Sentenza ribaltata in appello. Vitaly Markiv, 31 anni, soldato italo-ucraino della Guardia nazionale, accusato dell’omicidio del fotoreporter pavese Andy Rocchelli, ucciso il 24 maggio 2014 mentre stava documentando quanto accadeva nel Donbass in Ucraina, è stato assolto “per non aver commesso il fatto” dai giudici della prima Corte d’assise d’appello. La Corte ha pronunciato il verdetto dopo quasi 6 ore di camera di consiglio accogliendo la richiesta della difesa. L’uomo lascerà subito il carcere. In primo grado era stato condannato a 24 anni di reclusione.
Bonus bici, il click day è disastroso: giù il sito, 600 mila in coda e lo Spid di Poste va in tilt
Storia triste di una disfatta annunciata. Il click day per richiedere il bonus mobilità, come previsto, non ha retto all’assalto degli utenti. Sulla piattaforma del ministero dell’Ambiente, attiva dalle 9 di ieri, ci sono stati per tutta la giornata oltre 600mila utenti in attesa di ricevere il contributo del 60% della spesa sostenuta in misura non superiore a 500 euro per biciclette e monopattini acquistati dal 4 maggio. Alle 9.30 e alle 10 la piattaforma è andata giù, buttando fuori chi era in fila. Poi si sono create immense liste d’attesa (alle ore 20 c’erano solo un centinaio di utenti). Anche lo stesso sito del ministero dell’Ambiente è andato in tilt. I più fortunati che sono riusciti ad accedere nel primo pomeriggio, dopo aver aspettato anche 7 ore, hanno scoperto amaramente al momento dell’inserimento dei codici Spid (procedura obbligatoria) che quello di Poste non veniva riconosciuto. A singhiozzo è andato anche InfoCert. L’identità digitale di Poste non ha funzionato bene per gran parte della giornata. Per eseguire la pratica ci sono 20 minuti di tempo da quando si arriva al termine della lista di attesa. Nel caso non si riesca a completare la procedura, si viene rispediti in coda per effettuare un nuovo accesso. Le rassicurazioni del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa (“Daremo soddisfazione nel più breve tempo possibile a tutti i richiedenti, gli altri fondi sono previsti dalla manovra 2021”) non sono bastate a smorzare le polemiche, innescando un vorticoso rimpallo di responsabilità tra Sogei (gestisce il sito per l’erogazione del bonus) e Poste (gestisce lo Spid). Fonti del ministero parlano di un ministro “infuriato” e di telefonate “molto dure”. Resta il fatto che se i fondi non rappresentano un problema, perché poi si è scelto di fare il click day. Costa ha spiegato che si aspettavano 10-20 click al secondo, ma poi ne sono arrivati 50. Alle ore 19.30, i buoni emessi sono arrivati a 35.714, i rimborsi a 68.556. Ipotizzando una spesa media di 350 euro, i 215 milioni già disponibili coprirebbero 600mila domande. Ma Confindustria Ancma stima che le vendite arriveranno entro fine anno a quota un milione. Sui social intanto è andato in scena il processo, con tanto di condanna, ai richiedenti vip (dall’ex deputato Giampaolo Galli al giornalista Rai Marco Mazzocchi) che si sono lamentati del disservizio ma che, secondo la Rete, non avrebbero dovuto neanche richiedere il bonus. Una misura che secondo troppi pecca di iniquità e che ha comunque escluso metà degli italiani.
