Tommaso Paradiso dirige il suo primo film (d’amore)

Il 37enne cantautore romano Tommaso Paradiso, ex frontman del gruppo Thegiornalisti, dirige da qualche giorno a Roma il suo primo film incentrato su una romantica storia d’amore interpretata da Marco Cocci e Barbara Ronchi. L’opera prima è sceneggiata da Paradiso con Chiara Barzini e Luca Infascelli e prodotta da Olivia Musini per Cinemaundici.

Si gira a Roma da un mese la seconda stagione di Blood and Treasure, la serie CBS ideata e diretta da Stephen Scaia che racconta le vicende di un geniale ex agente dell’FBI esperto di antichità specializzato nel rimpatrio di opere d’arte rubate (Matt Barr) e di un’astuta ladra e truffatrice (Sofia Pernas) che si alleano per catturare uno spietato terrorista che finanzia i suoi attacchi grazie a un tesoro di cui si è impossessato.

Con tutto il cuore è il titolo del nuovo film di cui Vincenzo Salemme sarà protagonista e regista trasponendo al cinema la sua omonima commedia teatrale. Ne è protagonista un mite insegnante di lettere che subisce un trapianto cardiaco ignorando che l’organo proviene da un feroce delinquente vittima di un agguato che ha espresso in punto di morte il desiderio di essere vendicato da chi riceverà in dono il suo cuore.

Davide Ferrario torna sul set con Tutto qua, una commedia interpretata da Neri Marcorè, Marco Paolini, Giovanni Storti e Giorgio Tirabassi e prodotta da Lumiere & C. con Rai Cinema. In scena un gruppo di amici maturi, ognuno con una sua vita autonoma, ma legato agli altri dalla passione per la musica che li aveva fatti incontrare in passato e riuniti nel gruppo “The Band” autori di un disco di successo negli anni 70. Nella routine familiare e professionale di tutti irromperà una nuova possibilità di tornare alla loro passione, ma sarà necessario fare i conti con i sogni e le ambizioni di una volta e il mondo odierno.

“Andrà tutto bene” col virus diventa “Cosa sarà”. Già

Una vita per un film, un film per le nostre vite ultime scorse. Si fa la storia della pandemia col nuovo lavoro di Francesco Bruni: intitolato Andrà tutto bene, doveva uscire lo scorso marzo, il lockdown l’ha fatto slittare all’autunno, cassandone pure la vecchia denominazione; divenuto Cosa sarà, è stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, ha fatto una proiezione sabato 24 ottobre e altre domenica 25, poi le sale sono state richiuse; da oggi è disponibile on demand sulle varie piattaforme, ma il regista e sceneggiatore confida: “Solo quando potrò incontrare personalmente gli spettatori delle sale sentirò che il film avrà raggiunto il suo scopo”.

Sul protagonista Kim Rossi Stuart Bruni riverbera la propria esperienza personale: la malattia e la guarigione, altrimenti detta rinascita. Se nessuno si salva da solo, lui molto deve alle donne e, qui, alle attrici Raffaella Lebboroni, Fotinì Peluso, Lorenza Indovina e Barbara Ronchi: Bruno Salvati, con facile anagramma “Bruni salvato”, lo pungolano, lo contrastano, ma non lo lasciano andare, i loro occhi belli che sormontano le mascherine chirurgiche sono la luce in fondo al tunnel. E noi uomini, forse, siamo quel tunnel: Bruno, ovvero Bruni, rivendica la propria fragilità, le donne la stracchezza di essere forti. In mezzo scorre il film, che tiene fede al futuro prossimo che s’è dato, e trova addirittura il coraggio per eliminare il punto interrogativo: di ’sti tempi, un lusso.

Bruno ha la bellezza calma ma non rassegnata di un perfetto Rossi Stuart, la moglie Anna (Indovina), dalla quale si è recentemente separato, i figli Adele (Peluso) e Tito (Tancredi Galli): la malattia è leucemia, l’ematologa (Lebboroni) tosta, l’obiettivo trovare un donatore di cellule staminali compatibile, e nel passato del padre Umberto (Giuseppe Pambieri) la soluzione?

