Anche Scholz alza la voce Biden riallinea Zelensky

La telefonata tra il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e Joe Biden era stata preparata da tempo. Ma è come se fosse servita al presidente statunitense per allineare anche Zelensky al clima da guerra imminente che gli Stati Uniti hanno impresso alla crisi ucraina.

Nel pomeriggio, infatti, il presidente ucraino aveva sminuito gli avvertimenti Usa di una possibile invasione da parte della Russia a giorni, dicendo che deve ancora vedere prove convincenti. “Comprendiamo tutti i rischi, capiamo che ci sono rischi”, ha detto intervenendo in diretta a una trasmissione, “se voi, o chiunque altro, avete informazioni aggiuntive riguardo a un’invasione russa al 100% a partire dal giorno 16, per favore inoltrateci queste informazioni”, ha detto Zelensky mostrandosi scettico quindi rispetto al panico diffuso dagli Usa.

In serata Biden si è incaricato personalmente di avvertire l’ucraino in una telefonata durata 51 minuti (le durate delle telefonate sono diventate una delle informazioni diffuse dalla comunicazione della Casa bianca) in cui il comandante in capo americano ha rassicurato Kiev della volontà di continuare con la diplomazia ma anche di voler impiegare la necessaria “deterrenza”.

Gli Stati Uniti, in realtà, non deflettono dal loro diffuso allarme circa le reali intenzioni russe nonostante Mosca abbia smentito di voler invadere l’Ucraina e abbia accusato Washington di spargere un clima da “isteria”.

Ma ieri il messaggio si è ripetuto identico: “La Russia ha ben oltre 100 mila soldati lungo i confini dell’Ucraina e in realtà, negli ultimi giorni, anche di più”, ha detto il portavoce del Pentagono, John Kirby, citando un “mosaico di informazioni di intelligence” raccolte dagli Usa, senza però fornire ulteriori dettagli.

La questione rimane sempre questa: sono gli Stati Uniti a creare l’allarme sulla base di informazioni riservate che nessuno può verificare. Dall’altra parte la Russia minimizza e smentisce e finora non si vede una seria trattativa diplomatica alla luce del sole e soprattutto nessuno obiettivo chiaro che aiuti a capire quando ci sono degli avanzamenti oppure no.

Solo a una analisi professionale è chiaro che la Russia vuole evitare che l’Ucraina sia assorbita nella sfera di influenza della Nato mentre l’Occidente, in senso ampio, vuole esattamente il contrario. E allora una chiave di lettura che la giornata di ieri aiuta a corroborare, è che gli Stati Uniti alzino la tensione anche per tenere compatto il fronte occidentale. La dipendenza energetica dalla Russia ha finora reso più flessibili le posizioni di paesi come Italia e Germania, mentre la Francia ha messo in campo un certo attivismo diplomatico intenzionato a portare a casa dei risultati internazionali per Emmanuel Macron in vista delle presidenziali di aprile.

Un riallineamento sembra essere venuto ieri dalla Germania che ha rieletto il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier. Il quale ha inviato un messaggio a Mosca: “Il rafforzamento di truppe da parte della Russia non può essere frainteso. È una minaccia all’Ucraina” e “le persone lì hanno il diritto di vivere senza paura e senza minacce, all’autodeterminazione e alla sovranità”. A chiunque provi a farlo, “risponderemo in modo deciso”.

Allo stesso tempo la Germania sarà al centro dell’iniziativa diplomatica con il viaggio del cancelliere Olaf Scholz previsto sia a Mosca che a Kiev. Scholz, che la scorsa settimana si è recato in visita a Washington da Biden, era stato definito in prima pagina dalla versione europea del New York Times, l’Herald Tribune, “evasivo” a proposito dell’Ucraina. Le mosse che farà nei prossimi due giorni quindi si annunciano rilevanti per capire dove si posizionerà il pendolo della crisi. In particolare occorre capire l’orientamento relativo al North Stream 2 che trasporta il gas russo in Germania aggirando l’Ucraina. L’impianto è quasi completato ma non ancora in funzione. La Germania finora ha frenato per effetto della crisi ucraina, ma non con piena convinzione. La missione tedesca a Mosca potrà chiarire come stanno davvero le cose.

“In quest’Italia trionfa il conformismo: lo spirito critico si è narcotizzato”

“Tutti corrono verso la stessa direzione, applaudono gli stessi protagonisti, ascoltano le stesse canzoni, utilizzano il medesimo vocabolario. Faccio l’attrice e non la sociologa, ma questa Italia mi sembra come quegli omogeneizzati dove ogni sapore si perde”.

Ottavia Piccolo era a teatro nelle sere in cui l’Italia si addormentava tra le braccia di Amadeus.

Sì, ero in un tour teatrale in Toscana e sembrava che noi fossimo un fuor d’opera. Oddio, c’è Sanremo e noi a fare teatro! Ma si può? Poi mi sono accorta che la gente veniva a vederci tutte le sere, anche se siamo in tempo di pandemia e anche nelle serate clou. Insomma mi sono felicemente accorta c’è vita oltre a Sanremo. E c’è anche un’Italia che non guarda Sanremo. Mi sono rasserenata.

Prima di Sanremo abbiamo tutti eseguito la preghiera collettiva a Mattarella di salvarci dal precipizio di un Paese deragliato.

Il presidente è uomo nobile e integro. Ma possibile che oltre ad applaudirlo non siamo capaci di fare altro? Possibile che questa Italia sia così povera di personalità che diano speranza nel futuro, testimoni delle tante eccellenze? Io penso di no, penso che questa pigrizia collettiva ci porti a considerare eccentrici anche i nostri minimi doveri civili.

Forse è la pandemia che annulla le differenze, riduce i contrasti, i colori.

La pandemia ci ha fatto scoprire il senso di una comunione, ci ha fatto dire che l’unità era un valore supremo. L’effetto collaterale però è stata la crescente narcotizzazione civile e culturale. Per esempio abbiamo scoperto, non facendo un plissé, che era nata attorno a noi, anzi dentro di noi, una nuova classe sociale di perdenti e disperati: i riders.

La pandemia è come una guerra: grandi fortune per alcuni, il baratro per tanti altri.

