Joe Biden va a caccia dei “grandi elettori” nei sei Stati Altalena

Donald Trump 306, Hillary Clinton 232: è il risultato di Usa 2016 espresso in termini di Grandi Elettori. Per conquistare la Casa Bianca, ce ne vogliono almeno 270 su 538: ogni Stato ne ha un numero pari ai suoi rappresentanti in Congresso e quindi con qualche correttivo proporzionale alla popolazione. Chi vince, anche solo d’un voto, in uno Stato, ne prende tutti i Grandi Elettori. Joe Biden, dunque, per rimpiazzare la presidenza Donald Trump deve conservare tutti gli Stati che furono di Hillary – e tutto indica che lo farà – e conquistare almeno altri 38 Grandi Elettori. Per il candidato democratico, il terreno di battaglia cruciale sono il Midwest e i Grandi Laghi: Pennsylvania, il suo Stato natale, 20 Grandi Elettori, Michigan 16, Wisconsin 10, totale 46, Se si riappropria del ‘muro blu’ dell’America manifatturiera, dell’auto e della siderurgia, Biden conquista la Casa Bianca. Nel 2016, quel muro crollò sotto le lusinghe del magnate candidato (e poi presidente), un’America ‘di nuovo grande’ e posti di lavoro ritrovati. Meno di 75 mila voti in tutto consegnarono quei 46 Grandi Elettori a Trump e li sottrassero alla Clinton: 11 mila nel Michigan, 23 mila nel Wisconsin, 44 mila in Pennsylvania, dove Trump ha ieri ricevuto in extremis l’endorsement della Pittsburgh Post-Gazette, mai più pronunciatasi a favore di un repubblicano dal 1972. Secondo guru e analisti, gli Stati in bilico di Usa 2020 sono sei/otto: i tre già indicati, più Ohio (18 Grandi Elettori) e Florida (29), swinging States per antonomasia, e ancora Iowa (6), North Carolina (15) e Arizona (11) .

Qualcuno aggiunge pure Texas (38) e Georgia (16), ma pare difficile che Biden rovesci lì una radicata tradizione repubblicana: lo facesse, la sua vittoria potrebbe assumere dimensioni inaspettate. In Georgia, dove eccezionalmente si assegnano entrambi i seggi al Senato – due le elezioni suppletive in questa tornata, in Arizona e appunto in Georgia -, i democratici potrebbero conquistarne uno (e sarebbe già un risultato storico); in Texas, bisognerà forse attendere che l’evoluzione demografica in senso ispanico sia più radicata. Dieci, otto o sei che se ne vogliano contare (anche Ohio e Iowa sembrano propendere per Trump), tutti gli Stati in bilico di Usa 2020 furono vinti dal magnate nel 2016. Il che significa che, salvo clamorose sorprese, i 232 Grandi Elettori della Clinton restano assicurati a Biden, mentre Trump deve difendere i suoi. E se perde quello che, prima di lui, era il ‘muro blu’, è finita. Il che spiega l’estrema attenzione dedicata da entrambi i candidati a quegli Stati nelle ultime battute della campagna elettorale: Biden non ha certo ripetuto l’errore della Clinton, che diede il Michigan per acquisito e ci andò poco, consegnandolo di fatto a Trump. Gli ultimi sondaggi alimentano l’incertezza: il vantaggio di Biden a livello nazionale cala al 6,5%, nella media di RealClearPolitics, e negli Stati in bilico scende sotto il 3%, al 2,7%, nei margini d’errore. In modo parossistico, il presidente, che è uscito dalla positività al coronavirus con energie decuplicate tra domenica e lunedì, ha fatto dieci comizi, in sette Stati. In modo più rarefatto Biden, ha chiuso in Pennsylvania con la sua vice Kamala Harris e con Lady Gaga e John Legend: Biden “è il presidente di cui il Paese ha bisogno per unirsi”, twitta Lady Gaga, postando una foto con il democratico.

Gli ultras di Trump: “Se non vince sarà una truffa. E lo difenderemo”

I clacson suonano senza sosta, il parcheggio è invaso dai pick-up. “Non finisce oggi con il voto. Ci aspettano giorni incerti, ma non ci faremo imbrogliare”. Tanija è una madre quarantenne, accanto a lei i due figli, entrambi con in mano una bandiera di Trump. La Contea di Guadalupe è il Texas profondo. “Trump è uno che va dritto al punto, è un uomo d’affari – continua la donna – alla fine anche l’America è un business. Sappiamo cosa ci serve e ce lo prendiamo”. A chiusura della campagna elettorale, il Partito repubblicano ha convocato i suoi attivisti per il ‘Treno di Trump’. Le auto si ritrovano davanti a un centro commerciale, vengono tappezzate di striscioni e al segnale iniziano a rombare per le strade del paesino. Il carosello dura tutto il pomeriggio. “Non mi piace essere chiamato afroamericano. Io sono nero, un nero molto americano”. Fernando Heyward è un dirigente locale del partito. Parla un po’ d’italiano. “Ho vissuto a Napoli per qualche anno, fino al 2005. Lavoravo per la Nato”.

