A volte ritornano: Cuffaro, dopo il carcere per mafia, rilancia la Democrazia Cristiana

Totò Cuffaro è tornato. Due volte presidente della Regione Siciliana, due volte senatore, condannato a sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione del segreto d’ufficio, Cuffaro vuole scoprire fino a che punto può spingersi il diritto all’oblio. Cinque anni dopo essere uscito dal carcere di Rebibbia, si è messo in testa di rilanciare la Democrazia Cristiana – a proposito di eterni ritorni… – nella sua isola. In queste ore ha aperto profili pubblici su tutti i principali social network (Facebook, Twitter, Youtube e persino Instagram), annunciando poi il nuovo (vecchio) impegno con lo Scudo crociato: “È stata creata la Pagina Ufficiale della Democrazia Cristiana di Sicilia. Io sono il primo ad avere messo il Like. Se volete, fatelo anche voi insieme a me!”. Ed ecco la nobile insegna della Dc, accompagnata dal fiero slogan: “Ancora liberi e forti”.

Non solo: Cuffaro ha pure annunciato di voler mettere in piedi una scuola di formazione politica per far crescere “giovani dirigenti”. Sperando non ne seguano l’esempio.

“Consegne etiche”: i rider alternativi allo sfruttamento

Nello stesso giorno in cui i rider scioperano per rivendicare i propri diritti dai colossi del food delivery, a Bologna nasce “Consegne Etiche”, la prima piattaforma cooperativa di consegne a domicilio che rispetta il lavoro dei fattorini e l’ambiente. Basta selezionare su una mappa il quartiere o la strada in cui uno vive e si scopre cosa, per il momento, si può ricevere a casa. La consegna verrà realizzata da fattorini pagati in modo degno, senza pesare però sui commercianti e sull’ambiente, promuovendo uno stile di consegne sostenibili e non inquinanti. Solitamente un rider prende 5,5 euro lordi l’ora, da “Consegne Etiche” sono 9 euro netti l’ora. Il tema è centrale, visto l’accordo recentemente sottoscritto tra Assodelivery, l’associazione delle piattaforme come Glovo, Deliveroo e Just Eat, e il sindacato Ugl (l’unico) che stabilisce un salario minimo di 10 euro all’ora, ma solo in considerazione del tempo effettivamente impiegato per fare le consegne. Ad oggi a Bologna hanno aderito già tre mercati cittadini, Coop Alleanza 3.0 con due supermercati e le biblioteche cittadine. Da lunedì i primi servizi di “Consegne Etiche” saranno proprio i libri. “L’obiettivo è raggiungere lettori e lettrici più fragili che in questo momento di difficoltà possono avere bisogno di ricevere libri, dvd o cd direttamente a casa. Il progetto era stato pensato solo per gli utenti con difficoltà di mobilità ma con l’emergenza Covid si è deciso di ampliarlo”, sottolinea l’assessore alla Cultura Matteo Lepore, tra i promotori insieme alla Fondazione per l’Innovazione Urbana e il Comune. Bologna continua a essere laboratorio di sperimentazione: dopo la nascita del primo sindacato dei rider italiani ora parte la sfida etica al delivery. La piattaforma non trattiene alcun costo e a pagare la consegna, sulla base di un preventivo equo, è il cliente. L’equazione è semplice: se non si vuole pagare la consegna, si sta sfruttando qualcuno.

“Il Covid serve a uccidere i vecchi. I mandanti: Bill Gates e Conte”

Pubblichiamo l’intervista andata in onda ieri ne “Le Mattine di Radio Capital”, il programma condotto da Selvaggia Lucarelli e Chicco Giuliani, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12

 

Stiamo chiamando un po’ di persone che hanno posizioni negazioniste… Daniele, abbiamo visto un tuo post su una casa di riposo a Trieste e volevamo chiederti se potevamo approfondire questa cosa… Tu scrivi: “38 vaccinati, 3 rifiuti al vaccino, e poi 38 positivi al tampone fatto il giorno seguente e 3 negativi… eccovi servita la seconda ondata.”. E poi ancora: “A me sembra molto una mietitura di persone ormai non più produttive alla società. Migliaia di persone e di nonni dipartiranno anzitempo per volere di poteri mondiali. Rimarranno solo i più giovani, i più sani e produttivi”. Ecco, volevo chiederti quali sono le tue fonti? Perché tu stai accusando la casa di riposo di uccidere gli anziani…

No, no, no. Io non sto accusando la casa di riposo. Io penso che ci sia sotto una cosa ben più grande.