Lontano dalle geometrie cartesiane del cancer movie, dentro e fuori il dramma con misura felice, affrancato dall’autofiction, Cosa sarà mette in scena la vita al cospetto della morte, e mai il contrario: Bruno non è il protagonista, semmai l’antagonista di se stesso, al più il primus inter pares di una famiglia allargata che si rivelerà migliore delle sue intenzioni e comprensioni.

Qui sta la sua rinascita, l’apertura al mondo, per un film che fa del fuoricampo terra promessa, dell’assolo, e del De profundis, coro, dell’immedesimazione passepartout. Non tutto funziona, ci sono parentesi enfatiche, macchiettismi in quota Pambieri e un tot Ronchi, qualche minuto di troppo, ma la sostanza è irrimediabilmente umana e genuinamente umanista, la sceneggiatura sensibile e ben congegnata, alla voce Cicciobello e fragile/gay per esempio, le attrici sono superbe, Rossi Stuart in un ruolo che è solo suo. Poi, la pandemia: l’ha colpito duro, ma insieme ne rivela l’essenza, la possibilità solidale, ché se va bene a uno, perché non a tutti? Dedicato a Mattia Torre, vedetelo: vi farà bene.

 

La musica, una madre dai grandi seni. “Nutre tutti, specie adesso”

Renato Zero spiega. “Non voglio risultare superbo e non lo sarò perché ho passato il valico, però l’obiettivo di questo lavoro è di consegnare una memoria storica di quello che sono stato e di ciò che sono oggi”.

E così la memoria storica avvolge e accarezza con cura anche il secondo album della trilogia Zerosettanta (il terzo è previsto per il 30 novembre) e mixa con precisione, cura ed esperienza quattro generazioni di “Zero” con tutte le sfumature che lo hanno accompagnato in questi decenni. C’è la ballata. La provocazione. La memoria. L’amore. Il j’accuse. C’è la voglia di suonare, di ritrovare la band, di giocare con i Neri Per Caso, di coinvolgere l’orchestra del maestro Pennino.

C’è la voglia di non guardare per forza indietro.

Al Fatto ha raccontato della differenza tra Renato e Zero. Oggi canta “mi dimentico di me”…

È per la persona e non per l’artista; ormai la parte “zeriana” si è fusa a Renato, non me la sento più di essere separato in casa.

Secondo album.

Cerco di muovere questa aria, questo stato comatoso; volevo rispolverare il coraggio di un’operazione in una fase negativa: è nei momenti di bassa che si deve intervenire con energia.

È un lavoro artigianale per quanto è cesellato.

Sono stato presente in tutte le fasi della lavorazione, in alcuni momenti ho cercato di mantenere la giusta distanza, ma alla fine resto il supervisore di tutto e me ne prendo la responsabilità; (ci pensa) non avrei voluto offendere la sensibilità dei miei collaboratori mettendoci un po’ troppo del mio.

Eppure…

È più forte di me, non riesco a stare in panchina se gli altri giocano.

Ha paura di diventare ingombrante?

Sì, ma chi mi conosce sa che non c’è malizia.

In un brano canta: “Anche se non cogli il senso il senso arriverà”. Il periodo rende questa frase complicata.

Il senso avremmo dovuto coglierlo qualche decennio fa, quando abbiamo cominciato con la diossina, o quando si sono avariate le nostre tiroidi per colpa di Chernobyl; dovevamo togliere il piede dall’acceleratore e usare un’andatura più morbida e rispettosa verso noi stessi e soprattutto per quelli che verranno dopo di noi.

Sempre nel disco: “Calcio in culo alla mediocrità”. A chi, in particolare?

Alla politica, a questi uomini con una tranquillità economica che abitano in quartieri alti, con autisti che li portano a casa, con stipendi gratificanti; mi piacerebbe che ogni tanto si recassero nelle periferie per assaggiare quella solitudine, quella depressione e quell’imbarazzo di non avere un piatto di minestra per i figli.

Canta: “Questa memoria che non sempre tiene”. Nell’ultimo tour a un certo punto proiettava sullo schermo i nomi degli artisti che non ci sono più. E il pubblico si alzava i piedi.

I momenti sono sempre esaltanti, soprattutto su un palco; uno può realizzare le più belle melodie, può appagarsi del piacere di attingere al proprio piccolo genio per offrire un piccolo contributo a migliorare la vita delle persone; ma senza un pubblico come il mio, tutta questa sollecitazione non si sarebbe manifestata, non sarei arrivato a un tale livello.

