Lei è così. È una donna che le sue notti bianche le passa a riflettere, non a piangere su se stessa; è una cittadina che non ha un orario per indignarsi, e magari appena sveglia apre il giornale, si avvelena, di nascosto si chiude in bagno e scatena l’inferno sui social (“con il mio compagno disperato”); è una romana dalla tipica timidezza sfrontata, di chi si butta, si prende in giro e magari per scherzo canta Viva la pappa col pomodoro ma “nel mio stile. Tanto da renderla un po’ pallosa”.
È un’artista che quando nomina un collega utilizza nome e cognome, senza vantare particolare familiarità (“La storia del ‘tutti amici’ non mi piace”).
È Fiorella Mannoia che esce con Padroni di niente, album bellissimo, vero, nel suo stile, pubblicato ora anche come forma di resistenza musicale.
Nel disco parla di un sogno che le si è rotto…
È una canzone adulta, per quelli della mia generazione, per chi negli anni Settanta ha creduto di poter cambiare il mondo; per chi magari si ritrovava nelle comuni, gli hippie, amiamoci tutti, e via ancora…
Però?
Continuo nel mio piccolo: se non cambio il mondo, almeno cerco di influenzare ciò che mi circonda; credo sia un nostro dovere, di ognuno, riflettere su come si educano i figli, le parole che si utilizzano, come si trattano i dipendenti…
Che capo è?
Non mi piace e non sono capace; (ci pensa) non so proprio comandare, posso solo infondere serenità e rispetto, e con gli anni ho capito che se punti su serenità e rispetto, quando poi chiedi qualcosa, si fanno in quattro per te.
Ha mai licenziato?
(Quasi stupita) Mai!
La donna di servizio?
(Ride) Me le so’ tenute anche se non pulivano.
Si sono approfittati di questa indole?
(Balbetta, non può neanche supporre una situazione del genere) Beh, come dire, in maniera disonesta no; magari ci marciano un po’, ma sotto questo lato sono una frana; però ho sempre lasciato un buon ricordo di me, c’è chi ha chiamato i figli con il mio nome.
Tra i suoi colleghi nessuno parla male di lei.
Davvero? È che non soffro di rivalità, se mi chiamano per un’iniziativa, vado; poi non cado in sciocchi capricci, come valutare la nostra importanza a seconda delle dimensioni del camerino, o tra chi ha l’autista e chi no, o chi ha la macchina più importante. Per me sono solo miserie umane.
Però capita.
A volte sì, per entrambi i sessi: sfatiamo il mito della competitività legata solo al mondo femminile.
Competitiva, mai?
Ognuno nella vita ha il proprio posto, il proprio ruolo, e se te lo sei guadagnato, è tuo: su questo sono abbastanza centrata; poi è ovvio, se canto con un collega, ci tengo a fare bella figura, così come se ascolto un bel brano, che potrebbe rientrare nelle mie corde, un po’ di invidia bonaria mi avvolge.
Esempio.
Il mare d’inverno, però Loredana (Bertè, ndr) la interpreta in maniera magistrale.
Secondo Lavezzi si è lasciata sfuggire Vita.
In principio si chiamava Cara, e me l’aveva proposta Mogol all’interno di un pacchetto di canzoni: avevo scelto solo quella; forse si è risentito e non me l’ha più data.
I suoi anni Settanta.
Ci sono libri, film, dischi che hanno segnato in maniera indelebile la mia generazione: penso alle poesie di Ferlinghetti, On the road di Kerouac, Un uomo chiamato cavallo, Bob Dylan, i Led Zeppelin e Tutti morimmo a stento di De André (resta in silenzio). Tutti morimmo a stento l’ho vissuto come uno schiaffo in viso arrivato durante la mia “linea d’ombra”.
Tradotto.
L’età in cui sei a cavallo tra l’adolescenza e l’età adulta, ed è lì che ti formi, che vieni a contatto con la realtà; quando per la prima volta ho ascoltato l’album di De André, ricordo dove ero, le sensazioni, cosa ha scatenato.
Cosa?
È come se mi avessero obbligata a guardare da una finestra a me sconosciuta, una finestra fino a quel giorno celata dall’amore della famiglia: per la prima volta ho scoperto le prostitute, la guerra, i drogati, gli ultimi, gli emarginati. Un mondo ignoto e scioccante. Lo ascoltavo di continuo, chiusa nella mia stanza.
