Covid-19: Big Tech è sempre più ricca

Big Tech, sempre più big, irrobustita dal tempo libero del Covid-19 e dal lavoro da casa. L’onda lunga del mondo chiuso ha spinto oltre le previsioni anche gli utili e i ricavi del terzo trimestre: Facebook, Amazon, Apple e Google volano e le polemiche, gli articoli e gli attacchi sul loro dominio incontrastato sembrano interferire davvero poco con i loro affari e il cloud, essenziale per le attività da remoto, dà una grossa mano.

Il social network di Zuckerberg, ad esempio, vede salire i ricavi totali a 21,47 miliardi di dollari: un aumento del 22 per cento a cui corrisponde un aumento dei profitti del 29 per cento (a 7,85 miliardi di dollari). Crescono gli utenti attivi giornalieri (+12 per cento): significa che ogni giorno si collegano alla galassia Facebook 1,82 miliardi di persone. In un mese, 2,74 miliardi. E più utenti significa più pubblicità. Sale così anche il valore delle azioni che da inizio anno sono aumentate del 36 per cento. “Ci aspettiamo che il nostro tasso di crescita dei ricavi pubblicitari del quarto trimestre 2020 su base annua sia superiore al tasso riportato del terzo trimestre 2020, guidato dalla continua forte domanda degli inserzionisti durante le festività natalizie” è stato il commento.

E se si era intuito che Amazon avesse fatto buoni affari grazie al lockdown, ora sappiamo che l’utile netto è triplicato, frutto anche di un incremento del cloud: 6,3 miliardi di profitti su 96,1 miliardi di ricavi (+ 37 per cento) e la previsione, per il trimestre in corso, di un utile operativo tra 1 e 4,5 miliardi. L’utile per azione si è attestato a 12,37 dollari, al di sopra dei 7,4 dollari previsti dagli analisti. Anche lo smart working ha arricchito la già ricca azienda: il fatturato prodotto dei servizi di cloud è aumentato del 29 per cento. Un esito incerto, invece, quello di Apple che nonostante i ricavi sopra le attese ha visto il valore calare in Borsa di quasi il 5 per cento. Il trimestre si è chiuso con ricavi per 64,69 miliardi di dollari e un utile netto di 12,67 miliardi, ma le entrate dagli iPhone, che in pratica sono la metà di tutto il fatturato, sono passate dai 33,4 miliardi del 2019 a 26,4 miliardi di oggi. Come abbiamo raccontato più volte, cresce però il ramo “diversificazione” dell’azienda: i ricavi dei servizi, da Apple TV ad iCloud, sono passati da 12,5 a 14,5 miliardi. Ma, evidentemente, il risultato non è bastato a soddisfare i mercati.

Come per Facebook, è la pubblicità a far volare gli utili di Alphabet, la società madre di Google, che ha annunciato un utile per azione di 16,4 dollari su ricavi da 46,17 miliardi. Tantissimo se si considera che gli analisti si aspettavano 11,42 dollari e il risultato è superiore anche ai 10,12 dollari di un anno fa. È aumentata la spesa degli inserzionisti sia su Google search, il motore di ricerca, sia su YouTube, ha detto Ruth Porat, chief financial officer di Alphabet e Google.

Nel primo caso, le entrate sono aumentata del 6,5% a 26,34 miliardi su base annua, mentre gli annunci di YouTube sono aumentati del 32,4 per cento per 5,04 miliardi. Più di tutto, però, hanno fatto le entrate del cloud che sono aumentate del 44,5 per cento a 3,44 miliardi di dollari su base annua. Non per niente, la Google Suite è uno degli strumenti più utilizzati nel mondo per il lavoro da remoto e anche per le attività scolastiche.

Conte spiazza i sindacati: altro stop ai licenziamenti

I sindacati stavolta sono rimasti senza parole, quasi spiazzati dalla proposta che Giuseppe Conte ha fatto loro non appena avviata la videoconferenza dell’incontro sui licenziamenti. “Blocco totale fino alla fine di marzo ed estensione della Cassa integrazione Covid”, ha detto il presidente del Consiglio. Silenzio sorpreso dall’altra parte per una proposta probabilmente inattesa. “Non vedo sorrisi né gesti di soddisfazione”, ha osservato sornione Conte: “Di più non potevamo fare. Osservazioni? Siete senza audio o senza parole?”. Al che è toccato a Maurizio Landini, segretario della Cgil, rompere il silenzio: “La seconda che ha detto presidente”.

La proposta conferma che la fase che verrà non sarà semplice e che il governo ha deciso di stendere una rete di protezione per il lavoro e le imprese. La mossa ha tolto dal tavolo un’incognita che si era presentata negli scorsi giorni, una possibile mobilitazione del sindacato che avrebbe dato un altro tono alle tante manifestazioni di queste ore. Invece Conte, come dice Landini, “va nella direzione che abbiamo indicato”, quella di pensare prima alle garanzie per i lavoratori consentendo, allo stesso tempo, di ridurre le attività produttive e commerciali senza eccessive ricadute. Confindustria e le altre sigle datoriali sono state tutte avvertite dallo stesso Conte prima dell’incontro con i sindacati, segno di una decisione ponderata e strutturale. “Per Confindustria – si legge nella nota degli industriali – la proroga per ragioni di emergenza è giustificata se per le imprese che utilizzano la cassa Covid l’accesso non prevede alcuna contribuzione, e il premier ha convenuto che così sarà”.