In questi mesi si è mai sentito solo?

Non me lo potrei permettere: ho un figlio, delle nipoti, tre sorelle, un fratello e una famiglia fantastica. E poi tanti amici; (cambia tono) è un momento in cui ricevo parecchie telefonate, a questa età non tutti possono festeggiare dei compleanni sereni, così il tempo lo impegno per cercare di essere utile e risollevare le loro sorti.

E…

Il tempo impiegato così in qualche modo distrae da qualche piccola insicurezza o malessere; alla fine poi abbiamo sempre a che fare con questa musica che è una mamma con delle tette grandi così (e allarga le braccia a dismisura).

“Basta con i cantanti già siamo in tanti”.

È per generosità verso chi potrebbe illudersi, ma senza quel talento necessario per sconfiggere le critiche; certo, la musica deve regalarsi a tutti con eguale forza, però bisogna farsi l’esame di coscienza su capacità, forza e dedizione.

Nei talent è il grande artista forse meno rappresentato. La temono?

Quello che mi rattrista è che il plagio avviene tra di loro: usano gli stessi loop, gli stessi plug in, le stesse combinazioni ritmiche e ambientali; mai diventare l’imitazione di qualcun altro, meglio restare se stessi.

È un fan di Elton John. Ha visto il film a lui dedicato?

Mi ha un po’ deluso: tutta la sua ricchezza risiede nel repertorio, non nella vita privata, mentre il film era morbosetto, il regista andava sempre a sparare nel torbido; dovevano dare più spazio alle partiture di Elton: ha scritto brani talmente moderni da restare un esempio.

In un film, chi potrebbe interpretare Renato Zero?

(Sorride) Renato Fiacchini.

Sisma e 14 morti: Grecia e Turchia, stop alle liti

La città turca di Izmir, Smirne, seconda per numero di abitanti, ieri è stata investita da un mini tsunami dopo il violento terremoto di grado 6.7 originatosi nel mar Egeo che ha colpito anche alcune isole greche, tra cui Samos, tornate recentemente dentro i radar dei media per i problemi legati all’arrivo di migranti dalla Turchia. Le vittime finora sono 14; 12 in Turchia – con 520 feriti – e 2 nell’isola greca. Ma è a Smirne che si contano più morti, per ora 8, estratti dalle macerie delle loro case. I feriti dovranno essere curati negli ospedali che finora hanno retto alla nuova ondata di Covid. Pochi giorni fa il Fatto aveva parlato con il sindaco Tunc Soyer che aveva confermato l’impennata del virus “ma non ancora al punto da far saltare il sistema sanitario pubblico”. Del resto Smirne è la città più sviluppata, dopo Istanbul, da sempre roccaforte del partito repubblicano kemalista e nota per la laicità delle sue istituzione tanto da essere ritenuta una spina nel fianco dal presidente Erdogan. Soyer ha confermato che “20 palazzi sono finiti in macerie”. Questo sisma nato nell’Egeo, lo stretto braccio di mare che collega Turchia e Grecia, arriva in un momento molto delicato dei rapporti tra Ankara e Atene. La disputa in corso da mesi tra i due paesi membri Nato è scoppiata a causa delle esplorazioni navali alla ricerca di idrocarburi avviate dalla Turchia nelle acque attorno le isole greche orientali e Cipro. Ma almeno ieri Grecia e Turchia hanno messo d aparte le polemiche. Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha scritto un tweet in cui ha rivelato di aver parlato con il presidente Erdogan “per porgere le condoglianze e chiedere di tenere uniti i nostri popoli”. Nel risiko che si sta giocando nel Mediterraneo Orientale è entrata anche la Francia a difesa di Atene, in realtà per fermare l’espansione turca nel Mediterraneo (leggasi Libia). Parigi e Ankara sono ai ferri corti a causa delle vignette di Charlie Hebdo, ma il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha tuttavia affermato che il Paese si è offerto di inviare aiuti.