Cioè?

Facciamo il quadro della situazione. Qui siamo di fronte a un’organizzazione di livello mondiale, non stiamo parlando solo di Padova o Trieste. E allora mi chiedo chi può trarre interesse da un’epidemia mondiale? Valutiamo a livello economico. Rilevare le ditte in via di fallimento costa meno. E qualcuno così può specularci sopra.

Ma chi ci sarebbe quindi dietro?

Basta guardare al porto di Trieste, a chi è stato ceduto… Stiamo vendendo a pezzi l’Italia.

Sì, ma a chi? Chi ci sarebbe dietro tutto questo?

Forse la Cina, ma c’ho riflettuto e ho scartato questa ipotesi. E allora si sa che Bill Gates ha sempre parlato del fatto che siamo in troppi su questo pianeta, che non ci sono più risorse energetiche, che non c’è abbastanza cibo per tutti! Non ci sono più le guerre mondiali con le loro vittime e la vita si è allungata. Ecco, allora mi vien da pensare che tutti quelli che loro considerano pesi nella società sono di troppo. Noi li consideriamo nonni, loro invece dei pesi di cui liberarsi. Perché si deve tirar fuori i soldi sennò…

Loro chi?

Ma tu lo sai che la Svezia agli ultrasettantenni non elargisce più cure?

Quel discorso semmai è stato fatto per le terapie intensive, e non in Svezia…

Ma tu devi dirmi una cosa. Chi secondo te avrebbe eliminato gli anziani che sono morti?

Questa “mietitura”, come hai scritto tu nel post, di chi è opera?

Ma tu lo sai allo Stato italiano quanto costa un anziano?

Dipende dallo stato di salute…

Ecco, benissimo! Si sa che tutte quelle persone che hanno più patologie e che stanno qui a ingrassare le case di riposo, appesantiscono anche il sistema sanitario. Perché è tutto gratis dai 65 anni in su…

Sì, ma il mandante?

Io penso che stiamo parlando di un livello globale.

Sì, ma chi c’è dietro questa mietitura?

Ma cos’è questo, un interrogatorio? Ma che cazzo stiamo dicendo? Uno, vorrei sapere chi ti ha dato il numero di telefono? Due, chi pensi di essere? Stai invadendo la mia privacy! Come ti permetti!? Io ho solo detto che su 83 vaccinazioni nella casa di riposo ci sono stati 83 casi positivi e che c’è qualcosa di strano! La mietitura non è nazionale, o riferito a questa casa di riposo, è a livello mondiale.

I mandanti?

Chi sono i mandanti devi chiederlo a Conte, non a me!

Tu hai scritto nel post che “chi scrive i dati, che sono tutti falsi, è a libro paga del governo”. E poi continui: “Se qualche professore o giornalista prova a dire la verità viene licenziato o radiato dall’albo”. Chi sono questi professori o giornalisti!?

Basta leggere la storia…

Tu dove ti informi?

In molti programmi ne parlano, le Iene ad esempio, e molti parlano di oscuramenti e censure.

Mi dici i nomi dei giornalisti e dei professori licenziati? Almeno uno.

Io ce ne ho quanti ne vuoi.

Sì, ma fammi due nomi!

No, perché se loro mi chiedono l’anonimato, io lo rispetto.

Ah, lo chiedono proprio a te di non dirlo a nessuno!

Ah guarda se hai voglia di prendermi in giro, fallo con i tuoi genitori o con altri. Ma io ho un lavoro!

Tu cosa fai nella vita? Che lavoro fai?

Guarda che io ho un lavoro. Sono musicista.

Fai karaoke?