“Il governo ha fatto la scelta giusta”, dice Pierpaolo Bombardieri, segretario della Uil, e anche Annamaria Furlan, della Cisl, rileva che la mossa “consente di dare sicuramente un minimo di serenità alla nostra gente. Va dato atto al presidente del Consiglio, che ringraziamo, di avere compreso le ragioni e le preoccupazioni espresse in queste giornate dal sindacato”.

Mentre il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, sottolinea che le decisioni “sono frutto del dialogo”, la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che annuncia l’avvio del confronto con le parti sociali “per la riforma degli ammortizzatori sociali e il rafforzamento delle politiche attive del lavoro” già dalla prossima settimana.

Allo stesso tempo, la decisione annunciata da Conte conferma implicitamente quello di cui ormai si parla apertamente: andiamo verso un lockdown più o meno generalizzato e non a caso nel commentare i dati sul Pil del terzo trimestre il ministro dell’Economia ha messo le mani avanti sull’andamento del Pil nel 2021 che non sarà nella misura finora stimata.

Resta invece ampiamente raggiungibile la previsione di un calo del Pil del 9% nel 2020 visti i dati pubblicati ieri dall’Istat sul terzo trimestre. Il Pil è cresciuto del 16,1% sul trimestre precedente, dato superiore alle migliori aspettative.

“La ripresa è diffusa a tutti i comparti economici e dal lato della domanda è trainata “sia dalla componente nazionale sia dalla componente estera”, scrive l’Istat nella sua nota: “A causa delle flessioni dei precedenti due trimestri dell’anno, nel confronto con il terzo trimestre del 2019 la variazione resta negativa nella misura del 4,7%”. Il risultato italiano è comunque in linea con i Paesi europei: la Francia segna un +18,2%, la Spagna +16,7%, la Germania “solo” +8% mentre la media Ue è del 12,1%.

L’Italia, quindi, stavolta non è la Cenerentola d’Europa, anche se i rimbalzi vanno commisurati all’onda lunga della stagnazione italiana che data almeno dal 2008.

Le misure prese per fare fronte alla crisi, dunque, hanno avuto un effetto positivo e, allo stesso tempo, lavoratori e imprese si sono dimostrati molto reattivi. Un dato utile per quello che accadrà nei prossimi mesi: caduta e risalita dell’economia possono essere meglio calcolati e previsti. Anche perché si andrà verso una nuova frenata. Lo ammette Gualtieri quando dice che se le previsioni per il 2020 sono confermate, quelle del 2021 “andranno riviste al ribasso, la ripresa è solo rinviata”.

“Erdogan spalleggia i terroristi in Francia”

“Erdogan getta benzina sul fuoco. I terroristi si sentono spalleggiati da lui e dalla rete internazionale dei Fratelli Musulmani. Spinti da un’ideologia di morte, si sentono più forti e trovano il momento opportuno per passare all’atto. C’è un fenomeno di mimetismo e la dinamica terrorista si accelera”. Antoine Basbous è politologo e fondatore dell’Osservatorio dei Paesi arabi. Col Fatto commenta la crisi che oppone Ankara e Parigi e la scalata di attentati in Francia.

Che progetto c’è dietro gli attacchi di Erdogan contro Parigi?

Il suo progetto, da tempo, è creare in Francia una terra di Islam. Ai musulmani dice che non devono frequentare i francesi, le loro scuole, i tribunali, i ristoranti. La comunità musulmana si deve autogestire e mettere la legge coranica al di sopra delle leggi dello Stato. È lo stesso progetto di al Qaeda: i miscredenti non devono governare sui musulmani. Il risultato oggi è che in Francia si possono fare caricature sul Papa, Gesù o la Madonna, ma non si può toccare il profeta Maometto.

Come ci siamo arrivati?

Gli islamisti hanno approfittato delle esitazioni di tanti governi francesi, incapaci di prendere decisioni coraggiose. Un esempio per tutti: la crisi del foulard nelle scuole è scoppiata nel 1989, ma il dibattito si è inasprito, si è trascinato per anni e la legge che vieta il velo in classe è stata votata solo nel 2004. La Francia è sembrata incapace di difendere il suo modello di laicità.

Macron, parlando di “separatismo”, è diventato il bersaglio ideale?

La legge annunciata intende combattere le ingerenze straniere sull’Islam in Francia e ostacolerà Erdogan, che finora ha potuto inviare i suoi predicatori, utili per inquadrare la comunità musulmana in Francia. Non vuole che la laicità si applichi alle moschee come si fa con la chiesa cattolica.

È arrivato a paragonare i musulmani in Francia agli ebrei durante il nazismo…

La Francia passa per uno Stato che odia i musulmani. Non è vero. Sono più liberi qui che nei loro Paesi di origine. È complicato essere sunniti in Iran, sciiti in Arabia Saudita, cristiani in Pakistan o in Turchia, o atei in questi paesi. In Francia si ha libertà di coscienza.

Le relazioni con la Turchia sono tese anche su altri fronti.

