È un’icona del giornalismo indipendente. Ed è la sua indipendenza ad averlo portato a ottenere uno degli scoop più grandi nella storia del giornalismo: i file top secret di Edward Snowden sulla sorveglianza di massa dell’agenzia americana Nsa, che gli hanno permesso di vincere un Pulitzer e il George Polk Award. Ma non è solo un grande giornalista, è anche una grande persona. Uno che nemmeno nomina il premio Pulitzer nel suo profilo Twitter da un milione e mezzo di follower, è generoso con i giovani reporter indipendenti e si dà da fare per gli homeless e gli animali abbandonati. Glenn Greenwald ha fatto parlare di sé questa settimana: appena ha annunciato di lasciare il giornale da lui fondato, The Intercept, accusandolo di averlo censurato, gli sono piovute addosso critiche velenose. L’incidente è stato causato dalle contestazioni della direzione di The Intercept a un suo articolo sui documenti che riguardano Joe Biden, il candidato democratico nelle imminenti elezioni presidenziali americane. Da settimane le grandi redazioni Usa trattano quei file come radioattivi e si rifiutano di lavorarci, convinti che siano pericolosi un po’ come le email dei Democratici pubblicate da WikiLeaks nelle elezioni del 2016.
Se c’è una cosa che accende Glenn Greenwald e tocca le sue corde più profonde è proprio questa ‘mentalità del gregge’ dei media mainstream: la percepisce come un vero e proprio tradimento della professione giornalistica, che per lui è seguire i fatti, dovunque essi portino. Americano, di formazione avvocato costituzionalista, Greenwald è un convinto sostenitore della libertà di stampa. I suoi scontri con i media mainstream, dal Washington Post al New York Times, sono iniziati nel 2005, quando dal suo blog ha iniziato a fustigare il giornalismo americano per la sua sudditanza verso il governo nella war on terror di George W. Bush. Furono proprio le sue critiche al vetriolo all’establishment del giornalismo Usa ad attirare l’attenzione di Edward Snowden, che cercava reporter indipendenti per rivelare i documenti top secret della Nsa. Snowden non bussò alla porta del New York Times o del Washington Post, ma a quella di Glenn Greenwald e della documentarista e giornalista americana Laura Poitras. E funzionò: la pubblicazione dei file non fu bloccata o neutralizzata in quelle camere di compensazione che sono le grandi redazioni americane. Da quindici anni Glenn è sposato con il marito David Miranda e vivono a Rio de Janeiro, in Brasile, dove hanno adottato due bambini. Ed è lì che ha messo a segno un altro grande scoop: con i colleghi della redazione locale di The Intercept, ha rivelato le pressioni del giudice Sergio Moro sui procuratori per incriminare l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, spianando così la strada all’elezione di Jair Bolsonaro. Un grande lavoro giornalistico che, insieme con l’attività politica del marito, ha fatto finire lui e la sua intera famiglia al centro di gravissime minacce di morte, tanto che devono vivere blindati e scortati da guardie private. Generoso, umile, qualche anno fa, a una nostra domanda se temesse di fare la fine di Bob Woodward e di altre grandi firme del giornalismo Usa, che passano tutto il giorno a parlare con i papaveri alti del governo e a far uscire i segreti che le varie fazioni della politica vogliono far uscire per promuovere questa o quell’agenda, Greenwald ci rispose: “Una delle cose che mi rende felice è che, se si guarda alla recensione del New York Times del mio libro (su Snowden), mi considerano ancora un outsider, mi fanno capire che nonostante il Pulitzer, rimango fuori dal club. E questo mi rasserena, perché non mi fa sentire troppo avvolto nelle dinamiche dell’establishment del giornalismo, che di fondo, considero corrotto”.