A suo parere queste sono le elezioni più importanti del secolo: “Scegliamo tra comunismo e capitalismo e il risultato è già scritto. Trump vincerà e se non vince vuol dire che hanno imbrogliato. Siamo pronti a sostenerlo per difendere la democrazia”. Per mesi il presidente ha screditato il voto per posta, dichiarando che ci saranno brogli. Nel 2016 tutta la famiglia dell’allora magnate candidato votò per posta. Sono oltre 91 milioni gli elettori che quest’anno hanno scelto di votare per posta, un numero enorme anche per l’efficiente servizio postale statunitense. In Pennsylvania, per esempio, i giudici hanno deciso che saranno validi tutti i voti spediti entro il 3 novembre, a patto che possano essere conteggiati entro tre giorni dopo il voto. “Useremo gli avvocati – ha detto ieri Trump – è pericoloso e terribile non conoscere il risultato delle elezioni nella notte stessa”. Fernando non ha dubbi su cosa aspettarsi: “Trump sarà avanti tutta la notte con il conteggio dei voti reali, quelli fatti da persone che sono andate ai seggi. Poi inizieranno a scrutinare quelli arrivati per posta e tenteranno di ribaltare il risultato”. Più che un evento politico, sembra un autoraduno. Non ci sono giornalisti e nemmeno una mascherina. “I media sono la causa di cosa sta accadendo con il Covid – David Bryan, 69 anni, parla dal cassone di un fuoristrada – i numeri sono esagerati, non conosco nessuno che sia morto di coronavirus. Trump con un singolo atto, chiudendo il Paese ai voli dalla Cina, ci ha salvati tutti”. Ma non è un amore incondizionato. Per Michael Younger, il presidente “Trump è antipatico, uno spaccone che parla a sproposito. I newyorchesi sono così. Ma quello che conta sono i fatti. Adesso abbiamo una Corte suprema conservatrice, ha spostato l’ambasciata a Gerusalemme, ha fatto un accordo di pace con i talebani e l’economia è fortissima”. Sarah indossa una canottiera nera con la scritta ‘Trump and Guns’. Ha poco più di 50 anni e tre figli da tre padri diversi: “Negli otto anni di Obama non siamo potuti andare nemmeno una volta dal medico. Siamo troppo ricchi per essere poveri secondo i Democratici. A casa mia ci sono tre diabetici e Trump ha abbassato il prezzo dell’insulina”. Bandiera nera e scritta rossa ‘Possessori di armi per Trump’, Gary ha usato delle fascette da elettricista per fissarla a una mazza da baseball. “In Texas non si possono portare armi in vista. Ma è nostro diritto averle sempre con noi. Le devi curare ogni giorno se vuoi che siano pronte quando servono”.

Il sommo Alighieri e il piccolo Dante

Nel 2021 si celebreranno i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Aldo Cazzullo, il noto editorialista del Corriere della Sera, ha anticipato tutti con un bel libro A riveder le stelle.

La lettura che Cazzullo dà del Sommo Poeta è particolarmente interessante perché, a differenza di quella del pur ottimo Sermonti che si fissa molto sui simbolismi della Divina, che pur ci sono ma che per noi hanno ormai uno scarso significato, ci restituisce un Dante in carne e ossa, con la sua vita, le sue passioni, le sue idee, i suoi pensieri. Del resto la Divina Commedia è di fatto una autobiografia (“ogni filosofia è un’autobiografia” scrive Nietzsche). Dato per scontato che Dante fonda, in modo meraviglioso, la lingua italiana (nel libro di Cazzullo vengono richiamati molti detti che sono penetrati profondamente nel linguaggio comune, attuale, anche se noi non ce ne rendiamo più conto) e che, insieme a Leopardi, è il massimo letterato del nostro Paese e, a livello mondiale, sta con Shakespeare e pochi altri, Dante come persona esce a pezzi da questa autobiografia mascherata, anche se Cazzullo, che ne condivide evidentemente in qualche modo le idee, cerca di dissimulare in tutti i modi l’indecenza della povertà umana del Sommo Poeta.

Dante è un uomo vendicativo. Non c’è personaggio, anche di notevole spessore, che non ficchi nei gironi peggiori dell’Inferno solo perché gli han fatto un qualche sgarbo o si sono schierati dalla parte politica opposta alla sua, si tratti di Guelfi Neri o Ghibellini. Non c’è città italiana che sfugga alle sue invettive, da Firenze che lo esiliò, a Pisa “vituperio delle genti”, alla garbata Siena, a Genova descritta come sentina di tutti i vizi. È un manicheo. È irriconoscente anche verso chi negli anni suoi bui gli diede generosamente una mano, come i conti Guidi che lo ospitarono più volte ma nei quali riesce comunque a trovare qualche macchia. Ispirato da Virgilio, il suo ‘doppio’, fa grandi concioni sulla pietas, che è un concetto latino piuttosto estraneo al mondo cattolico cui Dante aderisce toto corde, ma non ne ha nessuna per i suoi avversari. È un legalista, un pio devoto all’ordine superiore e non per nulla tutta la Divina è organizzata in modo gerarchico. È un moralista insopportabile a un occhio moderno. Il climax lo raggiunge non proprio nella Divina ma nella tenzone che ebbe con Forese Donati a cui ne dice di tutti i colori: “Non è figlio di suo padre, come Cristo non lo era di Giuseppe; è brutto, sfregiato, goloso, grasso, e non paga i conti; la moglie Nella è raffreddata anche d’agosto, perché dorme sola mentre lui è in giro con altre donne o a rubare; pure i suoi fratelli trascurano le mogli, forse perché preferiscono gli uomini” (Cazzullo traduxit). In un colpo solo son sistemati i brutti, i grassoni, le persone che non corrispondono a un canone di bellezza standard, le donne, gli omosessuali.