Erdogan sta approfittando di diversi vuoti. Un vuoto di leadership degli Usa sul piano internazionale; della Nato, indebolita dallo stesso Trump; e nel mondo arabo. Ne approfitta per avanzare le sue pedine, dalla Libia al Nagorno-Karabakh, passando per la Siria, l’Iraq, fino al Mediterraneo orientale, facendo pressione su Grecia e Cipro. In totale impunità.

Macron ha chiesto sanzioni Ue contro Ankara.

La Ue ha diversi strumenti: può intervenire sugli aiuti erogati per preparare l’adesione della Turchia all’Unione (sempre meno probabile), sugli investimenti, le esportazioni. La lira turca ha perso più del 25% del suo valore dall’inizio dell’anno, la Turchia è un Paese fragile, e invade la sovranità di due Paesi europei. Dal momento che né la Nato né Washington agiscono, sta all’Ue fermare Erdogan.

Lamorgese non si cambia: niente rimpasto giallorosa

Tra rivolte di piazza e controlli per far rispettare le misure anti-Covid, il Viminale è già un Ministero più esposto del solito. Ma da giovedì Luciana Lamorgese è diventata bersaglio del martellamento di Matteo Salvini: “Continuo a chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno, per evidente e palese incapacità”, va ripetendo. E poi, parlando dell’attentatore di Nizza, sbarcato a Lampedusa il 20 settembre e successivamente arrivato in Francia: “È sbarcato un mese e mezzo fa e poi scomparso. La domanda è ‘quanti altri sono scomparsi?’ Noi lo abbiamo chiesto. Da quella nave ne scesero 640, quanti sono ancora in Italia e quanti sono scomparsi?”.

Non ci sta la Lamorgese a farsi mettere sul banco degli imputati. E intanto chiarisce che cosa è successo in questo caso: “Il tunisino che ha assassinato tre persone a Nizza non era stato segnalato né dalle autorità tunisine né risultava segnalato dall’intelligence”. Dal Viminale spiegano che una volta finita la quarantena a Bari, Aouissaoui Bahrain, non era entrato nel gruppo dei rimpatriati, visto che sul suo capo non risultavano precedenti penali, e aveva altresì ricevuto un foglio di via. Dopodiché era sparito. Per poi riapparire a Nizza.

Ieri la Procura di Bari ha aperto un’inchiesta, mentre intelligence e antiterrorismo, in coordinamento con la Francia, stanno ricostruendo i movimenti del 21enne. Da quel che risulta avrebbe passato 15 giorni a Palermo per poi partire per la Francia il 25 ottobre. La Procura di Palermo sta indagando sui contatti avuti in città. L’Italia ancora una volta rischia di venire considerata in Europa una frontiera permeabile. Infatti la Lamorgese ammonisce: “Questo è un attacco all’Europa: Lampedusa infatti è la porta d’Europa”. E poi ricorda alcuni precedenti di attentatori passati per l’Italia: “In passato purtroppo si sono verificati casi analoghi. Come mai l’opposizione si è scusata oggi con la Francia, cui manifesto tutta la mia solidarietà, e non ha ritenuto di scusarsi in altri casi gravi come gli attentati alla metropolitana di Londra nel 2017 o quello alla Rambla sempre nel 2017?”.

Nel 2011 (con Maroni al Viminale) era entrato in Italia Amri, che poi nel 2016 fece l’attacco ai mercatini di Natale a Berlino e fu ucciso dalla polizia italiana quando, in fuga, arrivò a Sesto San Giovanni. Ahmed Hassan, l’iracheno condannato per l’attentato alla metropolitana di Londra, era arrivato dall’ Italia, per la precisione da Trieste, nel 2015. Driss Oukabir, uno degli attentatori di Barcellona, aveva passato un periodo in Italia nel 2014, alla ricerca di lavoro.

Il Ministro lancia una stoccata a Salvini: “I suoi decreti anziché creare sicurezza hanno creato insicurezza perché 20mila persone sono dovute uscire dall’accoglienza da un giorno all’altro”. Mentre con il richiamo all’Europa cerca di evidenziare le responsabilità di tutto il Vecchio continente nella gestione dei migranti, questione che il nostro Paese pone da anni.

Giovedì prossimo la Lamorgese andrà a riferire al Copasir: parlerà non solo dell’attentatore di Nizza, ma anche dei disordini di piazza scoppiati da quando le misure si sono fatte più stringenti.

La tensione sale, in un ministero che è spesso nell’occhio del ciclone dall’inizio del Conte 2. Si ricorderanno le polemiche e l’ironia sulle Faq del Viminale della scorsa primavera, durante il lockdown, come le richieste del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che un mese fa le aveva chiesto di mandare più forze dell’ordine per i controlli. Più si va avanti, più il compito del Viminale si fa difficile. E in una situazione politicamente sfilacciata, la Lamorgese diventa un possibile caso. La difesa, da parte della maggioranza, è comunque compatta. In passato qualche voce di sostituzione era arrivata: si era parlato dell’ingresso di Nicola Zingaretti al governo, proprio al Viminale. Lui ha sempre smentito. Diventa sempre più chiaro che la sostituzione di qualche ministro è troppo rischiosa. Senza contare che la titolare del Viminale è arrivata su indicazione del presidente Mattarella, che – dopo i toni esasperati di Salvini – optava per un ministro tecnico. Il discorso potrebbe cambiare se dovesse diventare evidente che il governo Conte non è in grado di gestire la pandemia. A quel punto, se passa il principio che all’Interno serve un politico, le valutazioni si modificano.