Napoli, sospeso ex primario: operava a pagamento
“Indegno rappresentante della sanità pubblica” è il passaggio più forte dell’ordinanza con cui il gip di Napoli, Anna Imparato, ha interdetto per un anno dalla professione medica l’ex primario dell’ospedale Pascale, Raffaele Tortoriello, un luminare di oncologia che ad aprile ha coordinato il forum sanità del Pd sull’emergenza Covid, e poi è stato indagato e sospeso per presunte violenze sessuali su un paio di pazienti. Stavolta Tortoriello è accusato di concussione: avrebbe terrorizzato donne malate di tumore al seno prospettando tempi di attesa troppo lunghi per usufruire della struttura pubblica e così ‘convincendole’ a farsi operare da lui presso una clinica privata, facendo risultare però il nome di un altro chirurgo. Più di 40 giorni, secondo l’inchiesta del pm Henry John Woodcock, erano i tempi di attesa prospettati presso il Pascale. Non era vero: il Cup chiamava dopo due settimane. Le signore si indebitavano con le finanziarie per pagarlo. Una è morta lo stesso, per successive metastasi. I fatti risalgono a diversi anni fa.
Ars, M5s: “Pensioni più alte”. Miccichè: “Nessun aumento”
“I n piena pandemia, mentre ai siciliani si chiedono sacrifici enormi, i deputati dell’Ars si aumentano le pensioni e il trattamento di fine mandato. È una vergogna a cui il M5S si è sottratto”. La denuncia è di Giorgio Pasqua, capogruppo del M5S all’Assemblea Regionale Sicilia, dopo che il 28 novembre 2019 è stata approvata la legge che prevede il calcolo della pensione non soltanto sui contributi versati per l’indennità, ma anche per la diaria. Per i Cinque Stelle siciliani questo meccanismo “si traduce in un auto-aumento degli assegni”. “Sono azioni indegne di un gruppo politico quelle messe in atto dai M5S”, ha replicato il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè. “Un anno fa – ha spiegato – quando ci siamo tagliati il vitalizio e siamo passati dal sistema retributivo a quello contributivo, abbiamo dato la possibilità a ciascuno di noi, a proprie spese, di riscattare la parte relativa al contributivo maturata in passato. Passaggio confermato dal segretario generale dell’Assemblea regionale siciliana, Fabrizio Scimè. Questa mattina ci sarà una conferenza stampa di M5S.
“L’aborto è peggio della pedofilia”: l’omelia del prete di Macerata difeso dal suo vescovo
Don Andrea Leonesi non è uno che s’imbarazza facilmente. Se lo ricorda bene l’ex sindaco di Belforte del Chienti, Roberto Paoloni, che qualche anno fa abbandonò la cerimonia di commemorazione dei caduti (per mano nazifascista) di Montalto perché il parroco nutriva dei dubbi sul definirli “martiri”. Stavolta, se possibile, è andata pure peggio. Il vicario di Macerata ha pensato male, durante l’omelia del 27 ottobre, di omaggiare la Polonia per le sue scelte anti-abortiste anche rispetto ai feti malformati. E si è spinto oltre: “Mi verrebbe da dire una cosa, ma poi scandalizzo mezzo mondo. È più grave un aborto o un atto di pedofilia? Scusate, il problema di fondo è che siamo così impastati in una determinata mentalità… Con questo non voglio dire che l’atto di pedofilia non sia niente, è una cosa gravissima. Ma cosa è più grave?”. In questo caso nessuno dei presenti – a quel che sappiamo e che vediamo da video, presente in tutto il suo parossismo su Youtube – se n’è andato scandalizzato, neanche quando don Andrea ha sostenuto che le mogli devono essere sottomesse ai mariti, come la Chiesa a Cristo, e ha auspicato la nascita di una nuova generazione di politici cristiani, evidentemente per importare quelle belle leggi progressiste della democratica Polonia. Le affermazioni, denunciate dai coordinatori di Sinistra Italiana Macerata, Michele Verolo e Serena Cavalletti, hanno generato giustamente una bufera; eppure ieri il vescovo Nazzareno Marconi ha difeso il suo vicario, parlando di “linguaggio provocatorio del pensiero e della riflessione”, e ha invitato i commentatori ad andarsi a studiare il Medioevo: “Oggi nessun docente universitario competente userebbe più la metafora del Medioevo come ‘epoca di oscurantismo’ tipica di certa letteratura polemica del ’700. Non siamo più nel XVIII secolo”. Ha ragione: siamo nel XXI secolo, ma sul corpo delle donne si gioca la stessa, invereconda partita che accomuna una scelta personale e dolorosissima a un crimine che non ammette attenuanti. Ora, aspettando una presa di posizione autorevole, magari di qualche politico cristiano per davvero, ci viene in mente una battuta del nostro Daniele Luttazzi: “Oh, tranquilli, il Papa ha perdonato i bambini molestati”.