In Dante ci devono essere delle gravi turbe psichiche. Non si descrivono con minuzia di particolari, godendone, gli spaventosi tormenti dei dannati se non si ha una personalità sadomasochista. Nella bolgia dedicata ai falsari ne vede uno talmente gonfio da sembrare un liuto, una sorta di mandolino più grande, come se la testa e il busto formassero il manico e la pancia la cassa armonica dello strumento. In un altro passaggio dedicato a due ladri, Buoso Donati e Francesco Cavalcanti (padre del delicato poeta, suo amico), li accoppia fondendo così l’uno nell’altro: il serpente divenuto uomo ritrae il muso appuntito per trasformarlo in una faccia, cui spuntano le orecchie, si forma il naso e si ingrossano le labbra e all’uomo divenuto serpente le orecchie si ritirano come le corna della lumaca e la lingua si biforca, mentre l’altra lingua che era biforcuta si richiude. Certo non manca la fantasia al Poeta, ma è una fantasia malata, horror, da Grand Guignol o alla Dario Argento.

Nell’ultimo cerchio dove Lucifero sta ben piantato nel ghiaccio è punito il tradimento supremo: la ribellione al potere legittimo, la rivolta contro la divinità. Dante non coglie, e non può cogliere, a differenza di Milton (“meglio esser primi all’Inferno che in Ciel servire”) la grandezza appunto luciferina di Satana, il più bello degli Angeli, il primo ribelle della Storia. Come non coglie, là dove ne accenna, la grandezza, molto più terrena e concreta, di Lucio Sergio Catilina che si ribellò al potere del Senato romano, cioè dei latifondisti che con parole moralistiche coprivano i loro interessi economici, andando fino in fondo alla sua storia ben sapendo che alla fine di questa storia c’era solo la morte (Catilina. Ritratto di un uomo in rivolta). Si dirà che Dante esprime lo zeitgeist, cioè lo spirito del suo tempo, ma Cecco Angiolieri, che gli è contemporaneo, sta su tutt’altra sponda. Cecco come poeta non è Dante, ma socialmente riflette una componente di quella società che non ci stava al politically correct. Dante è estraneo a questa epica perché è tutto fuorché un ribelle.

Insomma, diciamolo pure, Dante persona fa un certo senso, cosa non nuova nei grandi artisti. Se si legge la biografia di Proust, di quest’uomo che si dilettava nel veder vivisezionare i topi, ne esce una persona che uno non avrebbe voglia di frequentare nemmeno per una semplice bicchierata al bar, e lo stesso Pasolini, esempio più vicino a noi, con la sua voglia di umiliare le ‘marchette’ al di là di ogni limite (finché una di queste, “Pino la Rana”, esasperato, non lo ucciderà) è molto diverso dal Pasolini coltissimo, creativo, controcorrente che siamo abituati a leggere sulla pagina o a vedere nei suoi film (peraltro a volte non riusciti). Queste zone d’ombra dei grandi artisti sono spesso all’origine della loro grandezza, non salirebbero alle stelle se non si fossero immersi fino in fondo nelle stalle.

Col libro di Cazzullo ripercorriamo, grazie a Dante, buona parte della letteratura greca e latina che lo hanno preceduto. Inoltre in Cazzullo, che sembra avere un’ottima conoscenza della mappa del nostro Paese, sia in senso geografico che storico, ritroviamo monumenti, lapidi, iscrizioni, di cui anche la persona mediamente colta ha perso contezza.

Cazzullo confronta poi i peccati di ieri, che Dante illustra con abbondanza di perfidia, con quelli di oggi. Attualizza cioè Dante. E questa è forse una delle debolezze del suo libro perché qui il giornalista del Corriere ridiventa cronista. Non c’è bisogno che a proposito dei ‘falsari’ ci rifaccia tutta la storia del Monte dei Paschi di Siena che il lettore conosce benissimo. Come inutili e noiose sono le pagine dedicate alla tragedia del Vajont dove, anche mettendocela tutta, non si riesce a cogliere una connessione con l’Inferno, se non nel Fato che è un concetto greco del tutto estraneo a Dante per il quale tutto dipende, dicendola col Manzoni, dalla Divina Provvidenza.

E alla “fin della tenzone” non so se in questa recensione ho stroncato solo la persona del Sommo Poeta o, con una perfidia prettamente dantesca, anche il mio amico Aldo Cazzullo.