“Un lockdown generazionale per salvare vite ed economia”

Misure specifiche per proteggere i “target di fragilità” e, allo stesso tempo, “salvare l’economia”. Tradotto: limitare le attività degli anziani mentre la popolazione più giovane torna alla normalità. Un “nuovo paradigma” per “convivere con il virus” proposto dalla maggioranza di centrodestra in Regione Lombardia con due mozioni promosse da Forza Italia. La prima, poi ritirata, citava la necessità di un “lockdown generazionale” per gli over 65, da accompagnare a forti sussidi per le famiglie. La seconda, che arriverà martedì in Consiglio, imporrebbe alla giunta Fontana di portare in Conferenza Stato-Regioni – quindi proponendolo al governo – un “piano di azioni” a “protezione e tutela sanitaria” nei confronti di un “target di fragilità”. Un coprifuoco per le fasce più colpite – anziani e persone con patologie croniche – mirato a evitare “un lockdown generale”, che comprometterebbe “irrimediabilmente le attività”.

Con l’età dei positivi al Covid-19 che è in costante crescita, come certificato dall’Iss nel monitoraggio pubblicato ieri, il tema resta sul tavolo. “La cosa peggiore sarebbe non imparare dal passato – spiega Luca Lorini, direttore della terapia intensiva del Papa Giovanni XXIII di Bergamo –. Non ho più voglia di vedere bare piene di anziani che muoiono di Covid-19. Poiché so che se un 75enne prende il virus ha una probabilità di morire del 50%, è giusto provare a tutelarlo”. Il che non significa “restare chiusi 6 mesi in casa: se chi va al lavoro o a scuola si muove tra le 7 e le 9, chi ha qualche anno di più per portare il cane fuori potrebbe uscire tra le 9 e le 11. L’importante è che eviti di incontrare chi è in grado di infettarlo, come i nipoti. Una rinuncia di 4 o 5 settimane”.

“Sarebbe sufficiente isolare gli ultra 80enni per dimezzare o quasi la mortalità diretta del virus – evidenzia una ricerca dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale –. Se poi riuscissimo a isolare efficacemente gli ultra 60enni, la mortalità scenderebbe allo 0,07%, circa 10 volte inferiore”. “Anche in uno scenario di diffusa circolazione virale nella popolazione più giovane – scrive Matteo Villa, autore dello studio -, si scenderebbe da un eccesso di mortalità diretta di 460mila persone senza isolamento, a 120mila (-74%) se si isolassero gli ultra 70enni e a 43mila (-91%) se si isolassero gli ultra 60enni”.

Un approccio affine a quello di Forza Italia arriva dagli autori della “Dichiarazione di Great Barrington”, dal nome dalla città del Massachussetts sede dell’American Institute for Economic Research, think tank ultraliberista vicino alla destra Usa che inserisce la tutela dei fragili in un documento che propone il raggiungimento della discussa “immunità di gregge”: “Apriamo le scuole, ma gli insegnanti over 60 devono lavorare da casa”, scrive Martin Kulldorff, biostatistico di Harvard che ha promosso il testo insieme a Sunetra Gupta, epidemiologo di Oxford, e Jay Batthacharya, esperto di politica sanitaria della Stanford Medical School; “teniamo aperti i pub, ma chi ha più di 70 anni ne stia lontano per un po’”; “apriamo i ristoranti, ma alle persone anziane offriamo solo cibo da asporto”. L’obiettivo, criticato da buona parte della comunità scientifica d’oltreoceano ma gradito alla Casa Bianca: tenere aperta “la società per i giovani e quando avranno prodotto l’immunità di gregge (…) anche le persone anziane potranno uscire”.

Un target sbagliato, per l’Ispi, perché la quota di popolazione contagiata necessaria per raggiungerlo “si aggira intorno al 70%”: “nel caso italiano, ciò implicherebbe circa 42 milioni di contagiati e tra i 430mila e i 700mila decessi in più per il solo obiettivo di rallentare la circolazione virale”. “Sarebbe troppo costoso in termini di vite umane – concorda Lorini -. Il mio è un ragionamento sanitario”.

Nom esente da difficoltà logistiche: “Da un punto di vista teorico l’idea ha un senso – premette Pier Luigi Lopalco, epidemiologo dell’università di Pisa e assessore alla Sanità in Puglia -, ma vorrei capire come si possa fare su larga scala. Soprattutto al Sud le famiglie sono composti da 3 o 4 generazioni e raramente vivono in ambienti spaziosi, specie nelle aree più densamente popolate. Come si fa a isolare gli anziani? Li si sradica dalle famiglie e li si mette a vivere da soli, magari in hotel dedicati? In Svezia all’inizio della pandemia fu detto loro di restare in casa, ma non ha funzionato”.

