energetico che spazia dalle forniture di gas e luce alle pompe di benzina, con 250 impianti di rifornimento e circa mezzo migliaio di dipendenti. Appalti pubblici e forniture private. Attraverso le loro aziende i Costantino hanno regalato 54.500 euro a Toti poco prima delle ultime regionali in Liguria. Già nel 2017 la famiglia di petrolieri genovesi aveva infatti donato 80mila euro al Comitato Change di Toti, finito in un’inchiesta della procura di Genova. “Io sono libero di finanziare i politici che a mio avviso possono migliorare le condizioni del popolo degli abitanti e delle imprese, questo non significa che l’ho fatto per avere qualcosa in cambio”, ha spiegato lo scorso gennaio Mario Maria Costantino, presidente di Europam.

Un altro contributo importante è arrivato da Ernesto Pellegrini, ex presidente dell’Inter e patron dell’omonimo gruppo della ristorazione aziendale. Il 21 luglio la Pellegrini Spa ha infatti staccato un assegno da 30mila euro per la campagna elettorale del governatore ligure. Due giorni più tardi il gruppo milanese ha annunciato la firma di un accordo economico molto importante: l’acquisto della Industrial Food Mense, azienda molto presente in Liguria grazie a parecchi contratti di fornitura pubblici, da Fincantieri a Leonardo, da Ansaldo Energia a Hitachi fino alla Amt, la municipalizzata di Genova che gestisce il trasporto pubblico in città.

Sanità privata 10 mila da Villa Montallegro

Pietro Colucci, a capo del gruppo Waste Italia, gestore di una discarica a Vado Ligure, ha regalato 9 mila euro a Toti. Il suo nome è emerso nell’inchiesta giudiziaria sul Comitato Change per via di una segnalazione di operazione sospetta dell’Antiriciclaggio di Banca d’Italia. Tra le donazioni provenienti dal settore sanitario spiccano i 10mila euro della Villa Montallegro, clinica privata genovese di rilievo nazionale. Non è un mistero che da tempo Toti porti avanti una politica di apertura alla sanità privata in Liguria, progetti per ora congelati dopo l’emergenza coronavirus.

Massimo Pollio è il fondatore del progetto filantropico Flying Angels, che organizza viaggi per bambini malati che necessitano di cure in Europa. A marzo, in piena emergenza Covid, attraverso una sua società, la Imagro, ha fornito un lotto da 170mila euro di mascherine ad Alisa, stazione appaltante della sanità in Liguria. La stessa Imagro ha donato 20mila euro al comitato elettorale del presidente della Regione.

Aep Costruzioni sta realizzando la prima storica Esselunga della Liguria, nel quartiere genovese di Albaro. In un post dell’agosto scorso il presidente della Regione posava davanti al cantiere dove sorgerà il nuovo complesso: “Più concorrenza vuol dire prezzi più bassi, più soldi che restano nelle tasche delle famiglie”. Aep Costruzioni intanto ha versato 50mila euro sui conti del Comitato Toti. La San Lorenzo Spa lo ha sovvenzionato invece con 30mila euro. È una delle società interessate al progetto Miglio Blu, a La Spezia: un investimento da 4 milioni di euro annunciato nel giugno scorso, che prevede la creazione di un distretto nautico e una riqualificazione urbanistica. Qualche donazione è arrivata anche da privati cittadini. Ha versato 3.450 euro Sandro Biasotti, senatore ed ex presidente della Regione Liguria, fondatore della catena di concessionarie Autobi. E Marco Vinicius Amaral Garcia, che ha regalato 10mila euro.

È il direttore di Terre di Luni, parte del gruppo energetico Canarbino: sta sviluppando un progetto di riqualificazione edilizia ad Ameglia, in provincia di La Spezia.

Contattati per un commento sui possibili conflitti d’interessi dei suoi finanziatori, dallo staff del governatore fanno sapere che “non ci sia evidenza di alcun conflitto di interessi: tutti i finanziamenti risultano inoltre regolarmente registrati, e dichiarati, come previsto dalla normativa vigente”.

I medici lombardi contro Fontana: “Non vogliamo ringraziamenti”

Egregio Sig. Presidente Attilio Fontana, abbiamo letto la Sua lettera; non si scomodi a ringraziarci.