Infatti ci sono molti più poveri di ieri.

Aumento del 102 per cento delle famiglie povere.

E le vediamo? Neanche ce ne accorgiamo! La pandemia ha nascosto alla vista l’altra Italia, ha reso invisibile una parte del Paese, ha piallato anche i cervelli. Ieri ascoltavo i ragazzi che sono andati in piazza e per questo manganellati dalla polizia. Hanno idee limpide, spiegano che a loro non si chiede nemmeno più di studiare ma di lavorare. Fate presto a fare soldi, prima di ogni altra cosa.

Esiste un’Italia nascosta sempre più grande.

Non vediamo più i migranti e nemmeno ci interessa. Il conflitto sociale sparito, quello politico inesistente, le idee latitano. Dicono che dobbiamo fare la rivoluzione verde. Ma può esistere una rivoluzione senza rivoluzionari? Senza gente che si interroga, pensa, decide, combatte?

Narcotizzazione.

Tutti in mucchio a sostenere il governo, in mucchio ad applaudire il presidente, in mucchio a cantare la canzone di Gianni Morandi. Con tutto il rispetto ma a quella età pensi ancora che sia necessario tornare per la 239esima volta su quel palco? Sanremo è una colla che lega i corpi e non libera le energie. Mi sbaglierò, ma sembra un tappo, altro che inno all’effervescenza.

Lei è un’eccellente rappresentante della infima minoranza che non apprezza.

Minoranza… Come quando andiamo a votare e scopriamo che gli astenuti sono poi il primo partito. Beh, forse è venuto il momento di accorgerci che gli italiani sono molti di più di quel che crediamo, e molto meglio di come li facciamo. Esistono le idee buone, gli uomini e le donne eccellenti pure. L’uguaglianza non si difende erigendo un Paese diseguale.

Lei è attrice non allineata.

Un tempo si chiamava spirito critico, ora non saprei.

Sì al brevetto per CureVac: l’Italia “tedesca” sfida Parigi

Da cosa nasce la fretta dell’Ufficio italiano brevetti di rinnovare per cinque anni alla società biotech tedesca CureVac il brevetto, vecchio di vent’anni, sulla tecnologia a mRna stabilizzato usata da Pfizer e Moderna per i loro vaccini anti Covid? Perché il rinnovo non è stato reso noto al Parlamento che vuole invece una deroga temporanea ai brevetti a favore dei Paesi poveri? Lo chiede Vittorio Agnoletto, docente all’Università di Milano e coordinatore italiano dell’iniziativa dei cittadini europei “Nessun profitto sulla pandemia” sostenuta da 120 Ong, che ha portato alla luce il caso dai microfoni di Radio Popolare.

Secondo Agnoletto, “Giancarlo Giorgetti diventa ministro dello Sviluppo economico il 13 febbraio 2021. Il 22, nove giorni dopo, l’Ufficio italiano brevetti e marchi, che dipende dal Mise, riceve due richieste di proroga basate sui vaccini Pfizer e Moderna, per un brevetto di Curevac, datato 5 giugno 2002 e in scadenza quest’anno. Le aziende le chiedono asserendo che quanto è coperto dal brevetto è centrale per i loro vaccini anti Covid che hanno ottenuto le autorizzazioni, concesse con procedura accelerata dall’Agenzia europea del farmaco, l’Ema. L’11 marzo 2021, alla Wto l’Italia si allinea ai Paesi ricchi e alla posizione della Commissione Europea che blocca ancora una volta la richiesta di SudAfrica e India di una moratoria per i brevetti sui vaccini. Il 18 marzo, in soli 24 giorni, l’Uibm concede le proroghe chieste per il brevetto CureVac. Il 24 marzo la Camera approva con 384 voti una mozione di maggioranza della deputata M5S Angela Ianaro che impegna il governo a spingere in sede Ue per una deroga temporanea. Ma l’esecutivo tace al Parlamento che appena sei giorni prima l’Uibm ha rinnovato il brevetto di CureVac sino al 2027. Perché?”, chiede Agnoletto.

Radio Popolare ha girato la domanda al ministero. La prima risposta del dicastero è stata che la domanda andava posta all’Agenzia per il farmaco, l’Aifa. Quando Radio Popolare è tornata alla carica, il Mise ha risposto che l’approvazione è ordinaria amministrazione, concessa da quasi tutti i Paesi europei. Ma le cose non stanno così. La proroga è stata concessa da Italia, Germania e Svizzera, mentre la Francia l’ha negata e la Spagna la sta ancora valutando.

Secondo Lorenzo Cassi, professore di Economia all’università Parigi 1 Panthéon-Sorbonne che ha analizzato con un team di esperti i percorsi approvativi dei brevetti per i vaccini anti Covid in Europa, “la proroga è stata negata dalla Francia in base all’esame del brevetto, all’analisi dei vaccini di Pfizer e Moderna e alla conclusione che il legame tra il primo e i secondi è generico e che quindi non c’erano le condizioni per concederla. Poiché i brevetti valgono su base nazionale, un ipotetico nuovo vaccino che violasse il brevetto CureVac potrebbe essere commercializzato senza problemi in Francia ma non in Italia, Germania e Svizzera, a meno che questi Paesi non trovino un accordo economico con CureVac, aumentando il costo del prodotto, altrimenti non vi avrebbero accesso sino alla scadenza del brevetto nel 2027. L’effetto principale della proroga è che CureVac rientra nella corsa ai vaccini con un brevetto di processo molto importante che obbligherà i produttori a trovare accordi con lei”, conclude Cassi.

L’asimmetria tra Parigi e Berlino pare frutto di strategia. La Germania aveva investito 300 milioni in CureVac per un vaccino anti Covid che però non ha ottenuto l’autorizzazione Ema e ora torna in gara. La Francia, altra grande perdente che non è riuscita a ottenere un vaccino né con l’attore pubblico Pasteur né con la privata Sanofi, ora ha stretto un accordo sulle tecnologie a mRna con un’azienda biotech. Dunque la bocciatura di Parigi potrebbe mirare a ostacolare la concorrenza tedesca.