Dell’Utri e gli altri: un solo destino per i berluscones
In principio fu Cesare Previti. L’avvocato romano è stato il primo dei fondatori di Forza Italia a finire condannato in via definitiva e a varcare le soglie del carcere. È il 13 luglio 2007, la Cassazione stabilisce che l’ex legale di Silvio Berlusconi ha corrotto un giudice con 425 milioni di lire della All Iberian di Fininvest per far ribaltare il Lodo che aveva assegnato la Mondadori a Carlo De Benedetti. L’ex Cav si era salvato qualche anno prima grazie alla prescrizione. Per lui la condanna arriverà nel maggio 2013, ma in carcere non andrà mai: 4 anni per frode fiscale, di cui 3 coperti da indulto e il resto passato ai servizi sociali in una Rsa a Cesano Boscone.
In cella ci è finito invece Marcello Dell’Utri, che di B. è stato uomo ombra fin dagli anno 80 in Publitalia e poi in Fininvest: il 9 maggio 2014 i giudici del Palazzaccio confermano la condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: l’ex senatore, scrivono i magistrati nella sentenza, aveva mediato dal 1974 al 1992 nei rapporti tra Cosa Nostra e Berlusconi.
Era un periodo, quello, in cui un altro condannato illustre, Roberto Formigoni, non aveva ancora abbracciato Forza Italia, del quale sarebbe poi diventato vicepresidente tra il 2008 e il 2009. Dieci anni più tardi, la Cassazione lo condanna a 5 anni e 6 mesi nel processo Maugeri-San Raffaele: in materia di sanità il governatore della Lombardia aveva “un totale predominio nella concreta procedura dei provvedimenti” e riusciva a pilotare delibere per “decine di milioni”, facendoli arrivare indebitamente alle Fondazioni Maugeri e San Raffaele. Pur avendo 71 anni, il Celeste finisce in cella per gli effetti della legge Spazzacorrotti, restandoci per qualche mese prima dei domiciliari.
Nell foto dei gloriosi esordi c’era anche Giancarlo Galan: con Silvio fin dal 1993, manager di Publitalia, a lungo governatore del Veneto e deputato prima che la maxi inchiesta sulle tangenti del Mose travolgesse un intero sistema di potere. Nel 2014 la Camera approva la richiesta di arresto nei suoi confronti e Galan finisce in carcere a Milano. Ci resta due mesi e mezzo, poi patteggia 2 anni e 10 mesi per corruzione e restituisce 2,5 milioni di euro, ottenendo i domiciliari.
Più articolata la vicenda giudiziaria di Nicola Cosentino, dominus forzista in Campania fin dagli anni 90. Dei processi a suo carico si rischia di perdere il conto, ma di certo restano le sentenze, come quella definitiva a 4 anni per la corruzione di un agente del carcere di Secondigliano, Napoli. Era arrivata in seguito a un’indagine per concorso esterno in associazione camorristica, il cui processo è in corso dopo la condanna a 9 anni in primo grado.
In carcere non è invece mai stato Antonio D’Alì, senatore per 24 anni e tra i fondatori di FI. In compenso, il Tribunale Misure di Prevenzione di Trapani ne ha riconosciuto la “pericolosità sociale”, imponendogli l’obbligo di dimora per 3 anni. Motivo? Un’inchiesta per concorso esterno che lo ha visto prescritto per i fatti contestati fino al 1994 e assolto per i successivi, prima che la Cassazione ordinasse un Appello bis.