Siamo stati lasciati soli senza mascherine, senza protezione, molti di noi si sono ammalati e molti sono morti. Siamo stati additati come diffusori del virus, quando continuavamo a lavorare in silenzio. Siamo stati privati del compenso (quello proclamato e quello aggiornato) frutto delle nostre fatiche e del nostro impegno. Siamo stati obbligati a svolgere orari di lavoro massacranti, frenetici, disumani e costretti a lavorare a stretto contatto col virus ma distanziati (se non allontanati) dai nostri affetti più cari. Siamo stati isolati e ridotti a funzionari di apparato, schiacciati da inutili e sterili pratiche burocratiche, sempre più opprimenti, per svilire la nostra professione. Siamo stati privati del nostro dissenso, quando seguitavamo a segnalare i problemi reali e additati come causa (di problemi ) non come soluzione (ai problemi). (…) Siamo stati inascoltati quando abbiamo ricordato di preparare i vaccini antinfluenzali per gestire e garantire la somministrazione. Siamo stati elusi quando non abbiamo voluto colludere con gli interessi di mercato e politica. Siamo stati ignorati quando ripetevamo che la Sanità non poteva essere intesa come appannaggio di pochi (“i solventi”) e preferibilmente gestita da privati (“l’eccellenza”); siamo sempre stati convinti che tutti i malati vadano curati in base alla malattia e non al reddito. (…). Siamo stati mortificati quando siamo stati descritti, da qualche mass-media, inetti e avidi di denaro. Siamo stati definiti, come medici del territorio, inutili. Siamo stati lasciati da soli: nella realtà di anni, nella realtà di oggi ma abbiamo sempre lavorato senza rumore, in silenzio, a fianco della nostra gente, dei nostri assistiti, curandoli con ciò che avevamo.

In queste condizioni, Signor Presidente, non abbiamo bisogno dei Suoi ringraziamenti.

“Può essere davvero la svolta, ma dobbiamo ancora lottare”

“Bellissima notizia”: Massimo Galli, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, attualmente epicentro della pandemia in Italia, commenta così l’annuncio sul vaccino anti-Covid del colosso farmaceutico americano Pfizer. “Sono ottimista, ma ora bisogna fermare l’epidemia”.

Professor Galli, proprio lei rispetto al vaccino ieri mattina ha detto ad Agorà su Rai3: “Non si fa la guerra con un’arma che non c’è”. Passano poche ore e la Pfizer annuncia il vaccino “efficace al 90%”. Ora l’arma c’è?

Non ho ancora abbastanza dati per poter fare una valutazione, ma Anthony Fauci ha dichiarato che i risultati dell’efficacia di questo vaccino sono straordinari, quindi sì, è una bellissima notizia. Di Fauci mi fido perché non è uno che afferma cose per compiacere qualcuno, non è un pagliaccio. Può davvero essere la svolta, ma questo non significa che adesso possiamo sederci ed aspettare il vaccino ritornando alla vita di prima. La pandemia in Italia è in corso e dobbiamo fare di tutto per fermarla con le armi che abbiamo a disposizione in questo momento.

Il 90% di efficacia è un dato che fa ben sperare?

Sì, ancora non conosco il metodo di misurazione dell’efficacia, ma la percentuale è assolutamente confortante. E, indubbiamente, la percentuale di efficacia dichiarata dalla Pfizer e le dichiarazioni di Fauci fanno capire l’importanza eccezionale della notizia: potrebbe essere il passo avanti decisivo contro il coronavirus SarsCov2, ma dobbiamo anche essere realisti e sapere che non potrà essere subito disponibile per tutti, ci vorrà qualche mese e quindi non abbassiamo la guardia per carità, non adesso.

Le dosi devono essere tenute a -80°, questo complicherà la diffusione e la somministrazione del vaccino?

È un problemino mica da niente per un vaccino che deve essere di massa. Però mi auguro che si risolva in qualche modo, di certo non potrà essere conservato in farmacia a quelle temperature…

Il presidente sconfitto Trump ha esultato su Twitter intestandosi il risultato…

Se lo hanno annunciato ieri mi sembra difficile pensare che già dieci giorni fa non fossero in possesso dei dati, ovvio che Trump tentasse di metterci il cappello, ma conta poco, la notizia è che c’è un vaccino.