I Repubblicani, le pay-news e la fine del giornalismo

Dopo alcuni anni trascorsi a fare il giornalista in ambito repubblicano, e altri a tentare di diventare imprenditore sfruttando le nuove tecnologie, l’americano Brian Timpone nel corso di oltre un decennio è riuscito a mettere entrambe le esperienze assieme, aiutato dal declino delle testate giornalistiche locali. A oggi ha costruito una fitta rete di siti web di pseudoinformazione con l’aiuto di uomini d’affari e conduttori di canali radiofonici e tv via Internet. Dai 1.300 siti collegati a Timpone, la propaganda – sempre a vantaggio del Partito repubblicano o di suoi esponenti – viene spacciata per informazione vera e indipendente, pubblicata da inesistenti testate giornalistiche con nomi che simulano quelli dei giornali scomparsi proprio a causa della nascita dei siti Internet. Secondo il New York Times, che ha fatto una lunga indagine prendendo spunto dalla precedente firmata dall’autorevole Columbia Journalism Review, queste fake news, a pagamento per giunta dopo un accesso gratuito, hanno cannibalizzato anche i media locali sopravvissuti.

“L’operazione di Timpone ha le sue radici nell’inganno. In ciò che viene proposto non si riscontra né correttezza né trasparenza”, scrive il quotidiano newyorchese. E infatti lo scopo del cinquantenne Timpone non è informare, ma guadagnare e ingraziarsi i poteri nello Stato dell’Illinois. Timpone è di Chicago, dove all’inizio della sua carriera di affarista aveva provato a creare un sito di ‘informazione’ senza l’uso dei giornalisti. Ora Timpone gestisce numerose società incrociate: una delle più altisonanti è la Local Government Information Services. I suoi clienti pagano come minimo 2.000 dollari per far pubblicare notizie che ne descrivono i successi, omettendo aspetti negativi e frodi. Chi scrive queste fake news sono persone, soprattutto giovani, che ricevono per ognuna una media di 25 dollari. Uno degli esempi più esplicativi della pericolosità del network americano che opera ormai in tutti gli Stati Uniti riguarda un magnate della ricezione turistica (hotel e ristoranti) a cui il Covid ha danneggiato l’attività. Il miliardario si è rivolto a Timpone che ha fatto pubblicare articoli per minimizzare la portata del contagio e accusare la Cina sul DC Business Daily. Non contento, l’imprenditore ha chiesto al ‘giornalista’ di scrivere anche della necessità che il governo federale approvi un pacchetto di stimoli favorevole all’industria alberghiera.

In seguito alla pubblicazione, la società di Monty Bennett, questo il nome del magnate di Dallas, non solo è stata quotata in Borsa, ma è diventata anche la più nota e grande beneficiaria di prestiti federali per le piccole imprese, scatenando una reazione pubblica che ha costretto Bennett a restituire alla fine i soldi. Dopo quella cattiva pubblicità, Bennett ha ordinato di pubblicare altri articoli sui siti di notizie locali per rifarsi un’immagine. Nel Texas trumpiano, fin da prima della campagna elettorale per le presidenziali, la testata è zeppa di storie apologetiche sui rappresentanti locali del Gop (Partito Repubblicano) che intervengono nel dibattito sulla riforma della polizia di fronte alle proteste afroamericane in corso da mesi, sostenendo la reazione di Trump. A uscire già vincente da queste elezioni è la manipolazione delle informazioni che semina sfiducia, ulteriori divisioni, caos e conflitto.

Chi scommette preferisce il magnate a Sleepy Joe

L’incertezza sui tempi e i modi dello spoglio dei voti postali, diversi da Stato a Stato, agita l’attesa, ormai spasmodica, dell’Election Day, il 3 novembre, e crea i presupposti per tensioni e contestazioni dei risultati elettorali. I sindacati americani progettano di rispondere con uno sciopero generale all’eventuale rifiuto di Donald Trump d’accettare una sconfitta inoppugnabile.