Io ho un lavoro! Sono un musicista! Sì, suono anche ai karaoke. E allora?

Ah, di lavoro fai il karaoke?

Basta! Mi chiami, mi fa un interrogatorio… Poi screditi il mio lavoro? Ora basta! Non devi rompermi le scatole! Quindi ti saluto, ciao! Buona serata.

Ciao Daniele! Ciao!

L’Iss: “Fate qualcosa anche a livello locale”. Superati i 31mila casi

“Il quadro epidemiologico descritto precede l’adozione delle misure restrittive introdotte dal Dpcm del 24 ottobre 2020. L’epidemia in Italia è in ulteriore peggioramento, con un numero di nuovi casi segnalati quasi raddoppiato rispetto alla settimana del 12-18 ottobre 2020 (100.446 casi rispetto a 52.960 casi nella settimana precedente), compatibile ancora complessivamente con uno scenario di tipo 3 ma in evoluzione verso uno scenario di tipo 4. Si segnala che in alcune regioni italiane la velocità di trasmissione è già compatibile con uno scenario 4 con rischio di tenuta dei servizi sanitari nel breve periodo. Si osserva una sempre maggiore difficoltà a reperire dati completi a causa del grave sovraccarico dei servizi territoriali, questo potrebbe portare a sottostimare la velocità di trasmissione in particolare in alcune regioni. Si conferma pertanto una situazione complessivamente critica sul territorio nazionale con impatto importante in numerose regioni e province autonome italiane”.

“Nella settimana di monitoraggio (19-25 ottobre), 11 regioni/province autonome sono da considerare a rischio elevato di una trasmissione non controllata di SarsCov2 e 8 sono classificate a rischio moderato con probabilità elevata di progredire a rischio alto nel prossimo mese. Questa settimana, per la prima volta, è stato segnalato il superamento in alcuni territori della soglia critica di occupazione dei posti letto in area medica (40%)”.

È questo lo scenario riportato nero su bianco sul rapporto settimanale dell’Istituto superiore di sanità: un’Italia che scivola in gran parte e velocemente verso la fase 4, che significa sistema di tracciamento ormai gettato alle ortiche e grosse criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo, entro il mese e mezzo ad andar bene. E i numeri del bollettino quotidiano diffusi ieri dalla Protezione civile certo non confortano: +31.084 casi (+4.253 rispetto a giovedì), record di tamponi a 215.085 (+13.633), +95 in terapia intensiva (1.746 in tutto), 1.030 ricoveri ordinari (16.994 in tutto), 199 morti (giovedì erano stati 217),

Ma ritornando al rapporto dell’Istituto superiore di sanità, è il presidente Silvio Brusaferro che prova a spiegare la situazione: “Lo scenario in cui oggi ci troviamo è quello in cui il Paese ha adottato delle misure restrittive progressivamente fino al Dpcm della scorsa settimana che è intervenuto in maniera significativa nel mettere dei vincoli a determinate attività, limitando le interazioni. In realtà non c’è la ricetta magica. C’è un meccanismo. Ma è fondamentalmente un monitoraggio stretto, continuo che permette di confezionare la ricetta, settimana dopo settimana”. Cioè, intende Brusaferro, un meccanismo che dovrebbe stimolare i governatori a prendere decisioni in autonomia rispetto a ulteriori chiusure: “Ci sono condizioni che possono avere un interesse a livello nazionale e altre a livello locale. È l’andamento della curva che ce lo dice. Alle norme si possono e si devono inserire ulteriori misure che possono essere a livello nazionale e a livello locale”. L’indicatore più drammatico è quello dell’indice di trasmissibilità Rt del Covid, che dovrebbe restare sotto 1 ed è arrivato a 1,7 a livello nazionale. Questi i dati regione per regione da quella messa peggio: Lombardia 2,09; Piemonte 2,16; Bolzano 1,96; Valle d’Aosta 1,89; Molise 1,86; Umbria 1,67; Calabria 1,66; Puglia 1,65; Emilia-Romagna 1,63; Liguria 1,54; Lazio 1,51; Friuli-Venezia Giulia 1,5; Trento 1,5; Campania 1,49; Marche 1,48; Veneto 1,46; Sicilia 1,42; Toscana 1,41; Abruzzo 1,4; Sardegna 1,12; Basilicata 1,04.