 

La politica miope riempie gli ospedali

Numeriancora in rialzo. Continuiamo a dire (inascoltati) che è inutile eseguire una massa enorme di tamponi, tantomeno commentarne la positività. Ormai il virus si è diffuso e certamente molto più del 10% della popolazione che risulta positivo al test infetta. Ciò significa che i casi con malattia sono davvero molto limitati. Ricordiamo che la quasi totalità dei contagiati (95%) non ha sintomi. Dall’altro lato, non possiamo disconoscere che se i positivi sono così numerosi, il numero assoluto rispondente al 5% diventa notevole. “Il rapporto tra i ricoveri ordinari e quelli in intensiva per Covid è di 10 a 1”, ha dichiarato Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao (sindacato medici). Oggi i primi sono circa 16mila. Significa che ci sono stati almeno il quintuplo di accessi e visite. Vista l’atmosfera e il panico diffuso, spesso si rivolgono all’ospedale persone che, spaventate dal primo sintomo, necessitano soprattutto di assistenza psicologica e sociale. È gente che potrebbe essere curata a domicilio, ma che non riceve adeguata assistenza. Sono anziani abbandonati dalle badanti diventate positive o fuggite per paura dell’infezione. Sono persone che non trovano il proprio medico, altre che vengono assistite via mail. È soprattutto il disastro della Medicina territoriale: quando non funziona, la popolazione si riversa sulla sanità ospedaliera, rendendola, di fatto, non adeguata. È stato così sin da febbraio e lo abbiamo più volte denunciato.

Cosa dire dell’infermiere di famiglia? Con il dl Rilancio, la figura è diventata legge da mesi. Il suo ruolo è stato descritto dall’Ocse, secondo cui il futuro delle cure primarie dovrà essere basato su team composti da medici, infermieri, farmacisti e operatori sanitari della comunità, perfettamente integrati con servizi di assistenza specializzati. Una soluzione che potrebbe evitare che in Italia un ricovero su 5 in Pronto soccorso sia inappropriato. Di fatto però l’infermiere di famiglia non esiste. Fa parte delle promesse non mantenute o mantenute a metà. I provvedimenti regionali dedicati al Covid non ne fanno menzione. Forse non è a tutti chiaro quale beneficio comporterebbe evitare la saturazione dei Pronto soccorso, soprattutto in un momento in cui le energie devono essere utilizzate in maniera mirata.

 

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Aboliamo le Regioni responsabili del debito

Ieri 2 novembre, giornata tristissima per la scomparsa di un genio, è la prima volta che leggo su un quotidiano di abolire le Regioni, a mio parere principale causa dell’esplosione del debito pubblico e di molti altri mali italiani. Chi fece la battaglia per l’abolizione delle province volle confondere la gente e distrarla dal vero abominio, di cui anche la Lega è responsabile: moltiplicare a dismisura le mammelle da cui succhiare la linfa vitale della nostra economia. Perché non tradurre questo primo “gemito” pubblico, a cui le riconosco la encomiabile paternità, in una nuova battaglia? Sono pronto ad arruolarmi.

Gualtiero De Filippis

 

Lo scomodo De Luca, un presidente narciso

È con una punta di amarezza che registro, sul giornale di cui sono lettore dal primo numero, una critica preconcetta e negativa nei confronti del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Non ho particolare simpatia umana verso costui. Egocentrico, narciso, presuntuoso, con una naturale vocazione al litigio. E come me sono tanti i campani che la pensano così. Ma, se non si vuole considerarci con l’anello al naso, facilmente influenzabili da sapienti messaggi mediatici o inclini ad aderire al demagogo di turno, chi ne parla o ne scrive solamente male forse potrebbe interrogarsi per quale motivo i salernitani prima e tutti i campani dopo lo hanno inondato di consensi.

Sono malizioso se penso che Marco Travaglio – per i commenti a dir poco sgradevoli e incivili più volte espressi, nel passato, dal governatore nei suoi confronti – non mantenga, nel valutarne l’operato politico e amministrativo, quella imparzialità e quella lucidità di analisi che lo contraddistinguono? (Quando non gli fanno schermo l’antipatia personale o l’avversione politica).

Giovanni Spedaliere

 

Caro Spedaliere, spero che lei stia scherzando: uno che annuncia e revoca lockdown a giorni alterni dovrebbe dedicarsi all’avanspettacolo.

M. TRAV.

 

Per salvare i ristoranti incentiviamo l’asporto

Ogni ristoratore deve attrezzarsi per asporto e, se lo sceglie, anche il servizio a domicilio; solo richieste telefoniche oppure online e assicurare frazionamenti temporali intelligenti di consegna. Nessun limite d’orario e solo per il nucleo familiare convivente. Lo Stato assicuri loro sconti e ristori su fitto, rider e consumi: al costo, a fine mese, direttamente su conto corrente. Alla fine dell’emergenza, un giusto contributo per aver sostenuto il servizio pubblico collettivo. Non consentire alla grande distribuzione di concorrere all’asporto (i reparti gastronomia devono essere chiusi) anche perché saranno assaliti (con code interminabili) per i beni di prima necessità.

Sinibaldo Salerno

 

Ciao Gigi, ci lasci un’Italia senza sorriso

Con la scomparsa di Gigi Proietti l’Italia, e in particolare noi cittadini, perdiamo un grande uomo e un grande attore di teatro e non solo. Mi sento smarrito come tanti italiani in questo momento storico in cui viviamo anche il Coronavirus. Gigi Proietti rappresentava la parte più bella di questa cara nazione con il suo sorriso e la sua grande simpatia. Ci mancherai tanto.