I suoi contenti…
Ricordo mio fratello, dieci anni più grande di me, che urlava: ‘Guarda ’sta deficiente che ce fa senti’!’. E io: ‘Vai via, non capisci niente. Lasciami sola’ (e inizia a cantare il ‘Cantico dei drogati’).
Quando ha conosciuto De André?
Mi vergognavo; (ci pensa) eravamo al concerto di Ivano Fossati: durante il bis andiamo dietro il palco, proprio al buio, io rossa in viso, anzi rossissima, mi sono avvicinata: ‘Chissà quante persone te lo avranno detto, ma hai segnato la mia vita come nessun altro’; lui mi ha abbracciata e messo la mano sulla testa. Io in lacrime.
Anni fa ha citato la Yourcenar: ‘A vent’anni ero pressappoco come ora, ma senza consistenza’.
Però come sostiene sempre lei ne Le memorie di Adriano, questa decantata gioventù, in fondo, non la rimpiango perché mi piaccio di più oggi, con il mio bagaglio di esperienze.
Da quando si piace?
Non ho mai avuto un rapporto conflittuale con me stessa, in fondo mi sono sempre ritenuta una brava persona, mentre fisicamente il discorso cambia: non mi apprezzo mai, non riguardo le fotografie né quando vado in televisione.
Neanche per le prime serate su Rai1 con Uno, due, tre… Fiorella?
Il direttore della fotografia è stato bravissimo, l’obiettivo stringeva e sembravo più magra; quando mi sono rivista ho pensato: ‘Non sono così cessa’; (ci pensa) dopo il debutto sono andata a letto inconsapevole del risultato ma soddisfatta; appena sveglia ha trovato un numero spropositato di messaggi, e ho capito che l’Auditel aveva offerto piacevoli risultati, perché quando va male non ti chiama nessuno.
C’era pure la Ferilli…
Per lei ho un affetto da sorella, e mi ritrovo nella sua umanità, ironia, attenzione su quello che ci circonda: non siamo passive; (ride) nei messaggi ci scriviamo solo in romanesco.
C’era pure Fossati…
Con lui sono stata categorica: ‘Non vuoi cantare? Va bene, ma devi comunque venire’.
Lo ha rimproverato del suo auto-pensionamento?
Mi è dispiaciuto, non mi aveva detto nulla, come gli altri l’ho scoperto dai giornali; l’ho chiamato immediatamente: ‘Ma sei sicuro?’. ‘Sapevo da anni che avrei smesso a 60’.
Lei si è data una data?
Manco pe’ gnente, non ci penso proprio: se c’è una cosa che amo è quella di salire su un palco e cantare; quando si apre il sipario ancora sento il battito del cuore, è bellissimo. (Sorride) Prima di uscire dal camerino mi spruzzo un po’ di profumo.
Il suo rito.
È una forma di rispetto, è come se quel tocco finale mi rendesse perfetta.
Durante il concerto guarda il pubblico?
All’inizio no, per i primi quattro o cinque brani resto concentrata, perché se parti male, poi va storto, e fai fatica a recuperare; (sorride) si chiama esperienza.
Ha iniziato giovanissima come stuntwoman.
Controfigura di Loretta Goggi ne La freccia nera.
Le piaceva?
Mi ha permesso di conoscere un mondo sconosciuto, e l’onore di lavorare con Monica Vitti, Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Claudia Cardinale, Gene Hackman e Candice Bergen.
Controfigura della Vitti.
Per quattro o cinque film; purtroppo non c’erano i telefonini, quindi gli unici ricordi sono nella mia testa.
E cosa ricorda?
Soprattutto la Vitti, la guardavo con ammirazione: arrivava la mattina coperta da occhialoni neri, e tutto sommato sembrava una donna normale; quando usciva dal camerino, truccata, ed entrava in scena, allora avvertivi una presenza, un’identità differente, una bellezza che ti ammaliava. Una diva. (Ci pensa) Lei non poteva diventare altro che un’attrice.
Negli anni su cosa ha cambiato punto di vista?
Le idee, le persone, gli sbagli, i valori no: per me sono sempre gli stessi. Ben ancorati.