Malati a quota 500 in terapia intensiva: la soglia per M5S e Pd

Il M5S che chiede il lockdown il prima possibile. Il Pd che aspetta il 2 novembre, giorno spartiacque secondo uno studio del Cts regionale. Fontana che continua a prendere tempo, ma sapendo che ormai l’ha quasi finito. I sindaci della Lega che raccolgono le firme per protestare contro la misura della chiusura alle 18 di bar e ristoranti.

“Si deve fare qualcosa subito e con questi numeri ciò che resta è il lockdown – dice Massimo De Rosa, capogruppo M5S al Pirellone – che sia per tutta la Lombardia o per singole città, l’importante è farlo ora. Naturalmente assicurando il ristoro a chi ne ha diritto”. È la posizione che il M5S porterà lunedì all’incontro fissato dal presidente Attilio Fontana con i sindaci e i capogruppo. Non una data a caso, ma quella che, per il Cts, sarà lo spartiacque: se in quel giorno le terapie intensive segneranno quota 500, sarà il punto di non ritorno. Perché le proiezioni dicono che tre giorni dopo saliranno a 750 e da lì, quota 1100 – il numero massimo di letti attivabili in regione – sarà presto raggiunto. “Vediamo i numeri e decidiamo, se saremo a quota 500 appoggeremo ogni nuova misura più stringente. Lockdown compreso”, fa sapere un esponente del partito. Così il cerino torna nelle mani di Fontana, il quale – mentre deve fare i conti con i sindaci della Lega che da giorni raccolgono le firme contro le chiusure alle 18 (una vera fronda interna) – vede i numeri galoppare. “La nostra stima sui contagi di questa settimana è che arriveremo a 20 mila casi nella provincia di Milano”, ha detto ieri il dg di Ats Milano Città metropolitana, Walter Bergamaschi. Cifre che si avvicinano pericolosamente a quelle scritte nel documento segreto del Cts svelato dal Fatto secondo il quale, con un Rt superiore a 2 e oltre i 15 mila contagi settimanali, l’unica risposta possibile è il lockdown. Uno studio datato 18 ottobre, due settimane fa. Due settimane perse.

Dal Nord-Ovest fino a Napoli. Le province dove il virus corre

Il virus dilaga soprattutto nel Nord-Ovest. Emerge con chiarezza dall’analisi dei nuovi casi positivi registrati nelle ultime due settimane nelle Province italiane. Tra le otto più colpite, infatti, ben sette si trovano tra Lombardia, Piemonte, Liguria e Val d’Aosta e nell’ordine sono: Aosta con 1.112 casi ogni 100 mila abitanti, Monza e Brianza 899, Milano 858, Genova 832, Varese 777, Cuneo 653 e Torino 632. Como è ventesima, con 556, ma purtroppo in risalita. Tra le prime dieci si inseriscono Prato, settima con un’incidenza di 643 casi ogni 100 mila abitanti; al nono Viterbo con 623 che sono poco meno del doppio di Roma (323), al decimo torna la Toscana con Firenze che ne ha avuti 621. La media nazionale, nel periodo stesso che va dal 14 al 29 ottobre, è di 352 nuovi casi positivi registrati ogni 100 mila abitanti.

È un dato che purtroppo cresce rapidamente. Aggiungendo i dati di ieri, il Centro europeo per la prevenzione delle malattie (Ecdc) di Stoccolma calcolava già per l’Italia un’incidenza di 389 casi negli ultimi 15 giorni. La Francia è a 706, la Spagna a 509, la Gran Bretagna a 437, il Belgio che al momento è il Paese più colpito in Europa a 1.600 e la Germania a 182. Naturalmente l’incidenza dice molto ma non tutto, i dati delle Province italiane risentono anche della più intensa attività diagnostica delle ultime settimane e la situazione complessiva anche dalle condizioni della sanità regionale, dal tasso di occupazione dei posti letto negli ospedali e nelle terapie intensive, dal tempo che intercorre tra i sintomi e la diagnosi che si era ridotto e poi si è di nuovo allungato a anche se restiamo lontani dai livelli di marzo-aprile. Roma e quindi il Lazio preoccupano proprio per il sovraccarico sul servizio sanitario.

