“È necessario intervenire con un lockdown immediato ed efficace”, perché “la situazione sia nelle strutture sanitarie ospedaliere che anche nella medicina del territorio è diventata insostenibile”. Sono le parole inequivocabili pronunciate ieri dal presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, Roberto Carlo Rossi, che si aggiungono agli allarmi già lanciati nei giorni scorsi da diversi scienziati (dal prof. Massimo Galli a Walter Ricciardi, a Fabrizio Pregliasco, solo per citarne alcuni). Un appello chiarissimo – perché “la situazione non può che peggiorare”, ha aggiunto Rossi – che i camici bianchi hanno lanciato proprio mentre il presidente Attilio Fontana e i sindaci della Lombardia erano rinchiusi a discutere del nuovo Dpcm in arrivo e di eventuali ulteriori modifiche alla vigente delibera regionale.
Un appello caduto nel vuoto, non raccolto da una politica che vuole continuare a non decidere. E infatti dall’incontro di ieri al Pirellone non è uscito nulla di nuovo. “Ad oggi, lato Regione Lombardia, non si ipotizza nemmeno lontanamente di andare verso un lockdown stile marzo e aprile e io lo condivido”, ha riferito il sindaco Giuseppe Sala in Consiglio comunale. “Fontana ha sottolineato, e di questo ne abbiamo parlato anche durante il fine settimana, che a nuove restrizioni deve corrispondere ristoro da parte del governo, indicando quanto e quando rispetto a chi viene chiuso”. Tradotto: noi non muoveremo un dito, anche perché, ha aggiunto il sindaco, “dal punto di vista sanitario quello che viene fuori è che la situazione lascia ancora margine di osservazione in questo giorno”. Aggiungendo: “Ricordo che si era detto quando ci siamo riuniti con Fontana e i sindaci due settimane fa che l’ipotesi era che per fine ottobre si arrivasse ad avere, come posti letto Covid in intensiva, da un minimo di 435 a 800 al massimo. Sembra essere un po’ meglio…”.
Da dove gli amministratori lombardi traggano tutta questa fiducia (da recuperare, per chi se lo fosse perso, l’assessore Giulio Gallera ieri sera da Fabio Fazio in tv) non è dato sapere. Niente tabelle di progressione dei contagi, niente curve, niente proiezioni. Solo i numeri degli ultimi giorni, che dimostrano una leggerissima frenata dei casi. E sarà solo un caso ma dall’assise che doveva decidere le misure per salvare la Lombardia è stato escluso il Cts regionale: l’ultima riunione generale a cui gli scienziati sono stati invitati risale a venerdì 16 ottobre, un’era geologica fa in tempo di pandemia. “Nell’ultima riunione – ha spiegato un membro del Cts al Fatto – ci eravamo espressi per misure rigide, in particolare per il coprifuoco. In prospettiva, il lockdown è inevitabile. Resta da capire se solo nell’area metropolitana di Milano o per l’intera regione”. Il messaggio ribadito è: le misure prese fino a oggi sono insufficienti. “Ma nessuno sembra avere il coraggio di prendere decisioni”, aggiunge un altro medico del Cts regionale.
Non la pensa così Fontana, che durante l’incontro di ieri al Pirellone ha rimarcato come la Lombardia abbia fatto da apripista al governo e alle altre Regioni: “Abbiamo preso misure più restrittive per primi, e ora il governo ci sta copiando”, ha dichiarato. E così, né lui né Sala chiederanno nulla a Conte. “Aspettiamo di vedere cosa conterrà il Dpcm, poi, eventualmente, faremo delle proposte”, ha deciso Fontana, sempre con l’avallo del sindaco di Milano. E l’asse Fontana-Sala è rimasto saldo anche sugli altri punti in discussione: nessuna chiusura differenziata per città; niente divieto di spostamento tra Regioni e, soprattutto, in caso di nuove strette al commercio, Roma dovrà dire prima quanti soldi andranno agli eventuali danneggiati.
Né Fontana né il sindaco Sala devono aver colto il “suggerimento” del sindaco Francesco Passerini (del Carroccio anche lui) che amministra Codogno, la prima cittadina in Italia ad andare in lockdown. “Milano era da chiudere prima”, ha detto Passerini sulle pagine locali del Corriere. “A nessuno piace prendere decisioni forti e impopolari, ma se necessario bisogna farlo”. Già.