Renzi ammicca, Salvini non si fida: prove di inciucio

In tempi normali sarebbe stata una manovra spericolata per destabilizzare il governo Conte. Ma stavolta no, ché fuori da Palazzo Madama c’è una pandemia, una curva dei contagi che ogni giorno fa registrare un nuovo record e il terrore di un Paese che mostra segni di rivolta. Sicché stavolta gli ammiccamenti, gli sms stringati, i conciliaboli favoriti dalla mascherina tra i due Matteo, Renzi e Salvini, si infrangono contro il muro della realtà e di un governo che difficilmente potrà cadere, ma al massimo potrebbe adagiarsi su un “rimpastino” voluto da molti, anche nel Pd. Epperò i due Matteo nell’ultima settimana ci hanno provato a creare il caos da due posizioni speculari: Salvini da leader dell’opposizione, Renzi da leader dell’opposizione interna alla maggioranza. L’interesse è lo stesso: fare le scarpe a Conte. Come – con un governo di “unità nazionale”, di “grande coalizione” o altre formulazioni da Prima Repubblica –­è solo un dettaglio: l’importante è provare a “sparigliare le carte” facendo gestire la crisi a un altro premier e, se possibile, a un’altra maggioranza. Che ci riescano è quasi impossibile, ma il solo provarci serve per contare di più, al governo e all’opposizione.

E così, sempre nell’ottica di destabilizzare per destabilizzare, il primo approccio risale al fine settimana mentre i capi delegazione litigavano a Chigi sulla stretta, coprifuoco e chiusura alle 18, del nuovo Dpcm. Una misura presa di mira lunedì sia da Italia Viva che dalla Lega che sembravano entrambi all’opposizione. “Non serve a niente, chiudere i ristoranti aumenta solo i disoccupati”, diceva Renzi, “Conte mette alla fame gli italiani che lavorano”, gli faceva eco Salvini. A quel punto, capìta l’antifona, l’ex sindaco di Firenze ha fatto recapitare al leader del Carroccio un messaggio che suonava più o meno così: “Matteo, sei l’unico della destra che non vuole collaborare. Se abbassi i toni, possiamo lavorare insieme”. Con annessa una pulce fatta arrivare indirettamente alle orecchie del leader della Lega: “Guarda che Renzi è disposto a fare il governo di unità nazionale perché questi qua non ci stanno capendo niente”. Con “questi qua”, ça va sans dire, il senatore fiorentino intendeva la squadra di Conte e dei suoi ministri, che Renzi sogna di mandare a casa (“senza di me il premier sarebbe a fare il Professore” ha detto giovedì a Repubblica). Quindi non sono passati inosservati tra i fedelissimi di Salvini alcuni segnali di fumo delle ultime ore: il durissimo intervento di Maria Elena Boschi mercoledì mattina alla Camera durante l’informativa di Conte – “ma l’avete sentita? Sembrava la leader dell’opposizione” si sorprende un deputato del centrodestra –­ma soprattutto quello del capogruppo Pd Andrea Marcucci sui “ministri che non sono tutti adeguati” e sulla richiesta di una “verifica di governo” (tant’è che tra gli ambienti di Zingaretti si dice che “Iv al Senato ha due capigruppo e il Pd zero”).

E allora anche Salvini ha cambiato atteggiamento, con una giravolta di 180 gradi dopo che per giorni ha minacciato il governo di fare il Quarantotto in caso di nuovo lockdown: “Se c’è la necessità di farlo, è giusto farlo”, ha detto ieri. Renzi invece giovedì al Senato è rimasto ad ascoltare: anche questo un indizio. Solo che tra i leghisti qualcuno smentisce, mentre altri la spiegano così: “Matteo non si fida” di Renzi e “ha paura di rimanere fregato come due estati fa, quando i due si erano già accordati per andare al voto e invece ‘tac’, ha appoggiato Conte”. Chi nella Lega è al corrente delle ultime avance renziane, allora dà un consiglio al leader del Carroccio: “Ricordati Matteo, chi tocca Renzi muore”. E poi, anche volendo, i leghisti sono convinti che far cadere il governo adesso non converrebbe a Salvini durante la pandemia (“Conte andrà a sbattere e a noi va bene così”) e che a Renzi non si possa dare ascolto per mantenere i fragili equilibri interni al centrodestra, ché poi chi glielo spiega alla Meloni. Tant’è che da Fratelli d’Italia i primi sospetti iniziano a rimbalzare: “Se Renzi e Salvini decidono di fare l’unità nazionale noi saremo come i mariti cornuti: gli ultimi a saperlo”.

Opposizioni sfasciatutto anche in europa

Nel triste destino di questa pandemia, di certo l’Italia non è un caso isolato. Non soltanto, come sappiamo, nell’affrontare l’emergenza sanitaria, ma anche nel dover gestire dinamiche politiche interne tutt’altro che pacifiche, nonostante il periodo suggerisca un clima di collaborazione tra tutti i partiti. Se da noi i continui richiami del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rimangono quasi sempre lettera morta – tra le grida soprattutto della Lega e di Fratelli d’Italia –, anche nei principali Paesi europei i governi hanno enormi difficoltà a dialogare con le opposizioni, per colpe proprie o delle minoranze. E così, ai guai della pandemia si aggiungono le beghe quotidiane della politica, e la concertazione rimane un miraggio.

 

Regno Unito Labour contro johnson, la scozia fa da sé

Il principale partito di opposizione in Inghilterra, il Labour, attacca dall’inizio dell’epidemia il Primo ministro Boris Johnson e la sua gestione delle varie fasi della crisi. L’ultimo bersaglio è la resistenza del governo a imporre un lockdown nazionale, come raccomandato fin da settembre dai suoi consulenti scientifici in una nota ignorata da Downing Street fin da inizio ottobre. Da allora il segretario laburista, Keir Starmer, chiede un circuit breaker, un lockdown di 2-3 settimane che arresti la seconda ondata.