 

Il sud Vibo valentia è la meno contagiata

La prima provincia del Sud è Napoli, dodicesima con 604 nuovi casi negli ultimi 15 giorni. Si trovano comunque nel Mezzogiorno, dove però la capacità diagnostica è aumentata meno che altrove, le aree colpite in misura minore. Sono al Sud 13 su 15 Province con l’incidenza più bassa, guidate da Vibo Valentia che nel periodo 14-29 ottobre ha registrato solo 22 casi per 100 mila abitanti. Nei primi 14 posti troviamo le altre Province calabresi di Crotone (49), Catanzaro (83) e Cosenza (104), quelle pugliesi di Lecce (39) e Brindisi (88) e quelle siciliane di Agrigento (93), Messina (107), Siracusa (109), Enna (119) e Caltanissetta (132). Tra le migliori 15 province ci sono poi Pesaro e Urbino (119), Campobasso (128) e Matera (130). La grande sorpresa è al quindicesimo posto partendo dal basso: Bergamo, la più colpita nel corso della prima ondata, ha contato solo 137 casi per 100 mila abitanti nelle ultime due settimane.

 

Lombardia Bergamo finisce in fondo alla classifica

Secondo l’indagine sierologica condotta la scorsa estate da ministero della Salute e Istat, in provincia di Bergamo il 24% della popolazione presentava gli anticorpi del Covid-19. Sarebbe dunque immunizzata e così si spiegherebbe la bassa incidenza nel corso della seconda ondata. Tra gli esperti, l’abbiamo scritto, c’è chi vede di un inizio di immunità di gregge e chi parla di “protezione di comunità”. Oltre agli anticorpi c’è la maggiore adesione ai comportamenti più virtuosi. Ma per trovare un’altra provincia del Nord tra le meno colpite è necessario salire al 26º posto dal basso: è Parma, che pure ha sofferto molto nei primi mesi della pandemia, con 194 positivi ogni 100 mila abitanti. Anche Pesaro-Urbino era stata la più colpita nelle Marche la scorsa primavera. Piacenza invece sembra fare eccezione: messa a dura prova dai primi mesi della pandemia, segna tuttora il dato più allarmante dell’Emilia-Romagna con 432 nuovi casi ogni 100 mila abitanti. Bologna è a 313.

In Lombardia però anche Cremona, la seconda provincia più colpita dalla prima ondata con il 19% degli abitanti risultati positivi, è ampiamente sotto la media nazionale oggi con un’incidenza di 313 casi ogni 100mila abitanti.

Ancora meglio Brescia, altra provincia falcidiata prima dell’estate, nelle ultime due settimane ha registrato soltanto 215 casi per 100 mila abitanti.

 

Regioni preoccupano anche Umbria, Toscana e Campania

Anche a livello regionale si parte dal Nord-Ovest. Alla piccola Val d’Aosta, scarsa densità abitativa e molti tamponi (1.112 nuovi casi ogni 100 mila abitanti), seguono la Liguria con 666 e la Lombardia con 606; quindi l’Umbria con 593, il Piemonte con 576 e la Toscana con 518.

A guidare la classifica delle regioni del Centro-Sud c’è la Campania, con 488 nuovi positivi registrati ogni 100 mila abitanti. In Calabria solo 113, in Basilicata 164 e in Puglia 172.