“I brevetti sui vaccini anti Covid”, spiega Agnoletto. “hanno effetti per tutti. A parte la giustizia del consentire ai Paesi poveri di comprare farmaci a prezzi abbordabili, come dice Silvio Garattini, uno dei testimonial della nostra campagna, c’è un motivo di ‘sano egoismo’ per i Paesi ricchi. Se in alcune zone del mondo non vi saranno vaccini il virus si diffonderà sempre di più e moltiplicandosi potrà produrre varianti anche più aggressive che arriveranno anche da noi. Infine, don Luigi Ciotti, anche lui nostro testimonial, ricorda una frase di Paolo VI, ‘non sia dato a titolo di carità quello che è dovuto per giustizia’”, conclude Agnoletto.

Dopo il rinvio della riunione del Wto sui brevetti per i vaccini che si sarebbe dovuta tenere dal 30 novembre al 3 dicembre a Ginevra, la campagna “No profit on pandemic” chiede che il meeting si tenga al più presto, anche via web, poiché sono già stati persi 14 mesi.

Domani la tagliola per gli over 50 Che non serve più

Da domani gli over 50 che non sono vaccinati non potranno più recarsi al lavoro. Scatta infatti l’obbligo previsto dal decreto legge del 5 gennaio che impone a questa fascia di popolazione di dotarsi del Green pass rafforzato, rilasciato ha chi ha fatto la vaccinazione o è guarito dal Covid 19 da meno di sei mesi.

Al momento dell’entrata in vigore della normativa, il 7 gennaio, il provvedimento riguardava una platea di circa 2,3 milioni di persone. E come sappiamo la misura non ha innescato una corsa alle prime dosi. Dopo una iniziale fiammata, nella seconda settimana di gennaio, sono andate via via sempre più in diminuzione. Così oggi quella platea si è sì ridotta ma solo a poco più di 1,8 milioni di persone. Che prendendo in considerazione le persone potenzialmente ancora in attività, tra i 50 e i 69 anni, scende a oltre 1,3 milioni, delle quali 870 mila tra i 50 e i 59 e circa 486 mila tra i 60 e i 69. Realisticamente potrebbero essere circa un milione quindi gli italiani che adesso vanno incontro alla sospensione (anche della retribuzione), fatta salva la conservazione del posto di lavoro. Prospettiva che, come dichiarato in più occasioni dai sindacati, allarma soprattutto le piccole e medie imprese, preoccupate per la continuità produttiva.

Ma è davvero ancora necessario il certificato verde rafforzato? Ieri, ospite di Lucia Annunziata a “Mezz’ora in più” (Rai 3), il ministro della Salute Roberto Speranza lo ha difeso, così come ha difeso l’obbligo vaccinale per gli over 50. “Abbiamo bisogno di cautela – ha detto – perché siamo ancora in fase pandemica. Certo, va molto meglio, come in tutti i Paesi Ue. Ma solo grazie ai vaccini il numero di casi senza precedenti provocato dall’ondata Omicron non si è trasformato nei tassi di ospedalizzazione che abbiamo avuto in precedenza. Siamo in una fase di transizione, non ne siamo ancora fuori. Io guardo all’interesse del Paese, a cosa avviene negli ospedali. L’obbligo per gli over 50 ci permette di guardare con maggiore fiducia ai prossimi mesi”.

Riavvolgiamo il nastro. È vero che l’ondata della variante Omicron, particolarmente contagiosa, ha determinato un altissimo numero di infettati, raggiungendo il picco di più di 2,7 milioni di contagiati nella seconda metà di gennaio (ed è anche vero che solo la vaccinazione di massa ha permesso di contenere drasticamente le forme gravi e i ricoveri in terapia intensiva). Fino ad allora, a partire dal primo giorno dell’anno, i nuovi casi erano aumentati in maniera esponenziale, a un ritmo di decine di migliaia di infettati al giorno. Poi, però, nel corso delle ultime tre settimane sono diminuiti progressivamente. E c’è anche l’altra faccia della medaglia. Il numero dei guariti, che hanno sviluppato una immunità naturale al virus, ha avuto di conseguenza una forte impennata, raddoppiando in un mese e mezzo: sempre il primo dell’anno erano 5,1 milioni, il 12 febbraio erano già saliti a quota 10,2. Il sistema del Green pass, a conti fatti, ha contribuito in maniera limitata a contenere la diffusione dell’epidemia.

È importante fare il confronto con altri Paesi europei. Il Portogallo e la Spagna, per esempio, che hanno raggiunto una percentuale molto alta di vaccinati in rapporto al totale della popolazione (il Portogallo ha toccato il 95,1%, la Spagna ha superato l’82%): entrambi non hanno mai adottato il sistema del certificato verde. Eppure il Portogallo, anche nel momento della massima diffusione di Omicron nel Paese, alla fine di gennaio, non ha mai superato il tetto dei 60 mila nuovi casi al giorno, mentre la Spagna ha avuto in andamento pressoché simile a quello dell’Italia. Occorre ricordare anche il Regno Unito, dove il premier Boris Johnson ha abbandonato le normative anti Covid, a partire dal pass rafforzato, dal 26 gennaio scorso. A sua volta Israele dal 4 febbraio ha allentato le misure restrittive: il certificato verde non è più richiesto per accedere a ristoranti, cinema, teatri, palestre. Svolta che era già stata annunciata il 19 gennaio dall’immunologo Cyrille Cohen, consulente per le vaccinazioni del ministero della Salute israeliano: “Il passaporto vaccinale nell’era Omicron non è più rilevante e dovrà essere eliminato”.

Superbonus e Csm: la “fase 2” di Draghi è la guerra tra alleati

Superbonus, giustizia, concessioni balneari. Dopo la settimana quirinalizia, il premier Mario Draghi non si aspettava il clima da campagna elettorale che si vive nella sua maggioranza. I partiti e il premier litigano su tutto. Lui vorrebbe andare “spedito” ignorandoli, loro fanno le barricate difendendo le proprie battaglie. Ogni provvedimento apre nuove spaccature. “Così non si va molto lontano” sibila un ministro in serata. Dopo la prima astensione della Lega sul decreto Covid, venerdì è stato il caso della riforma del Csm. E nella conferenza stampa di quel giorno è stato proprio Draghi, insieme al ministro dell’Economia Daniele Franco, ad aprire il fronte del Superbonus 110% denunciando i 4,4 miliardi di frodi certificate dall’Agenzie delle entrate (che però comprendono tutti i bonus edilizi): “Si è voluto creare un sistema che prevede pochi controlli”.