Ormai iconica è la vicenda di Claudio Scajola. Nel 2010 la casa con vista sul Colosseo “a sua insaputa” produce un’indagine che porta all’assoluzione e poi alla prescrizione. A suo carico resta una condanna in appello a 2 anni per aver agevolato – dicono i giudici – la latitanza di Amedeo Matacena; l’ex deputato di FI, condannato in via definitiva per concorso esterno, è fuggito in Libano, che nel 2014 ci aveva rimandato Dell’Utri. Matacena l’ha scampata perché è ancora lì.
Mr Wolf della politica: dal Caimano a Renzi ai sussurri per Salvini
Un posto nel Pantheon della Seconda (o Terza?) Repubblica, Denis Verdini se l’è comunque conquistato. Solo lui è riuscito ad attraversarne da kingmaker tutte le mutevoli stagioni, passando da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, fino all’altro Matteo, Salvini. Ora il finale è mesto, ma dopo una dozzina d’inchieste e mezza dozzina di processi, c’era da aspettarselo. I soliti guastafeste in toga hanno rovinato una lunga storia di affari e politica, di carne e giornali, di banche e terremoti, pale eoliche e grembiulini, destra e sinistra, patti e amici, soldi e promesse.
“Sono come Wolf, risolvo problemi”, disse di sé evocando il personaggio di Pulp Fiction. Non era in California, ma nell’aula 9 del Tribunale di Roma, dove stava cercando di spiegare il suo ruolo nella cosiddetta P3 e, più in generale, nella politica e negli affari: “Sono un facilitatore, sono rapido”.
La sua rapida, lunga corsa comincia a Fivizzano, già patria di Sandro Bondi, politico e poeta, ma si assesta a Firenze, dove fa gli incontri che determinano la sua vita. Si occupa di macellerie, commercio di carni, import-export di bovini. Ma il Macellaio ha due passioni: le banche e la politica. Diventa presidente della Cassa Rurale e Artigiana di Campi Bisenzio, che poi si trasforma in Credito Cooperativo Fiorentino. Ed è vicino di casa di Giovanni Spadolini: tenta le prime, sfortunate prove elettorali nel Partito repubblicano.
L’incontro che lo segna è quello con Giuliano Ferrara, che nel 1997 cala in Toscana per contrastare Antonio Di Pietro, candidato senatore del centrosinistra nel Mugello. Denis gli fa da taxi, con la sua prima Mercedes bianca, su e giù per le colline. Il Macellaio diventa il Taxista: la sconfitta era assicurata, ma gli apre la strada per diventare editore (del Foglio) ed essere ammesso alla corte di Silvio Berlusconi, che lo annusa e capisce in un momento le sue capacità di “risolvere problemi”.
Esce da un’inchiesta per violenza sessuale ed entra in una serie d’indagini per soldi spariti e bilanci storti. Dalla carne è passato alla carta, come editore del Foglio e del Giornale berlusconiano, edizione della Toscana, che non gli porta soldi ma relazioni e amici, da Gianni Letta a Luigi Bisignani, da Marcello Dell’Utri (“Per me è un’icona, un punto di riferimento, una figura carismatica”) a Daniela Santanchè, da Guido Bertolaso a (giù a Sud) Nicola Cosentino. È ormai colui che dà le carte al tavolo di Forza Italia e di tutta la coalizione di centrodestra. All’ombra del Principe, tesse relazioni, decide carriere, consolida poteri. Ma galeotta fu la carta: un certo Tiziano Renzi, distributore con barbetta dei suoi giornali a Rignano e dintorni, ha un figlio in politica. Promettente. Denis lo fiuta e nel 2005 lo porta da Silvio: “Lo devi assolutamente conoscere. Non è dei nostri, ma è bravo. Un comunista più anticomunista di questo non s’è mai visto”. Farà strada, infatti, conquisterà il Pd. E Denis continuerà a fare il suo lavoro: intesse accordi, progetta patti. Nasce quello del Nazareno. Quando Silvio declina, sogna il Partito della Nazione. Il Taxista traghetta uomini e poltrone: “Tutti mi chiedono cosa ci guadagnano a venire con me. Gli rispondo che sono il taxi. Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Renzi”. Peccato che intanto i guastafeste in toga continuino a lavorare, le inchieste si moltiplicano, i processi corrono, alla P3 si aggiunge la P4, senza dimenticare il vecchio amico della P2, Flavio Carboni (“Un personaggio vulcanico, pieno di fantasia e di voglia di fare, forse un po’ troppo insistente, a volte”).