Il misirizzi

L’altra sera, in un talk show, un piccolo misirizzi in evidente stato confusionale, il cui curriculum sfugge ai più, dava lezioni di giornalismo indipendente ad Antonio Padellaro. E, per l’angolo del buonumore, potrebbe bastare così. Poi però, siccome Antonio gli chiedeva pazientemente lumi su alcuni suoi delirii (“Manca un discorso di verità sul perché e il percome e il disegno complessivo!”, “Al governo ci vogliono persone adeguate!”, “Ad abbattere Conte ci penserà il virus!” e ovviamente “Serve il Mes! Il Mes! Il Mes!”), il pover’ometto elencava le terapie intensive non attivate, le poche assunzioni di medici e infermieri, i drive in fuori dagli ospedali: cioè tutte scelte delle Regioni, visto che la sanità in Italia purtroppo è regionale, mentre il governo ha stanziato 8 miliardi per gli ospedali (mai spesi dalle Regioni) e il commissario Arcuri ha acquistato 5mila ventilatori per raddoppiare i posti letto di terapia intensiva, di cui 1445 consegnati e non attivati dalle Regioni e altri 1849 rimasti nei suoi magazzini perché nessuna di esse glieli ha ancora chiesti.

Padellaro faceva sommessamente notare che attualmente il nostro problema è abbattere il virus, non Conte. Ma il misirizzi, non conoscendo la parola “Regioni”, tentava la fuga buttandola in caciara: “Sono sicuro che, se ci stava Salvini (sic, ndr), saresti stato molto meno generoso”. Non sospettando che, “se ci stava Salvini”, nei giorni pari chiuderebbe tutto e nei dispari riaprirebbe tutto, cioè avremmo il decuplo dei contagi e dei morti, come i Paesi sgovernati dagli spiriti-guida di Salvini. A quel punto, palla in tribuna: “Il tuo giornale è un capolavoro di doppia morale e doppio standard, impegnato a bastonare chi è critico al governo (ri-sic, ndr)”, “Io sono di sinistra, ho una storia di sinistra, scrivo cose di sinistra e non accetto che la patente di sinistra me la dia il tuo giornale che per combattere il fascismo usa i metodi da bastonatori nei confronti di chi non la pensa come loro (ri-ri-sic, ndr)”. Cioè: il Fatto è fascista e lui è il capo della Resistenza. Infatti va in giro per telepollai a ripetere “Covid governo ladro” (tra poco chiederà le dimissioni o il rimpasto pure alla Merkel, a Macron, a Sánchez e ai capi di Stato del resto del mondo che sta nella merda come o più dell’Italia), mentre noi riteniamo che Conte e il suo governo siano meglio di quelli che li hanno preceduti negli ultimi vent’anni (almeno), ma soprattutto di quelli che verrebbero dopo. Se fosse un altro, partirebbe immediata la querela, peraltro vinta in partenza. Ma, trattandosi di questo poveretto, sarebbe fatica sprecata: verrebbe subito archiviato per manifesta incapacità di intendere e volere.

Loren, diva da romanzo. “La vita davanti” al set

Undici anni dopo Nine di Rob Marshall, Sophia Loren si rimette davanti alla macchina da presa: La vita davanti a sé, diretto dal figlio Edoardo Ponti, arriva il 13 novembre su Netflix. Gli americani già parlano di Oscar, lei, al secolo Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, fa gli scongiuri: “Il mio Oscar è lavorare, per me la statuetta è questo film. Non ci voglio neanche pensare, per carità. Vediamo, vediamo…”.

Di Academy Awards ne ha già avuti due, li conserva “nel corridoio di casa, insieme agli altri premi della mia lunga carriera”: quello onorario l’ha preso nel 1991, nel 1962 si laureò migliore protagonista per La ciociara di Vittorio De Sica, prima attrice di un film non in lingua inglese ad aggiudicarsi il riconoscimento. Sessant’anni più tardi il passato non è una terra straniera, non lo è De Sica, “una scuola meravigliosa”, non lo è Napoli, “sono napoletana al mille per cento”. E nemmeno lo sono gli adattamenti, che ne hanno costellato la carriera: La ciociara, prodotto dal defunto marito Carlo Ponti, è tratto dal romanzo di Alberto Moravia; sette anni fa ha recitato nel mediometraggio del figlio Edoardo La voce umana, da Jean Cocteau; ora le tocca la seconda trasposizione de La vie devant soi.