Ieri a fare sponda a Draghi è arrivato il ministro dello Sviluppo Economico della Lega Giancarlo Giorgetti che, in un’intervista al Corriere, ha attaccato a testa bassa il Superbonus e il M5S, padre della misura: “Va cambiato, stiamo drogando l’edilizia” ha detto proponendo di spostare quei finanziamenti su altri settori industriali a partire da quello dell’automotive, come aveva chiesto sabato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Pronta la risposta del M5S con il capodelegazione Stefano Patuanelli: “La strategia è tutti contro il M5S, se è già iniziata la campagna elettorale basta che ce lo dicano”. Ai suoi Giuseppe Conte spiega che il M5S è “sotto attacco” su una misura che “ha fatto ripartire la crescita” e per questo chiede compattezza al Movimento. E dalle parti dell’ex premier fanno notare con soddisfazione il post di ieri di Luigi Di Maio secondo cui “bisogna lavorare compatti per sostenere il nuovo corso”. Un segnale di disgelo proprio con Conte. Non è un caso che l’attacco al Superbonus sia arrivato proprio da Giorgetti, draghiano di ferro: “Diamo i soldi ai miliardari per ristrutturare le loro quinte case delle vacanze e lasciamo languire altri settori, come l’automotive, più strategici per l’Italia”. Pronta la risposta del M5S che con i deputati Patriza Terzoni, Luca Sut e Riccardo Fraccaro vanno all’attacco del governo: “Salvini spieghi e Draghi e Franco chiariscano in Parlamento”. Dal decreto rilancio del maggio 2020 i governi Conte II e Draghi hanno impegnato 14 miliardi dal 2022 al 2037 per il Superbonus e, ora che le risorse scarseggiano, quei soldi fanno gola a tanti. Giorgetti e Confindustria chiedono che siano spostati su auto ed energia. Il governo si sta muovendo per limitare le truffe: i tecnici del Tesoro preparano un emendamento, tra oggi e domani, al Milleproroghe per attribuire un codice ad ogni operazione e garantire la tracciabilità del credito.

Ma non c’è solo il Superbonus ad agitare il sonno di Draghi. Anche la giustizia è un capitolo spinoso. Perché la riforma del Csm approvata in Cdm non piace ai partiti che da mercoledì proveranno a stravolgerla in Parlamento: il centrodestra presenterà emendamenti per modificare il sistema elettorale passando al sorteggio e chiedendo la separazione delle funzioni tra magistratura giudicante e inquirente. Ma ieri è stato il ministro Andrea Orlando, in un’altra intervista al Corriere, ad aprire il fronte dem sulla riforma dopo essersi detto “preoccupato che il governo non arrivi al 2023”: Orlando chiede di modificare la norma sulle porte girevoli secondo cui sia i magistrati che si candidano ma non vengono eletti, sia i tecnici (capi di gabinetto e capi dipartimento) debbano aspettare tre anni prima di tornare in funzione. I magistrati nominati al governo, invece, non potranno più rientrare. “Bisogna distinguere – dice Orlando – tra chi ha fatto una campagna e chi viene chiamato per la sua terzietà in un governo tecnico”. E a mettere altra legna sul fuoco potrebbe essere martedì la Consulta che deve decidere se ammettere i 6 quesiti leghisti sulla giustizia. Sarà una settimana di tensione sulla concorrenza con FdI pronta a una mozione (discussa oggi) per tutelare i balneari: la maggioranza sta lavorando a una contro mozione ma la Lega è tentata.

Ma mi faccia il piacere

Libera stampa. “Il Conte decaduto. Il Tribunale di Napoli azzera la nomina” (Giornale, 8.2). “Grillo medita un direttorio a cinque” (Foglio, 8.2). “Così Bettini ha ‘sospeso’ Conte” (Francesco Merlo, Repubblica, 9.2). “Grillo gela Conte” (Corriere della sera, 9.2). “La mossa di Grillo per tornare capo” (Annalisa Cuzzocrea, Stampa, 9.2). “Grillo stoppa Conte” (Messaggero, 9.2). “Ora Grillo scarica Conte” (Giornale, 9.2). “M5S, Grillo blocca Conte”, “Il Garante non si fida più. Vuole decidere anche sul ritorno di Rousseau” (Repubblica, 9.2). “Grillo ingaggia Casaleggio, ma Conte è contrario al nuovo voto su Rousseau” (Repubblica, 10.2). “Conte all’angolo, ritorna la coppia Grillo-Casaleggio. La piattaforma Rousseau scalda i motori” (Aldo Torchiaro, Riformista, 10.2). “La prima opzione per Grillo: commissariare subito Conte” (Giornale, 10.2). “Conte stavolta rischia il posto” (manifesto, 10.2). “Grillo a Roma. Un comitato di attivisti per ripartire” (Corriere della sera, 10.2). “Braccio di ferro Grillo-Conte: la sfida si sposta su Rousseau” (Giornale, 11.2). “Grillo e Conte dal notaio per riscrivere lo Statuto” (Libero, 11.2). “Tornano in scena le sindache: un ruolo anche per Chiara e Virginia. Grillo non si fida di Conte: già l’estate scorsa la tentazione di sostituirlo con Raggi” (Mario Ajello, Messaggero, 11.2). “Conte vuole la riconferma e minaccia di andarsene” (Foglio, 11.2). “M5S, i sospetti di Conte: ‘Di Maio sapeva come fermare il ricorso’” (Repubblica, 12.2). Per la cronaca: nessuna di queste notizie si è mai verificata.

Brrr che paura. “Ucraina, l’Italia avverte Putin. Il ministro della Difesa Guerini: ‘Gravi conseguenze se la Russia attaccherà Kiev’” (Messaggero, 8.2). “Mario Draghi ha la credibilità per fermare la guerra in Ucraina: la usi” (Mario Giro, Domani, 11.2). Panico al Cremlino e nell’Armata Rossa.