Gli effetti della gestione governativa dell’epidemia si riflettono nelle intenzioni di voto. Secondo Ipsos Mori, il Labour guida con 5 punti di vantaggio, al 42 per cento del consenso contro il 37 dei Tories al governo.

Molto significativo anche il caso della Scozia, dove la First minister Nicola Sturgeon ha capitalizzato l’autonomia del suo governo in materia di salute pubblica gestendo l’epidemia in modo non allineato al governo centrale. Questo ha aumentato il suo consenso e, soprattutto, quello per l’eventuale indipendenza scozzese, voluta dal suo partito. In un sondaggio pubblicato ieri, il Sì all’indipendenza è in vantaggio di ben 12 punti rispetto al No, che aveva prevalso nel referendum del 2014.

 

Spagna I sovranisti di “vox” sparano sulle restrizioni

Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza fino al 9 maggio, votata dal Parlamento spagnolo su richiesta del premier Pedro Sánchez, il confinamento leggero della Capitale Madrid e il coprifuoco dalle 23 in vigore dalla scorsa domenica, gli unici a opporsi al governo sono i conservatori del Partito Popolare (PP) e l’ancora piccolo, ma già potente, partito sovranista di estrema destra Vox. Il suo leader, Santiago Abascal, ha presentato un ricorso in tribunale contro il blocco parziale imposto a Madrid e ora rifiuta il coprifuoco notturno. Vox ha manifestato così la sua contrarietà verso le restrizioni attuate a partire da 15 giorni fa dal governo centrale: “Si tratta di difendere il popolo spagnolo dalla gestione negligente e indecente di questo governo, che ha deciso di rovinare la Spagna e che ci porta a una crisi sanitaria, sociale ed economica senza precedenti”. La decisione di Vox aggrava una situazione di stallo tra il primo ministro socialista Sánchez e il governo regionale di Madrid, guidato per l’appunto dal Partito Popolare, all’interno del quale Vox detiene 12 dei 132 seggi. La coalizione regionale tra il PP e Vox è però entrata in crisi lo scorso 21 ottobre dopo che i popolari non avevano appoggiato la mozione di sfiducia contro il governo presentata da Abascal, facendola fallire. In uno dei suoi interventi in Parlamento, il leader del PP Pablo Casado ha definito la destra di Vox la “destra populista e dell’odio”. I nazionalisti catalani e baschi, pur dai banchi dell’opposizione, sostengono le decisioni del governo.

 

Germania La destra parla di “dittatura del virus”

“L’inverno sarà difficile”, esordisce Angela Merkel al Bundestag nel presentare il lockdown deciso mercoledì al vertice con i Länder, e le opposizioni non se lo fanno ripetere. Una valanga di esclamazioni e grida, soprattutto dai banchi del partito di destra Afd, sommerge il discorso della cancelliera, che si interrompe più volte. Interviene anche il presidente Wolfgang Schäuble per riportare l’ordine, minacciando sanzioni. Quando è il suo turno, Alexander Gauland, non più leader ma ancora esponente carismatico dei nazionalisti dell’Afd, l’accusa si concretizza; il Parlamento è stato scavalcato in nome di una “dittatura del coronavirus”. “La Germania ha conquistato la sua libertà troppo faticosamente per consegnarla al guardaroba di un direttivo d’emergenza”, dice Gauland. Il Paese affronta “la più grande limitazione delle libertà della storia”, aggiunge, perché “è da mettere nel conto che le persone muoiano”. Una posizione simile a quella sostenuta dai Tories inglesi la scorsa primavera, e in realtà una strategia che punta ad allargare il consenso elettorale dell’Afd, secondo un documento interno al partito citato ieri dall’agenziaDpa. Grazie al virus, Alternative für Deutschland vorrebbe raggiungere quegli elettori colpiti dalle misure del governo che di solito gli voltano le spalle: artisti, organizzatori di eventi, genitori single oltre a ristoratori e albergatori. Intanto Frauke Petry, ex leader Afd, cammina per la plenaria senza mascherina e viene sanzionata. E anche per i liberali del Fdp le ultime misure assunte sono una violazione dei diritti fondamentali.

 

Francia La sinistra critica, sorpresa le pen “moderata”

Giovedì, nel giorno dell’attentato di Nizza, il nuovo lockdown (entrato in vigore ieri fino ad almeno il primo dicembre) è stato approvato in Assemblea con 399 voti contro 27. La destra di Les Républicains ha disertato l’aula. Da tutta l’opposizione in Francia si denuncia la scarsa lungimiranza del governo, rimasto sordo alle raccomandazioni degli esperti, oltre alla mancanza di concertazione. Solo gli ecologisti rinviano a più tardi le polemiche. Il più collerico è Jean Luc Mélenchon, leader della France Insoumise (sinistra): “L’epidemia è fuori controllo e lo è anche il presidente”. Ciò che più colpisce, in questi giorni, è la reazione moderata di Marine Le Pen. La presidente del Rassemblement National denuncia in modo sobrio la “gestione erratica” dell’epidemia. Sin dall’inizio dell’epidemia, la Le Pen accusa Emmanuel Macron e i suoi ministri di agire troppo tardi, li critica per le misure di aiuto troppo blande. Il tutto sempre senza strafare. A differenza dei leader dell’ultra-destra di altri Paesi, ha sempre detto agli anti-mascherina di indossarla. C’è chi pensa che questa sia una strategia: Marine Le Pen, già candidata alle presidenziali del 2022, si vuole dare una statura da capo di Stato.

