Se la “zona rossa”, che inizia oggi, è una iattura, ieri in Calabria è andata anche peggio. La politica ha detto tutto e il contrario tutto: la piazza si è scagliata contro la Regione che, a sua volta, ha tentato di scaricare la colpa sul governo, “colpevole” di aver prolungato il commissariamento della sanità inserendo la Calabria tra le regioni nello “scenario di tipo 4” e con un livello di rischio “alto”. Nel mezzo almeno due performance di Nino Spirlì, presidente facente funzioni dopo la morte della governatrice Jole Santelli. Una delle due sparate è collegata proprio alla scomparsa della presidente di Forza Italia. Meno di un mese fa, infatti, Spirlì si è congedato dalla governatrice promettendo di lavorare “senza sosta per portare a termine il progetto politico di Jole”. Ascoltando le sue parole di ieri (“Sono qui per una sciagura, non sono stato eletto”), delle due l’una: o rinnega il progetto o si prende la sua parte di responsabilità come componente di quella giunta”.
Con la seconda ondata Covid, infatti, il governo nazionale chiude la Calabria non per l’aumento dei contagi ma, caso unico in Italia, per malasanità e per una politica che ha promesso di correre ai ripari e, in nove mesi, non l’ha fatto.
La gente lo ha capito e alcune centinaia di persone ieri si sono ritrovate a Catanzaro davanti alla Cittadella regionale. Ci sono anche medici e infermieri con il camice bianco. Chiedono “assunzioni subito” e “salute per tutti”. C’è chi tiene in mano addirittura un cartello con scritto: “Per un pugno di inetti, i calabresi ne pagano le spese”. Il riferimento è al rischio di collasso della sanità regionale nonostante i fondi stanziati dal governo per far fronte all’emergenza Covid: “Ho dato tutta la disponibilità della Regione per aumentare i posti letto e di terapia intensiva”. Spirlì esce dal palazzo e, a favore di telecamere, prova a calmare gli animi. Nulla da fare. Partono i fischi e la domanda sul “perché siamo arrivati a questo punto?” è insormontabile. “Io sto lavorando adesso”.
Giravolta e via. Spirlì batte in ritirata e torna nel palazzo da cui, poche ore prima, si era collegato con la trasmissione Coffee Break di La7. Anche lì l’esponente leghista ha dato il meglio di sé rispondendo al segretario del Partito comunista, Marco Rizzo: “Quando Arcuri ha fatto il concorso per i posti aggiuntivi la terapia intensiva?”. Con sulla scrivania i santini della Madonna, si è definito da solo “ignorante in questa situazione”.
C’è poco da fare. Con due Asp sciolte per infiltrazioni mafiose, assunzioni di medici e infermieri rimaste sulla carta e posti di terapia intensiva in numero degno di un Paese del Terzo mondo, la Regione Calabria e la politica di centrodestra attaccano perché non sanno che rispondere. Dopo aver tentato di truccare i numeri dei ricoverati in rianimazione, minacciano addirittura di impugnare l’ordinanza con la quale il ministero della Salute ha istituito la “zona rossa”.
E intanto a Reggio, in serata, cittadini e commercianti sono scesi in piazza per protestare contro la chiusura. Il no alle restrizioni del governo è stato urlato da quasi mille persone davanti alla prefettura: “La colpa è dei politici che si sono mangiati gli 86 milioni. Ci devono dire che fine hanno fatto questi soldi e i 440 posti di terapia intensiva promessi a marzo”.