Che la portano a discussioni accese sui social.
Ogni volta prometto a me stessa e a Carlo (il suo compagno
, ndr) di smetterla.
Invece…
Non resisto: magari ci svegliamo, leggiamo le ultime notizie, mi incazzo per qualcosa, lui va in cucina a preparare il caffè, e io di nascosto, chiusa in bagno, scrivo il mio post. Poi Carlo e chi lavora con me si chiamano al grido: ‘Lo ha rifatto?’.
Viene considerata seria e seriosa.
Il programma tv ha un po’ sfatato quest’immagine, ma è anche vero che da anni vengo presentata come la musa dei grandi autori, una che canta canzoni impegnate, che appoggia le cause, si occupa di politica…
Insomma, inevitabile.
I miei brani sono lontani dal ‘tu mi hai lasciato, io ti ho lasciato, il cielo è sereno, andiamo al mare’, così il pubblico pensa che io non rida mai.
Barbarossa l’ha definita come una delle più simpatiche.
Lo devo ringraziare: ogni volta che vado nella sua trasmissione (Radio2 Social Club, ndr) mi chiede di intonare Jeeg robot, o la pappa con il pomodoro, o Let It Be che in italiano diventa Lassa sta’; (ride) con lui giochiamo su un punto: drammatizzo quello che canto, e la pappa al pomodoro si tramuta in una palla mortale (anche qui la intona ed è surreale).
Però a Sanremo, nel 1981, ha portato Caffè nero bollente, brano erotico.
Il problema non era il testo, ma la musica rock: strada che non ho più praticato; più o meno io e Gianna Nannini abbiamo iniziato nello stesso periodo, e per assurdo lei era stata inquadrata come melodica, io rockettara
Quel pezzo le piace?
Per un po’ di tempo l’ho messo da parte, poi è scattata la pace; un po’ come le vecchie fotografie: a volte, quando le riguardi, ti giudichi ridicola, fino a quando trovi la giusta distanza, la giusta tenerezza; mi ripenso a Sanremo con i pantaloni di pelle, i capelli con il ciuffo e la camicia dorata: non ero io.
Gianni Rodari ha scritto Il libro dei perché. Lei, ‘perché cantante’?
Mio padre era un musicista dilettante, amante della lirica: quando ci metteva a letto, invece delle favole, ci narrava le opere; già da piccola sapevo a memoria il Rigoletto, Radames, Tosca (cita a memoria), la Cavalleria rusticana…
E lei?
Piangevo tutte queste donne morte, fino a quando ho chiesto a papà: ‘Perché finiscono così male?’. La risposta non la ricordo, però iniziai a cantare le arie, in casa si accorsero che ero intonata e per un po’ di tempo sono stata una di quelle bambine prodigio che partecipavano a una serie di eventi.
Si è sentita come in Bellissima?
Mi divertivo. Il primo pezzo è stato Vecchio frack.
Allegro.
Il mio destino era quello di cantare i brani di uomini, anche perché non ho una grande estensione vocale, non arrivo a Mina, meglio con Battisti.
Lo ha conosciuto?
Una sola volta nella sua casa discografica, con il privilegio di ascoltare in anteprima il disco Il nostro caro angelo; alla fine Battisti ci chiese: ‘Quale brano vi è piaciuto di più?’.
Risposta?
Era difficile, ma azzardai Luci e soprattutto Petrolio, una delle poche politiche.
Un suo punto di svolta.
Credo Premiatissima su Canale5, uno dei primi programmi della rete: vinsi cantando solo brani di cantautori; (sorride) le riprese finivano alle tre o alle quattro del mattino, con il pubblico stremato che voleva fuggire e la produzione che chiudeva appositamente le porte.
A cena, con Salvini o Berlusconi?
Salvini proprio no; (pausa) meglio Berlusconi, almeno gli domando da dove arrivano i suoi primi soldi.
Cossiga o Andreotti?
Andreotti per parlare degli anni di piombo e di mafia.
Chi è lei?
Rubo la definizione al mio avvocato: sono una cazzona di talento.
(Canta Fiorella Mannoia in “Padroni di niente”: “La convinzione che non cambierà mai niente è solo un pensiero che inquina la mente”. E lei la mente la mantiene lucida).