In alcuni Stati, i voti saranno contati solo se arrivano entro la chiusura dei seggi; in altri, basta che siano imbucati entro la chiusura dei seggi: potranno arrivare tre e anche otto giorni più tardi. Donald Trump, nemico giurato del voto per posta, che considera fonte di brogli, twitta: “Le elezioni dovrebbero finire il 3 novembre”. Il presidente critica una sentenza della Corte Suprema che avalla la decisione della North Carolina di accettare schede postali dopo il 3 novembre. In questi giorni, si susseguono verdetti contraddittori in merito delle magistrature statali e federali. Il presidente continua a lasciare planare sulle elezioni la minaccia di strascichi giudiziari, ricorsi, riconte. Il che mette in allarme, oltre che i democratici, governatori e sindaci, che predispongono mobilitazioni a tutela dell’ordine pubblico. I sindacati stanno valutando uno sciopero generale, se Trump dovesse rifiutarsi d’accettare la sconfitta e avviare la transizione, in caso di vittoria di Biden. Uno sciopero generale non avrebbe quasi precedenti nella storia Usa del secondo dopoguerra: l’ultimo risale al 1946, ma si limitò alla California. Joe Biden è estremamente prudente: “Non do nulla per scontato”, dice, lanciando lo slogan dell’ultimo miglio (‘Quattro giorni per evitare altri quattro anni’). Biden ha ieri battuto nel mid-west gli Stati chiave come Iowa, Minnesota e Wisconsin e sarà oggi nel Michigan, a Flint e a Detroit, fianco a fianco per la prima volta in questa campagna con Barack Obama. La vigilia del voto, lunedì, Biden sarà con la sua candidata vice Kamala Harris in Pennsylvania dove chiuderà la campagna. Il precedente del 2016, quando Trump battè Hillary Clinton e tutti i sondaggisti, crea la percezione che il ribaltone, rispetto ai pronostici pro Biden, sia possibile. I due terzi degli scommettitori, gente cui piace prendersi dei rischi, preferiscono puntare sul magnate piuttosto che sull’ex vice di Obama, anche se le quote danno il successo di Biden più probabile.

Trump ha affidato alla first lady Melania il compito di preparare una notte di Halloween ‘al tempo della pandemia’ alla Casa Bianca, per lanciarsi in un vortice di comizi tra oggi e lunedì. Il magnate ha pure cambiato i programmi della notte elettorale: niente festa con comparsata al Trump International Hotel di Washington, dove la sua campagna sta organizzando un ‘night party’. Il magnate dovrebbe restare alla Casa Bianca e seguire da lì i risultati, anche se è probabile che, in caso di trionfo, attraversi Lafayette Square e raggiunga i suoi fan. L’America giunge al voto in un clima d’ansia per la virulenza dell’epidemia di coronavirus, che supera quota nove milioni di casi e s’avvicina alle 230 mila vittime, dopo avere battuto a ripetizione i record di contagi giornalieri. L’andamento dell’epidemia frena l’ottimismo sulla ripresa dell’economia, dopo i dati del terzo trimestre: una crescita del Pil del 7,4%. Il divario nei sondaggi tra Trump e Biden, nella media del sito RealClearPolitics, risale a livello nazionale al 7,8% (dal 7,5%) e si riduce negli Stati in bilico al 3,1%.

Gli altri Latinos: “Per noi Donald è l’uomo giusto”

L’Air Force One scende sulla pista d’atterraggio, a meno di cento metri una folla da concerto urla e applaude. La musica copre tutto, non si sente nemmeno il rombo dei motori dell’aereo. Eye of the Tiger, la colonna sonora di Rocky III, incornicia l’arrivo di Donald Trump. “Viene a Phoenix tutte le volte che può, sa che saremo sempre qui per lui”. Wanda, 52 anni, indossa un cappello rosso ‘Make America Great Again’, ma nessuna mascherina: “Non ce n’è bisogno”. Nel 2020, il 45° presidente degli Stati Uniti è stato in Arizona undici volte. Molto, forse troppo, rispetto al resto del Paese. È considerata una roccaforte repubblicana, solo Bill Clinton nel 1996 riuscì a ottenere i suoi grandi elettori. Oggi Biden è avanti nei sondaggi. “Nei prossimi quattro anni creerò due milioni di posti di lavoro per i Latinos, ci saranno mezzo milione di nuove aziende e piccole imprese ispaniche. I vostri figli potranno andare in qualsiasi scuola sceglierete. Costruiremo nuovi quartieri, bei quartieri nelle periferie”. Il candidato repubblicano sa fare le promesse giuste.