Peccato anche che il referendum di Renzi e le elezioni politiche non vadano come Denis sperava. Piombano a Roma gli alieni a cinquestelle. Un contatto gli resta, colpa dell’amore: la figlia Francesca diventa la fidanzata dell’altro Matteo. Ma è troppo poco per costruirci su strategie politiche. E poi Salvini si autoesclude dal governo. A Denis il Suocero non resta altro che scendere dal taxi e accettare che la sentenza sia eseguita.
Sei anni e mezzo per Verdini. L’ex senatore entra a Rebibbia
Denis Verdini è nel carcere di Rebibbia da ieri sera. Si è costituito nel tardo pomeriggio, poche ore dopo la condanna della Cassazione. La Quinta sezione penale presieduta da Paolo Bruno ha condannato l’ex coordinatore di Forza Italia ed ex senatore di Ala a 6 anni e mezzo per il crac del Credito cooperativo fiorentino (Ccf). Deve pure risarcire le parti civili: Presidenza del Consiglio e Bankitalia.
Secondo la prassi, le porte del carcere si aprono dopo che la Cassazione ha inviato il fax con il dispositivo della sentenza alla Procura generale competente, in questo caso quella di Firenze guidata da Marcello Viola, a cui spetta di firmare l’ordine di esecuzione pena. Ma come fecero gli ex governatori Totò Cuffaro e Roberto Formigoni, Verdini si è costituito nell’immediato ed è per questo che ha dovuto attendere nell’atrio del carcere romano il tempo tecnico del fax della procura generale fiorentina.
La decisione l’aveva anticipata il suo avvocato, il professor Franco Coppi: “Non attenderà alcun provvedimento. E’ forte saprà affrontare questa prova”, il carcere.
Carcere, se non ci saranno, malauguratamente, novità sul fronte emergenza Covid o sul fronte salute personale, che dovrà scontare almeno fino all’ 8 maggio, quando compirà 70 anni e potrà chiedere, per età, i domiciliari. “Siamo profondamente delusi – ha proseguito ieri Coppi – sia perché il nostro ricorso sembrava fondato, sia soprattutto perché il procuratore generale aveva chiesto l’accoglimento in larga parte dei nostri motivi di ricorso”. Non è proprio così. In realtà, il sostituto pg Pasquale Fimiani, durante la requisitoria di lunedì, aveva sì chiesto un appello bis, ma solo per una minima parte dei molteplici fatti contestati: 9 distrazioni su 32 imputate, che riteneva avessero un difetto di motivazione, a differenza dei giudici. Ma per il resto delle accuse, anche la procura generale aveva chiesto la conferma della condanna: la gran parte della bancarotta per distrazione e la bancarotta per falso in bilancio. Certo, come evidenziato ieri dal Fatto, se i giudici avessero accolto la richiesta del pg di un nuovo appello, Verdini, pur essendo ritenuto colpevole in larghissima misura, non sarebbe andato in carcere neppure dopo un’altra eventuale condanna di secondo grado perché, come ricordato, a maggio compirà 70 anni. La Corte d’appello di Firenze aveva condannato Verdini a 6 anni e 10 mesi, la Cassazione ieri ha ridotto la pena di 4 mesi semplicemente perché sono stati prescritti dei reati: truffa e tentata truffa ai danni dello Stato per i fondi all’editoria (periodo 2005-2011) e l’ostacolo alla vigilanza di Bankitalia. Verdini per queste ultime imputazioni resta, comunque, responsabile, anche se non più perseguibile a causa della prescrizione, tanto è vero che le parti civili hanno diritto al risarcimento. L’avvocato dello Stato, Carlo Maria Pisana, in rappresentanza del dipartimento editoria della Presidenza del Consiglio, non ha nascosto la soddisfazione: “È un successo perché siamo riusciti a mantenere le condanne civilistiche, con una provvisionale di due milioni e mezzo di euro e sequestri già in atto su immobili di pari valore, nella maggior parte dei casi riferibili a Verdini, per i quali sono già state fatte le trascrizioni in favore dello Stato”.