Nutro fiducia. “Mi fido dei magistrati, ma non di chi ha fatto questa inchiesta su Open” (Matteo Renzi, senatore Iv, Repubblica, 10.2). Si fida di quelli che indagano sugli altri.

Wow che gioia. “Renzi: finalmente il processo…. Il sospiro di sollievo dell’ex premier” (Claudia Fusani, Riformista, 10.2). Infatti l’ha presa benissimo.

L’evoluzione della specie. “Prima che diventassi premier eravamo una famiglia rispettabile, ora sembriamo un’associazione di gangster” (Matteo Renzi, senatore Iv, Porta a Porta, Raiuno, 10.2). Come dice sempre lui, il tempo è galantuomo.

Braccia rubate all’agricoltura. “Pd, da Iv ai 5S, Letta vuole far fiorire il campo largo già a primavera (Repubblica, 13.2). Ha pensato pure al concime.

L’esperto. “I 5Stelle prima spariscono e meglio stiamo tutti” (Carlo Calenda, Stampa, 7.2). Lui che ci riesce così bene potrebbe spiegargli come si fa.

Slurp. “La foto di Mario Draghi in plancia di comando di una motovedetta della Guardia Costiera mi ha ulteriormente convinto del disastro di non averlo portato al Quirinale con fuochi d’artificio e cori di voci bianche… Nessuno oggi è empatico come lui” (Mattia Feltri, Stampa, 11.2). Ma perchè non te lo noleggi, nonte lo porti a casa e non te lo metti in salotto?

I baci della morte. “Toti: ‘Una federazione di Centro con Di Maio” (Repubblica, 9.2). “Il M5S non può fare a meno di Di Maio” (Luigi Zanda, senatore Pd, Corriere della sera, 10.2). “Toti ha ragione: Di Maio si è rivelato un moderato preparato e capace di servire le istituzioni” (Osvaldo Napoli, deputato ex FI ora Coraggio Italia, Dubbio, 10.2). Sono soddisfazioni.

Orologeria. “Il pm di Milano Stefano Civardi ha chiesto una condanna a 8 mesi per Giulio Centemero, deputato e tesoriere della Lega per un presunto finanziamento illecito del 2016 all’associazione ‘Più Voci’ che sarebbe servito a rimpinguare le casse di Radio Padania”. La richiesta arriva lo stesso giorno in cui è stato chiesto il rinvio a giudizio per Matteo Renzi e altri 10 indagati nel caso Open. Coincidenza?” (Dagospia, 9.2). Il tutto lo stesso giorno delle cazzate di Dagospia: coincidenza?

Il titolo della settimana/1. “Nella vicenda dei Marò una grande incognita: chi ha provocato quelle morti?” (Repubblica, 7.2). Ma è ovvio: i due pescatori si sono suicidati.

Il titolo della settimana/2. “Soltanto il Pd può salvare i Cinque stelle dal disastro” (Domani, 8.2). Standogli a distanze siderali.

Il titolo della settimana/3. “Anche qui a Libero c’è un limite da non oltrepassare” (Alessandro Sallusti, Libero, 10.2). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/4. “La politica aspetta un altro Telemaco” (Massimo Recalcati, Stampa, 8.2). Lo portano via.

“Mafia Mamma” per Bellucci e Cruz sfreccia con “Ferrari”

Dopo diversi anni di gestazione trascorsi tra rinvii, difficoltà produttive e modifiche al cast, Michael Mann dirigerà nei prossimi mesi in Emilia Ferrari, un biopic ad alto budget da lui co-prodotto e sceneggiato con Troy Kennedy Mart, ispirandosi al libro Enzo Ferrari –The Man and the Machine di Brock Yates. Il ruolo del celebre imprenditore, ingegnere e pilota che fondò l’omonima casa automobilistica nel 1947 a Maranello è stato affidato ad Adam Driver, quello di sua moglie Laura a Penelope Cruz e quello dell’amante Lina Lardi a Shailene Woodley, nota per la serie tv Big Little Lies.

Il racconto sarà ambientato durante l’estate del 1957, in un momento molto difficile per l’imprenditore a causa della minaccia di bancarotta per la sua scuderia e della morte del figlio. La voglia di riscatto di Ferrari lo porterà a investire ogni energia nella leggendaria “Mille Miglia”, la corsa più celebre del mondo che aprirà la strada ai suoi futuri successi.

“Mafia Mamma” è il titolo di un film d’azione americano, sul set in primavera, prodotto e interpretato da Toni Collette, in cui reciteranno anche Monica Bellucci e Rob Huebel. Diretto da Catherine Hardwicke, già regista di Twilight, vedrà in scena Kristin (Collette), una donna statunitense che eredita l’impero mafioso di suo nonno in Italia e, guidata da una fidata consigliera del patriarca (Bellucci), sfiderà le aspettative dei membri dell’organizzazione criminale: stupirà tutti nella gestione dei loschi affari di famiglia, diventandone il nuovo capo.

Matilda De Angelis recita da qualche settimana sul set di Lidia Poet, una serie Netflix diretta da Letizia Lamartire e Matteo Rovere e prodotta da Groenlandia, che racconterà la storia, ambientata a Torino nel 1884, della prima avvocatessa in Italia.

Robe da matti: da Eliot al Pen Club, gli artisti che si batterono per liberare Pound

Da Lauro De Bosis a Ezra Pound. Ovvero dal letterato italiano, che il 3 ottobre 1931 dal suo aereo fece cadere 400 mila volantini antifascisti su Roma, al grande poeta americano dei Canti Pisani, accusato di essere un sostenitore del nazifascismo e internato per 12 anni nel manicomio Saint Elisabeths di Washington. Tanto l’antifascista precipitato e morto nel mar Tirreno, dopo quel volo, quanto il presunto fascista hanno segnato la storia del Pen (Poets Essayists Novelists) Club, l’associazione internazionale letteraria fondata a Londra nel 1921 da Catherine Amy Dawson Scott e John Galsworthy. Un anno dopo, nel 1922, nacque la sezione italiana grazie a un gruppo che comprendeva De Bosis, Tommaso Gallarati Scotti, Enzo Torrieri, Corrado Govoni e Filippo Tommaso Marinetti. Tra il 1955 e il 1958, poi, il Pen Club Italia, all’epoca guidato da un antifascista come Ignazio Silone, si schierò con altre istituzioni e intellettuali per chiedere che Pound fosse messo in libertà.