Mentre parla, decine di cartelli si alzano in aria ‘Latino loves Trump’. In Arizona il 30 per cento della popolazione è di origine ispanica, di questi uno su due ha meno di 30 anni. “I Democratici si ricordano di noi solo per chiederci il voto, ci hanno sempre trattato da servi. Quest’uomo è diverso, sa di cosa abbiamo bisogno”. Olga è arrivata dalla Bolivia quando aveva vent’anni. I suoi tre figli, il minore oggi ha 35 anni, sono nati a Phoenix. ‘Biden non ha fatto nulla per noi in 40 anni di politica. E quella donna, Kamala, chi pensa di essere? È arrivata qui dall’India e vuole governare il Paese, che torni da dove è venuta. Lì non le farebbero amministrare nemmeno un condominio’. A Olga e suo figlio Richard poco importa che Kamala Harris sia nata in California e abbia sempre vissuto negli Usa, è una migrante.

Il movimento di Latinos for Trump è uno dei movimenti più in crescita nel sud del Paese. Sono presenti dalla California alla Florida. Jorge Rivas è uno dei suoi membri più attivi. “Durante la campagna presidenziale del 2016 sono andato a un evento repubblicano, avevo fatto un piccolo striscione: il primo ‘Latinos loves Trump’. Volevo mostrare il mio supporto. Trump lo ha visto e ha fatto salire sul palco mia moglie’. Jorge è salvadoregno, sua moglie Betty messicana. Hanno un piccolo ristorante a Catalina, sulla strada tra Phoenix e Tucson. Il locale è tappezzato di foto di Trump. “Tutti lo etichettano come un razzista, quindi dopo aver detto che lo sostengo sono stato insultato anche io. Ma ci sono milioni di latini che sono dalla sua parte”. Dopo una serie di attacchi sui social network, Jorge ha ricevuto l’appoggio diretto del presidente, un tweet. ‘Il cibo è buonissimo da Sammy’s Mexican Grill a Phoenix, Arizona. Congratulazioni a Betty e Jorge Rivas per il vostro splendido lavoro. Tenterò di fermarmi da voi la prossima volta che sarò a Phoenix’. Era il gennaio del 2020, Trump non è ancora andato a Catalina, ma il piccolo locale è diventato una tappa obbligata per tutti i conservatori che passano in quest’angolo dell’Arizona. E mentre Jorge preparava burrito e tacos per tutti repubblicani del sud del Paese, la moglie ha inciso una canzone, in spagnolo, di sostegno a Trump. “Non capisco molto di politica – racconta Betty – ma la famiglia del presidente è come la mia famiglia. Mi piace molto vedere cosa posta sui social la First Lady e anche Ivanka. Sono una famiglia unita, conservatrice. Proprio come noi”. Ed è proprio su tutta sulla “dinastia Trump” che Jorge ha deciso di puntare: “Sono certo che vincerà lui e che tra quattro anni si candiderà sua figlia Ivanka. Avremo la prima presidente donna e si chiamerà Trump”. Betty lo guarda e aggiunge. “Ha già quattro anni di esperienza e ne avrà altri quattro per prepararsi, sarà la migliore”. La comunità latina però è molto variegata. Solo una minoranza di chi vive e lavora può votare. “Siamo molto divisi fra noi” dice Elsa Osorio; ha 46 anni, è entrata in negli Stati Uniti nel 1999 “a piedi, attraverso il deserto con due figli in braccio”. Lei è ancora senza documenti, ma la sua terza figlia, nata 19 anni fa in Arizona, il 3 novembre potrà votare per la prima volta. “Chi è entrato legalmente nel Paese crede che chi è senza permesso se ne debba andare. Mio marito è stato espulso nel 2010. Io sono ancora qui e vorrei che i miei figli potessero eleggere il presidente del Paese dove vivono e sono cresciuti”.