Verdini è stato il presidente del Ccf dal 1990 al 2010. “Non è vero che volevo far fallire la banca, ho dato tutto per questa banca”, disse poco prima della sentenza d’appello del luglio 2018. Ma secondo i giudici fiorentini, che si sono visti confermare il loro verdetto dalla Cassazione, l’ex senatore ha causato “un elevato danno economico alla banca, ai suoi creditori e allo Stato. Nonostante l’elevata gravità dei fatti, sia per la loro continuità nel tempo, sia per la rilevante entità del dolo, non ha mostrato una effettiva resipiscenza, un pentimento, e le somme versate o restituite al Ccf sono assai modeste rispetto ai danni causati e non tali da dimostrare una volontà di risarcirli”. Ieri, almeno fino alla prima serata, né Berlusconi né Renzi hanno speso una parola per Verdini. E neppure il genero Matteo Salvini.
E Salvini si scopre scienziato: “Conte vuole il lockdown, noi il Plaquenil”
“In farmacia, con meno di 10 euro, si trovano dei farmaci che possono evitare migliaia di ospedalizzazioni”. Matteo Salvini si presenta a metà mattina nella sala Nassirya del Senato, affiancato dal senatore Armando Siri, per dimostrare che la “collaborazione” con il governo c’è. Ma la ricetta è tutta sua: far credere che basti l’idrossiclorochina per evitare che i malati sintomatici affollino gli ospedali. Peccato che la comunità scientifica abbia molte meno certezze su questo farmaco antimalarico. E l’Aifa a maggio ne ha bloccato l’uso per le pesanti controindicazioni a livello cardiaco: “L’effetto è nullo e si rischia l’infarto”, ha aggiunto pochi giorni fa il direttore dell’Aifa Nicola Magrini.
Per Salvini invece la soluzione è a portata di mano: “Noi non facciamo pubblicità a nessuno – ha spiegato ieri mentre indossava la mascherina “Trump 2020” – ma c’è il Plaquenil o l’idrossiclorochina che costano 6 o 7 euro in farmacia e hanno salvato migliaia di pazienti ai primi sintomi”. Durante la conferenza stampa, sono intervenuti anche Siri (che nei giorni scorsi al Senato se l’era presa con “il terrorismo mediatico” da Covid) e due medici che hanno utilizzato l’idrossiclorochina, scontrandosi con buona parte della comunità scientifica: l’infettivologo di Novara Pietro Luigi Garavelli e l’oncoematologo di Piacenza Luigi Cavanna. Siri, consigliere economico di Salvini, ha provato a smontare così le tesi dell’Aifa e di molti scienziati: “Certo che questo farmaco ha delle controindicazioni – ha ammesso – anche l’Aulin ne ha, ma non per questo non lo usiamo”. Per il leader del Carroccio, l’antimalarico sarebbe salvifico: “Così potremmo evitare il lockdown. Per il governo la soluzione è chiudere, per noi è curare. Loro vogliono un’Italia rinchiusa e malata, noi laboriosa, felice e sana”. Poi ha attaccato i giornalisti: “I media hanno una responsabilità evidente su questa situazione: il terrorismo e l’allarmismo a reti unificate riempiono gli ospedali perché le persone che potrebbero essere curate in casa vanno ad affollare le nostre corsie”. In giornata, sono arrivate le stroncature del viceministro della Salute Pierpaolo Sileri (“Non spetta a Salvini decidere il farmaco da usare ma all’Aifa”), e di Roberto Burioni: “L’idrossiclorochina è inefficace, e pure pericolosa, come dimostrato da ampissimi studi. Perché illudere la gente che sta male e che ha paura?”.
