Gentile redazione, non sono una appassionata di calcio, ma la depressione di Maradona mi ha molto colpita, ricordandomi quasi un eroe della mitologia classica, quell’Achille che, quando non combatte, piange. Il giorno dopo, anche Van Basten confessa che tutto il dolore provato per lo sport è stato pressoché inutile… Mi emozionano molto queste storie di umanità e fragilità di uomini considerati forti e valorosi, almeno sul campo da gioco.
Roberta Milano
Gentile Roberta, prima di Maradona, tornato all’attenzione del mondo per la ricorrenza del suo 60esimo compleanno, e poi per l’operazione al cervello cui è stato sottoposto d’urgenza, sotto l’occhio di bue era curiosamente finito a fine ottobre, per il suo 80esimo compleanno, Pelé: con Maradona il più grande calciatore mai apparso sulla faccia della Terra. E curiosamente, anche dal Brasile erano rimbalzate notizie del disarmo psicologico, oltre che fisico, del grande O Rei: che anche a causa di un intervento all’anca non perfettamente riuscito è costretto da tempo a passare le sue giornate in carrozzella. “Questo problema di mobilità lo ha fatto piombare in una strisciante depressione – ha raccontato il figlio Edinho –. Lui è sempre stato O Rei, una figura dominante, e oggi non può nemmeno camminare, può farlo solo con il girello e se ne vergogna. Ha perso la voglia di uscire di casa, non vuole farsi vedere”. “Muore giovane chi è caro agli dei”, si dice; e non c’è dubbio che gli eroi moderni, gli eroi sportivi soprattutto, senza saperlo muoiano (almeno dentro di sé) tutti giovani. Nemmeno lo sterminato affetto con cui la gente continua a gratificarli è sufficiente, a volte, a ridar loro il senso del contatto con la vita vera, nuova, reale, che non è più quella cui erano abituati. Astutillo Malgioglio, il portiere dell’Inter di Trapattoni che ai tempi del Brescia, della Roma e dell’Inter trascorreva il suo tempo libero dedicandosi alla rieducazione motoria dei bambini cerebrolesi, mi parlò un giorno di Agostino Di Bartolomei, che della Roma di Liedholm era il capitano. “Aveva saputo che ogni tanto andavo al Bambin Gesù, o in altre strutture, e un giorno mi disse: avvisami, voglio accompagnarti e fare questa cosa con te, nel tuo modo, senza che nessuno lo sappia. Fu di parola, facemmo spesso coppia in queste visite. Ago era un campione, ma in lui vedevi prima di tutto l’uomo. Era unico, davvero, ma smettere di essere il Di Bartolomei-campione fu rovinoso anche per lui. Scopri di colpo che sei tu ad aver bisogno degli altri. E non sai a chi chiederlo, né come”.
Paolo Ziliani