Eccezion fatta per De Sica, nel novero la letteratura vince sul cinema: con quel Cocteau, al più, si strappa una sconfitta di misura, come ha fatto Pedro Almodóvar con The Human Voice all’ultima Mostra di Venezia, con Gary, be’, perdono tutti. Non che l’adattamento del 1977 di Moshé Mizrahi non ci abbia provato: Oscar al film straniero, César alla splendida, ingrigita e imbolsita Simone Signoret, ma il romanzo, licenziato col nome de plume Émile Ajar, era altra cosa, era tanta roba.

Larger than life l’autore ebreo lituano trapiantato a Parigi, amante di Jean Seberg e come lei suicida, gollista, talento letterario irredento e dinamitardo; non riproducibile il libro, premio Goncourt nel 1975 (seconda volta per il sabotatore Gary sotto mentite spoglie, con annesso scandalo), tentativo screanzato e straordinariamente riuscito di associare nella Belleville del dopoguerra l’Olocausto patito da Madame Rosa e la marginalità socio-antropologica del bambino algerino Momò.

Consuetudine e capacità adattiva della Loren sono notorie, agli albori in pochi anni incasella Miseria e nobiltà (1954, regia di Mario Mattoli) dalla pièce teatrale di Eduardo Scarpetta; L’oro di Napoli (1954, De Sica), dai racconti di Giuseppe Marotta; Orgoglio e passione (1957, Stanley Kramer), liberamente tratto da The Gun di Cecil Scott Forester; La chiave (1958, Carol Reed), da Stella di Jan de Hartog; Il diavolo in calzoncini rosa (1959, George Cukor), da Heller with a Gun di Louis L’Amour.

Spesso lei e il film hanno avuto la meglio, anche Cassandra Crossing (1976, George Pan Cosmatos) da Robert Katz e chissà che sarebbe stato del non realizzato La monaca di Monza di Visconti da Manzoni, ma stavolta l’impresa era francamente proibitiva: la riduzione di Ponti, che sceneggia con Ugo Chiti, è tale di nome e di fatto. Ha ragione il regista, “se non si sacrifica qualcosa non si può raccontare, noi ci siamo concentrati sulla storia d’amore e amicizia tra Madame Rosa e Momò, che tutto separa – religione, cultura, età, razza – ma che alla fine sono molto simili”. Tuttavia, vengono stralciati snodi capitali e scene madri, non impunemente per complessità e ambizione del testo: che Momò, mantenendo fede all’Islam, divenga senegalese è condivisibile, che Belleville si trasformi in Bari assai meno, non solo perché Loren e Renato Carpentieri parlano in napoletano, ma per la bontà della traduzione multi-culturale. Potenza, diciamo così, dell’Apulia Film Commission, con lapsus meritorio l’attrice stessa infila il dito nella location: “Silenzi, tempo, mare, spiaggia, Napoli è nel mio cuore” e, all’avvertenza del figlio, “lo so che era Bari…”.

Ça va sans dire, è lei la cosa migliore del film, e non può stupire: ancora oggi, a ottantasei anni, è la nostra più grande attrice, e non solo per aura. Sono bravi gli altri interpreti, l’esordiente Ibrahima Gueye pecca per cadenza romana, ma ha presenza scenica da vendere, Carpentieri è un totem, il cartolaio bibliomane Babak Karimi e la trans, non solo per finzione, Abril Zamora convincono, con una regia-regia, a partire da una palette per la fotografia meno oleografica, ci si sarebbe discostati dalla sufficienza. Le prospettive agli Oscar della Loren, che sullo schermo con sprezzo del pericolo si fa apostrofare “mummia”, non verranno comunque inficiate: intelligentemente vi si approccerà da non protagonista, a oggi ha più probabilità lei di vincere che i 93esimi Academy Awards di tenersi, il 25 aprile del 2021. Perché la pandemia morde ovunque, e Signora Sophia non si nasconde: “Io sono per seguire le leggi, io ho paura di tutto, non esco”. E nemmeno davanti alla chiusura delle sale svicola: “Cinema e teatri sono rifugi in cui possiamo trovarci e capirci meglio, la salute è importante, ma anche quella emotiva conta… Dispiace, certo, ma che cosa si può fare?”.