Quest’anno cadono sia il centesimo anniversario della creazione del Pen Italia sia i cinquant’anni della morte di Pound, avvenuta a Venezia il 1° novembre del 1972. Una doppia ricorrenza che la rivista del Pen Club italiano, presieduto da Sebastiano Grasso, celebra nel nuovo numero. Tutto ciò secondo la vocazione del Pen, che ha tra i suoi scopi quello di difendere “con tutti i mezzi la libertà di espressione di scrittori e giornalisti perseguitati o minacciati”.

Dieci anni dopo la fine della guerra, il Pen Italia fu in prima linea nella campagna per Pound. Ad animarla fu lo scultore Francesco Messina. Colpito dalla “drammatica prigionia del poeta”, assieme ad Ardengo Soffici, Carlo Carrà e a Giovanni Papini, “si prodiga per chiederne alle autorità statunitensi la liberazione. L’appello – che si unisce a quelli di Eliot, Hemingway, Frost, Auden – serve a tenere desta l’attenzione sull’autore dei Cantos. Il 18 aprile 1958, Pound viene finalmente liberato (anche se definito individuo “non pericoloso ma non guarito”). Un’iniziativa resa possibile anche grazie all’autorevole sostegno del Pen Italia, oltre che della Fondazione del conte Vittorio Cini.

Il critico letterario Vittore Branca, socio del Pen, contattò “Silone e i vertici internazionali del Pen” per perorare “la causa di Pound, magari anche attraverso colloqui privati con l’ambasciatrice americana a Roma, la ‘bella signora’ Clare Boothe Luce”. Seguì un appello di Papini sul Corriere della Sera. Si mossero Diego Valeri, Sergio Solmi e Riccardo Bacchelli, che sotto il coordinamento di Vanni Scheiwiller, redassero un documento inviato all’ambasciata Usa. Un anno dopo la liberazione, Pound fu candidato al Nobel dallo scrittore Johannes Edfelt, presidente del Pen Club svedese. Proposta respinta: “Il poeta era stato propugnatore di idee ‘decisamente in contrasto con lo spirito del Premio’, si legge nei verbali della commissione” del 14 settembre 1959.

Marx e minigonna: a scuola con “La compagna Natalia”

È un romanzo delizioso La compagna Natalia di Antonia Spaliviero. O dovrei dire racconto lungo? O diario? Che importa, quando la letteratura e la vita, la periferia operaia e l’aspirazione giovanile a cambiare se stessi e il mondo, i desideri inconfessabili dell’adolescenza e l’infelicità del vecchio pensionato, le mode pacchiane e la grande cultura si fondono con inaspettata leggerezza? Troppo facile consigliare a quelli della mia età di rituffarsi nel clima di un 68 che arrivava con due anni di ritardo in quel di Settimo Torinese, con gli occhi intimiditi rivolti alla grande città palcoscenico della rivolta studentesca e delle lotte sindacali, filtrato in parrocchia, svezzato dall’inquietudine delle più coraggiose disposte a sfidare i pettegolezzi delle compagne di scuola. Lo consiglio perciò anche a chi è venuto dopo e che voglia condividere il miracolo di un’acculturazione germogliata dove meno te l’aspetti, dove la liberazione si conquista anche sperimentando il dolore.

Il bello è che è accaduto per davvero. La compagna Natalia, difatti, è una gemma tratta dal diario che ogni giorno, dall’età di 13 anni, l’autrice non ha mai smesso di scrivere. Un libriccino snello le cui prime righe furono composte l’ultima notte dell’anno 1968, poi rielaborato con cura fino al 2015, quando purtroppo Spaliviero è morta lasciandolo incompiuto. Ci hanno pensato il marito, il regista teatrale Gabriele Vacis, con l’aiuto della figlia Giulietta, a dargli stesura definitiva, come estremo atto d’amore. Dobbiamo essergliene grati anche perché questo libro narra la storia di come un comune dormitorio destinato alla marginalità, accogliendo gli immigrati necessari alle fabbriche circostanti, possa trasformarsi in un laboratorio culturale d’eccellenza. Proprio così. Perché dal 1974, quando nessuno di loro aveva ancora vent’anni, un gruppo di ragazzi vi darà vita a quel Laboratorio Teatro Settimo che diventerà un riferimento d’eccellenza del nuovo teatro italiano. Di quel gruppo facevano parte, insieme a Vacis e Spaliviero, un’attrice di talento come Laura Curino, lo scenografo Lucio Diana, l’autrice di spettacoli per bambini Adriana Zamboni e tanti altri. Leggendo, ho capito perché Vacis sia rimasto a vivere a Settimo Torinese anche quando lo chiamavano a dirigere Stabili importanti e le sue regie riscuotevano crescente successo. La periferia che si accultura è stata la loro linfa vitale. A cominciare da quando contestavi la prof che ti propinava D’Annunzio per poi scoprire che invece era una seguace della Beat generation. Che l’insegnante di inglese, facendo tradurre in classe The Sound of Silence di Paul Simon, aiutava le allieve in minigonna aspiranti segretarie d’azienda a ridimensionare il mito di Mal dei Primitives. Che i baci con la lingua di Natalia nel sottopassaggio erano delizie e anche i suoi opuscoli marxisti degli Editori Riuniti promettevano un mondo nuovo. Poi, certo, sarebbero venute le delusioni sotto forma di maschi adulti rapaci sebbene compagni.

Confesso, infine, che La compagna Natalia mi ha trasmesso insieme allegria e malinconia perché nel 2017 ho avuto modo d’incontrare, prima al Centro grandi ustionati di Torino, poi a Settimo Torinese dove vive, il destino ben diverso di Concetta Candido, la donna che si diede fuoco in una sede dell’Inps per protestare contro un licenziamento ingiusto e la mancata corresponsione del sussidio di disoccupazione. Anch’io ne feci un libro, e di Concetta sono rimasto amico. Lei ci racconta l’insuccesso di quelli venuti dopo. Ma leggendo le pagine di Spaliviero ci rendiamo conto che tutto è possibile, che la speranza è l’ultima a morire.