I focolai non sono più della media e la corsa dei governatori va avanti

I numeri tanto rincorsi da tutti ancora non ci sono, ma, assicurano dall’Istituto superiore della Sanità che li detiene, e dal ministero dell’Istruzione che ne fornisce una parte, ci saranno presto e finalmente sarà possibile capire come procede l’andamento dei contagi nelle scuole italiane. Certo, ieri è tornato utile un articolo pubblicato sul sito di Nature in cui si esclude qualsiasi correlazione certa tra riapertura delle scuole e virus: le scuole – quanto più rispettano precauzioni e distanziamento – non sembrano essere un moltiplicatore anche in contesti di fitti contagi nella comunità. E, soprattutto, non sembrano esserlo gli studenti più giovani. “Non è chiaro quanto spesso i focolai che hanno origine nelle scuole contribuiscano alla trasmissione della comunità – spiega nell’articolo Ashlesha Kaushik, pediatra di Sioux City, Iowa, e portavoce dell’American Academy di pediatria –. Perché anche altri fattori, tra cui l’allentamento delle restrizioni alle attività commerciali hanno contribuito alla diffusione”.

In italia, quello che si sa è che al momento “l’ambito scolastico rappresenta il 3,8% di tutti i contagi”, ha detto ieri il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, mentre il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, ha aggiunto che “la scuola ha rappresentato una priorità e saranno fatti tutti gli sforzi per mantenerla aperta”. La sintesi è, a grandissime linee, che dopo mesi di sacrifici e di lavoro per renderla sicura, chiuderla sarebbe una sconfitta. Si potrebbero prevedere, invece, “adattamenti” nei casi di situazioni territoriali particolari e “di significativa peculiare criticità”.

Eppure, le Regioni sembrano convinte che chiudere la scuola sia la panacea di ogni male, dimenticando che ci sono molti altri ambiti a rischio, dai trasporti ai centri commerciali. L’Umbria, per dire, ha deciso di attuare la didattica a distanza dal 3 al 14 novembre alle medie e alle superiori mentre in Campania il governatore Vincenzo De Luca ha firmato una nuova ordinanza che contiene, tra l’altro, lo stop alle scuole anche dell’infanzia a partire da lunedì. Non contento, ha ironizzato su una mamma e la sua bimba, definita “Ogm” per il solo fatto che potesse desiderare di andare a scuola. Nelle stesse ore l’assessore alla Salute della Puglia, Pierluigi Lopalco – che di fatto aveva ammesso che la chiusura delle scuole era necessaria per alleggerire il peso su quei mezzi pubblici impossibili da riformare in sette mesi – ha annunciato che sarebbero al vaglio soluzioni che già dalla prossima settimana potrebbero permettere ai bambini più piccoli delle scuole elementari di riprendere la didattica in classe. Una parziale corsa ai ripari: in diverse città della regione ieri ci sono state proteste e flash mob da parte dei genitori e degli stessi ragazzi. Diversa la scelta del Piemonte dove, invece, il governatore Alberto Cirio firmerà nelle prossime ore una ordinanza che prevede mezzi pubblici al 50 per cento di capienza, ma anche la didattica a distanza al 100 per cento per tutti gli studenti delle scuole superiori. Con la saggezza di lasciare in classe almeno i più piccoli.

Lockdown, Camere pronte. Le scuole di nuovo in forse

Per una volta sono d’accordo anche i sindacati, che ieri mattina hanno incontrato la ministra Lucia Azzolina e le hanno spiegato che anche per loro richiudere la scuola dev’essere “l’ultima spiaggia”. Il problema è che, a quell’ultima spiaggia, ci siamo molto vicini. E che un nuovo lockdown è un’opzione saldamente sul tavolo di Palazzo Chigi. Non lo dice solo il fatto che Conte ieri abbia annunciato ai sindacati la proroga del blocco dei licenziamenti fino a fine marzo. Ma soprattutto la notizia che ieri il premier abbia avviato una interlocuzione con i presidenti di Camera e Senato per capire quali strumenti possano essere messi in campo per dare “immediate” comunicazioni al Parlamento in occasione di nuovi Dpcm, che potrebbero arrivare anche “nel weekend”. È una risposta alle critiche secondo cui le informative di Conte alle Camere sono sempre tardive rispetto all’emanazione Dpcm, a cui già sabato scorso si era provato ad ovviare convocando i capigruppo a palazzo Chigi. Ma pure la conferma che nulla è escluso rispetto all’adozione di nuovi strumenti, non appena si dovesse valutare che le restrizioni varate domenica non abbiano sortito gli effetti sperati. Un weekend comincia oggi, ma Conte insiste perché trascorrano i canonici quindici giorni, che scadono il 6 e l’8 novembre. Un fine settimana, di nuovo. Per questo vuole che il Parlamento sia pronto ad ascoltarlo. Teme di avere cose importanti da annunciare.