Pfizer: vaccino ok al 90% Ue: a noi 300 mln di dosi

Fa l’effetto di un boato ascoltato in tempo reale da una parte all’altra del mondo la notizia diffusa dalla multinazionale americana del farmaco Pfizer: nella fase 3 della sperimentazione sul vaccino anti-Covid non sarebbero stati osservati seri problemi di sicurezza, il gruppo prevede di chiedere alla Food and Drug Administration, l’agenzia del farmaco degli Usa, l’autorizzazione di emergenza alla fine di novembre: “Entro la fine dell’anno avrà prodotto dosi sufficienti per vaccinare da 15 a 20 milioni di persone”, precisa il New York Times.

Albert Bourla, presidente della Pfizer, scrive: “Il nostro vaccino a base di mRna può aiutare a prevenire il Covid-19 nella maggior parte delle persone che lo ricevono. Ciò significa che potenzialmente siamo a un passo dal fornire alle persone in tutto il mondo una svolta tanto necessaria per porre fine a questa pandemia globale”. Ma le parole più attese erano quelle di Anthony Fauci, il luminare americano spesso in contrasto col presidente sconfitto Donald Trump, che ha rotto gli indugi sul Washington Post: “I risultati sono davvero buoni, intendo straordinari. Non molti si aspettavano che il risultato sarebbe stato così importante: avrà un grande impatto su tutto ciò che facciamo riguardo al Covid-19”. Parole che Fauci pronuncia nonostante la notizia riguardi un’azienda concorrente alla sua Moderna: “Fa sperare che potremmo anche avere due vaccini”.

La prima conseguenza dell’annuncio è il balzo di tutti gli indici di Borsa, Dow Jones, Nasdaq e del petrolio, trascinati verso l’alto dall’andamento del titolo Biontech – i partner tedeschi di Pfizer – che a Wall Street già prima dell’apertura delle contrattazioni faceva segnare un clamoroso +20%. Ovviamente il presidente sconfitto ma non ancora arreso Trump salta subito sul carro: “La Borsa va su, il vaccino arriverà presto. Grande notizia!”. Seguito a ruota con tanto di fake news dal vicepresidente sconfitto Mike Pence: “Grazie alla partnership pubblico-privati forgiata dal presidente Donald Trump, la Pfizer ha annunciato che il suo test del vaccino è efficace”. Ma la smentita non si è fatta attendere: “Non abbiamo mai fatto parte di Warp Speed… non abbiamo mai preso fondi dal governo americano o da altri”, ha detto al New York Times Kathrin Jansen, capo del settore sviluppo vaccini della Pfizer. L’altro presidente, quello eletto, Joe Biden invece conferma quanto promesso in campagna elettorale: “Appena avremo il vaccino lo distribuiremo nel modo più rapido ed equo possibile e gratuitamente”.

In attesa dei “timbri” approvativi delle agenzie del farmaco americana ed europea, quindi, esulta anche l’Organizzazione mondiale della sanità: “Diamo il benvenuto alle incoraggianti notizie sul vaccino, il mondo sta sperimentando un’innovazione scientifica e una collaborazione senza precedenti per porre fine alla pandemia”. Mentre la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, rivela che firmerà un contratto con Pfizer e Biontech per 300 milioni di dosi in Europa. Una giornata storica a cui non poteva mancare la dichiarazione ufficiale della Russia: “Il nostro vaccino Sputnik V è efficace oltre il 90%”.

Dad, Emiliano “sconfitto” tratta con il governo su didattica e voti

Sembra uno di quei casi in cui si tocca una recinzione che un cartello “Pericolo” per poi lamentarsi della recinzione e della scossa. Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, prima ha deciso di chiudere le scuole di ogni ordine e grado, poi di riaprire almeno le elementari e le medie (dopo due sentenze contrastanti, mentre ieri a Napoli il Tar ha confermato la linea di “chiusura” di De Luca) e infine ha lasciato ai genitori la decisione della presenza o della didattica a distanza (con tanto di assenze “giustificate”). Ma o si è dimenticato di verificare che questa seconda modalità fosse realizzabile oppure, pur consapevole delle difficoltà, le ha ignorate. Tant’è che nel pomeriggio ha detto: “Molte famiglie hanno trovato ostacoli(…) vedendosi negare il loro diritto alla Dad sostanzialmente su due motivi: la difficoltà (ovvia, verrebbe da dire, ndr) di organizzarla nella stessa classe che opera anche in didattica in presenza; la mancanza di tablet e di connessione (di cui, se vero, la Regione dovrebbe essere informata, ndr)”. Trovare un colpevole non è però semplice. In Puglia sono stati stanziati 510 milioni per la didattica digitale e l’edilizia leggera. Di questi, ad oggi è stato speso il 61,94% e solo il 42% degli enti ha attivato contratti di affitto per nuovi spazi. Intanto ieri il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, è intervenuto per mediare. Ciò che ha a che fare con la didattica (e la valutazione) è infatti competenza di ministero e autonomie scolastiche.