Massimo Aurioso

 

Per un M5S vincente serve Giuseppe Conte

Cari Dott. Conte e Dott. Travaglio, il M5S è un ottimo partito che ho sempre votato, ha ottime persone e ottimi parlamentari ma manca profondamente di un leader, una persona che lo porti avanti e lo guidi con forza e determinazione. Quindi vedo Giuseppe Conte come leader del Movimento 5 Stelle per portare avanti un ottimo programma politico, per vincere le elezioni e poi realizzare il più possibile il programma stabilito. E cioè: legalità, sicurezza dei cittadini, lotta all’evasione fiscale, no mafia, specie quella dei colletti bianchi, no corruzione, no debito pubblico, taglio della spesa pubblica, riforma Pa e della Rai, fare lavori pubblici ma non fare opere pubbliche incompiute, problema immigrati da risolvere subito con l’Ue, no vitalizi, ridurre stipendi e pensioni troppo alte e fare la tassa patrimoniale, voluta anche da Della Valle, De Benedetti, ecc.

Franco Rinaldin

 

In pandemia, i politici smettano di scherzare

Sarei un ipocrita se dicessi che l’ultima sortita televisiva di De Luca non mi abbia divertito. Come non ammirare l’elegante “occhi ridenti e fuggitivi”, l’ironico “mi mancano gli endecasillabi”, l’iperbolico “la povera figlia è un Ogm cresciuta con il latte al plutonio”. Ma ecco insorgere Giorgia Meloni. Costei, donna severa, non tollera che si faccia dello spirito su di un argomento serio in un momento di grave difficoltà. S’incazza di brutto e lo frusta duramente. Come darle torto? È stata capace di mortificarmi, facendomi sentire uno stolto, e di darle ragione. Non è da molti.

Gianpiero Bonazzi

Terrorismo. La satira non è mai fondamentalista, semmai senza fede

Buongiorno, in Francia, all’orrore ancora vivo per la decapitazione dell’insegnante Paty si è aggiunto quello per l’uccisione di altri tre inermi cittadini a Nizza. Con l’aggravante del luogo sacro – una cattedrale – dove l’esecuzione è stata consumata. Ed è fortissima la pulsione a un odio reattivo altrettanto potente contro l’Islam in generale… Ciò detto, lo Stato laico deve difendersi dall’Islam fondamentalista, come dalla satira fondamentalista. Posizioni queste entrambe estreme perché pongono i propri valori come assoluti e non limitabili, neanche di fronte alla sofferenza altrui. Certo, la satira radicale non può minimamente equipararsi all’Islam radicale sul piano della violenza fisica, visto che nessun vignettista ha mai ammazzato un fedele in una moschea. Però porsi limiti reciproci di rispetto è l’unica strada per instaurare una convivenza costruttiva tra diverse culture.

Massimo Marnetto

 

Gentile Massimo, lei sta sottovalutando la capacità organizzativa della satira radicale. Sono nell’ambiente da qualche anno, ormai, e posso garantirle che i vignettisti satirici non sono più quei mollaccioni che si sono fatti impallinare a Parigi nel 2015. Innanzitutto, ora andiamo in palestra: non faccia caso al fisico panzuto di qualcuno o all’andatura artritica di altri, sono solo camuffamenti per non destare sospetti. Inoltre, alcune frange più estremiste sono definitivamente entrate in clandestinità e hanno messo su campi di addestramento in Abruzzo dove studiano e sviluppano tattiche di guerriglia. Per ora non credo siano pronti ad azioni eclatanti come entrare in una moschea gremita di fedeli e iniziare a tagliare gole. Però, se magari si trattasse di una funzione del mattino, in cui ci sono vittime più facili da sgozzare, allora sì: penso agli anziani, oppure alle donne incinte, oppure agli ingegneri informatici. Quindi che “la satira radicale non possa minimamente equipararsi all’Islam radicale sul piano della violenza fisica” io non ci metterei la mano sul fuoco. Ho sentito che Altan ha preso il brevetto di pilota e pare stia pianificando un dirottamento aereo contro La Mecca, ma che tutto si sia fermato perché non hanno deciso cosa gridare al posto di “Allah akbar”. Vede, Massimo, è questo che frega i satirici: non hanno fedi.

Mario Natangelo

Le troppe giravolte di Donna Giorgia su virus e lockdown

La scorsa settimana, alla Camera, Donna Giorgia Meloni ha detto che i veri negazionisti sono quelli al governo. Per dare ancora più forza a tale granitico assioma, ha pure citato la nota filosofa Angela da Mondello, quella diventata famosa (?) per aver detto d’estate dalla D’Urso che “non ce né Coviddì”. Ascoltiamo Donna Giorgia: “(Gli) Unici negazionisti (li ho) visti al governo. Dicevate ‘non ce n’è coviddi’. Col virus fuori controllo e gli italiani in ginocchio dopo il primo lockdown, ci siamo trovati di fronte a ministri e leader di governo negazionisti. Zingaretti dice che non ce n’è coviddi a Milano, ma poi… giù ad aperitivi. La Azzolina dice che non ce n’è coviddi, perché forse con i banchi a rotelle riesce a scappare”.

Donna Giorgia, qui, si è persino superata. Lei che accusa il governo di negazionismo è come Salvini che accusa Conte di aver sottovalutato la seconda ondata (ah no, questo è accaduto davvero). È per caso la stessa Donna Giorgia che (con Salvini e Tajani) organizzò il 2 giugno un mega assembramento col Paese intero appena uscito dal lockdown? È la stessa alleata col no mask a giorni alterni Salvini? Cosa diceva Donna Giorgia d’estate? Questo: “Non ho scaricato l’app Immuni e invito tutti a non scaricarla” (24 giugno). “Stato di emergenza? Al governo pazzi irresponsabili” (29 luglio). “Non sono negazionista ma in Europa solo noi proroghiamo l’emergenza” (29 luglio). “L’obiettivo del governo è mantenere la paura per mantenere se stesso” (19 agosto). Eccetera. Eppure, una così, ancora parla.