 

Antisemitismo, il Labour sospende l’ex leader Corbyn

Mai caduta fu più fragorosa: dopo l’umiliante sconfitta alle elezioni del 13 dicembre e le inevitabili dimissioni, ieri l’ex leader laburista Jeremy Corbyn è stato sospeso dal partito e dal mandato parlamentare, con una decisione che ha il “totale supporto” dal successore Sir Keir Starmer. Il motivo? Ha definito “assurdamente esagerate per ragioni politiche” le durissime conclusioni della Commissione dei diritti umani su Labour e antisemitismo ai tempi in cui al comando c’era lui. Dopo mesi di indagini, la Commissione ha identificato “serie mancanze della leadership nell’affrontare l’antisemitismo, e un processo del tutto inadeguato nel gestire le denunce”. “I numeri sono esagerati. Nessuno accetta l’antisemitismo in nessuna forma nel nostro partito”, ha aggiunto Corbyn, promettendo di opporsi alla sospensione, che i suoi alleati di Momentum hanno definito “massiccio attacco alla sinistra” del partito. La guerra sotterranea fra seguaci di Corbyn e sostenitori del nuovo corso più centrista di Starmer è aperta, e resta da vedere quanto danneggerà il principale partito di opposizione in un momento in cui potrebbe approfittare della debolezza dei Tories al governo.

Anche per stile di vita i due leader sono molto diversi: Corbyn si muove solo a piedi e in bici ed è noto per l’estrema sobrietà, Starmer, origini proletarie ma nominato baronetto dalla Regina per meriti eccezionali come avvocato dei diritti umani, giorni fa alla guida di un Suv ha investito un ciclista. Era diretto da Renzo Khan, sarto d’élite, la cui clientela include l’attore Jude Law, i fratelli Miliband e l’attrice Billie Piper. Sir Keir s’è fermato a prestare soccorso e l’appuntamento è stato rimandato.

Erdogan azzera la repubblica laica e vota la vendetta dei musulmani

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, dopo aver accusato il suo omologo francese Emmanuel Macron di essere razzista nei confronti dei musulmani e chiesto il boicottaggio delle merci, ieri ha fatto convocare l’incaricato d’affari francese ad Ankara. L’obiettivo era chiedere nuovamente che Parigi lavi le offese nei confronti del Profeta, e di Erdogan, contenute nel nuovo numero di Charlie Hebdo. Proprio mentre il rappresentante francese veniva “redarguito”, a Nizza stavano per essere decapitati al grido di “Allah è grande” tre fedeli raccolti nella cattedrale. Questo ennesimo atto di terrorismo islamico in Francia è stato subito condannato dalle autorità turche pur senza rinunciare a condannare Parigi per il modo ignobile con cui, secondo Ankara, vengono trattati i cittadini francesi seguaci dell’Islam. “Chiediamo oggi alla leadership francese di evitare un’ulteriore retorica incendiaria contro i musulmani”, scrive in una nota l’ufficio del capo dello Stato. In un tweet diffuso dal responsabile della comunicazione della presidenza turca, Fahrettin Altun, si legge: “Come ha spesso detto il nostro presidente Erdogan, l’Islam non può essere usato in nome del terrorismo…”. Naturalmente non si menziona l’arrivo in Francia negli ultimi anni di decine di imam turchi che plagiano i giovani musulmani delle banlieue. E non l’hanno menzionato nemmeno i legislatori turchi di tutto l’arco parlamentare che, per la prima volta, hanno firmato una dichiarazione congiunta per “condannare fermamente le osservazioni provocatorie e offensive del presidente francese Macron nei confronti dell’Islam e del suo amato profeta Maometto e dei musulmani”. L’unico partito del blocco di opposizione a non averla firmata è stato l’Hdp, il partito filo curdo democratico dei Popoli, il cui leader Demirtas e molti dirigenti sono stati sbattuti in carcere. La dichiarazione è stata firmata mentre si stava per celebrare il 97° anniversario della repubblica turca moderna fondata da Ataturk sui principi di democrazia e laicità. Principi che nell’era Erdogan sono di fatto stati svuotati.