Quando c’era Lui: I casi Zanda-Padoan

Diciamo la verità: quando c’era Lui era tutto più facile. No, che avete capito, non Lui dei treni che arrivavano in orario e si dormiva con le porte aperte, Lui Silvio Berlusconi, capo politico e premier a capo di un impero mediatico e finanziario (nonché habitué delle aule di giustizia ma questa è un’altra storia). Quando c’era Lui, si diceva, il suo conflitto d’interessi era talmente grande che copriva tutte le piccole meschinità di noi comuni mortali, assicurandoci buona coscienza gratis. Essendo però ormai attivo solo per onore di firma e di bottega, il velo di Silvio non c’è più e tornano a essere visibili le magagne dei buoni. Prenderemo due casi. Il Sole 24 Ore di ieri, per dire, registrava che “il comitato per le incompatibilità della Giunta per le elezioni della Camera dovrebbe iniziare la settimana prossima a esaminare la condizione del deputato eletto nelle file del Pd e neo consigliere UniCredit, Pier Carlo Padoan. L’ex ministro dell’Economia, designato alla presidenza dell’istituto col rinnovo del cda previsto per la primavera 2021, ha subito notificato agli uffici di Montecitorio la sua cooptazione nel board della banca e nei prossimi giorni avrà inizio la valutazione circa eventuali incompatibilità con il seggio parlamentare”. Cioè Padoan non si è dimesso, ma ha chiesto ai colleghi se fare il presidente della seconda banca italiana non sia per caso incompatibile con la carica di deputato. Ma non sia mai! Quale conflitto potrebbe mai esserci? Scherziamo? Deliziosa anche la storia del senatore Luigi Zanda: nominato qualche mese fa presidente della società che edita il quotidiano Domani, si è dimesso mercoledì perché s’è scoperto incompatibile. Ha spiegato a Tpi: dopo le dimissioni da tesoriere del Pd e dalla commissione d’inchiesta sulle banche (?), “ho pensato che invece avrei dovuto verificare se era compatibile la carica da senatore: in un mese ho capito che non si può fare insieme, il senatore del Pd e il presidente di un quotidiano che si occupa anche – ovviamente – di politica”. Non ci aveva pensato, pensava di presiedere uno di quei bar dove nel Ventennio si trovava scritto “qui non si parla di politica!” e invece che ti va a scoprire dopo un mese… Ragazzi, sia detto in amicizia, Silvio vi aveva abituati troppo bene.

Il Bar dello Sport su Conte e i Dpcm ignora le gesta dei governatori

Da molte settimane imperversano gli interventi critici nei confronti del presidente del Consiglio, accusato di “abusare” del potere di decretazione, nel senso di emanare i famigerati Dpcm senza che vi sia stato un adeguato e consapevole coinvolgimento del Parlamento. In parte la questione della possibilità, per le Camere di lavorare in presenza (al loro interno) di un discreto numero di positivi al Covid, mi viene da pensare che lor signori confondono il diritto costituzionale, che non conoscono, con il commento dell’ultima partita di calcio, quasi che l’ordinamento della Repubblica (e le sue complicate regole) possano essere paragonate alle chiacchiere di un Bar Sport di una cittadina italiana.

Desta ancora più stupore che i critici di Conte – il quale è semmai colpevole, almeno da qualche giorno, di un eccesso di moderazione anche in presenza di una seconda ondata particolarmente problematica – non abbiano sollevato i medesimi dubbi allorquando i presidenti delle Giunte, di ogni colore politico, hanno emanato tali e tante Ordinanze (alcune discutibili per forma e contenuti) senza coinvolgere i rispettivi Consigli regionali.

Eppure, qualsiasi studente di primo anno di Giurisprudenza non ignora che Parlamento e Consiglio regionale detengono il potere legislativo delle rispettive istituzioni e che, pertanto, un certo parallelismo nelle attribuzioni può esser legittimamente fatto. Ma evidentemente questi nuovi illuminati giuristi ritengono che i poteri del presidente Conte debbano essere “calmierati” dal Parlamento, mentre quelli di De Luca, Emiliano, Zaia, Fontana e Bonaccini possano esplicarsi senza limite alcuno. Un modo davvero originale di leggere la Costituzione!

 

MailBox

 

Chi è contagiato avvisi subito amici e parenti

Visto che in alcune Regioni manca il personale per il tracciamento dei contagiati Covid (e anche per il funzionamento di Immuni), secondo me i positivi dovrebbero fare un tracciamento “fai da te”, avvisando subito tutte le persone con cui sono stati in contatto.

Claudio Trevisan

 

Conte si ispira alla Costituzione

Il punto di riferimento di Conte è la Costituzione e a essa ispira la sua azione politica: “Non possiamo abbassare la guardia, perché se non proteggiamo la salute dei cittadini, non proteggiamo l’economia”. La Costituzione definisce il diritto alla salute, e quindi alla vita, come “fondamentale” il che significa che, se cede il “fondamento”, l’intero edificio è destinato a crollare. Ecco perché bisogna dare la priorità a tale valore. Quindi le opposizioni, quando accusano il governo di dittatura sanitaria, di democrazia sospesa e di Parlamento esautorato e così via delirando, non solo inaugurano la sagra delle panzane, ma remano contro la Costituzione.