La chiusura della scuola, a cominciare dalle Regioni dove l’indice Rt è vicino al 2, è una di queste. E con la ministra che ribadisce il suo no, la questione ormai è prepolitica: “Mi spiegate perché io, che sono letteralmente sommersa dall’odio delle famiglie, non posso dire che Emiliano ha sbagliato?”. Da giorni aveva chiesto al premier Giuseppe Conte di incontrare i capidelegazione del Pd e del Movimento, vertice che si è tenuto ieri sera a palazzo Chigi. Vuole, la Azzolina, che si giochi a carte scoperte, che le pressioni che neanche troppo sottotraccia vanno avanti da settimane vengano alla luce del sole. Per questo ha portato gli ultimi dati elaborati dall’Istituto superiore di Sanità e pure i report sulle esperienze europee, in particolare di Francia e Germania, dove nemmeno ora che si è ripiombati nel lockdown le scuole hanno chiuso i battenti. Perché vuole spiegare, la ministra, che quando nelle ultime riunioni ha ripetuto “il primo ciclo non si tocca”, non l’ha “detto a caso”. E infatti nella riunione di ieri Conte ha chiarito che quella della titolare dell’Istruzione era una “informativa” che analizzava “dati scientifici”. Eppure (ne parliamo qui sotto), nonostante l’incidenza dei focolai scolastici sia rimasta stabile sul totale, oscillando tra il 3,5 e il 3,8 per tre settimane, la corsa dei governatori è partita e il pressing dei “chiusuristi” pure. E dopo quelli campani, da ieri anche tutti gli studenti della Puglia sono a casa. Le critiche della ministra alle ordinanze non sono state gradite dal Pd, il partito di riferimento dei due governatori, che prima con il vicesegretario Andrea Orlando e ieri con il ministro Francesco Boccia ha ribadito un’ovvietà: ovvero che quelle norme non possono essere impugnate, visto che il Dpcm dà la facoltà alle Regioni di emanare misure ulteriormente restrittive.

Ma il punto ormai è nazionale: dopo aver ceduto sulle superiori, che già insegnano a distanza almeno al 75 per cento, ora ricominciano a ballare elementari e medie. Non tanto per l’impatto sui trasporti (che riguarda gli over 14) quanto per alleggerire il carico delle Asl che dedicano grosse energie al tracciamento dei casi scolastici e alla macchina burocratica e sanitaria che ne consegue. Come al solito, dipende come la guardi: perché è altrettanto vero che le scuole sono uno dei pochi luoghi in cui il contact tracing funziona e, ragionano al ministero, tenerle aperte significa mantenere un “filtro” per la comunità. Motivo per cui le scuole non dovrebbero fermarsi nemmeno se l’Italia tornasse a quel lockdown, che sembra sempre più vicino.

L’Enel sotto ricatto per un furto di dati. Chiesti (invano) 14 milioni per “riaverli”

Ha innovato il settore dell’energia in casa, nel condominio, in azienda. Ha innovato il settore delle smart city. Ha innovato il settore della mobilità elettrica. E ora Enel X porta la sua rivoluzione anche nel mondo fintech con il debutto di Enel X Pay”: è una delle presentazioni entusiastiche rinvenute online del nuovo servizio finanziario di Enel, che prevede anche conti correnti completamente online. Nel pieno del suo lancio, però, l’azienda si trova a fronteggiare i risvolti di una notizia che campeggia su i siti web specializzati (e non): un attacco hacker avrebbe sottratto 5 terabyte di dati dei clienti e in cambio della chiave crittografica con cui sbloccare tutto l’organizzazione, sconosciuta, avrebbe chiesto 14 milioni di dollari di riscatto.

Un colpo anche mediaticamente ben assestato e che aveva avuto un precedente: a inizio giugno, la rete interna di Enel era stata attaccata dal ransomware (un software malevolo che inibisce l’utilizzo o l’accesso chiedendo, appunto, un riscato) denominato Snake, ma il tentativo era stato intercettato prima che il malware potesse diffondersi. Stavolta, invece, il colpo sembra essere andato a fondo, come confermato anche da alcune fonti al Fatto. A raccontarlo sono il sito BleepingComputer e l’account Twitter Tg Soft. BleepingComputer ha pubblicato gli screenshot di una richiesta di riscatto del ransomware Netwalker, che sembrava provenire da un attacco al Gruppo Enel e in cui era indicato il mezzo per il pagamento in bitcoin. Si incitava a rispondere entro tre giorni altrimenti si sarebbe condivisa la notizia con i media e i dati con altri interessati.

Nella richiesta di riscatto era incluso anche il collegamento alle immagini delle cartelle con i dati rubati. Ancora non si sa di che tipo siano (abbiamo chiesto ad Enel ma non abbiamo ricevuto risposta) e quindi quale sia il livello di “sensibilità” e importanza. Pochi giorni dopo, Netwalker ha inviato un messaggio alla chat di supporto: “Ciao Enel – ha scritto – Non aver paura di scriverci”. Dalle immagini sembra che siano stati sottratti 5 terabyte di dati e sembra che i cybercriminali siano pronti a renderne pubblica una parte tra una settimana se Enel non si dovesse decidere a pagare. Ovviamente, pagare il riscatto è vano: non si potrebbe dimostrare che quei dati non siano stati comunque copiati e diffusi.