“Gli incendi di Montesano, i consigli di Sordi e Valeri e quell’incontro con Fellini”

Dopo i saluti e la ricerca di un posto per sedersi, la priorità assoluta viene dettata da occhi e olfatto ed evasa con una richiesta al cameriere: “Posso avere della pizza con la mortadella?”. Il cibo è importante. “Sta scherzando? Fondamentale. Io mangio, non spilluzzico. Neanche il Covid mi ha tolto il gusto”.

E così Nancy Brilli – una delle femme fatale del cinema italiano, una delle regine dei rotocalchi, con una vita sentimentale (e non) radiografata da foto, scoop, pseudo scoop e storie (“a volte erano solo frottole”) – sorride gaudente davanti alla pizza con la mortadella, con l’espressione di chi pensa: ma chi c’ammazza! “Comunque in questi tre mesi m’è successo de tutto”.

E…

Mi sono pure rotta un piede, eppure sono salita sul palco. Che felicità. Ho pensato: finalmente, dopo due anni professionalmente assurdi.

Si è sentita sola?

Più che altro spiazzata.

Ridimensionata?

No, però penso ai ragazzi usciti dall’Accademia: il rapporto con il pubblico non lo puoi imparare in Dad, non puoi capire le emozioni basandoti sull’online.

Chi le ha spiegato come si costruisce il rapporto con il pubblico?

Il pubblico stesso; (pausa) la mia storia è particolare: da giovanissima sono stata lanciata sul palcoscenico, e non uno qualunque.

Quello del Sistina.

Sì, insieme a grandissimi artisti che di giorno in giorno mi insegnavano i punti cardinali di cos’è uno spettacolo.

Le dispiace non aver frequentato un’Accademia?

No, qualche rimpianto c’è rispetto al centro sperimentale: lì si costruiscono quei legami che poi servono; dopo il provino mi avevano pure preso.

Perché non ci è andata?

Ho iniziato a lavorare e non ho più smesso; (ci pensa) fino al Covid non ho fatto altro che lavorare, per questo mi sono sentita spiazzata.

Mai saltato un anno.

Macché. Sempre su un set o in tournée, scollegata dalla normale quotidianità.

Suo figlio la seguiva?

Sono quella della capanna.

Cioè?

Mio figlio l’ho sempre portato con me: durante il viaggio, o in camerino, costruivo capanne con cuscini, coperte, tende per offrirgli ovunque lo stesso ambiente. Ha compiuto un anno in tournée (arriva la pizza con la mortadella e la Brilli non fa prigionieri. Un po’ di farina finisce sul naso).

10 anni fa il suo naso è stato votato come il più bello.

Ma che dice?

È così.

Per ottenerlo basta cadere a sedici anni dalla moto, dare una bella capocciata per terra, poi per perfezionarlo consiglio di prendere una bella testata a 37 anni da un bambino piccolo; in sostanza: è rotto due volte; (pausa) questo complimento mi stupisce; (altra pausa) due giorni fa ho visto un film con Virna Lisi: lei è la perfezione, la bellezza e con un naso cesellato.

Secondo alcuni critici dovrebbe seguire le orme professionali della Lisi…

(Butta il giù il boccone, respira) Che il destino l’ascolti! Con Virna ho lavorato in molte occasioni: è stata bravissima fino all’ultimo e mi raccontava le sue difficoltà professionali a causa della bellezza.

Così tante?

Non le davano il giusto credito, per questo a un certo punto aveva smesso, fino a quando sono arrivati Lattuada e Vanzina e le hanno permesso di recitare: nonostante la bellezza, accettava di apparire sciatta e con le rughe. È inusuale.

Lei accetterebbe?

Magari; non ho problemi con la mia età, sono gli altri a fartelo pesare professionalmente.

Nel 1988 in Compagni di scuola ha interpretato un ruolo molto più adulto della sua età di allora.

Lì ero coetanea di attori con dieci anni più di me; Angelo Bernabucci anche oltre i dieci; (cambia espressione) lui ci faceva proprio ridere, le sue battute non erano scritte, era proprio così, ed era impossibile ottenere una frase in italiano (storica quella a Fabris: “Guarda com’eri e guarda come sei, pari tu zio!”).

Scovato da Verdone.

La miglior dote di Carlo è quella di saper dirigere gli attori: è rarissima in un regista.

Con il regista-cane come si comporta?

Non ci lavoro.

Con il regista-cagnolino?

Resto nel mio, non vado oltre; (ride) una volta ho abbaiato a un attore-cane, ed era pure uno raccomandato e presuntuoso. Si offese. Oggi ha rinunciato alla carriera.

Prima ha nominato i Vanzina…

Che bello lavorare con Carlo: sapeva esattamente cosa avrebbe girato, come e quando, poi alle cinque tutti a casa. Non sbagliava mai; poi era una persona bellissima.

È stata bollata per aver girato con i Vanzina.

Più che altro per aver lavorato in tv. Mi è stato detto in maniera esplicita.

Quando diventerà regista?

Molto presto.

Teatro o cinema?

(Sorride) Vediamo.

A teatro e al cinema ha lavorato con Proietti.

Era una bomba, un professionista che non cadeva mai nell’errore di dare per scontato qualcosa, neanche all’ennesima replica.

Nell’ennesima replica si nasconde il pericolo.

Capita di sdoppiarsi: mentre uno recita le proprie battute magari pensa al dopo spettacolo, al ristorante e al pesce bono.

Suscita invidia?

A volte sì, ma chi la prova dovrebbe prendersi tutto il pacchetto e non solo il lato specifico.

È mai stata invidiosa?

Da piccola lo ero di tutti, pensavo che tutti stessero meglio di me: vedevo le famiglie, l’allegria, le compagne di classe con i vestiti nuovi. Io avevo nonna e una storia patetica.

Come l’ha superata?

Ci ho lavorato e continuo a impegnarmi.

Il palco l’ha aiutata?

Moltissimo, in primis per l’accettazione; la mia vita sembra la sceneggiatura di un film anni 40: passare dall’anonimato, dai problemi, al cartellone del Sistina è travolgente.