Maurizio Burattini

 

È necessaria maggiore equità negli stipendi

Appartengo alla sempre più numerosa famiglia del Fatto, che mi delizia ogni giorno. Vi chiedo lumi sugli stipendi dei burocrati di Stato, cominciando dai componenti della Consulta, dagli ambasciatori, dalla schiera di politici e dalle forze armate. È un problema etico-morale e credo che vada affrontato. Sono i più pagati al mondo, in spregio agli oltre 7 milioni di italiani che vivono in miseria. Un giornalismo libero e indipendente deve evidenziare gli ingiustificati benefici di cui godono queste categorie.

Mario Losco

 

Sostegno al premier: sta lavorando bene

Caro direttore, ogni santo giorno leggiamo che alcuni vogliono la testa di Conte. Perché Il Fatto non lancia un appello “Io Voglio Conte”… Credo che si sia passato ogni limite alla decenza politica e che la stessa decenza abbia abbandonato i frequentatori dei palazzi.

A. M.

 

Non mi spaventa il ddl Zan, ma questa destra

Il ddl Zan contro l’omotransfobia, voluto dalla maggioranza, è una misura saggia. La discussione della legge ha ripreso l’iter parlamentare. È necessaria più che mai una normativa liberale contro le discriminazioni legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale. La legge è equilibrata. Ciononostante, Salvini, Meloni e compagnia destrorsa considerano la legge contro l’omotransfobia liberticida, “imposizione d’un pensiero unico”. Io sarei più spaventato del pensiero unico di Salvini e Meloni.

Marcello Buttazzo

 

Gli evasori fiscali hanno “ucciso” la Sanità

Ho notato un grande assente dal dibattito di tv e stampa: l’evasore fiscale. Quante persone, soprattutto anziane, infettatesi, non hanno trovato posto in rianimazione? Qualcuno di quei letti era per caso occupato da un evasore fiscale? Se sì, costui si è salvato, causando la morte di un altro che, invece, quel letto lo aveva pagato con le sue tasse. In questo caso l’evasore è un sia pur indiretto omicida.

Francesco Piscitello

 

DIRITTO DI REPLICA

Nell’articolo a firma di Giacomo Salvini sul Fatto Quotidiano di giovedì ci sono diversi riferimenti ai neoborbonici (marchio registrato e in uso dal 1993), riferimenti non veritieri. La nostra associazione culturale non ha affatto partecipato con suoi iscritti e simpatizzanti alle manifestazioni a Napoli il 23 ottobre e nei giorni seguenti.

In 27 anni di attività pubbliche, i neoborbonici non hanno mai partecipato a disordini di piazza, non si sono mai resi protagonisti di “onde nere” (e neanche bianche) e non hanno mai pubblicato messaggi “violenti” e meno che mai lo avrebbero fatto in un momento delicato e difficile come quello che Napoli e l’Italia stanno vivendo. Vantiamo migliaia di attività dal 1993 a oggi ma sempre nell’ambito della cultura, della ricerca e della divulgazione. In una prossima ed eventuale occasione e per evitare anche azioni legali a tutela nostra e dei nostri iscritti, l’articolista forse dovrebbe informarsi meglio.

Movimento Neoborbonico

 

Ringrazio il “Movimento Neoborbonico” per la precisazione, ma nel mio articolo di giovedì sul “Fatto” ho parlato solo del sito “Ischia Press” in cui si trovano molti contenuti che esaltano il Regno delle due Sicilie. E comunque non avrei potuto fare riferimento al vostro “Movimento” perché non lo conoscevo.

Gia. Sal.

 

I NOSTRI ERRORI

In relazione al richiamo in prima pagina dell’articolo pubblicato ieri sul vitalizio di Augusto Minzolini, precisiamo che il già senatore di Forza Italia nella legislatura 2013-2018 non è decaduto ma si è dimesso, dopo che l’aula di Palazzo Madama aveva bocciato la relazione con cui la Giunta per le elezioni ne aveva chiesto la decadenza da senatore in applicazione della legge Severino per i condannati.

Nel caso di Minzolini si tratta di una condanna a due anni e sei mesi e pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per peculato continuato, divenuta definitiva già nel 2015.

FQ