Il passaggio più delirante del suo intervento alla Camera, oltre alla miseria intellettuale di citare Angela da Mondello (?!?) in un luogo istituzionale, è il riferimento all’aperitivo di Zingaretti. Certo, il segretario Pd commise un errore, ma era fine febbraio. E Donna Giorgia si è guardata bene dal ricordare che Zingaretti sbagliò dieci mesi fa e non, come lei, a fine luglio. A fine febbraio quasi tutti sottovalutarono il Covid (io per primo). E la Meloni si comportò come Zingaretti. Negli stessi giorni (anzi un po’ dopo) in cui il leader Pd faceva l’aperitivo a Milano, Donna Giorgia registrava un video in inglese per esortare i turisti a venire in Italia. Eccola: “L’Italia non è la nazione con il più alto numero di contagi, ma quella con il più alto numero di contagi conosciuti, grazie al rigido protocollo che abbiamo deciso di utilizzare. Significa che siamo stati la prima nazione a isolare il virus… Non abbiate paura di venire in Italia, come noi italiani non abbiamo paura a girare su tutto il territorio nazionale, eccetto per una piccola parte della nostra nazione. Non rinunciate alla più bella meta turistica del mondo. Troverete un’Italia sana e felice”. Certo: “Sana e felice”. L’idea che la Meloni abbia ora il coraggio di accusare il governo di negazionismo, è una delle tante storture di questo Paese. Del resto Donna Giorgia è la stessa che, una settimana fa, ha sostenuto che il responsabile della situazione sia “unicamente” Giuseppe Conte. La pandemia, la crisi, le morti: è tutta colpa di Conte. Deve essere una sorta di supercattivo dei fumetti.

Siamo alla follia. Al capovolgimento totale della realtà. Alla corsa (tra Salvini e Meloni) a chi risulta più irresponsabile. Ovviamente senza mai proporre soluzioni alternative concrete. Per dirla grevemente con Filippo Rossi, leader de La Buona Destra: “È incredibile come Giorgia Meloni abbia sempre la soluzione a tutto senza mai proporre un cazzo”. Viviamo tempi orribili. E Donna Giorgia sembra sguazzarci dentro con grande agio. Beata lei.

 

Già la dichiarazione dei diritti dell’uomo tutelava la laicità

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 della Repubblica di Francia, tuttora in vigore, ha proclamato la libertà di coscienza nell’articolo 10, così come la Dichiarazione del 1793 nell’articolo 7. Con gli articoli 1 e 2 della legge del 9 dicembre 1905, la Repubblica ha proclamato il separatismo dello Stato e della Chiesa e “la libertà di coscienza e la libertà dell’esercizio dei culti soltanto nelle restrizioni prescritte nell’interesse pubblico” e che “la Repubblica non riconosce, non contribuisce e non sovvenziona”.

Il 7 gennaio 2015 alcuni incappucciati hanno ucciso 12 persone e ferito 11, a Conflans-Sainte-Honorine, rivendicando l’Islam per criticare il giornale satirico Charlie Hebdo. Il 13 novembre 2015 altri musulmani hanno assaltato il Bataclan di Parigi gridando “Allah è grande!”, facendo esplodere dinamite e uccidendo 129 persone e oltre 300 feriti. Il 25 settembre 2020 un attentatore ha ferito due persone nei pressi di Charlie Hebdo; ad Avignone, in quegli stessi giorni, un musulmano ha ucciso con un coltello gridando “Allah”.

Il professore Samuel Paty, insegnante in una scuola media, discuteva di storia con i suoi studenti, anche mostrando il giornale satirico Charlie Hebdo, concedendo però ai musulmani di allontanarsi in quell’ora di lezione. Il 16 ottobre il musulmano Abdoullah Abouyezifvitch, di 18 anni (o 25?) – certamente plagiato – aggredì, uccise e decapitò il professor Paty. Egli, non arresosi alla polizia, fu a sua volta ucciso: indosso aveva un giubbotto con esplosivo. Nella scuola media di Bois d’Aulne di Coflans venne il presidente della Repubblica Macron, nella stessa sera del 16 ottobre, sfidando pubblicamente l’oscurantismo islamico. E c’è stato un oceano di migliaia di francesi a commemorare Paty a Parigi, Lione, Lille, Tolosa e altre città.

Brahim Aoussaoui, tunisino di 21 anni, arrivato dalla Tunisia in un barchino a Lampedusa, dopo la quarantena di quindici giorni, fu imbarcato sulla nave Rhapsody fino a Bari: lì prefetto lo espulse, lasciandolo però libero. Dalla Puglia Brahim, con poco denaro, arrivò in Liguria e, insieme con l’algerino Ahmed Ben Amor, entrò in Francia senza passaporto. Il 29 ottobre nella basilica di Notre-Dame di Nizza decapitò il sacrestano e uccise altre due donne che stavano pregando. Brahim, ferito, fu arrestato dalla polizia, urlando “Allah è grande!”. E il presidente Macron venne immediatamente a presenziare la Repubblica a Nizza: pare che che Brahim non sia stato ancora interrogato dal magistrato.