E quando ha visto il suo nome fuori del Sistina?

Non ho provato un’emozione particolare, ero inconsapevole, non avevo idea di cosa stesse capitando. Ero lì. Ero contenta. E mi sentivo protetta.

Era con Montesano.

Allora, con me, è stato molto carino, solo scaramantico come pochi altri: ricordo i ballerini incazzati perché buttava ovunque il sale grosso e loro cadevano in continuazione, soprattutto quando dovevano ballare con gli zoccoli; oppure dava fuoco al lavandino e al water per bruciare i batteri; (pausa) però era bravissimo: per due volte ho rischiato di sbagliare l’entrata sul palco perché ero rimasta a vederlo recitare.

È mai andata oltre il rischio?

Se ho sbagliato? (Cambia tono, ancora colpevole) Sempre al Sistina, durante l’intervallo mi chiamano: “Corra, c’è il maestro che la vuole incontrare”. Io pensavo fosse il mio maestro di scuola. Poco dopo vedo salire le scale un uomo con cappello e sciarpa; si ferma davanti a me e inizia un discorso strano, del quale mi ricordo solo alcuni termini come “grazia”, “tempi comici” e… basta.

Alla fine?

Stava in penombra, dopo ho capito che si trattava di Fellini e solo perché me l’hanno spiegato; insomma, ero talmente frastornata da dimenticare di entrare in scena, fino a quando è arrivato, urlando, Garinei: “Cosa faaaaa!!!”.

Vi davate del lei.

Lo pretendeva: “Non siamo al mercato, ma in palcoscenico”.

C’è mai stato il pericolo di “perdersi”?

L’insicurezza mi portava ad aver paura degli altri, quella che oggi chiamano la “sindrome dell’impostore”: temevo che un giorno potesse arrivare qualcuno e sottrarmi tutto.

Come si risolve?

Anche lì: ci ho lavorato.

Quando ha percepito che era cambiato qualcosa?

Con Italian Restaurant, insieme a Gigi (Proietti), ho visto il mio nome pari al suo: mi è sembrata tanta roba. (Tossisce).

Basta Covid.

No, sono allergica al fumo: prima delle legge Sirchia non potevo andare al ristorante, al cinema, in aereo. Un disastro.

Sirchia è il suo eroe.

Mi ha cambiato la vita. (Ride) Lo so, non è una frase di gran fascino, ma è la verità.

La sua vita privata quanto è stata sotto i riflettori?

Sempre. A volte mi hanno accostata a situazioni improbabili, i paparazzi erano la mia ombra. Tette e culo stra-immortalati. (Si sposta con la sedia e sbatte il piede) Oddio, mi fa ancora male il mignolo e di recente mi si è ruotata una vertebra.

Va in scena sempre e comunque?

Certo! Una sera, era un Capodanno, prima del sipario una collega mi chiede di sistemarle i capelli (arriva Silvia Signorelli, sua amica e ufficio stampa: “Come me li taglia lei, nessun’altra”); avevo preso le forbici, poi le butto sul sedile, le dimentico e mi ci siedo sopra. Quelle forbici si sono conficcate nella chiappa.

Dolore.

Dopo i punti di sutura sono andata in scena.

Sul palco ha mai avuto un vuoto?

No, però ho recitato con un collega decisamente alterato che non ricordava nulla. (Pausa) Disperata, sono arrivata a dargli la sua battuta, ma non reagiva.

Secondo Haber negli anni 80 il vostro mondo era invaso dalla droga.

Certi tipi di stupefacenti accomunano; a quel tempo era qualcosa che univa le persone, ma io ne restavo fuori.

Lei non ha scene di sesso sul set.

Mai girate: ho rifiutato film per questo motivo.

Come mai?

È un mio limite: non riesco a mettere un distacco.

Il bacio è il bacio.

Peggio con le mani addosso: mi imbarazzo.

Vent’anni fa ha dichiarato a Sabelli Fioretti: “Mi serve la gente che mi dice ‘sei bella’”.

Oggi meno, ma ho difficoltà a memorizzarmi come tale; (cambia tono) ho voluto molto essere bella, ne avevo bisogno, perché la mia famiglia è stata veramente punitiva.

Cos’altro ha capito con il tempo?

Che voler sempre salvare il mondo è un atto di presunzione e che nel passato sono stata tonta: non mi sono goduta le piacevolezze di questo lavoro.

Esempio.

Dopo la vittoria del David mi sono tolta le scarpe e sono tornata a casa per mangiare la minestrina.

Niente festa?

Ero stanca. E poi temevo il giudizio altrui: non mi sentivo proprio degna del premio, non avevo ben chiaro di cosa si trattasse; (pausa) eppure l’avevo ricevuto dalle mani di Franca Valeri e Alberto Sordi.

Che le dissero?

Il David era come attrice “non protagonista”, Franca mi accompagnò con una frase molto bella: “Mi raccomando, non sottovalutare i ruoli secondari. Io ci ho costruito una carriera”.

E Sordi?

“Ragazzi’, brava”; Alberto non amava particolarmente i bambini, ma con mio figlio è sempre stato affettuoso, lo ha preso pure in braccio.

Parteciperebbe a un reality?

Mai, eppure me li hanno proposti tutti.

Un talent?

Meglio, però non mi farei mai giudicare da quattro giudici.

Su Instagram ha pubblicato una foto dei suoi piedi: il feticismo è dilagante…

(Viso stupito) Non ha idea di quello che è successo; (pausa) i miei sono microscopici, porto il 36.

Eppure.

Uno è arrivato a inviarmi, per posta, una cavigliera di diamanti; un altro ha montato un film di due ore con tutti i fotogrammi del mio volto e dei miei piedi.

Una bugia si di lei.

Che non ho i capelli.

E invece?

Ne ho per tre persone, ma siccome sono ingestibili spesso indosso la parrucca.

Lei chi è?

Una signora finalmente di sana e robusta costituzione, assolutamente resiliente. (Pausa) Resiliente è un termine abusato che non sopporto più; resiliente ormai è pure il callo di tuo nonno.

Quindi?

Mi piace non essere rigida e aver capito che è una qualità.