“Ricoveri inappropriati? No, in corsia solo i gravi”

Si chiama “Gruppo di lavoro per definire i criteri di appropriatezza dei ricoveri di pazienti Covid-19”. L’ha istituito l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Il nome dice molto. Al ministero della Salute e negli uffici del commissario Domenico Arcuri c’è chi pensa che in alcune Regioni ci siano ricoveri “inappropriati”, cioè troppi pazienti con sintomi lievi che potrebbero stare a casa, ma finiscono in ospedale perché non c’è il medico di famiglia, la Asl è scomparsa o non sanno dove mettersi in isolamento. Secondo fonti di Agenas si tratta solo di mettere ordine tra le Regioni: guardando i numeri, il Piemonte, la Liguria o la Sicilia ricoverano molto di più della Toscana, della Campania o del Veneto. Ma nello stesso staff del ministro Roberto Speranza si osserva che sarà difficile intervenire su linee guida che prevedono, ad esempio, il ricovero dei pazienti Covid con ipertensione o diabete, che hanno – secondo l’Istituto superiore di sanità – molte possibilità di lasciarci la pelle. Vedremo.

Coordinatore del gruppo d è il professor Matteo Bassetti, primario di Infettivologia al San Martino di Genova, noto e stimato clinico, molto presente in tv, discusso per qualche uscita contro il “troppo allarmismo” sul Covid-19 durante l’estate e non lontano dal centrodestra che governa la Liguria. “Onorato dell’incarico”, ha rivolto su Facebook “un grazie particolare al viceministro Pierpaolo Sileri che ha fortemente voluto questo gruppo di lavoro”. Proprio Sileri, unico medico del governo, lo voleva nel Comitato tecnico scientifico insieme ai professori Andrea Crisanti di Padova e Massimo Galli del Sacco di Milano – i più decisi nel mettere in guardia contro la seconda ondata – e al professor Alberto Zangrillo del San Raffaele di Milano, che invece fu costretto a mille precisazioni per aver parlato di “virus clinicamente morto”. Bassetti l’ha scelto Domenico Mantoan, già capo della Sanità del Veneto di Luca Zaia, poi nominato alla guida di Agenas che nei primi mesi della pandemia era sostanzialmente assente perché priva di un direttore: a Speranza serviva l’ok delle Regioni, comprese quelle di centrodestra. Insomma, dopo il Cts e la cabina di regia c’è un altro organismo tecnico che nasce “bipartisan”.

Del gruppo fanno parte, tra gli altri, Luca Lorini, direttore dell’Area Critica al Giovanni XXIII di Bergamo, il professor Lorenzo Dagna a capo dell’Immunologia del San Raffaele di Milano e il professor Massimo Andreoni, primario di Malattie infettive a Roma Tor Vergata e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettivee tropicali. “Non mi è arrivata ancora la convocazione – dice Andreoni – se si vuol discutere della gestione dei pazienti purtroppo è un po’ tardi. Però gli ospedali non sono affatto pieni di pazienti con sintomi lievi, poteva accadere a settembre, ora non c’è posto. Da noi come in tutta Italia. È una situazione devastante, su 54 malati in questo momento otto hanno il casco di ventilazione, cerchiamo cioè di non mandarli in terapia intensiva. Altrove, come in Toscana, vedo che lasciano a casa ultraottantenni con il Covid. Li facciamo morire a casa? Ho visto morire anche 70enni che prima scalavano il Gran Sasso”.