Il presidente Recep Tayyip Erdogan – ormai immemore della Turchia laica di Atatürk – ha criticato Macron per i suoi “problemi cerebrali” e per il separatismo religioso tra Francia e Islam (benché Macron non abbia criticato l’Islam, ma l’ideologia islamista): così in Turchia veniva bruciata la bandiera francese.

Dopo l’omicidio del professore Paty, l’ex presidente del Consiglio Manuel Valls sostenne di sradicare l’islamismo in Francia, ma il presidente Macron, non essendo un estremista, criticò a sua volta Valls, accusandolo di “laicità vendicativa”. Anche Bernard-Henry Lévy ha dichiarato che “l’islamismo dell’assassino di Samuel Paty non ‘avrebbe niente a che vedere’ con l’Islam”. L’ex presidente della Repubblica François Holland si è, però, preoccupato che il simbolo nel mirino fosse la laicità francese, mentre Macron ha continuato a difendere Charlie Hebdo. Caroline Fourest della testata satirica in una intervista ha affermato che “la nostra libertà ossessiona questi fanatici”. Ma i cattolici, i protestanti, gli ebrei e la persone di altre religioni, magari colte, non possono modificare le proprie convinzioni.

 

L’ultima disuguaglianza creata dal Covid: l’età

La pandemia finirà per imporci un diritto differenziato per fasce d’età? Fa paura anche solo chiedercelo, e l’oscena sortita di Giovanni Toti sulle “persone non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese” rende ancora più imbarazzante affrontare per il verso giusto una questione con cui le famiglie e i medici stanno già facendo i conti ogni giorno. Certo, chi ha riscosso consensi teorizzando il “prima gli italiani” non oserà proporre con la medesima disinvoltura il “prima i giovani, dopo i vecchi”. Anche perché gli costerebbe sul piano elettorale. Il debito di riconoscenza che tutti abbiamo nei confronti delle generazioni precedenti finora ha sovrastato l’imbarazzante sollievo dovuto al fatto che le vittime del Covid siano in stragrande maggioranza anziane e affette da altre patologie. Sappiamo quanto prezioso sia per l’intera comunità nazionale prolungarne l’esistenza anche quando la loro aspettativa di vita resti solo di pochi anni.

Non dappertutto è così. La Svizzera, che ha percentuali di contagio superiori alle nostre, ciononostante ha privilegiato convenienze di natura economica (niente lockdown) applicando un protocollo di accesso alle rianimazioni che esclude gli over 75 qualora la pressione sulle terapie intensive divenga insostenibile. A una simile scelta drammatica sono stati già costretti talvolta anche gli ospedali italiani, senza dichiararla.

Nel nostro Paese l’età media della popolazione sfiora i 45 anni, tra le più alte del mondo. Non solo possiamo, ma dobbiamo immaginare un futuro in cui i vecchi siano una risorsa e non solo un peso, tanto più che nelle nostre città i single anziani rappresentano una componente in rapida crescita. A Milano, per intenderci, metà delle famiglie sono composte da una sola persona. Dentro alla pandemia si tratta di agire con umanità e buon senso per evitare che alle disuguaglianze derivanti dalla condizione socioeconomica e dalla nazionalità si aggiunga quest’altra, devastante, di natura generazionale. Pena l’esplodere di conflitti impossibili da ricomporre.

Sacrifici in forma di autolimitazione dei contatti vengono del resto già praticati da chi se lo può permettere (cioè non coabita) e ha a cuore la salute dei suoi vecchi. Tanti nonni non vedono da tempo i loro nipoti perché il contatto con loro sarebbe pericoloso. Vivono isolati e i figli indossano la mascherina quando vanno a visitarli. Per non parlare di chi è costretto a sopportare un rigido isolamento nelle Rsa.

Ieri su Repubblica la sociologa Chiara Saraceno, 78 anni portati con giovanile lucidità, ha giustamente affermato: “La nostra generazione deve fare un passo indietro. Possiamo limitare la nostra libertà, se questo vuol dire lasciare le scuole aperte e permettere ai bambini e ai ragazzi di vivere la loro giovinezza. I nostri figli e nipoti hanno già pagato un prezzo fin troppo alto per questa pandemia”.

Passati gli 80 anni i conducenti di veicoli debbono sottoporsi ogni due anni a un esame medico per il rinnovo della patente. Nessuno, ovviamente, ha da ridire in proposito: è un precedente di diritto differenziato per fasce d’età. Ben altra faccenda, è chiaro, sarebbe giungere a limitazioni nello spostamento degli anziani, come proposto dai presidenti di Liguria, Lombardia e Piemonte durante il confronto col governo. Gli anziani non possono essere confinati in casa. Il diritto alla passeggiata all’aria aperta e a svolgere altre attività necessarie resta insopprimibile. Intorno a loro va predisposta una rete di solidarietà e socialità che non può rimanere affidata all’improvvisazione dei singoli. Eppure, limitate al periodo dell’emergenza, non sarebbe sbagliato immaginare fasce orarie differenziate nell’uso dei trasporti urbani e nell’accesso ai negozi e agli uffici pubblici.