Il virus ora rallenta: sono i primi effetti dei Dpcm. Brutti i dati dei ricoveri
Trecentocinquantatré morti per Covid in un giorno. Un numero così alto in Italia non si registrava da aprile e dovrebbe ricordare, anche ai negazionisti, la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo.
Ma c’è anche una buona notizia nel bollettino diramato ieri dalla Protezione civile: una frenata nella diffusione del coronavirus SarsCov2 sarebbe in atto, almeno così emerge dai numeri ufficiali degli ultimi giorni, che ieri riportavano 28.244 nuovi casi (+5.991 rispetto a lunedì) su 182.287 tamponi effettuati (+46.556 rispetto a lunedì). Sarebbe rallentata, quindi, la crescita esponenziale della curva che, secondo la proiezione realizzata dal fisico Alessandro Amici (rappresentata, sopra, nel grafico in pagina) lo scorso 28 ottobre e che avrebbe previsto per ieri oltre 40 mila nuovi casi. “Il numero dei nuovi casi – spiega Amici – è così buono e così inaspettato da farmi dubitare che sia indice di qualche cambiamento nelle procedure di tracciamento o di raccolta dati”.
La frenata appare quasi sorprendente ad Amici: “Vorrei festeggiare con convinzione, ma la cosa che mi lascia basito è che il cambiamento è incomprensibilmente rapido e coincide col cambio di mese. Il 31 ottobre la media a 7 giorni era sulla curva esponenziale e raddoppiava ogni nove giorni e il 1° novembre la media era fuori dalle stime esponenziali e su una traiettoria molto più lenta. Non è una fluttuazione perché i punti della media – Amici si riferisce al grafico sopra – formano delle curve molto dolci, senza oscillazioni. Ma non riesco a immaginare nessun fenomeno che possa cambiare così all’improvviso la curva dei nuovi casi. Anche perché le infezioni identificate con i tamponi molecolari, una volta saltato il contact tracing, sono avvenute 10-15 giorni prima. Speriamo che il dato rifletta davvero un forte rallentamento della diffusione dell’epidemia”. E adesso la speranza è che la flessione della curva sia effetto dei Dpcm di ottobre e il fisico Amici si aspetta “che possa frenare ulteriormente la settimana prossima per via del Dpcm del 25 ottobre”.
Insomma, i dati di ieri rappresentano un sospiro di sollievo senza facili entusiasmi: “L’ipotesi che l’epidemia abbia rallentato sul serio è appoggiata dalla percentuale di tamponi positivi che anche ha rallentato molto la corsa. Anche, però, senza fermarsi. L’uso massiccio di tamponi rapidi rende questo indicatore sempre meno utile. Speriamo che la Protezione civile inizi a includere i dati sui tamponi rapidi”. E sul terribile numero di morti, Amici afferma: “Per quanto il dato sia agghiacciante, la media a 7 giorni torna esattamente sulla curva anticipata dai nuovi casi di qualche giorno prima, dopo due giorni di dati migliori delle aspettative. Serviranno ancora quattro giorni prima di potersi aspettare di vedere il rallentamento anche su questo fronte”. Non bene i dati dagli ospedali – anche qui eventuali effetti si vedranno tra qualche giorno – con le terapie intensive arrivate a 2.225 pazienti, 54,7% del picco massimo (4.068 il 3 aprile) e i reparti ordinari a 21.114, 72,8% del picco (29.010 il 4 aprile).