Regioni, 5 arancioni. Le rivolte e la crisi preoccupano Conte

Altre cinque Regioni diventano arancioni, il colore che equivale a un semi-lockdown: e i governatori respirano, sollevati. Perché i contagi corrono senza pause, negli ultimi 15 giorni sono ormai 678 ogni 100 mila abitanti, gli ospedali sono ovunque trincee e l’indice Rt è rimasto a 1,7 e forse anche oltre, con i dati da aggiornare: così meglio che sia stato direttamente il ministro della Salute Roberto Speranza a intervenire. Ieri sera Speranza ha firmato l’ordinanza per trasformare in zone arancioni Liguria, Toscana, Abruzzo, Umbria e Basilicata, basandosi sui dati elaborati dalla cabina di regia presso il ministero. Lui è per la linea dura, ma si è lasciato per oggi il caso forse politicamente più sensibile, quello della Campania, una delle Regioni dove il virus morde di più, eppure ancora area gialla. Tutto porterebbe a chiuderla, a renderla direttamente zona rossa. Ma il governo riflette ed esita, perché la struttura sanitaria sembra ancora in grado di reggere. Ma soprattutto perché teme per la tenuta dell’ordine pubblico.

Non è un caso che i primi disordini per il coprifuoco nazionale siano scoppiati a Napoli. Come non è affatto casuale che il governatore campano Vincenzo De Luca, che invoca da settimane un nuovo lockdown nazionale, abbia chiesto più volte al governo risorse e rinforzi per la sicurezza nella sua regione. La Campania è una polveriera, e chiuderla potrebbe provocare detonazioni: per questo il 22esimo indicatore diventa “l’aspra insofferenza” di quei territori, indicatore – ammettono – di cui non si può non tenere conto.

Ma i timori di Palazzo Chigi non sono rivolti solo al Sud. Perché altrove i problemi sono altri, non meno angoscianti. La Lombardia, il polmone produttivo del Paese (assieme al Veneto) ora è zona rossa, con Milano che è l’epicentro della bufera. Ma quel colore deve stingere in fretta, ragionano nell’esecutivo, perché le ricadute sull’economia sono piaghe che l’Italia non potrà reggere a lungo. Per questo a Palazzo Chigi sperano che gli effetti della pioggia di Dpcm scesa nelle ultime due settimane plachino la furia del Covid almeno lassù. Perché ogni giorno in più che la Lombardia sta chiusa è un gradino più in basso nel baratro della crisi economica che stiamo attraversando.

È anche su queste logiche inverse che si muove il governo. Con il premier Giuseppe Conte che era e resta contrarissimo a un lockdown nazionale, sempre per la medesima ragione: il Paese rischierebbe di non sopportarlo sul piano dei conti. Però è un fatto che l’Ordine dei medici continui a supplicare per una serrata generale. Come è evidente che lo stop nazionale sia la soluzione preferita da tutti i governatori. Esemplari in questo senso le parole di ieri del governatore della Basilicata, Vito Bardi (Forza Italia): “Il passaggio in zona arancione era inevitabile visto l’aumento dei contagi, e ciò ci permetterà di avere un controllo maggiore della situazione”. E al Fatto il governatore dell’Abruzzo, Marco Marsilio (FdI), rilascia parole simili: “Non conosco ancora nel dettaglio le ragioni del provvedimento di Speranza, ma è evidente che non si può più ragionare in termini di Regioni gialle. Con questi numeri si va dappertutto verso maggiori restrizioni”. Perfino il ligure Toti, vicepresidente della Conferenza Stato-Regioni molto duro con il governo nei giorni scorsi, usa toni concilianti: “Siamo un po’ perplessi, ma non è il momento delle polemiche. Bisogna cogliere il grido dolore che arriva dai nostri ospedali e dai luoghi di cura, che chiedono di fermare gli arrivi”.

Un nuovo clima di lavoro, quello tra governo e Regioni, confermato anche dal ministro Francesco Boccia: “La collaborazione è totale. Le zone non sono una pagella, ma un’assunzione comune di responsabilità, così come il virus non deve essere considerato una colpa né per i territori né per i contagiati”. Si andrà avanti così, di quindici giorni in quindici giorni sull’altalena dei colori. Sempre meglio che la serrata totale per tutti. “Anche nelle arancioni – provano a consolarsi a Palazzo Chigi – c’è qualche attività che respira in più”.