Prevenire l’inasprirsi di un doloroso conflitto generazionale comporta anche una riflessione di più lungo periodo. Dobbiamo immaginare nuove forme di rappresentanza degli interessi dei giovani, ridotti a minoranza nella nostra società. Se da un lato sarebbe una follia anche solo prospettare la perdita del diritto di voto oltrepassata una certa età, diverso sarebbe misurarsi con la proposta avanzata da diversi filosofi del diritto e costituzionalisti europei: l’allargamento del corpo elettorale, milioni di nuovi elettori giovani e giovanissimi che per la loro stessa natura sarebbero orientati a politiche lungimiranti, e non solo di convenienza immediata. La soluzione intermedia sarebbe abbassare a 16 anni il diritto di voto. Quella più radicale, avanzata tra gli altri da Philippe van Pareijs (teorico del reddito universale) e in Italia da Luigi Campiglio, prevede che venga assegnato un voto per procura anche a un genitore di figli minorenni: un bambino, un voto in più. Sono sicuro che saprebbero preoccuparsi del destino dei loro nonni meglio di chi li liquida come “persone non indispensabili”.

 

La tv italiana ama i comici surreali: sono così buoni che non urtano nessuno

Pensavo che avrei diviso di più. Mi aspettavo una frangia di detrattori. Invece sembra che piaccia a tutti… Ho avuto un’adolescenza logorata da comici che parlavano solo di Berlusconi, al punto di farmelo stare più simpatico di loro… Mi piace l’umorismo surreale. (Valerio Lundini, Il Messaggero, 27 ottobre 2020)

Quando un nuovo comico trentenne piace istantaneamente a tutti, dal Foglio al Giornale a Repubblica a Vanity Fair, dovrebbe preoccuparsi, perché significa, innanzitutto, che sta facendo cose già digerite; ma, soprattutto, perché significa che sta bene a tutti, cioè che è irrilevante. I paragoni evocati a proposito di Lundini sono un indizio eloquente: Paolo Villaggio-Professor Kranz, Cochi & Renato e Jannacci erano già surreali e anti-televisivi la bellezza di mezzo secolo fa; ma irritavano i benpensanti, poiché avevano la consapevolezza satirica di un Dario Fo (“La satira vera si vede dalla reazione che suscita”), che invece manca sempre quando un nuovo comico trentenne piace istantaneamente a tutti, c’è poco da fare. Il nuovo trentenne surreale, a questo punto, invece di restarne semplicemente sbalordito, dovrebbe cercare di capire il ruolo che gli è stato assegnato, cioè interrogarsi sul perché la tv italiana, non da oggi, non abbia alcun problema a mandare in onda quelli come lui; e perché, qua da noi, ettari di corsivi vengano sempre dedicati alla loro esaltazione, non appena gli si concede la ribalta, e al pestaggio sistematico di chi viene censurato perché obietta sull’andazzo. Si tratta di un nodo politico: i doganieri lasciano passare i surreali mentre impediscono l’accesso ai satirici. I surreali sono funzionali (dunque fungibili), i satirici no. Sicché, alla fine della fiera, il consenso di cui gode il nuovo trentenne surreale non è diverso da quello tributato al “qualunquismo ecumenico di Fiorello” (Fulvio Abbate): in questi casi, essere bravi è un’aggravante. Pochi ascolti? Oh, è solo l’inizio: arriverà a presentare Sanremo; a modo suo, come Chiambretti.

Detto altrimenti: se intervisti Diaco e Diaco sta allo scherzo, dov’è la critica? Per quale motivo quell’intervista dovrebbe “dividere”? Trent’anni fa, qualcuno fece Marzullo che intervistava Hitler e Gesù, e il produttore di quel programma, Parenzo, lo censurò, mettendo al suo posto una parodia bonaria di Marzullo fatta da Fabiofazio. Tarallucci, e infatti oggi Fabiofazio ospita Marzullo, in siparietti divisivi come il brodino della nonna. “Sapete qual è il massimo, per la tv? L’umorismo surreale e poetico: non fa male a una mosca. Le mie battute, invece, sono sgradevoli, morbose e indifendibili. Bisogna saper distinguere fra umorismo spietato e umorismo surreale e poetico. Vi faccio un esempio: vi siete mai chiesti che sapore abbia un feto appena abortito? Pollo crudo. E questo era l’esempio poetico… Aldous Huxley immaginò un nuovo tipo di società oppressiva in cui le persone vengono tenute sotto controllo non con la forza, ma con una cultura imbecille, ricca solo di sensazioni e bambinate. Mi sembra che ci siamo in pieno… I buoni sentimenti usati per fare spettacolo! Guardate questo ritaglio di giornale. Dice: ‘Gli ospiti del Maurizio Costanzo Show di questa sera sono lo scultore Loris Costantini, la cantante Antonella Agosti, Barbara Marugo, fotomodella, il cantante Mauro Maglione, e Angela Ferri, portatrice di handicap’. A me sembra una cosa allucinante. ‘Lo sai? Sono stato ospite al Costanzo Show, ieri sera’. ‘Ah sì? E cosa hai fatto di bello?’. ‘Niente: ero l’handicappato della serata’” (Chi ha paura di Daniele Luttazzi?, 1991: anch’io avevo 30 anni).