Ospedali già oltre la soglia critica. I medici si dividono sul lockdown

È il giorno in cui la curva dei contagi continua a rallentare la crescita: ieri i nuovi positivi sono stati 25.271, i decessi 356. Ma è anche quello in cui la pressione sugli ospedali diventa fortissima, supera ampiamente la soglia che gli esperti considerano critica, tale da mettere a rischio la tenuta stessa del sistema sanitario. I numeri arrivano da Agenas, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali. Nei reparti di degenza ordinaria, tra Infettivologia, Medicina generale e Pneumologia, il numero dei posti letto occupati dai pazienti Covid ha raggiunto il 49% del totale di quelli disponibili (l’allerta scatta quando si arriva al 40%). Ed è già stata superata la soglia anche per le terapie intensive.

I posti letto in rianimazione, infatti, dopo gli ampliamenti, sono saliti a oltre 8.200. Quelli occupati dai pazienti Covid sono il 34% (quasi 2.790 persone), con un’allerta che in questo caso è fissata al 30%. Ed è così che da Nord a Sud la situazione appare sempre più drammatica. Con ben undici regioni – Campania, Lombardia, Lazio, Liguria, Emilia-Romagna, Marche, Provincia di Trento, Umbria, Valle d’Aosta, Piemonte – che sforano i limiti delle degenze in regime ordinario. Vale a dire che stanno saturando i posti e dovranno far ricorso a quelli destinati a pazienti affetti da altre patologie. Alcune come la provincia autonoma di Bolzano, la Valle d’Aosta, il Piemonte, hanno addirittura oltrepassato un tasso di occupazione del 90%, Bolzano ha persino raggiunto il 99%. Così è per le terapie intensive. Hanno superato la soglia critica l’Emilia-Romagna (35%), la Liguria (39), la Lombardia (52), le Marche con il 41%, il Piemonte con il 53. Poi Bolzano (61), Trento (39), la Sardegna (32), la Toscana (44) l’Umbria (60) e la Valle d’Aosta (47%).

“La situazione epidemiologica continua a peggiorare e si registra un Rt di circa 1,7”, dice il direttore del dipartimento Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza. “Abbiamo – prosegue Rezza –, oltre 500 casi per 100mila abitanti e quasi tutte le regioni italiane sono pesantemente colpite”. Una condizione che, soprattutto a causa dell’incremento dei ricoveri in terapia intensiva, “giustifica l’adozione di interventi più restrittivi”. La pressione è così forte che alcuni pronto soccorso, assediati, chiudono. Così è stato all’ospedale di Pistoia: con una media di circa una trentina di accessi quotidiani con diagnosi di polmonite da Covid-19, ha sbarrato ieri sera, per una notte, l’accettazione. Al pronto soccorso dell’ospedale San Gerardo di Monza, invece, chi arriva con codice verde adesso viene dirottato su altre strutture. Del resto, qui, in una delle aree più colpite della Lombardia, su 600 posti letto 450 sono occupati da persone contagiate, e di queste 43 sono in terapia intensiva. Al San Gerardo manca anche il personale: 340 tra medici e infermieri non sono in servizio perché positivi. “In questo momento Codogno siamo noi e abbiamo bisogno della stessa attenzione che abbiamo dato agli altri durante la fase1”, dice il direttore generale dell’ospedale lombardo, Mario Alparone: “Abbiamo assunto 110 nuovi operatori, di cui 40 medici, ma avendo 340 positivi a casa parliamo di una goccia”.

Quanto al Piemonte, con 4.671 ricoverati, di cui 304 in terapia intensiva, “la situazione – dice Roberto Testi, coordinatore dell’Unità di crisi regionale – è preoccupante soprattutto in prospettiva, se la proiettiamo a una settimana o dieci giorni, qualora la crescita dei contagi continui a procedere in questo modo”. Lockdown nazionale, come ha chiesto il presidente della Federazione degli ordini dei medici, Filippo Anelli? I camici bianchi di Firenze e l’Ordine degli infermieri di Napoli sono d’accordo. Ma la scelta divide gli operatori sanitari. “I dati, se nessuno imbroglia, ci sono. E forse possiamo ragionare su un sistema più elastico – dice Ester Pasetti, segretaria dell’Anaao (medici dirigenti) dell’Emilia-Romagna –, differenziando di volta in volta i territori”.